53 - STANCHEZZA (2)

«C'è stata anche la luna...» disse Cata, interrompendo i suoi pensieri.

«Prego?»

«A Piombino la luna era strana, più splendente del solito. Pareva finta.»

Ando annuiva al suo fianco.

«Ma solo quando eravamo con Franco. Ci ha lasciato sulla banchina da soli per una ventina di minuti e, di colpo, il chiarore è diminuito. I raggi arrivavano a noi... non so come dire... pallidi. Come se volessero illuminare solo lui.»

«Forse è stata solo suggestione» disse Beatrix.

«No, ha ragione. L'ho notato anch'io» subentrò Trudi. «Era l'energia, Franco? Anche in quel caso?»

La confusione nella testa di de Simone era totale, cosa inconsueta per lui.

«Non so risponderti» riuscì a dire, a mezza voce.

Si schiarì la voce, e con un accenno di lacrime agli occhi cercò di continuare. «È tutto, Franco?»

Trudi, un po' perplesso, annuì.

«Un momento» s'intromise Silvia. «La stai usando anche ora, l'energia?»

«Sì e no. L'ho detto prima. La sento appena, ma quel tanto che basta per farmi stare bene. Non sono sicuro sia una cosa voluta, com'è stato all'inizio, quando ho capito come fare. Dovevo concentrarmi per tenerla e se facevo i pensieri sbagliati, se ne andava. Ora c'è, la sento. Credo sia come il respiro: non è che ci sforziamo di respirare. Lo facciamo, e basta!»

«Grazie, Franco. Il tuo intervento è stato preziosissimo. Tu sei preziosissimo.»

Ora, lo stesso de Simone aveva fretta di finire. I pensieri turbinavano nella sua testa in attesa di scoppiare in mille congetture e ipotesi. Ma aveva bisogno di essere solo, per ragionare con calma, com'era sua abitudine.

«La mia unica manifestazione, invece, è stata quella di poco fa, con Ando. Le mie mani si sono scaldate, ma ora sono di nuove fredde. Prima, non c'è mai stato nulla. Almeno, che mi ricordi» disse Beatrix, senza aspettare che nessuno la interpellasse.

«A me è successo una volta al porto di Piombino.»

Anche Cata decise d'intervenire subito, cogliendo al volo la palla mentre rimbalzava vicino a lei.

«Eravamo in mezzo alle auto abbandonate, e ho rivissuto in prima persona l'arrivo della sentinella e la cattura di quella povera gente. Ho sentito le loro paure, le loro angosce. È stato terribile e intenso, allo stesso tempo.»

Ando le strinse le mani, ricevendo in cambio un dolce sorriso. Dovette mordersi la lingua per non esternare quello che pensava, e che aveva pensato anche al porto: sua moglie era stata vittima di una suggestione, una pura e semplice suggestione.

«E tu?»

Ando non capì subito che la domanda era stata rivolta a lui, e continuava a guardare gli occhi di Cata, il cui sorriso si era spento.

«Parla con te, tesoro» gli disse lei.

Lui si voltò e trovò lo sguardo del vecchio fisso su di lui.

«Io?»

«Sì, tu» lo incalzò Trudi, curioso di vedere se avesse avuto il coraggio di mentire ancora, negando, senza capire il perché, quello che aveva fatto per loro.

Ando si trovò spiazzato. Talmente immerso nell'ascolto di quelle belle storielline, non si era reso conto che sarebbero arrivati prima o poi anche da lui. Che fare? Dire finalmente quello che era successo, dando ragione a quella banda di matti? O mentire, ancora, preparandosi a ricevere l'ennesima scarica di accuse e insulti?

Sentì le mani di sua moglie stringere più forte; la fissò e vide i suoi occhi che lo spronavano. Dio, quanto l'amava!

"Se la ami, allora perché la fai soffrire e la metti in imbarazzo?" Era la sua coscienza che parlava; lo faceva spesso e lui, altrettanto spesso, la ignorava.

"Sai anche tu che dire la verità, in questo caso, è la cosa giusta."

Lo sapeva. L'aveva sempre saputo.

Di nuovo le mani di Cata strinsero più forte, e i suoi occhi cominciarono a luccicare.

No! Non poteva sopportare di vederla piangere di nuovo.

«Due volte» sussurrò.

«Prego?»

I due Franco parlarono insieme, ma non sembrarono accorgersene.

«Due volte» ripeté Ando, senza sollevare la testa.

«La prima a Piombino, dentro al punto di sosta. Era buio e vedevo... ombre. Non c'era nulla in realtà; solo allucinazioni, scherzi dell'oscurità. Ma avevo paura e ho pensato potesse succedere qualcosa di brutto a mia moglie; così, di botto, mi sono sentito esplodere di luce.»

Cercò di trattenere le lacrime con tutte le sue forze, ma non ci la riuscì, e cominciò a piangere come un bambino.

«La seconda, in macchina. Eravamo appena partiti dal porto. Mi sono svegliato all'improvviso, e ho visto Franco dormire mentre guidava. L'auto si è ribaltata, e anche in quel momento ho pensato solo a lei, sdraiata dietro, senza cintura. Non so come ho fatto, ma ho creato una calotta intorno a noi, una calotta di luce solida, capite? E ci siamo salvati...»

Non riuscì a scandire bene ogni singola parola, sopraffatto com'era dai singhiozzi sempre più forti e incessanti; ma, ora che aveva buttato fuori tutto, si sentiva meglio, e si tuffò nell'abbraccio di Cata, pure lei con il viso rigato da un pianto di felicità e d'amore.

Trudi non si aspettava una confessione così aperta, così sincera, così bella. Il suo cuore e sua moglie lo stavano spingendo a confortare quell'uomo così antipatico, la cui arroganza, più d'una volta, gli aveva fatto venire voglia di rompergli il muso. Ma non si sentiva ancora pronto per un tale gesto, e rimase a braccia incrociate. E, solo per una veloce frazione di secondo, l'idea di una bella birra fresca gli solleticò il palato.

«Grazie!» disse de Simone, vedendo che la scena aveva commosso quasi tutti, compresa Monica che, appoggiata allo stipite, si asciugava gli occhi con un fazzoletto.

«Se non vi dispiace, concludo io ora, e poi ce ne andiamo finalmente tutti a dormire. Su Veronica basta dire che ha sparato il raggio contro Ismel e l'ha fatto volare via. Probabilmente è la più dotata, ma credo debba imparare a controllare il suo potere come fa Franco che, quindi, può esserle di grande aiuto.»

«L'energia mi è arrivata sempre quando ho provato grandi dolori. Dalila che stava per essere stuprata, mio papà ucciso...» disse la ragazzina.

«Esatto. Ormai dovreste aver capito come si manifesti, anche se, in ognuno di voi, in modi differenti. La si "chiama" quasi sempre con l'essere disinteressati, aiutare gli altri, mettendo a repentaglio anche la propria vita, come hanno fatto Veronica, Alberto, Franco, ma pure Roberto, cercando di proteggere suo figlio e il suo amico; e pur con un semplice gesto di conforto, come quello di Beatrix, poco fa. Ma poi, agisce in modo diverso, a seconda della persona. In te, Cata, visto l'episodio che hai raccontato, sembra palesarsi sotto forma di percezioni extrasensoriali, una sorta di retrocognizione. Hai detto che è stato l'unico caso, vero?»

«L'unico, sì. Finora.»

Inevitabilmente, l'attenzione di Franco si focalizzò su Antonio, e non fu sorpreso nel vedere che lo stava fissando. Se Cata aveva vissuto cose già successe, a cui non aveva assistito di persona, per il ragazzino il discorso era molto più complesso. Ma, ancora, non era il momento di parlare di lui, sapendo già quali interminabili discussioni avrebbe generato. Aveva ancora altre cose da dire, prima.

«Ci rifletterò sopra, così come per i casi di tuo marito e dello strano sogno di Franco.»

Camilla, intanto, era infastidita nell'aver sorpreso per l'ennesima volta gli occhi di Enrico su di lei. Era ben consapevole di ciò che il ragazzo avrebbe voluto, ma sperava con tutto il cuore non avesse l'ardore di farsi avanti. Era innamorata di un altro, un altro che, con tutta probabilità, aveva perso per sempre; ma, a prescindere da questo, quel ragazzo grasso e molliccio le rivoltava lo stomaco. Sarebbe stato parecchio disgustoso anche solo averlo vicino per rifiutarlo.

«Posso farti una domanda?» chiese d'improvviso, anche per distrarre la mente dalle sgradite attenzioni che stava ricevendo.

de Simone annuì, sorpreso nel vederla intervenire. Fino a quel momento era stata quasi del tutto passiva.

«Come fai a sapere tutte queste cose? So che c'è un libro in cui è narrato l'arrivo della donna... E anche che hai filmato l'arrivo del... servo. Ce l'ha detto Alberto. Ma, insomma, prima di sabato non c'è stato altro. Come puoi aver capito tutto, o quasi tutto, solo da un racconto? Te lo chiedo perché, anche per le questioni su cui dici di dover riflettere... l'impressione è che tu abbia già le risposte!»

Franco fu piacevolmente colpito dall'intervento della ragazza che, fin dal suo arrivo, aveva considerato poco o nulla. Gli aveva comunicato solo un banale senso di pochezza, ma non era così! E Franco si pentì d'averla giudicata senza nemmeno darle la possibilità di mostrare chi fosse.

«Mi hai appena fatto la stessa domanda che mi fece Alby, mesi fa. E dalla sua espressione, sono convinto che non si ricordi.»

Lo fissò sorridendo, mentre un velo di stanche risate sbuffò nell'aria per un secondo.

«Gli risposi, allora, che il merito era nella mia capacità di approfondire le cose, dono che ho sempre avuto. Ma soprattutto per un fatto successo, dopo l'arrivo del servo. Ricordi, Alberto? Ti dissi che avrei raccontato l'episodio quando saremmo stati tutti riuniti.»

Alberto continuava ad avere lo sguardo di chi non ricordava nulla, ma cercava di celarlo sotto a un sorrisino di compiacenza.

«Va bene, non importa. Cercherò di essere molto breve. È successo il giorno dopo la tua guarig... il tuo incontro con Nicolas, Alessandro. È stato il giorno in cui ho smesso di camminare!»

Alberto si mosse sulla sedia, e si voltò verso Monica, ignaro che lei conoscesse già quella storia; Franco la vide abbassare la testa, sicuro che volesse nascondere le lacrime inevitabili.

«Decisi di recarmi su alla radura dove era arrivato lo scagnozzo di Ismel, nella speranza di trovare qualcosa che potesse... illuminarmi. E lo trovai, perbacco! Fui illuminato sul serio!» ridacchiò e diede due colpi di tosse. Alzò lo sguardo sulla sua aiutante e notò un lampo di preoccupazione attraversarle gli occhi lucidi. Le fece l'occhiolino e bevve un altro po' d'acqua.

Notò come nessuno (specialmente Ando) lo interrompesse più: la stanchezza, già presente alla riunione sin dall'inizio, aveva ormai avvolto tutti, chi più, chi meno. Doveva concludere, prima di perderli in maniera definitiva.

«Appena misi piede nello spiazzo erboso, sentii subito qualcosa di strano nell'aria. C'era come una forza che mi attirava verso l'apertura della grotta nella quale si era infilato il servo. Non so quanto vi abbia raccontato Alberto, ma sia la donna, sia il servo, sia Ismel, arrivati sulla Terra, hanno preso sembianze umane. Hanno preso forma, nel vero senso della parola. E sapete cosa c'era all'imboccatura della grotta? Sangue! Sangue che gocciolava da uno spuntone della parete di destra. Sangue rosso! Ovvio, direte! Ma credetemi se vi dico che quel rosso, era un colore che non avevo mai visto. Era sangue del servo! Ho presunto che, entrando, avesse sfregato la pelle nuda contro la roccia... Comunque, gocciolava ancora, dopo due giorni!»

Tacque un secondo. Nonostante fossero tutti esausti, percepiva un'attenzione massima.

«Lo toccai, e fu la mia maledizione e la mia benedizione, insieme. Sentii un calore intenso avvolgermi; per un momento credetti di prendere fuoco. Vidi una luce accecante, tutt'intorno a me. Poi, svenni.»

Davanti a sé aveva facce sconvolte, bocche aperte ma, ancora, nessuno riusciva a fare anche solo un semplice commento. Persino Ando sembrava catturato dal racconto, sebbene cercasse di non darlo a vedere.

«Se avesse tenuto le mani a posto, invece di voler sempre curiosare, toccare...» esclamò Monica, all'improvviso, con la voce che tremava.

Alberto capì dal tono di voce della donna e dallo sguardo che le fece Franco, che quella discussione era stata sviscerata già più e più volte.

«Ma, Francesca lo sapeva?» chiese, per smorzare sul nascere qualsiasi ipotetica discussione pronta a scoppiare. Rimase turbato, d'aver usato il passato.

«No! A lei dicemmo che ero scivolato sul sentiero. Non mi avrebbe creduto, a meno che non le avessi raccontato tutto. E non era ancora il momento. Non era ancora pronta.»

«Chi ti ha trovato?» chiese Silvia.

«Per fortuna avevo detto a Monica dove andavo, e non vedendomi tornare, è venuta a cercarmi. Mi sono risvegliato nel mio letto due giorni dopo. Non muovevo più le gambe, ma avevo la testa traboccante d'idee e d'illuminazioni, e mi resi conto di conoscere cose che non avevo mai saputo. Non saremmo qui, ora, se non avessi toccato quel sangue.»

«Aspettate! Un momento!»

Beatrix alzò le braccia come a voler stoppare ogni discorso.

«Non ti seguo più, Franco. Perché hai perso l'uso delle gambe solo toccando del sangue su una roccia? Non ha senso!»

«Non era sangue normale. E comunque, il motivo non l'ho mai scoperto. Ho pensato, forse, che l'intensità dell'energia contenuta in quel poco liquido denso, abbia sviluppato qualcosa nel mio cervello, a discapito delle trasmissioni nervose che mandano impulsi ai muscoli delle gambe. Chi lo sa. Forse il dottore può rispondere, ma presumo di no. C'è da dire che non stavo già benissimo all'epoca. Era da qualche mese che avevo dolori agli arti inferiori, e le medicine non funzionavano troppo. Forse ho solo accelerato ciò che era inevitabile.»

«E ne è valsa la pena, Franco?» domandò Roberto, gettando, senza volerlo, uno sguardo a Monica, ora del tutto abbandonata alle lacrime.

«Cosa intendi?»

«Se tornassi indietro, toccheresti ancora quel sangue?»

«Sicuro, Roby. Non avevo idea di cosa sarebbe successo; non avevo idea di chi era quel sangue. A dire il vero, non ho la certezza nemmeno ora che fosse proprio del servo. L'ho presunto e lo presumo. Diciamo che ne sono sicuro, oggi; ma se mi chiedete di darvi una prova... non ne sono in grado.»

«Rimane il fatto che ti sei ritrovato senza gambe, e hai perseguito un obiettivo aleatorio, incerto, e chiamarlo incerto è poco» disse Alessandro.

Franco chiuse gli occhi e deglutì. Per la prima volta nella serata, sentì la rabbia montargli nello stomaco, come la schiuma del latte quando bolle.

«E allora?» pronunciò con un tono di voce alquanto diverso da quello tenuto fino a quel momento. Monica, che lo conosceva molto bene, si asciugò gli occhi e li alzò sul suo capo.

«Qual è il tuo problema se ho condotto la mia vita come mi pareva?»

Alessandro non si aspettava una risposta del genere; arrossì, guardò la moglie, imbarazzata, mentre accarezzava i capelli di Antonio, appoggiato al suo petto. «Scusami, non volevo...»

«E cosa volevi, allora? Mi sono ritrovato incapace di camminare, ma con le conoscenze per creare qualcosa che potesse combattere chiunque fosse arrivato. Ho dato ascolto alle mie sensazioni, molto più affinate dopo quell'episodio. Cosa dovevo fare? Fottermene? E passare la mia vita a farmi gli affari miei, ignorando i sensi di colpa che, senza dubbio, sarebbero arrivati ancor prima di venire a sapere che l'umanità stava per essere spazzata via e che nessuno era in grado di evitarlo? No! Io non sono così. Non lo sono mai stato. E, guarda un po', lo stronzo è arrivato, ha ucciso, distrutto, imprigionato e creato un nemico ancora peggiore. La storia dell'uomo è appesa a un filo, e grazie a me c'è qualcuno che può ancora reggerlo questo filo. Siete tutti qua, come avevo previsto. Ho avuto ragione.»

Tutti tacquero. La stanchezza stava per avere la meglio, ma nessuno ci faceva caso in quel momento. Il senso di responsabilità stava, per la prima volta, facendo breccia nella corazza di dubbio e perplessità che i più ancora indossavano.

Lo sguardo duro e truce di Franco si sciolse nella sua solita espressione. La rabbia era scemata, lasciando il campo a una spossatezza rinforzata. de Simone aveva bisogno di stendersi, al più presto.

«Tornando all'energia...» disse, come se non fosse stato appena arrabbiato. «L'esempio del respiro, fatto da Franco, è azzeccatissimo. Dovete imparare a controllare questo potere quasi a livello inconscio, senza pensarci, senza sforzarvi di farlo come, appunto, fate per respirare. E per riuscire, dovete cambiare. Deve nascere spontanea in voi l'idea di mettersi al servizio dell'altro. Non c'è più l'"io", dovete eliminare questa parola dal vostro vocabolario, o almeno limitarne l'uso di parecchio. Viviamo le nostre vite sempre e solo in base a noi stessi, a ciò che ci circonda e ci interessa. L'egoismo e l'egocentrismo sono compagni sempre presenti nel nostro viaggio. Dovete imparare e essere meno umani. E ci dovete farlo nel più breve tempo possibile. Il nostro Trudi può, forse, aiutarvi. Sembra che lui ce la faccia, anche se mi viene da pensare fosse già predisposto. Sei sempre stata una persona prodiga al prossimo?»

«Non particolarmente, mi pare» rispose, cercando con lo sguardo l'aiuto della moglie.

«Fa il modesto!» intervenne Angelica. «È sempre stato presente per tutti, se c'era bisogno.»

Beatrix non poté fare a meno di ripensare a quel bacio clandestino che aveva colto in flagrante, quella mattina ormai lontana nel tempo.

"Anche per i tuoi bisogni, c'è stato!" pensò con una certa dose di sarcasmo e, per un brevissimo e molto intenso secondo, credette d'averlo detto ad alta voce. Ma agli occhi di suo marito, fissi su di lei, si erano aggiunti quelli dell'amica, tutti e quattro in attesa dicesse qualcosa.

«Non pensatelo come a un martire, ma è sempre stato un uomo buono e disponibile.»

In fondo, era vero. Franco la ringraziò con un sorriso.

de Simone, ormai accantonato l'attimo di nervoso avuto, si sentiva al settimo cielo per le rivelazioni sul suo omonimo. Non avrebbe mai nemmeno osato sperare che uno dei nove fosse già così avanti. Era un fatto eccezionale per tutti. Ma si contenne; l'ultima cosa che voleva era gravarlo troppo di responsabilità. Aveva ammesso di saper controllare l'energia, ma questo non significava fosse pronto per andare a combattere e sparare contro Pietro Masi, soprattutto il Pietro Masi che era ora.

«Vorrei che riflettiate su tutto questo. Domani ne riparleremo più a fondo, molto più a fondo.»

«Ma, una volta che tutti impariamo a controllare l'energia, come la usiamo poi, contro quel Masi?» chiese Cata, scioltasi dall'abbraccio col marito.

Alberto drizzò le antenne. Aveva sempre temuto il momento in cui tutti sarebbero venuti a conoscenza dei veri piani di Franco, fin da quando il vecchio glieli aveva fatti vedere. Come avrebbero reagito?

«Questo, ve lo mostro domani» fu la risposta deludente di Franco.

«Vuuuu... vvuuu... Efffe!» disse Antonio, sbadigliando.

«Che ha detto?» chiese Ando, che si era quasi dimenticato della presenza del ragazzino.

«Vu Effe» rispose Silvia. «L'ha già ripetuto altre volte, ma non sappiamo cosa significhi. E lui, non ce lo vuole dire. Vero, tesoro?»

Come al solito, la risposta di Antonio fu il sorriso, dolce e ironico, che sempre sfoggiava.

«Ma è sicuramente importante» aggiunse de Simone. «Il ragazzino ha poteri precognitivi fortissimi. E anche la sua parte di energia è forte. Lo scudo qua fuori, è merito suo.»

S'alzò un coro di esclamazioni stonato e disallineato. Camilla tirò su di scatto la testa.

«Calma, calma. Ci stavo arrivando» gridò Franco, alzando le braccia per tentare di abbassare il volume della sorpresa.

«Dottore, puoi recitare la lista dei guariti di Nicolas, in ordine di guarigione, ovviamente? Per favore?»

Alessandro lo guardò un attimo, perplesso, poi sospirò.

«Me compreso? Allora: Alessandro, Emanuele, Eleonora, Narciso, Beatrix, Franco, Rodolfo, Marisa, Erika!»

Beatrix alzò la mano. «Te lo volevo chiedere già da quando Alberto ha detto di essere diventato uno scrigno, dopo che l'altro tizio è stato sbranato dall'orso. Non siamo tutti scrigni diretti, giusto? Come me e Franco, per esempio?»

«Molto bene, Bea. Posso chiamarti Bea, vero? Innanzitutto "scrigni diretti" mi piace. E hai ragione! Alcuni di voi l'energia l'hanno ereditata. Speravo Alberto vi avesse raccontato tutto, ma alcuni pezzi se li perde per strada ogni tanto. Vero?»

Alberto si trovò spiazzato. «No, guarda che io ho detto tutto... Credo!»

Franco si mise a ridere, e lui gli andò dietro, riuscendo a strappare accenni di sorriso anche agli altri.

Era bello, anche se solo per pochi istanti, riuscire ad alleggerire il cuore con una sana risata. Franco notò come certi aspetti dell'essere umano non si potessero distruggere, nemmeno con i poteri più forti dell'Universo. Erano tutti lì, insieme, a condividere le proprie perdite, i propri dolori, le cose terribili viste e vissute in quei giorni, l'incertezza di un futuro quasi sicuramente inesistente; stanchi, demoralizzati, impauriti. Eppure, era bastata una frase, una battuta, e i loro animi, anche solo per qualche istante, avevano rivisto un po' di luce e si erano sgravati delle opprimenti pesantezze della realtà in cui erano finiti.

Una bella risata in compagnia, dopotutto, era sempre il potere più grande.

«L'energia può essere trasmessa in due modi. Il primo è partorendo. Veronica ha ereditato tutto nascendo dalla sua mamma, Erika Bucci, l'ultima guarita di Nicolas e, secondo la mia teoria, colei che, senza volerlo, l'ha ucciso.»

«Mia mamma... avrebbe ucciso Nicolas?»

«Senza volerlo, ripeto. Nicolas si indeboliva sempre più a ogni guarigione, cedendo un po' del suo potere al guarito. Quando ha salvato Erika era allo stremo, nonostante dentro di lui fosse rimasta ancora una considerevole dose di energia. Erika l'ha succhiata tutta e lui è morto. È per questo che Veronica è la più dotata.»

"Forse è l'energia allora che la rende così affascinante e meravigliosa" pensò Alberto, ancora turbato dal contatto che aveva avuto con la ragazzina, poco prima. Ma non osò porre la domanda.

«L'altro modo è morendo» continuò Franco. «L'essere vivente più forte, diciamo così, che si trova nelle vicinanze, eredita l'energia del defunto. Alberto è il nostro esempio, avendola ereditato dall'amico sbranato.»

«Lo stronzo assassino che...»

«Per favore!» de Simone interruppe subito Ando. «Non siamo qui per giudicare fatti appartenenti al passato.»

Veronica si sentì tutto d'un tratto triste e delusa da Franco e da come aveva liquidato il commento su chi aveva distrutto, anzi polverizzato la vita di Dalila. Si sentiva autorizzata a rispondergli per le rime, ma non lo fece; la stanchezza, forse immersa nella rassegnazione, ebbe la meglio.

«E credo anche Roberto, vero? Tu l'hai avuta da Emanuele, se non sbaglio» stava proseguendo, intanto, de Simone.

«Esatto» annuì, sbalordito dalle fantastiche capacità deduttive di quel vecchio. «Ma non fatemi raccontare com'è successo. Adesso, proprio non me la sento.»

«No, no. Avrete tempo per aprirvi, nei prossimi giorni.»

Diresse i suoi stanchi e semichiusi occhi verso Enrico, che continuava a starsene a testa bassa, come aveva fatto per quasi tutta la serata. «E tu, Enrico?»

Il ragazzo alzò lo sguardo, gonfio per le lacrime versate a più riprese. «Io?»

«Come hai avuto l'energia? Se non sono del tutto rincoglionito, Marisa è l'ultimo nome rimasto.»

«Era mia nonna. L'ha passata a mia madre quando è morta, stando a questa teoria; e la mamma è morta di fianco a me, sul divano...»

Non poté finire la frase per la nuova crisi di pianto che lo colse.

«Un doppio salto, quindi» proseguì Franco, riconoscendosi una buona dose di cinismo. «Sai, mi sono chiesto prima come un individuo con un tale potere, potesse farsi corrompere dalla malvagità come hai fatto tu, a quanto ho capito.»

Enrico, singhiozzando, lo fissava stupito, e forse anche un po' curioso.

«Come mio solito sto ipotizzando, ma potrei supporre che il doppio passaggio abbia... "annacquato" la tua energia, se mi passi il termine. Forse, ma dico forse, tu sei quello con i poteri più deboli.»

Enrico non sapeva se sentirsi consolato da quella specie di giustificazione ricevuta, o umiliato nel sentirsi, ancora una volta, bollato come ultima ruota del carro. Ricevette un'affettuosa carezza da Beatrix, a cui rispose con uno spento sorriso.

«Tu non hai parlato, prima. A parte la parentesi "follia", hai avuto qualche manifestazione?» chiese Franco, quasi sicuro la risposta fosse no.

Ma la vocetta del ragazzone, che pareva appena rincuorata, non disse ciò che il vecchio si aspettava.

«Una volta... una sentinella non è riuscita a catturarmi. Proprio come Roberto. Ma non stavo proteggendo nessuno. Ero con mio padre; lui è stato catturato, io no.»

Franco tacque. Ancora una volta si era sbagliato? La storia del doppio salto era solo una stronzata? Non ce la faceva più, bisognava concludere.

«Quindi, Eleonora e Rodolfo siete voi due?» chiese Veronica, diretta a Cata e Ando.

«Certo! Sono soprannomi presi dai nostri cognomi, Cataldi e Dandolo» rispose la donna, sorridendo allo sguardo magnetico e irresistibile della ragazzina.

«Bene. Ultimo argomento.»

«Figa di biscia! Non è da mezz'ora che il prossimo è l'ultimo argomento?»

«Ando!»

Cata gli diede una gomitata, pensando però che non avesse tutti i torti. Lei stessa non ce la faceva più, e vedeva dalle espressioni di tutti che non era l'unica. Ma, a quanto pareva, un'oscura forza li teneva seduti, come se aspettassero il via libera del vecchio per andarsene a dormire. Era la magia dell'energia? O solo sentivano la responsabilità di impegnarsi in quella cosa?

"Anche se non ho ancora bene capito, cosa ci viene chiesto di fare" pensò, sicura non fosse l'unica.

«Questo è l'ultimo, sul serio. Promesso. Vi ho detto dei due modi con cui l'energia passa da un individuo a un altro. A proposito... Dovete tutti leggere la storia della donna, anche i "non scrigni". Vi aiuta senza dubbio a comprendere meglio. E, per chi vuole, è possibile vedere il video dell'arrivo del servo. Comunque, dicevo dei due modi... Ho scoperto che ce n'è un altro. Ma...»

«Ce n'è un altro?» lo interruppe Alberto. «Franco, non me l'hai mai detto!»

«L'ho scoperto solo ieri. È rimasto un guarito che non ci ha ancora raccontato le sue esperienze con l'energia. Alessandro...»

I due si guardarono per un istante e Franco abbozzò un sorriso. «Non ne hai avute, vero?»

«No.»

«Io, forse sì.»

Ancora una volta Franco rimase sorpreso e si ritrovò a fissare Silvia a bocca aperta. Tutte le volte che gli pareva di riacquistare sicurezza e riprendere le redini della discussione, qualcuno gliele sfilava di mano con nuove argomentazioni.

«Ho fatto uno strano sogno... sabato scorso» aggiunse la donna. «Non so... Forse dovevo parlartene prima, Franco.»

«Che sogno?»

«Era confuso... Comunque, mi trovavo all'FDS, proprio qui fuori nell'erba, e osservavo... qualcosa in cielo. Mi sentivo orgogliosa, molto orgogliosa, ma anche terrorizzata. Poi, all'improvviso, c'è stato un enorme bagliore, accecante... E mi sono svegliata.»

Rifletté se raccontare anche della strana sensazione d'aver capito tutto e niente, venutale la sera stessa del sogno. Ma non avrebbe saputo come esporla, e la tenne per sé.

Alessandro le strinse la mano; Silvia non riusciva a capire se nel suo sguardo ci fosse preoccupazione oltre alla dolcezza che le stava trasmettendo. Possibile non avesse capito?

Franco si schiarì la gola, seccatasi di colpo. «E cosa c'era in cielo?» chiese, credendo di sapere già la risposta.

«Vvvuu... uu... Efff... fe!»

Antonio, praticamente addormentato con la testa sulla spalla del padre, si tirò su di colpo, con gli occhi vivaci che guizzavano furbi.

E fu allora che Franco comprese cosa fosse Vu Effe.

«Che succede? Io non vi seguo più» disse Alberto.

«Non sei l'unico» aggiunse Ando.

Silvia si schiarì la voce. Il cuore le batteva come non mai.

«Succede che lo scrigno non è Alessandro, ma Antonio, nostro figlio.»

La notizia portò lo scompiglio definitivo nella riunione, e Franco decise che era giunto il momento di chiudere la seduta. Nonostante il turbinio di domande, risposte, esclamazioni, dubbi che lo assalirono in un colpo, si congedò da tutti con un «Per stasera, basta! Buonanotte, e a domani.»

Si avviò verso il corridoio, sentendosi ancora più stanco; le voci di quella gente, che ora si accavallavano in piccole discussioni isolate, divennero presto un sordo brusio alle sue spalle.

«Franco, aspetta.»

Alberto gli si parò davanti, costringendo la carrozzina a fermarsi.

«Scusami, ma non credi che sia Francesca colei che Masi vuole per sé? Per il bambino, intendo.»

Il vecchio sollevò gli occhi su di lui, faticando per riuscirci.

«Non sa di averla messa incinta.»

«Come puoi esserne sicuro. Magari hai capi...»

«Ne sono sicuro! Potrà essere cambiato nell'aspetto e negli obiettivi, ma dentro è sempre lo stesso di prima. Fidati che, se sapesse di questa cosa, me l'avrebbe sbattuta in faccia con la sua solita arroganza. E tieni presente, comunque, che non ne siamo sicuri nemmeno noi, ancora.»

«Oh, Franco. Smettila! Ormai ti conosco. Lo so che sei sicuro di questa cosa!»

de Simone sentì un sorriso salirgli verso le labbra, ma la stanchezza lo neutralizzò prima che arrivasse.

«Ha detto "ragazzina". Sono vecchio, ma non rincoglionito, ancora. Vuole Veronica e suppongo la voglia perché sa che lei è potente, la più potente. Lo sapeva Ismel probabilmente, quindi ora lo sa lui.»

«Ma se già vuole tutta l'energia, perché vuole anche lei?»

«Non lo so, ma la cosa m'inquieta. Per questo dobbiamo fare il possibile perché non riesca ad averla. Ora, se non ti dispiace, voglio dare un'occhiata a mia nipote e poi andarmene a dormire. Ti prego, caro. Se stanotte si sveglia o qualsiasi cosa succeda, venite a chiamarmi. Buonanotte.»

Alberto annuì, e lo guardò dirigersi vero il corridoio. Monica si spostò, lasciando passare la carrozzina che s'infilò nella stanza di Francesca, seguendola subito dopo.

«Come sta?» chiese Franco, guardando la nipote con gli occhi lucidi. «Non ha dato nessun segno?»

«Alessandro l'ha sedata in modo pesante. Credo dormirà della grossa fino a domattina. Mi auguro sia un sonno tranquillo.»

«Io devo andare a coricarmi subito. Ho detto ad Alberto che voglio essere avvisato di qualunque minima variazione. Buonanotte, Monica.»

«Ha bisogno d'aiuto? Sistemo di là, poi me ne vado a letto pure io.»

«No, non importa. Grazie, amica mia.»

Monica rimase impietrita. Era la prima volta che il suo capo la chiamava così, anche se aveva sempre saputo che, nonostante il rapporto di lavoro, il loro rapporto era molto più profondo. Si commosse, e non riuscì a formulare alcuna risposta.

Franco sorrise, uscì dalla stanza e agganciò la carrozzella al montascale. Diede un'ultima, fugace occhiata al gruppo, ancora intento a discutere.

"Per fortuna erano tutti stanchi!" pensò, sorridendo con un po' di amarezza.

Arrivato in cima, si diresse verso la porta della sua camera.

«Buonanotte.»

Si voltò, e vide Camilla davanti alla porta del bagno.

«Buonanotte, cara. Dormi bene.»

Entrò, e si chiuse la porta alle spalle.

Sdraiato al buio, come aveva immaginato, il sonno tardava ad arrivare.

Eppure, era stanco, molto stanco. Se lo sentiva dentro. Le ossa gli facevano male e percepiva una certa pesantezza nel respiro.

Non senza fatica si mise a sedere, appoggiato allo schienale del letto. Accese la lampada e aprì il cassetto del comodino, estraendo una penna e un piccolo taccuino nuovo.

Cominciò a scrivere in fretta, com'era solito fare, depositando sulla carta l'enorme massa di riflessioni e idee che aveva in testa.

Quando credette d'aver scritto tutto si fermò, lo sguardo fisso davanti a lui.

"Sta arrivando... il sonno..." pensò, senza accorgersi che la penna gli era scivolata dalle dita, finendo sul pavimento. Il taccuino, nell'altra mano, si era inclinato su un lato, così come la testa, abbandonata all'oscurità che stava calando sui suoi occhi.

Alla fine, la stanchezza aveva vinto e de Simone poté, finalmente, godersi il meritato riposo.

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