53 - STANCHEZZA (1)

Alberto si alzò di scatto, rovesciando la sedia, facendo sussultare Camilla che stava piangendo.

«Non è vero! Franco, non può essere!»

«È un'ipotesi, Alby. Ma ho paura sia plausibile.»

Alberto cominciò a girare per la sala, tenendo le mani nei capelli, sentendo dentro una disperazione che pareva indurirsi ogni secondo che passava. Si rivolse ad Alessandro.

«Dottore, c'è modo di capirlo?»

«Certo che sì» rispose, stupito d'aver appena ricevuto una domanda del genere, comprendendo, però, ciò che quell'uomo stava provando.

«Capire se una donna è incinta, al giorno d'oggi è piuttosto facile» disse poi, infilandoci, senza volerlo, una leggera ironia. «Ma è ancora presto. Dall'atto sessuale, in genere, devono passare dai sette ai dodici giorni prima di poter effettuare un qualsiasi test.»

«Veramente?» chiese Camilla, asciugandosi le lacrime, quasi senza accorgersi d'aver posto la domanda.

Gallo la fissò, annuendo e aggrottando le ciglia.

«Francesca è stata st... L'incidente è avvenuto solo ieri.»

«Alberto, calmati adesso. La risolveremo, in qualche maniera. Siediti, per favore.»

«Calmarmi? Sedermi? Mi stai dicendo che forse la mia ragazza avrà un figlio da quell'animale, e mi devo calmare? L'hai vista, prima! Se ciò che ha dentro è il responsabile delle sue azioni, cosa mai uscirà?»

«Non possiamo fare nulla, al momento» intervenne Roberto, che stava provando un moto di pietà profondo per l'amico, qualcosa che spingeva con più durezza nell'animo, rispetto al dolore che provava per la sua defunta moglie.

«Roby ha ragione.»

Anche Veronica parlò, afferrando con dolcezza la mano di Alberto, appena se la trovò a portata.

Il contatto con la pelle della ragazzina sembrò calmarlo un momento. E le lacrime, tristi compagne di tutti in quei giorni bui, fluirono senza più ostacoli.

«È terribile! Povera la mia bimba! Cosa faremo quando si risveglierà? Non possiamo tenerla sedata e legata per sempre.»

«Domattina la visiterò subito, te lo prometto» disse Alessandro. «Ho alcuni tranquillanti con me che possono tenerla buona anche da sveglia.»

Alberto si lasciò cadere sulla sedia. L'entusiasmo che gli pareva d'aver ritrovato era di nuovo scemato, anche peggio di prima. Aveva la sensazione che Masi avesse già vinto, qualunque cosa volesse fare, qualunque fossero i suoi subdoli piani. E fu lì, bloccando proprio quell'ultimo pensiero, che sollevò la testa e guardò Franco.

«Quali sono le sue intenzioni?» chiese, rendendosi vagamente conto di quanto l'essere umano fosse volubile.

«Intendi Masi?» chiese de Simone. «Ci ha dato cinque giorni, cinque miseri giorni. Poi tornerà qui. Vuole che lo scudo sia abbassato, vuole l'energia contenuta nei nove scrigni e vuole la ragazzina. Così ha detto.»

Si aspettava di sentire il solito coro di grida, commenti, disperazioni. Invece un silenzio denso e compatto riempì la stanza, rotto, dopo qualche secondo, dal solito commento di Ando.

«Quale ragazzina?»

«Veee... eeero!» balbettò Antonio, sfoggiando il suo dolce sorriso e indicando senza esitazione Veronica.

La ragazzina lo guardò, poi si girò verso Roberto e Alberto che stavano ricambiando lo sguardo. Infine, tornò su Franco.

«Io? Cosa vuole da me?»

«Giuro che non lo so, cara. Ma se disobbediamo, ha promesso di distruggere una città a caso, ogni giorno. Stanerà i sopravvissuti e ci porterà le loro teste, facendole rotolare sullo scudo, come ha già fatto. Gli ultimi arrivati hanno visto coi loro occhi.»

«Mio Dio!» Angelica aveva gli occhi fissi sul niente.

«E cosa facciamo, quindi?» chiese Trudi, che cominciava a rendersi conto sul serio di quello che aveva sempre presunto.

«Lo combattiamo! Come avremmo combattuto Ismel!» disse Roberto, battendo un pugno sulla mano.

Silvia, che temeva quel momento da quando era arrivata all'FDS, d'istinto abbracciò il figlio, stringendolo forte a sé. Alessandro la guardò senza dire nulla; aveva capito dove si stava arrivando e condivideva il terrore che stava navigando nell'animo della moglie.

«E come possiamo combattere un tizio che ha distrutto un alieno e ne ha assorbito i poteri?» sbottò Ando, senza alcuna sorpresa da parte di de Simone; sapeva che qualcuno avrebbe posto quella domanda prima o poi, e non era sorpreso fosse stato proprio lui.

«Stiamo scherzando, vero? Figa di biscia! Il vecchio, poco fa, ha detto che è alto tre metri!»

Cata non disse nulla. Continuava a sentirsi imbarazzata dai continui comportamenti del marito ma, questa volta, non poteva non condividere le sue parole.

«Hai paura, cocco?» ironizzò Trudi, notando come, da un po', quel tizio insopportabile non stesse sciorinando i suoi inutili termini inglesi.

Ando lo squadrò. «Certo! Tu no, per caso? La mia proposta è di starcene rintanati qui, se è vero che quella roba là fuori ci protegge. E aspettare.»

L'ingegnere inorridì. «Aspettare, cosa? Di vedere pioverci addosso le teste della gente? Finché tutta la valle non ne sarà piena?»

Il senso di stanchezza stava diventando molto pesante da sopportare per Franco, gravato dall'egoismo che quel tizio spargeva intorno a sé e dallo scoramento che leggeva in alcuni sguardi, non espresso a parole, ma ben visibile negli occhi che, come diceva un vecchio detto, non mentono mai.

Aveva sempre saputo che non sarebbe stato facile, ma non credeva sarebbe stato così difficile. E ancora, tutti (tranne Alberto) ignoravano cosa si celasse nelle profondità dell'FDS.

Cinque giorni! Avevano solo cinque giorni per riuscire a... fare cosa? Cominciava a sentirsi confuso pure lui. I discorsi che si era preparato turbinavano nella sua testa come pezzetti di carta in una tempesta. Forse Monica aveva ragione; forse era meglio interrompere e andare a riposarsi.

"Sono tutti qua, Franco! Davanti a te. Credevi sul serio, fosse possibile?"

Il pensiero, improvviso, lo rinvigorì. Forse, una piccola e fioca luce ancora tremolava nell'oscurità.

"Dopotutto, cos'abbiamo da perdere?"

Ma l'ennesima discussione, scoppiata davanti ai suoi occhi, smorzava ogni minimo entusiasmo.

«Mors tua, vita mea!» aveva intanto risposto Ando, incrociando le braccia.

«Adesso anche il latino!» sbottò Trudi, alzandosi. «Mi fai schifo!»

«Vergognati!»

Anche Beatrix cominciò a inveirgli contro come, più o meno, stava facendo la maggioranza dei presenti.

«Ma cosa possiamo fare contro un nemico così potente?»

Cata si sentiva pericolosamente nel mezzo, ma il cuore le suggeriva di appoggiarsi al marito. «Siamo onesti, dai.»

«Io non resterò qui a guardare quello stronzo uccidere i pochi rimasti» sbraitò Alberto, al quale la codardia di Ando aveva restituito nuovamente un po' di voglia di agire. Pensava, inoltre, che distruggere Masi poteva far tornare Francesca com'era prima. O lo sperava. Un po' come Ismel: morto lui, svanite le sue azioni. Quelle che potevano svanire, almeno.

«L'umanità ha una sola possibilità: voi» disse Franco, cercando di sovrastare il volume della discussione.

«Senza contare che, prima o poi, si renderà necessario andare a cercare altri viveri.»

Il vocione di Monica riuscì a inserirsi in mezzo alla caciara.

«Siamo ben riforniti di sotto, Monica!»

«Sì, ingegnere. Ma adesso siamo più numerosi. Per quattro settimane dovremmo essere a posto. Forse, anche sei. Ma poi, bisognerà uscire per cercare rifornimenti. Chi va? Io proporrei lui.»

Indicò Ando, che la fissava stringendo gli occhi carichi di rabbia.

Si alzò. «Sapete che vi dico? Me ne vado a dormire. Vieni, Cata.»

Si avviò verso le scale, accorgendosi solo dopo qualche passo che la moglie non si era mossa.

«Che fai? Vuoi restare qui a continuare a sentire queste fake news

Beatrix e Trudi si guardarono, abbozzando un mezzo sorriso.

Cata era a testa bassa, sentendosi stringere in una morsa dove, da un lato spingeva la vergogna che provava per il marito e i suoi atteggiamenti, dall'altro, inesorabile e potente come sempre, c'era l'amore che sentiva per lui, l'uomo che aveva sposato e con cui aveva scelto di invecchiare.

Erano legati da un passato comune fatto di terribili sofferenze e definitive certezze, spazzate via da un miracolo, imprevisto e meraviglioso, capace di tenerli ancorati alla vita quando ormai ogni appiglio era perduto; e nella bellezza scaturita dopo si erano incontrati e si erano innamorati. Come fosse una bella favola a lieto fine.

Ma ora, era combattuta. Condivideva con lui la follia presente anche solo nel pensare di voler affrontare quel mostro di Masi, almeno per come era stato dipinto dalle parole dette quella sera; eppure, qualcosa le diceva che era giusto, che era la strada da perseguire.

Ma non poteva e non voleva lasciare solo il suo uomo, costringerlo a vivere da emarginato dentro a quel gruppo così numeroso. No! Non l'avrebbe sopportato. Vedeva molto chiaramente il disprezzo che suscitava negli altri, soprattutto in Franco e Beatrix.

Ma lei lo conosceva bene, da tanti anni ormai, e sapeva come quel suo modo di essere fosse solo una maschera, indossata per nascondere le sue insicurezze e le sue paure. E in quella situazione, ve n'erano ben tante! Non era certo da biasimare. Se lo si prendeva dal verso giusto, coinvolgendolo, ascoltandolo, parlandogli invece di attaccarlo sempre frontalmente, poteva emergere un uomo diverso, un uomo migliore di quello che lui voleva apparire e che, forse, credeva di essere. Lei sapeva...

Aveva lavorato a lungo su questo aspetto durante la loro vita di coppia. Aveva visto cosa si celava sotto quella finta scorza. Sapeva che era stato lui a salvare le loro vite, durante l'incidente avuto fuori da Piombino: una moglie certe cose le sente. Perché non lo voleva ammettere? Perché si ostinava a fare l'arrogante, l'antipatico, il bastian contrario di tutto?

Nella loro intimità avrebbe saputo come trattare la cosa, ma lì, il contesto era diverso, nuovo, e lui si stava chiudendo più a riccio del solito. Cata doveva chiedere aiuto.

«Non abbiamo finito. Non puoi andartene» gli lanciò dietro de Simone.

«Per me, invece, è finita! Cata! Vieni, dai.»

Lei sollevò due occhi pieni di lacrime, ma li rivolse a Beatrix e a Franco, implorando il loro aiuto con lo sguardo, nella speranza capissero.

«Ma che se ne vada!» bofonchiò Trudi. «Mica abbiamo bis... Ahia!»

Sua moglie gli rifilò una gomitata in un fianco e si alzò, avvicinandosi ad Ando, ancora fermo con il piede sul primo gradino, lo sguardo perplesso sulla grossa donna nera davanti a lui.

Vide nei suoi occhi la fermezza, una sorta di grinta notata, fino a quel momento, solo nelle sue parole. Ma al di sotto, giaceva uno strato di dolcezza che, in quell'istante, era emerso in tutto il suo splendore e le irradiava il viso rendendolo piacevole.

Non aveva grande simpatia per lei, almeno per i pochi contatti che avevano avuto ma, ancora prima che aprisse bocca, Ando sapeva già che, ciò che avrebbe udito, l'avrebbe rinfrancato, forse commosso.

«Resta, ti prego. Abbiamo bisogno gli uni degli altri, e quindi anche di te.»

Beatrix gli prese le mani tra le sue, sentendo, per la prima volta, un calore intenso partirle dalla punta delle dita, spargersi veloce su palmi e dorsi e salire fin sulle spalle, dove si attenuò, lasciandole una piacevole scarica di brividi. Le venne d'istinto da sorridere. Le mani di Ando fremettero appena ma, ne fu sicura, scorse commozione nei suoi occhi, e forse qualcosa di simile alla felicità.

«Abbiamo bisogno di te» ripeté. «Lei, soprattutto, ha bisogno di te.»

E, scostandosi, liberò la visuale sulla moglie in lacrime, girata sulla sedia con le mani sullo schienale; lo fissava, implorante, come una bambina osserva il padre andarsene, quando ancora vuole giocare con lui.

L'umore di de Simone impennò, e per il vecchio ingegnere fu una piacevole sorpresa.

Aveva seriamente creduto che Ando fosse la mela marcia all'interno della loro causa, colui che avrebbe fatto finire tutto in malora, e con tutto, intendeva l'intera umanità; temeva inoltre (in alcuni momenti ne era stato proprio convinto), potesse trascinarsi dietro anche la moglie. Senza contare l'effetto negativo che aveva sugli altri; la rabbia e il nervoso sono capaci di affogare ogni buon proposito nel livore, nella polemica, nei dissidi, senza troppe difficoltà.

Ma quello che stava succedendo, proprio ora che quell'uomo aveva raggiunto il grado massimo di egoismo, di arroganza, di stupidità, lo colpì. E la speranza, ridotta ormai a una piccola fiammella sferzata da un vento fastidioso, ravvivò, e riprese corpo.

Estrasse dalla tasca il foglietto che si era preparato prima di iniziare quella faticosa riunione. Era la copia di quello che aveva lasciato ad Alberto: la lista dei nove scrigni, con i suoi appunti storici e le ultime annotazioni aggiunte dopo le ricerche di Francesca.

Se l'avesse aggiornato solo cinque minuti prima, avrebbe cerchiato di rosso il nome di "RODOLFO DANDOLO", con un bel punto interrogativo a fianco. Magari due! E il nome della moglie, "ELEONORA CATALDI", l'avrebbe sottolineato, accompagnato da un "molto fragile", la sensazione che la donna gli aveva trasmesso. Anche adesso, guardandola, non poteva non vedere una persona bisognosa di attenzioni, imbarazzata dalla situazione in cui era finita suo malgrado trascinata dal consorte, e parecchio insicura.

"Insicura, sì. Ma solo da che parte stare" pensò, ora che la visione era più chiara.

Aveva scelto loro, nonostante fosse ben evidente l'amore che aveva per il marito. Non si era alzata quando lui l'aveva fatto, non aveva abbandonato la nave, ancor prima d'avvistare la tempesta, ed era grazie a lei se Ando, il nono scrigno, si era rimesso seduto; l'apparente fragilità della moglie, aveva stoppato la sua inutile esuberanza, aveva smorzato quella patetica contrarietà che sembrava voler mettere a ogni costo, in ogni argomento.

Per contrastare Pietro Masi servivano tutti e nove i portatori di energia gialla, come sarebbero serviti per combattere Ismel; questo era assodato. Si stava convincendo che Eleonora Cataldi, altresì chiamata Cata, potesse essere il perno per tenere ancorato alla catena l'ultimo anello, quello che sembrava il più debole.

Il fatto di fare quella chiacchierata prima d'aver parlato con tutti o, per alcuni, addirittura prima d'averli conosciuti, faceva sì che de Simone non avesse il quadro d'insieme sulle presunte o reali capacità di ognuno. Anche se un po' d'idee se le era comunque fatte, usando perlopiù la sua bravura nel leggere le persone.

Conosceva Alberto e sapeva di poter contare su di lui, depressioni momentanee a parte; e ispirava molta fiducia anche Roberto, almeno nella lealtà che trasudava il suo sguardo.

Antonio era fantastico, ed era l'unico del gruppo a cui avrebbe affidato l'intero pacchetto di energia per affrontare il nemico, se così fosse stato richiesto. Ed era assurdo, considerando la sindrome che l'affliggeva e che, senza girarci troppo intorno, lo limitava nell'azione e nelle decisioni. Ma più la stranezza di saperlo uno del gruppo aumentava, più si convinceva di quanto fosse giusto e di quanto tutti fossero fortunati ad averlo. Sapeva di non sbagliarsi.

Su Veronica aveva già speso parecchie riflessioni, e non aveva dubbi che fosse la più dotata, anche prima di sapere che capacità potessero produrre i nuovi arrivati.

E poi, appunto, c'era il gruppo dei nuovi.

Ando e Cata, ormai, li aveva inquadrati, e anche bene, supponeva.

Enrico non consegnava l'immagine di un combattente e, anzi, a quanto aveva capito, si lasciava plagiare piuttosto con facilità. Ma aveva dimostrato di conoscere il "saper chiedere scusa" e il "riconoscere le proprie colpe"; e non erano aspetti da sottovalutare.

Infine, c'erano i due più "maturi" della brigata che, aveva scoperto, erano sposati. Un'ennesima prova di come l'energia si cercasse e si trovasse. Franco, il suo omonimo, non si era palesato molto ancora; a parte sporadiche frasi, aveva soprattutto ascoltato. Doveva avere una solida corazza a protezione, perché de Simone non riusciva ancora a intravedere nulla di lui. Sembrava avere una forte avversione nei confronti di Ando, e questo poteva essere un male e un bene insieme.

Lo stesso avrebbe detto di Beatrix o, come l'aveva subito etichettata non appena l'aveva vista scendere dal treno, la "Monica nera", per via della stazza e dell'età (e del colore della pelle, ovvio!): l'americana, colei che pareva impossibile da rintracciare, come pensavano, sbagliando, sua nipote e Alberto.

Ma si era appena esposta, e aveva dimostrato una grande capacità d'intermediazione riuscendo a trattenere Ando e a riportarlo sulla sedia, sfruttando la malinconia che gli occhi di Cata avevano trasudato. Era, quindi, anche una buona stratega.

«Le mie mani! Amore, senti! Sono calde. È quell'energia...»

Mentre il cervello di de Simone lavorava, elaborava, studiava, Beatrix, con le lacrime agli occhi, esternava la sua meraviglia, il suo stupore al marito e a tutti, fino a posare lo sguardo sul vecchio ingegnere che sembrava imbambolato, con un sorrisetto di compiacimento stampato sulle labbra.

«Tocca a voi, gente» disse, infine, il vecchio. «Voglio che ogni scrigno riferisca tutte le situazioni in cui abbia avuto il sospetto o la certezza che il potere si mostrasse. Mi raccomando, siate sinceri, estremamente sinceri. È fondamentale che io, ma anche voi, sappiate tutto di tutti. Non tralasciate nulla!»

Sorrise, e scorse con lo sguardo l'intera sala.

«Chi vuole cominciare? Alberto! Tu!»

«Io?»

«So che pensi a Francesca, e non ti biasimo. Anch'io sento il cuore pesante all'idea possa essere incinta di quell'abominio. Ma possiamo fare poco al momento, se non perseguire la nostra via. Proveremo con tutte le nostre forze ad aiutarla; non dimenticare che abbiamo un dottore con noi!»

Strizzò l'occhio ad Alessandro che annuì, sentendosi un poco orgoglioso.

«Inoltre, Alby» proseguì Franco. «Non trascurare il fatto che, se dovessimo riuscire ad annientare quel mostro, forse, ciò che ha messo dentro Francesca, sparirebbe con lui. Ti era venuta anche a te questa idea, vero?» aggiunse, vedendo la reazione di Alberto all'ultima frase.

«Al momento sei l'unico che conosce a fondo tutta la storia. Dovresti essere il più preparato, quindi.»

Sorrise per il tono canzonatorio che aveva infuso alla frase e per tentare di allentare la presa che la disperazione stava avendo sul suo giovane amico.

«Come no?» controbatté Alberto, un po' rinfrancato da quel discorso. «È presto detto! L'unico episodio è stato nella fabbrica di San Lazzaro, quando mi sono usciti i raggi dalle mani e ho distrutto la sentinella che stava attaccando Roby.»

«Hai detto niente!» esclamò Franco.

«È stato eccezionale! E mi ha salvato la vita» aggiunse Roberto, appoggiando il pugno sulla spalla dell'amico.

«Se mi fossi mosso prima, forse si poteva salvare anche tua mamma...»

«Ehi! Non pensarci nemmeno!»

Roberto vedeva negli occhi di Alberto il senso di colpa che provava a farsi largo.

«Non ti azzardare a credere che sia stata colpa tua. Nel caso, è stata mia. La dovevo mettere al sicuro prima. Ma non potevo sapere che... È andata così.»

«Hai detto "se mi fossi mosso prima", Alberto. Quindi significa che il tuo gesto è stato volontario? Hai volutamente sparato quei raggi dalle mani?» chiese Franco, rivolto più a tutti che a lui, come a voler maggiorare la loro attenzione, sapendo già quanto la risposta fosse fondamentale.

Alberto si lasciò scappare una risata che suonò isterica alle sue orecchie, accorgendosi di non avere affatto voglia di ridere, in quel momento. Gli occhi cattivi di Francesca erano appiccicati alla sua corteccia cerebrale e sapeva che non sarebbe mai riuscito a levarli da lì. E ora, la sua fantasia vi aveva affiancato un piccolo Masi con un ciuccio in bocca, che brandiva un bastone con violenza. L'immagine era grottesca e inquietante.

«No! No! Assolutamente, no! Non è stato voluto. È stato... spontaneo. Ero terrorizzato, ricordo, poi ho visto Roby scagliarsi contro quel coso di ferro e, d'un tratto, mi sono sentito arrabbiato. Anzi, furioso. Ho pensato a tutta la gente imprigionata, a Bologna distrutta, al fatto che quell'Ismel, era venuto qui, sul nostro pianeta, a pretendere, a ordinare e a uccidere. Quando ho visto il mio amico soccombere, mi è partito il calore da dentro; così, quasi senza che me ne accorgessi, e d'istinto, mi sono mosso in avanti, stendendo le braccia. Giuro che mi sembrava di essere manovrato da qualcuno. Tant'è che, quando ho riprovato a farla tornare, in quel casolare di merda dove viveva quella setta di pazzi...» girò gli occhi su Enrico mentre parlava, scoprendolo a testa bassa; provò rabbia e compassione, insieme. «... non ci sono riuscito. E Dio sa se ci ho provato!»

Finì la frase sentendo le lacrime pronte a lambire la base degli occhi; apprezzò la pacca sulla spalla che Roberto gli regalò.

«E saresti in grado di dirci perché, secondo te, nel casolare non sei riuscito a usare l'energia?» chiese Franco, col tono che sembrava sottintendere "dovresti saperlo!".

Alberto tacque un momento. Si scambiò un'occhiata con Roberto, poi tornò sull'ingegnere.

«Forse, ero troppo spaventato. All'inizio perché non sapevamo cos'avessero in mente di fare quegli stronzi e, dopo, perché stavamo osservando con i nostri occhi quello che facevano.»

Roberto annuì, sospirando.

«E cos'è che facevano?» Veronica si guardò intorno, indugiando su Enrico che continuava a tenere il capo chino, come se il peso dell'argomento emerso, lo schiacciasse.

«Ogni tanto viene fuori questa storia, ma alcuni di noi, io per prima, non sappiamo di cosa si parli.»

«Più tardi, Veronica. O domani, nel caso, vi fate raccontare. Ora, se non ti dispiace, vorrei continuare con l'energia. È importante.»

Angelica alzò un braccio, timida come sempre.

«Prego» le disse Franco.

«Non capisco. Perché l'essere spaventato sarebbe la causa del non riuscire a usare questa... energia?»

«Ottima domanda! Ma avrei preferito me l'avesse fatta uno scrigno.»

de Simone scrutò le facce davanti a lui con cipiglio severo.

«Quando abbiamo paura?» continuò. «Il tipo di paura che hanno avuto Alberto e Roberto, intendo: una situazione di pericolo fisico, diciamo così, come quella in cui si sono trovati. Franco? Vuoi rispondere tu? Anzi, no.»

Bloccò Trudi, che aveva lo sguardo tipico dell'alunno impreparato, interrogato a sorpresa dal professore.

«Continuate con i vostri racconti. Prima si raccolgono i dati, poi si analizzano, poi si traggono le conclusioni. Questo è il metodo che ho sempre seguito nel mio lavoro.»

Nessuno la vide ma, Monica, ancora sulla soglia del corridoio, alzò gli occhi al cielo e si rattristò nel contempo, pensando a Francesca e a come avrebbe preso in giro lo zio, come faceva ogni volta che si beava del suo lavoro. Fece capolino nella stanza dove la donna dormiva, sedata e legata. Respirava forte e con frequenza, come fosse una tigre feroce, catturata e imprigionata. L'inquietudine di Monica aumentò, e si affrettò a distogliere lo sguardo, tornando a seguire la riunione. Fece l'occhiolino ad Andrea, passando davanti alla porta aperta; il ragazzo la fissava, attendendo con impazienza gli aggiornamenti su quanto veniva detto.

«È tutto, Alby?» proseguì Franco. «O c'è stato qualche altro episodio?»

«Un altro, minore. È stato quando Enrico e il suo compare erano appostati nel palazzo dove abitano Cata e Ando, aspettandoci per farci saltare le cervella.»

Franco aggrottò la fronte, scoprendo d'avere ancora parecchi buchi in quella storia, ma non lo interruppe.

«Li ho sorpresi alle spalle, e ho cacciato giù dalla finestra il tizio, prima che sparasse a Roberto. Ero bollente, nel vero senso della parola; forse anche più dell'episodio della fabbrica.»

«È stato stamattina, Alby» disse Roberto.

«Come?»

«È successo stamattina. Lo racconti come se fosse una cosa lontana nel passato, ormai. È successo poco prima di incontrare loro» concluse, indicando con il dito il gruppo alla sua sinistra. Quando incrociò lo sguardo di Angelica, notò che la donna gli stava sorridendo.

«Cristo, hai ragione!» Alberto si passò la mano tra i capelli. «Sto perdendo la cognizione del tempo.»

«È così per tutti, non ti preoccupare» lo tranquillizzò Alessandro.

«Basta così, Alby?» insistette Franco.

«A parte trascurabili avvisaglie quando ho stretto la mano a Roberto e Veronica, nient'altro.»

«Nulla è trascurabile. Vi ho pregato di dire tutto. Roberto, vuoi proseguire tu?»

«Io? Io faccio molto presto. Per due volte una sentinella non è riuscita a catturarmi. A dire il vero, non so nemmeno se c'entra l'energia, in questo caso.»

«Perbacco se c'entra, invece. Altrimenti per quale motivo tutte le altre persone sarebbero finite dentro alle bolle? Racconta.»

«Cosa?»

«Com'è successo. Ti hanno sorpreso per strada, da solo?»

«Sì e no. Ero per strada, ma mai da solo. La prima volta è stato davanti a casa mia... dietro, a dire il vero. Stavo scappando con Andrea; è arrivato un tizio, correndo e urlando. La sentinella l'ha catturato, poi si è fiondata su di noi.»

«Eri spaventato?» chiese Angelica.

«Certo che sì, ma d'istinto ho fatto la cosa che ogni padre avrebbe fatto, credo. Proteggere il proprio figlio. La seconda volta è stato pressoché uguale, ma al posto di mio figlio c'era Giancarlo, un signore che purtroppo non è riuscito ad arrivare fin qua.»

Anche il ricordo del grosso e burbero amico lo intristì e non poté non notare che pure Veronica era diventata più malinconica sentendo pronunciare quel nome.

Alberto ricordò all'improvviso le parole che Giancarlo aveva detto su Franco, il fatto che si conoscessero e che tra loro non corresse buon sangue. Almeno da parte del vecchio bolognese. Sollevò lo sguardo sull'ingegnere, ma sapeva già che la domanda che si stava formando in quel momento sulla punta della sua lingua, sarebbe stata rimandata al mittente senza troppi complimenti. Appuntò la cosa nella memoria, rimandando al giorno dopo la questione; era curioso di sapere come i due si fossero conosciuti, e cosa fosse successo.

«Poi, Roberto?» proseguì de Simone, ignorando che il "Giancarlo" nominato fosse una sua vecchia conoscenza.

«Altri episodi? A parte il calore percepito negli abbracci e nelle strette di mano. Com'è successo ad Alberto, immagino sia successo anche a te.»

«Esatto! Dunque, nella fabbrica, poco prima che Alberto mi salvasse la vita, avevo tentato anch'io di sparare all'uomo viola. Il calore c'era, e tanto, ma dalle mani non è uscito nulla.»

Inevitabile, il rimorso per l'atroce morte di sua mamma si fece sentire con decisione. S'interruppe, sentendo la gola restringersi e le lacrime sgorgargli dagli occhi. Di nuovo rivolse l'attenzione su Angelica, ancora sorpresa a osservarlo con un sorriso ora, carico di dolcezza.

Questa volta fu Alberto a consolarlo.

«Scusate, ma il ricordo di mia mamma... Ah, sì. È successo qualcosa anche nel parcheggio vicino al condominio dove abitava. C'era una grande bolla, piena di gente, e io temevo mia madre fosse lì dentro. Ho provato a entrare, senza sapere nemmeno cosa mi sarebbe successo. La bolla mi ha respinto.»

«Respinto?» chiese Franco.

«Esatto. Si è illuminata, ancora di più. Ed emetteva un suono acuto. Non so se riesco a spiegarlo bene ma, quando mi sono avvicinato, si è come formata una boccia sulla cima, che poi è esplosa, facendomi volare all'indietro.»

«Non me l'hai mai raccontato!» gli disse Alberto, con lo sguardo a metà tra l'offeso e il deluso.

«Non l'ho mai ritenuto così importante, a dire il vero.»

«È molto interessante, invece. Mi state offrendo ottimi spunti di riflessione. Nient'altro?»

Roberto alzò gli occhi al cielo nell'atto di riflettere, ma non gli venne in mente altro, e scosse la testa.

«Molto bene. Veronica!»

La ragazzina sussultò.

«Di te so già alcune cose, perché ce le hai dette quando sei arrivata. Sì, dimmi Franco.»

Aveva notato l'uomo con la mano ritta, appoggiata al bracciolo della sedia, l'indice e il medio sollevati, nell'atto di chiedere parola.

«Ti chiedo scusa e chiedo scusa a tutti, ma io so' stanchissimo. L'è stata una giornata, per certi versi, agghiacciante.»

Beatrix sorrise sentendo l'accento toscano emergere nella sua parlata, segno che non stava mentendo; era veramente sfinito.

«Potremmo solo elencare gli episodi, senza raccontà per forza tutta la storia? Così d'avé intanto il quadro d'insieme. Poi se ne riparla domani con calma, e riposati.»

de Simone sapeva molto bene di stare chiedendo più del dovuto ai suoi ospiti e, da un lato, apprezzava la pazienza che avevano fin lì dimostrato più o meno tutti. Lui stesso non vedeva l'ora di infilarsi sotto le coperte, anche se immaginava che il sonno sarebbe arrivato a fatica, e certamente non subito. La sua mente, che già ora, a ogni nuova informazione carpita, frenetica lavorava, si sarebbe fatta trascinare nel sonno con difficoltà, senza prima aver analizzato nel complesso tutte le nuove informazioni avute, senza aver tratto delle conclusioni e senza aver pianificato una qualche strategia su come organizzare l'attacco a Masi. Perché dovevano farlo, dovevano combattere; non potevano arrendersi alla prima minaccia.

Ma le persone che aveva davanti, persone normali, persone impaurite, chi intraprendente, chi meno, l'avrebbero pensata come lui?

A ogni modo voleva che tutti capissero cosa facesse sprigionare l'energia e, soprattutto, come. Ando in primis. E doveva essere quella sera, per forza. Non sapeva il perché, ma lo sentiva. E le sue premonizioni difficilmente sbagliavano.

«Certo, capisco benissimo» rispose.

«A me quest'energia si è palesata un sacco di volte, e posso dì di essere in grado di controllarla, ora come ora» aggiunse Trudi, come se stesse raccontando un'uscita di pesca.

Tutti strabuzzarono gli occhi con un mugolio di sorpresa, basso e profondo.

Beatrix ascoltava e, all'improvviso, si sentì fiera e orgogliosa d'avere il marito così al centro dell'attenzione. Si rese subito conto, però, di quanto quella sua reazione fosse assurda e fuori luogo, in un momento simile.

«Riesci a controllare l'energia?» chiese de Simone, credendo di non aver capito bene. «E lo dici solo ora?»

Trudi si strinse nelle spalle; nemmeno lui sapeva perché aveva taciuto fin lì. «La so controllà, esatto. E ho capito come fà, dopo che ho sparato dalle mani contro un cinghiale che stava per attaccà Cata.»

Ando ricordò il gesto di vigliaccheria che aveva avuto in quel frangente; abbassò lo sguardo, sperando che né Trudi, né sua moglie, tirassero fuori l'argomento.

«Bisogna pensà agli altri e non a sé stessi. Mette' da parte l'egoismo. Non so come spiegarlo in altro modo. So solo che è du' giorni che sento quel calore e ogni volta l'è quando sto per fà qualcosa per qualcuno. L'energia mi fa star bene, mi ringiovanisce nello spirito e nel fisico, mi fa passà la voglia di bere. Ma se appena penso di usarla a mio tornaconto... se ne va. E torno il vecchio ubriacone che sò sempre stato. Almeno questo succedeva all'inizio. Ora riesco a mantenerla stabile, e so che se ne ho bisogno, la posso usà.»

La mano di sua moglie gli accarezzò i capelli. La guardò con dolcezza e continuò.

«Dopo che ho sparato al cinghiale sò svenuto e ho fatto uno strano sogno, almeno credo fosse un sogno. Vagavo nell'oscurità dello spazio e una voce mi parlava. Credo fossi tu, ragazzina.»

Si rivolse a Veronica, che lo stava fissando come tutti; appena si vide additata, strinse gli occhi in un'espressione perplessa.

«Io?»

«Credo di sì. Mi pare la voce fosse la tua.»

Il cuore di de Simone batté un colpo più forte. Per un attimo, si sentì spaventato. L'ultima cosa detta lo spiazzò del tutto; credeva di poter avere una risposta più o meno a tutto, in quella faccenda. Ma qui, si andava oltre.

Vide Veronica osservarlo muovendo la bocca; tutti lo osservavano.

«Ehi, Franco?»

La voce giunse alle sue orecchie. «Dimmi.»

«Ti ho chiesto se sai di cosa sta parlando.»

«No, mi dispiace. Questa non la capisco. Ci devo riflettere. Franco, hai altro da aggiungere?»

«Alla faccia del "fare solo un elenco"» disse all'improvviso Ando che aveva riacquistato, in parte, un po' della solita arroganza. Ma, con sua grande sorpresa, stavolta Trudi ridacchiò.

«Hai ragione. Ho predicato bene e razzolato male! Solo un'ultima cosa: gli animali sembrano essere terrorizzati. I cinghiali so' scappati davanti a me, quando friggevo di energia. Lo stesso i pesci in acqua, o i granchi sul bagnasciuga.»

«Confermo» disse Cata, alzando la mano. «Abbiamo visto anche noi.»

«Caspita!»

Alberto batté le mani, facendo sussultare metà dei presenti.

«Me ne ero del tutto scordato. L'orso che ha ucciso... sappiamo chi, mi attaccò di nuovo mentre attraversavo la piana, per arrivare al treno e a Monica che mi aspettava.»

«Ma di che parli? Che treno?» chiese Beatrix, guardando gli altri per capire se solo lei non capisse cosa stesse dicendo quell'uomo.

«Si riferisce a quando l'abbiamo fatto scappare dall'abbazia. Non è importante, ora. Vai avanti, Alby» l'aiutò de Simone.

«Ho sentito calore, anche in quell'occasione. Non lo ricordavo più. L'orso stava per azzannarmi, ma è scappato a gambe levate. Cosa significa, Franco?»

«Mi spiace, ma non lo so.»

de Simone era spaesato. Possibile che anni di studi e sacrifici, si smontassero così, in due minuti? Credeva d'aver analizzato tutti gli aspetti di quell'energia, almeno i più importanti e fondamentali; si accorgeva ora che non era stato così.

Quando aveva iniziato a dedicarsi all'argomento, si era ripromesso di non tralasciare mai nulla e di fare in maniera di essere preparato su tutto quello che concerneva il potere donato dalla donna. Ora, scopriva invece d'aver perso parecchi pezzi per strada. Inevitabilmente, la questione lo stava angosciando.

"Telepatia involontaria? Animali terrorizzati?"

Ormai era scontato che non avrebbe mai preso sonno quella sera. Si prospettava una notte in bianco. E chi l'avrebbe sentita Monica il giorno dopo, se si fosse accorta che non aveva dormito le ore ordinate dal medico?

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