51 - TUTTI (2)

Rivedere il faccino di Antonio sprizzare la solita vitalità, la solita splendida e candida ironia quando, solo dieci secondi prima, era deformato dalla follia più totale, fece sì che tutti i presenti non diedero peso a ciò che il ragazzo aveva detto.

Nell'attimo in cui si gira la pagina di un libro, Camilla e Veronica tramutarono in gioia il sottile velo d'angoscia che le avvolgeva, e si abbracciarono con una spontaneità tale da lasciarle di stucco; immerse l'una nell'odore dell'altra, mentre Camilla si chiedeva se, nonostante tutto, sarebbe mai stata capace di diventare amica di quella ragazzina, Veronica rifletteva sulla forza emanata da Antonio, un carisma tale da riuscire a farsi volere bene da tutti già al primo sguardo, sebbene fosse di poche parole e di pressoché zero compagnia; si conoscevano da appena un giorno, ma erano lì, a disperarsi per lui nel vederlo stare male. Veronica sapeva che era facile incentrare il tutto in una sorta di tenerezza che la sua condizione suscitava ma, allo stesso tempo, era convinta non fosse solo quello il motivo. Aveva conosciuto altre persone affette da quella sindrome, ma per nessuna aveva mai provato nemmeno la metà dell'affetto che sentiva ora per il ragazzino. E supponeva che anche per Camilla dovesse essere così, anche se lei aveva avuto ancora meno contatti con Antonio.

Si sciolse dall'abbraccio, guardando la rivale negli occhi per un secondo, scoprendole un sorriso sul viso. Poi rivolse lo sguardo su Silvia e Alessandro, che stringevano e spupazzavano il loro ragazzo, mentre Antonio balbettava timide e divertite proteste, e Monica li fissava a braccia incrociate, con la felicità dipinta sul faccione di nuovo rubicondo e, forse, le preoccupazioni momentaneamente accantonate.

«Lasciamoli soli» disse, avvicinandosi alle due ragazze. «Io devo tornare alla mia cena, voi dal vostro ragazzo.»

In realtà pensava a Franco, e già un po' di quella serenità ritrovata era volata via.

«Sapete cos'è che mi sconvolge di più?» disse Camilla, appena furono uscite dalla stanza.

Monica e Veronica la fissarono.

«Il fatto che ormai accettiamo ogni cosa succeda, per quanto sia brutta, sconvolgente... Guardate ora. Sembra si sia risolto tutto per il meglio, eppure, ciò che faceva il ragazzino sul letto, insomma... era una roba parecchio inquietante. E terribile, aggiungerei!»

«Ne abbiamo vista tanta di stranezza, ultimamente» aggiunse Monica, mettendo il piede sul primo gradino della scala, e la mano sulla balaustra.

«Appunto! Una settimana fa, una scena del genere ci avrebbe fatto impazzire, come minimo. E ora saremmo ancora turbati, nonostante il ragazzino sembra non aver avuto nulla. Guardate adesso, invece... siamo assuefatti all'anormalità.»

«Ad aver perso mio papà, io non voglio assuefarmi.»

Veronica chiudeva la fila del trio che scendeva le scale.

«Ma, o decidiamo di accettare ciò che accade, come stiamo facendo, e andiamo avanti, oppure sprofondiamo nell'abisso. E da lì, non si torna più indietro.»

Giunsero nella sala, e si fermarono accanto al tavolo che Monica non aveva finito di apparecchiare.

«Devo dirvi una cosa» bisbigliò Camilla guardando in su, come se si aspettasse di vedere spuntare delle orecchie dal soffitto. «Una cosa che ho visto.»

«Dicci!»

Monica era piantata con i piedi davanti a lei, le braccia conserte, l'espressione dubbiosa e un po' infastidita, come se pensasse "sentiamo anche questa!".

Veronica invece, aveva continuato fino al corridoio, fermandosi sulla soglia, pronta a tornare subito da Andrea, speranzosa, magari, di trovarlo sveglio e più tranquillo, per quanto potesse esserlo un ragazzo che aveva perso la mamma e una gamba, tutto nel giro di poche ore. Si voltò verso Camilla, e un rumore giunse alle sue orecchie, proveniente da dietro. Fece per girarsi di nuovo, ma la ragazza parlò.

«Ho visto Antonio attraversare lo scudo, stamattina. C'è passato in mezzo due volte, come se fosse solo un'immagine. Allora mi sono chiesta se quel ragazzino ha qualcosa di molto speciale, dentro di sé; o se quello scudo, in realtà, non sia solo un semplice deterrente. Spero, con tutto il cuore, sia vera la prima opzione, o quantomeno falsa la seconda.»

Né Monica, né Veronica, seppero subito rispondere, e rimasero tutte e tre a fissarsi per pochi secondi. Di nuovo, dal corridoio, giunse un suono strano, indefinito, che catturò l'attenzione anche di Camilla e Monica.

La donna aprì la bocca per rispondere, o forse per chiedere cos'era stato a produrre il rumore, quando la porta della baita si spalancò di colpo, facendole sussultare e, nel caso di Veronica, emettere un piccolo gridolino.

Un omone, grosso e barbuto, riempiva quasi tutta l'apertura, nascondendo quasi per intero la donna che giunse subito dopo di lui.

«Roberto!»

Veronica non diede modo al proprio stupore di manifestarsi; appena vide il viso dell'uomo che conosceva, si fiondò tra le sue braccia, sentendo un calore intenso ribollirle dentro, pervasa da un senso di sollievo appagante, quanto inaspettato; sprofondò nella sua pancia sentendosi stringere con affetto, e ricordando, solo in quel momento, che quell'uomo era il padre di un ragazzo senza più una gamba, e il marito di una donna che giaceva sotto un metro di terra vicino al fiume. L'idea di essere lei a dover dargli queste terribili notizie, la terrorizzava.

«Dov'è Andrea, Vero?» chiese Roberto, inebriato dal contatto con la ragazzina e sentendo, per un momento, tutte le ansie, le preoccupazioni, le cose brutte, vecchie e nuove che aveva addosso, attenuarsi, catturate dalla potenza del calore emanato dal corpo di Veronica; come un'onda impetuosa rovesciatasi sul bagnasciuga, si porta in mare lo sporco lasciato da turisti maleducati.

Vide Camilla fissarlo, sorridente, e le strizzò l'occhio.

Veronica si staccò. «Roby, Andrea...»

«Portami da lui! Ti prego.»

"Lo sa" pensò la ragazzina.

Lo prese per mano e lo invitò a seguirla.

«Buonasera. E mi scusi l'intrusione» disse Roberto, passando a fianco di Monica e accarezzando la guancia di Camilla con la mano libera.

«Buonasera a lei. Nessun problema, si figuri» rispose la donna, mentre allungava la mano e si presentava ad Angelica, fattasi avanti non appena l'ingombrante presenza dell'uomo aveva liberato la porta.

Veronica, agitata da un miscuglio di sensazioni che le turbinavano nello stomaco, trascinò Roberto nel corridoio, sbucando davanti all'ingresso del bagno, in quel momento chiuso. La camera dove lei e Camilla, attirate e atterrite dall'urlo di Antonio, avevano lasciato Andrea addormentato, era quella a fianco.

La porta era spalancata.

"Non l'avevamo accostata?"

Il pensiero si formò in fretta nella mente di Veronica ma, veloce allo stesso modo, si dissolse non appena si affacciò sulla soglia, e vide la donna china sul letto. Di primo impatto pensò che stesse facendo un massaggio al collo di Andrea e, perplessa, aveva già socchiuso le labbra, per chiedere spiegazioni di tale gesto.

«CHE SUCCEDE?»

Il vocione di Roberto le ricacciò le parole nella gola e, per la seconda volta negli ultimi minuti, ricevette una spallata che le fece quasi perdere l'equilibrio.

Vide l'enorme schiena dell'uomo dirigersi verso il letto; il braccio destro allargarsi e partire di scatto come una molla, colpendo la donna sull'orecchio. Nonostante i decibel imponenti della voce e la pesantezza dei passi di Roberto mentre si avvicinava, lei non si era mossa di un millimetro, continuando imperterrita a stringere le mani sul collo del ragazzo ancora addormentato, o forse svenuto; comunque immobile.

La sberla di Roberto la spinse con violenza contro il comodino, rovesciando la lampada che c'era sopra. Si frantumò, cadendo a terra.

Francesca rovinò su un fianco, senza emettere alcun suono.

«CHE CAZZO STAVI FACENDO?»

Roberto la fissò, più incredulo che arrabbiato; poi si voltò verso il figlio. Gli accarezzò i capelli, e con le dita scorse i segni rossi che aveva sul collo, mentre sentiva gli occhi appesantirsi per le lacrime furiose che gli stavano salendo. Vide il petto del ragazzo sollevarsi e riabbassarsi ritmicamente.

Non capiva cosa stesse capitando; era confuso, spaventato. E quando lo sguardo cadde sull'unica gamba rimasta ad Andrea, le lacrime gli sprizzarono dagli occhi come zampilli, e la rabbia trattenuta esplose in tutta la sua veemenza. Non sapeva chi fosse quella donna, cosa ci facesse lì e perché, ma l'aveva trovata con le mani intorno al collo di suo figlio; era naturale dedurre che, se Andrea aveva perso una gamba, lei ne fosse in qualche modo responsabile.

Ruotò su sé stesso, mentre nella sua testa scorrevano fulminee tutte le immagini di quei giorni: le macerie di Bologna viste alla televisione; Lina, sotto la bolla; il corpo di sua mamma, martoriato sull'asfalto; la bambina e il suo papà, legati e torturati a un palo. E poi, le ultime: suo figlio, senza una gamba, sotto le mani assassine di quella persona. Perché? Cos'era successo?

Non gli importava. In quel momento, in quel mezzo secondo che stava impiegando per voltarsi, era al culmine della disperazione e del furore, incapace di ragionare con raziocinio, sentendosi guidare dall'istinto più vecchio del mondo. Voleva solo prendere a pugni quella donna, finché sotto alle sue nocche non restasse che carne maciullata e sanguinolenta. Lei avrebbe pagato per tutto e per tutti. Non desiderava altro, non pensava ad altro.

Vagamente cosciente di sentire delle voci intorno, era pronto a saltarle addosso mentre era stesa a terra, e a sfogare tutto sé stesso, usando l'imponenza della sua mole, per una volta accantonando quella nomea di "omone buono" che sempre gli avevano appiccicato.

Ma Francesca non era stesa a terra. Era ritta, davanti a lui, e teneva nella mano sinistra un grosso e appuntito coccio di vetro, che fino a qualche secondo prima faceva parte del corpo della lampada.

Appena i loro occhi si sfiorarono partì all'attacco, brandendo l'arma improvvisata come fosse un pugnale, mentre un rivolo di sangue le colava sul braccio.

Roberto non capì, e la sorpresa lo immobilizzò. Il velo disperato che lo avvolgeva si squarciò e nella stanza tornarono i rumori.

«NOOO!»

Qualcuno si fece in mezzo, bloccando il polso della donna un attimo prima si avventasse su Roberto che, d'istinto, scartò comunque su un lato. Si sbilanciò appena, recuperando subito l'equilibrio, e vide Alberto lottare, tenendo a fatica il braccio armato della donna con entrambe le mani, mentre lei, gli stringeva il collo con quella libera.

«Amore mio...» diceva, con la voce soffocata. «Sono io! Alberto. Perché?»

Il ghigno della donna era diabolico, gli occhi parevano iniettati di sangue ma, ancora più disturbante, era il fatto che stava in silenzio, assoluto silenzio, mentre le sue dita affondavano sempre più nella trachea dell'uomo che amava.

La disperazione e la rabbia di Roberto si sciolsero in stupore sentendo l'amico chiamare "amore" quell'orrenda maschera trasfigurata nella follia e nell'orrore più puro, capendo al volo che si trattava di Francesca, ma sentendosi, di conseguenza, ancora più confuso. Perché diamine la ragazza del suo amico voleva uccidere suo figlio? E per quale motivo, ora, stava cercando di strangolare il suo uomo?

Tutto quel turbinio di emozioni lo tenevano inchiodato lì, mentre era evidente che Alberto stava soccombendo a quella che sembrava una forza smisurata contenuta in quella donna minuta.

Si voltò.

Camilla era sulla soglia, tremante, con le mani sulla bocca; dietro di lei era apparsa per un attimo la donna grassa vista prima, ma era sparita subito, lasciandogli alla vista Angelica, addossata al muro del corridoio, con la faccia stravolta. Ma, più di tutti, vide Veronica fissarlo con lo sguardo severo, come a dire "che fai lì impalato"?

La ragazzina si lanciò sulla coppia in lotta, afferrando la mano che serrava il respiro di Alberto; un'improvvisa puzza di bruciato si sparse nell'aria e Francesca gridò, mollando la presa del collo e del pezzo di vetro, facendo sentire a Roberto, per la prima volta, la sua voce. Indietreggiò di qualche passo, guardandosi la piaga sul polso con le lacrime agli occhi; poi li sollevò, pieni di ira su Veronica.

La colpì in pieno volto; la ragazzina cadde a sedere lanciando un flebile gridolino; Francesca le fu subito sopra, di nuovo mirando al collo.

Fu la voce di Veronica che smosse Roberto dal suo torpore.

Riacquisì una parte della rabbia e si lanciò sulla donna nello stesso istante in cui lo faceva pure Alberto.

Insieme l'afferrarono per le spalle, gettandola a terra e tentando di bloccarla, mentre Veronica tossiva, tenendosi la gola con le mani.

Ma Francesca era forte, incredibilmente forte; Alberto, atletico, nel fiore degli anni, e Roberto, grosso e pesante cento chili, si accorsero di faticare a trattenerla. Si dibatteva e tentava di rialzarsi, afferrando con le mani libere le braccia dei due uomini, tirando, graffiando, sempre in assoluto silenzio, con la stessa, inquietante espressione di tranquillità dipinta in faccia.

«Non riesco a tenerla, Alby.»

Grosse lacrime scendevano sulle guance di Alberto. Aveva gli occhi rossi per il pianto e per la mancanza di aria che la mano della fidanzata gli aveva causato.

«Non capisco cosa le stia succedendo...»

Veronica, ancora tossendo, si voltò verso Camilla e Angelica.

«Aiutiamoli, dai!», e si lanciò sulle gambe di Francesca, accorgendosi all'istante anche lei di come fosse difficoltoso bloccarla.

Alberto urlò di dolore quando le unghie di lei affondarono nella carne del suo braccio, ma cercò di intensificare la pressione che stava esercitando sulla sua spalla, così come stava facendo Roberto. La mano di Francesca artigliò anche il gomito; Alberto strinse gli occhi per il dolore, ma sapeva che, se avesse mollato la presa, la donna si sarebbe liberata.

Una figura comparve alla sua destra.

«Siamo qui» disse la donna grassa e, con la coda dell'occhio, la vide afferrare il braccio di Francesca; Roberto si voltò appena e vide un uomo, sconosciuto, infilarle senza troppa premura l'ago di una siringa nella pelle, premendo lo stantuffo.

Per la seconda volta, Francesca gridò.

«Lasciatela. Lasciatela» disse l'uomo.

Veronica si alzò, così come fecero Alberto e Roberto.

Francesca si guardò il braccio destro, poi sollevò su tutti uno sguardo satanico.

«Presto morirete!» fece in tempo a dire, prima di crollare a terra, inerme.

Per qualche secondo gli unici rumori furono i respiri affannosi di Roberto e Alberto, e i colpi di tosse di Veronica, ormai più dei raschiamenti di gola.

«Cos'è successo, qui?»

Tutti sussultarono alla voce di Franco de Simone, comparso sulla soglia della camera. Guardò negli occhi i presenti, poi si fermò in quelli di Monica.

«Cos'è successo a mia nipote?»


Alessandro, Monica e Alberto, riportarono Francesca, profondamente sedata (la dose contenuta nella siringa era due volte maggiore del normale!), nella sua camera, e le assicurarono i polsi e le caviglie con quattro paia di manette, lasciando le chiavi sul comodino.

Alberto prese la sedia dello scrittoio e si mise a fianco del letto, raggiunto subito da Franco.

Monica, con il volto tirato da una smorfia di infinita stanchezza, si presentò ai nuovi arrivati, tutti con l'espressione da "dove siamo capitati" incollata sulla faccia.

Guardò, con aria intenerita, il ragazzo grasso ammanettato, sporco, e con l'aria di non sapere dove si trovasse, né tantomeno il perché. Provò un profondo senso di pena e fu contenta dell'ordine che Franco le aveva dato.

«Togli le manette a quel ragazzo» aveva detto.

Sapeva che, se qualcuno gliele aveva messe, un motivo doveva esserci. Ma era stanca di ascoltare cose brutte, veramente troppo stanca. A guardarlo in faccia, suscitava tutto fuorché l'idea di essere pericoloso.

«Le chiavi le hanno Alberto o Roberto» disse Beatrix.

«Già. E non acconsentiranno mai a liberarlo» aggiunse Cata.

«È giusto! Non lo merito» piagnucolò Enrico, con una vocetta così stridula che il cuore di Monica sobbalzò dalla tristezza.

Angelica sbuffò. «Non dire sciocchezze, dai!»

«Quel che è fatto, è fatto.»

Beatrix gli prese le mani. Lui alzò lo sguardo su di lei.

«Reagisci, Enrico. Qui, a quanto dicono, ne hai la possibilità.»

«E poi come fai a lavarti e a mangiare con le manette?» aggiunse Monica. «Aspettate un attimo.»

Tornò dopo poco, con un mazzo di chiavi piccole.

«Queste aprono tutto. Invenzione dell'ingegnere.»

Sorrise, mentre fece scattare il piccolo meccanismo.

Franco ridacchiò. «A Roberto e Alberto, non piacerà.»

«Oh, insomma!» Beatrix lo guardò torvo. «Facciamo che per il momento nessuno glielo dice, ok?»

«Muti like a fish

«Giusto. Bravo, Ando!»

Poi, si rivolse a Enrico. «Te ne starai buono?»

Il ragazzo annuì.

«Seguitemi» disse Monica. «Scusa la franchezza, Enrico, ma credo debba essere tu il primo a farsi la doccia!»

Li accompagnò al piano di sopra, indicando in quali stanze potevano accomodarsi, il bagno e tutto l'occorrente per potersi sistemare.


Roberto, stravolto, tornò al capezzale del figlio insieme a Veronica, mentre Camilla, rimasta in un angolo della stanza, li osservava.

«Com'è successo, Vero?»

Roberto indicava il moncherino di Andrea, ancora addormentato. Almeno lui pareva sereno, nonostante qualcuno avesse appena tentato di strozzarlo.

Veronica spalancò gli occhi, spaventata all'idea di come Roberto avrebbe reagito, una volta scoperto com'erano andati i fatti.

«Devi sapere un'altra cosa prima, Roby.»

Camilla si fece avanti, e gli raccontò di Lina, di come l'avessero trovata "resuscitata", insieme a Riccardo, e di come poi, senza nessuna spiegazione chiara, fosse morta di nuovo, davanti ai loro occhi.

Roberto sentì mancargli il fiato e, per un momento, si chiese se fosse mai sceso da quel treno, o se invece si trovasse ancora là sopra, magari addormentato, e tutto questo orrore fosse solo un intenso e orribile sogno. Spostò gli occhi in quelli di Veronica, come a cercare conferma della veridicità di ciò che aveva appena udito; la tristezza che traspariva nello sguardo della ragazzina non lasciava nessun dubbio.

«Dov'è mia moglie ora?» chiese Roberto.

«L'abbiamo seppellita io e Monica, vicino al fiume» intervenne Alessandro entrando nella stanza, allungando la mano e presentandosi.

«Portatemici.»

«Sicuro. Solo, fammi dare una controllata al tuo ragazzo, prima. Se non te l'hanno già detto, io sono un dottore.»


«Stuprata da Masi!»

Alberto si alzò di scatto dalla sedia, rovesciandola a terra. La notizia gli cadde sulle spalle, già gravemente pesanti per tutto quello che era appena successo.

Franco era a testa bassa. «Fa strano dirlo, Alby, ma se non fosse stato per René, di sicuro l'avrebbe uccisa.»

Alberto si mise a girare per la stanza, tenendosi le mani intrecciate dietro al collo; per un attimo, gli parve di risentire il vecchio dolore che l'aveva tormentato quando era arrivato all'FDS la prima volta.

Guardò Francesca, legata al letto come un animale e cominciò a piangere. I ricordi belli dei momenti passati con lei emersero con prepotenza. Le si avvicinò e le accarezzò i piedi, serrati dal ferro delle manette.

«Non mi dire altro, Franco. Preferisco non sapere i dettagli di... cosa le ha fatto quella merda.» Deglutì. «Dove sono ora?»

Franco non rispose, restando a testa bassa.

«Franco?»

Il vecchio alzò la testa.

«Dove sono Pietro Masi e René?»

«Il tedesco è morto. Abbiamo gettato il suo cadavere nel fiume.»

Alberto lo raggiunse, asciugandosi gli occhi con la manica, e si inginocchiò davanti a lui.

«E Masi? Dov'è?» chiese di nuovo, con il cuore che batteva all'impazzata. La reticenza di Franco gli stava già dando la risposta più brutta: non si erano liberati di lui, come aveva creduto quando lo aveva trovato imprigionato.

«È una brutta storia, Alberto. Molto brutta. Preferisco raccontare tutto a tutti, stasera, dopo cena. Non si può più aspettare. Non abbiamo più tempo.»

Alberto rimase immobile per alcuni secondi. «Cosa intendevi prima, dicendo che Masi è il nostro nemico? Perché questa idea mi inquieta non poco!»

«Dopo, Alberto. Vi dirò tutto dopo.»

«Tu credi che lo stupro c'entri qualcosa con quelle... cose che ha fatto Francesca?» chiese, imperterrito.

«Oh, ne sono sicuro al cento per cento. Ma torniamo ancora al discorso di Masi. Non me lo far ripetere, ti prego. Cerca d'avere pazienza.»

Alberto si alzò, tornando da Francesca.

«Non è facile avere pazienza, con tutto quello che è successo. Solo un'ultima cosa, Franco. Come hanno fatto quei due a scappare dalla prigione in cui lei li aveva rinchiusi?»

«Ti giuro che non lo so. Ma credo seriamente sia stato Ismel.»

Fu in quel momento che un lampo attraversò la mente di Alberto; un'idea atroce e tremenda, il più spaventoso dei pensieri si fissò nella sua testa.

"Non può essere. Sei solo troppo scosso, tutto qua!" pensò, e cercò di scacciarla.

Non disse nulla e accarezzò con dolcezza i capelli della sua ragazza.

Avrebbe scoperto molto presto che aveva visto giusto.


Roberto piangeva calde lacrime amare, inginocchiato a fianco del piccolo cumulo di terra smossa, nel punto in cui Monica e Alessandro avevano seppellito la sua Lina. Veronica gli teneva una mano sulla testa, indecisa se dire una delle solite frasi vuote che si propinano in quei momenti, o se tacere, e lasciare che il papà del ragazzo che amava si sfogasse da solo. Lo stesso Alessandro osservava la scena in piedi, davanti a loro, vagamente imbarazzato ma addolorato per quell'uomo che, nel giro di pochi minuti, si era scontrato con due verità terribili.

«È colpa mia!» diceva, intanto, Roberto. «Se non avessi lasciato Andrea, forse tutto questo non sarebbe successo. Se fossi stato presente, avrei potuto salvarla.»

«Si è accasciata all'improvviso, Roby. Un attimo prima stava benissimo, un attimo dopo era morta. Non avresti potuto fare niente» gli disse Veronica.

Lui la guardò, con gli occhi rossi appena socchiusi.

«E come è possibile? Ha avuto un malore? O forse Ismel non l'aveva risvegliata del tutto?»

«Non lo sappiamo» intervenne Alessandro. «Ma il malore lo escluderei.»

Rifletté se rivelargli di come Lina fosse marcita all'istante, non appena crollata a terra, ma vedere la sofferenza che attanagliava quell'omone, gli stava straziando il cuore. Non aggiunse altro, sperando non lo facesse la ragazzina.

«È stata catatonica per tutto il viaggio, mi hanno detto; come il mio papà. Si è risvegliata del tutto... a causa mia.»

«Cosa vuoi dire?»

Veronica aveva capito che tacere le proprie responsabilità era sempre sbagliato ma, in quel momento, in particolare. Era, inoltre, un comportamento vigliacco, e lei non si era mai considerata una vigliacca. Roberto doveva sapere; aveva il diritto di sapere.

«Arrivati alla villa di Franco, Miles, cioè Ismel, si è rivelato. Aveva risvegliato papà e Lina solo per farli avvicinare a me e te, quando ci saremmo incontrati di nuovo, e far sì che ci uccidessero. A quanto pare, l'alieno ci conosce e sa che siamo una minaccia. Comunque, non erano del tutto svegli. Credo che gli avesse ridato solo la possibilità di eseguire i suoi ordini.»

«Dio mio! È un codardo questo alieno, allora?»

Veronica si strinse nelle spalle, e continuò.

«Il mio papà non mi avrebbe mai fatto del male.»

Le lacrime cominciarono ad accompagnare il racconto.

«Mi ha guardata e ho visto amore per me nei suoi occhi. Mi ha abbracciato e ho capito che era stato l'amore ha risvegliarlo veramente. E l'ha capito anche Ismel. Ha sparato il raggio contro di noi. Andrea mi ha urlato di stare attenta, e io, d'istinto, mi sono staccata da papà che è stato colpito in pieno.»

Le parole le uscivano a fiumi, come le lacrime, nello stesso modo di quando aveva raccontato quella storia a Franco de Simone.

«Papà è morto davanti a me, dopo che l'avevo appena ritrovato. Ho sentito il furore crescere dentro, e ho sparato anch'io, mancandolo, colpendo una delle statue della fontana che è caduta sulla gamba di Andrea. È colpa mia, Roby. È colpa mia quello che è successo a tuo figlio. Spero tu possa perdonarmi, un giorno.»

Cominciò a singhiozzare, come la bambina che, dopotutto, era.

Roberto aveva ascoltato in silenzio, sempre più straziato da quel racconto. L'abbracciò e la strinse forte, sentendo per lei un affetto fortissimo. Nel suo cuore nacque all'improvviso il desiderio irresistibile che lei e Andrea si mettessero insieme e, per sempre, vivessero felici. La felicità era di quanto più lontano si potesse immaginare in quel momento, ma avrebbe fatto di tutto per regalare a quei due ragazzi un mondo diverso in cui poter vivere serenamente.

«E Lina? Hai detto che si è risvegliata a causa tua...»

Veronica si staccò e tirò su col naso. «È solo una teoria, ma credo sia stata sfiorata dal mio raggio, e questo l'abbia in qualche modo aiutata. Fatto sta che, dopo l'incidente, era come l'ho sempre conosciuta. Mi dispiace, Roby, che tu non abbia fatto in tempo a rivederla.»

Di nuovo si riabbracciarono, mentre Alessandro, in silenzio, osservava la scena.

D'un tratto Roberto sollevò la testa, prese Veronica per le spalle e la guardò intensamente.

«Dove sono gli altri? Giancarlo, Dalila, Laura e la piccina? Perché non sono qui?»

Veronica non disse nulla.

«Oh, Dio mio! Altre brutte notizie?»

«Mi spiace» sussurrò la ragazzina.

«Come?»

In quel momento giunse Camilla.

«Roberto, Andrea è sveglio.»


La cena fu frugale. L'aver bruciato il ragù, e l'aggiunta di nuovi ospiti, costrinse Monica a preparare dei veloci toast, scusandosi con tutti, ma ricevendo assicurazioni che andava benissimo così.

Franco le strinse il braccio in segno di approvazione, sorridendo con stanchezza. Monica avrebbe voluto condividere con lui i dubbi sulla quantità di cibo che conservavano in un delle stanze al piano di sotto, ora che il numero dei presenti si era alzato di parecchio, ma pensò che, per quella giornata, avevano già dovuto sopportare anche troppe complicazioni. E comunque, probabilmente era solo una sua inutile preoccupazione.

Roberto aveva deciso di mangiare i panini insieme al figlio, nella loro stanza. Dopo essersi abbracciati a lungo, davanti a Veronica e Camilla in lacrime, furono lasciati soli, e si raccontarono le rispettive storie.

Andrea rimase sconvolto e pianse quando Roberto gli raccontò di come era morta la nonna.

«Mi dispiace, papà» disse, stringendogli la mano.

«Si vede che doveva andare così. Ma è un dolore che mi porterò dentro per sempre. Avrei potuto salvarla, ma è accaduto tutto così in fretta...»

Raccontò poi della setta in cui era finito, insieme ad Alberto, aggiungendo altra angoscia all'animo già provato del ragazzo.

«Ma ci sono anche belle notizie, per fortuna. Abbiamo trovato cinque scrigni. Pensavamo d'averne dimenticato uno ma, incredibile, era già qua. Così, siamo tutti e nove!»

Andrea sorrise, ma poi si rifece serio. «Quindi... combatterete l'alieno?»

«Non ne ho la più pallida idea. Non so il vecchio cos'ha in mente. Sicuramente dovremo parlarne. Ma adesso, raccontami tu, dai.»

Venne così a sapere cosa era successo a Giancarlo, a Dalila, a Laura e a Marta. Scoprì che a sparare alla piccola era stata Camilla, se pur sotto l'influenza di Ismel. Ascoltò dell'incontro, non tanto casuale, con Ismel sotto le mentite spoglie di Miles, trovato davanti al loro condominio insieme a Riccardo e Lina, vivi, ma come se non lo fossero.

«Ti ho sognato l'altra notte, Andy. E mi dicevi della mamma» disse Roberto, interrompendo il figlio.

Andrea lo guardò stranito. «Com'è possibile?»

«Non lo so. Ma era solo un sogno. Forse, un'incredibile coincidenza. Va avanti.»

Non era del tutto convinto di quello che aveva detto, e si appuntò nella mente di parlarne con il vecchio, alla prima occasione.

Andrea mantenne lo sguardo perplesso per alcuni secondi, poi raccontò dell'incidente, senza sapere che il padre sapeva già tutto.

«Dovevo essere con te! Mi dispiace, ragazzo mio!»

«Tranquillo, papà. Tu dovevi andare, era giusto così. L'ho capito dopo, ma l'ho capito.»

Gli occhi di Roberto si riempirono di nuovo di lacrime. «Ma, senza una gamba...»

«No, papà! Niente commiserazione! La prima reazione che ho avuto, quando mi sono risvegliato dall'operazione, è stata quella di non abbattermi. Ho intenzione di tornare in piedi molto presto, te l'assicuro. E per riuscirci ho bisogno di forza, anche da parte di chi mi sta accanto.»

Roberto riuscì a sorridere. «Sono orgoglioso di te! Sei più tosto di me, lo sai?»

Di nuovo si abbracciarono.

«Dimmi della mamma» chiese, quando si staccarono.

Andrea raccontò di essersela trovata al capezzale al risveglio e di non essersi sentito mai così felice.

«Era serena, abbastanza tranquilla. Spaventata come tutti, ma determinata. E aveva voglia di rivederti.»

Le lacrime di Roberto ripresero a scendere, copiose.

«Papà, scusa...»

«No! Continua.»

«Non so cosa sia successo. È crollata, di punto in bianco. Ed è marcita.»

Roberto strabuzzò gli occhi. «Come, scusa?»

«Era come se fosse morta da giorni. Nera in viso, e puzzava.»

«Dio mio!»

«Non ricordo bene cosa sia successo, ma credo d'aver avuto una specie di crisi. E presumo che Alessandro mi abbia sedato.»

Il ricordo dell'odore annusato a Castenaso riempì le narici di Roberto, insieme alle immagini dei campi, pieni di corpi in putrefazione, luculliani banchetti per tutti quegli animali felici.

«Cosa c'è, papi?»

La voce di Andrea lo riportò nella stanza. «Quand'è successo? La mamma, intendo.»

«Stamattina. Non mi chiedere l'ora, però.»

Roberto deglutì.

"Sì!" pensò. "Ci sono tante cose da discutere con quel vecchio."


Anche Alberto non si era unito agli altri; era rimasto al capezzale di Francesca, rifiutando con gentilezza il cibo che Monica gli aveva portato; aveva lo stomaco chiuso, come se qualcuno lo avesse legato stretto con un grosso spago.

Ma quando Monica tornò da lui, dopo circa un'ora, dovette suo malgrado lasciare la stanza.

«Franco ti vuole di là, Alberto. Tranquillo. Resto io con lei.»

Lo stesso disse a Roberto, che si premurò con il figlio se fosse un problema rimanere per un po' da solo.

«Papà! Non ho più una gamba, ma sto bene. Te l'assicuro. Vai sereno.»

«Lascio la porta aperta, comunque. Se hai bisogno, chiama.»

La tavola nella sala era già stata sparecchiata e tutti, chi in piedi, chi seduto, vi stavano intorno. Quando Alberto e Roberto entrarono, tutti gli sguardi si diressero su di loro.

Si sedettero senza fare caso a Enrico, senza più manette, seduto all'altro capo del tavolo, tra Beatrix e Cata. Entrambi erano stravolti, e desiderosi di tornare al più presto nelle loro camere. La poca attenzione che riuscivano a regalare, era tutta per Franco e per quello che aveva da dire.

Era sceso anche Antonio, seduto tra i suoi genitori, con il solito sorriso furbo e lo sguardo più vivo che mai. Veronica indugiava spesso con lo sguardo su di lui, pensando fosse incredibile vederlo così sereno e tranquillo, dopo averlo visto fare quello che aveva fatto in camera.

Franco de Simone era a capotavola. Gli occhi, dietro alle lenti dei suoi occhialini tondi, brillavano come un tempo, e stonavano un po' nella cornice pallida e smunta in cui erano inseriti.

«Molto bene!» disse, quando ci fu silenzio. «So che siete tutti stanchi, e avete voglia di coricarvi; oggi è stata una giornata terribile, per tanti motivi. E purtroppo, non veniamo da giorni tanto più belli. Suppongo che anche i nostri nuovi ospiti abbiano passato momenti complicati.»

Cata annuì, e fece per aprire la bocca. Ma subito Franco alzò la mano.

«Scusami! Ognuno avrà modo di dire e raccontare. Per il momento, però, lasciate parlare me. È da tantissimi anni che aspetto questo momento e ci sono cose da dire, molto importanti. Era mia intenzione parlare con alcuni di voi, prima di riunirci tutti insieme, ma gli eventi sono precipitati come non avrei mai sospettato. E non abbiamo più tempo, gente! Non abbiamo, decisamente, più tempo!»

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