40 - MILES (2)

Veronica s'irrigidì.

Laura la vide all'improvviso inarcare la schiena, poggiandosi sulle braccia tese e i palmi schiacciati ai bordi del sedile; i muscoli delle gambe erano tirati come la corda di un arco; l'espressione del viso passò dall'indifferenza con la quale osservava il paesaggio, con veli sempre più estesi di una stanchezza che languiva in bilico verso un sonno a cui non voleva abbandonarsi, a un'attenzione carica d'ansia, o paura, o forse sospetto. Laura non avrebbe saputo dirlo con certezza, perché come all'improvviso la vide scattare, tanto velocemente si afflosciò sul sedile, mantenendo comunque negli occhi quell'allerta che, chissà cosa, le aveva procurato.

«Ehi! Che succede?» le chiese.

La ragazzina spostò gli occhi a sinistra, senza muovere la testa, per poi riportarli subito sulla strada che si snodava davanti a loro, sparendo man mano sotto alla SAAB.

«Ho avuto come un... presentimento. Uno brutto...»

«Riguardo a cosa? O a chi...»

«Non lo so con certezza. È stata solo una sensazione... veloce... Come se stesse per capitare qualcosa, o forse è già capitata.»

«Ma a chi credi...»

«Non lo so, Laura! Te l'ho detto. Non so cosa è stato. Per favore, vorrei non parlarne.»

«Come vuoi.»

Laura la fissò per un attimo, chiedendosi per quale motivo tra di loro dovesse esserci sempre quell'attrito, sgradevole e pesante, che rendeva ogni conversazione un pretesto per una discussione o una rispostaccia.

Erano in viaggio ormai da più di due ore e, a parte il breve dialogo iniziale su quale strada percorrere (al quale Veronica aveva partecipato perlopiù con cenni del capo e qualche mugolio d'assenso), erano rimaste quasi sempre nel silenzio più assoluto.

Laura tornò a concentrarsi sulla strada un po' avvilita, certamente arrabbiata.

Era tanto, tanto tempo che non guidava così a lungo; non ricordava nemmeno d'aver mai fatto così tanti chilometri in una volta, come quelli che stava macinando in quel giorno; e stava facendo fatica. Aveva i suoi anni e non erano pochi. Lo sforzo che stava compiendo era notevole e, dopotutto, lo faceva per quella piccola ingrata. Qualcuno avrebbe potuto aggiungere che era anche per l'umanità (o per quello che ne rimaneva!), visto che, a quanto pareva, Veronica aveva dei poteri speciali, e lei la stava accompagnando dove si diceva che sarebbero stati sfruttati a dovere. Ma, seppur avesse osservato qualcosa con i suoi stessi occhi, non era bastato a cancellare tutto lo scetticismo che l'argomento le suscitava.

"È solo una bambina!" si diceva. "Una bambina capricciosa e viziata."

La realtà era che soffriva terribilmente per Marta, e all'interno di quel dolore il risentimento pulsava come una ferita infetta, spargendo colpe da tutte le parti.

Se per Camilla fosse ovvio che era riservata la fetta più consistente, diverse schegge avevano colpito anche Andrea e Veronica. Si erano baciati mentre la sua piccola tremava nelle mani di quell'animale; avevano voluto oltremodo fermarsi per tentare assurde operazioni di riportare in vita chi in vita non era più, sprecando ulteriore tempo; se il destino di Veronica era di essere fucilata da quella stronza, beh... così doveva essere. Era crudele, certo, ma ognuno ha la propria strada già tracciata. A questo credeva con convinzione. Ma l'intervento di quell'Andrea, bambino evidentemente troppo cresciuto, aveva deviato il colpo, finito nel corpo della sua povera piccina innocente.

"E comunque anch'io ho la mia parte di colpe..." pensava, con amarezza. Se fosse stata più forte, più decisa... se avesse fatto valere di più i suoi anni, la sua maturità, il suo saper stare al mondo... Invece, li aveva lasciati fare, tutti, e ne aveva pagato le conseguenze.

Ogni tanto si stupiva per quanto la morte di quella bambina, conosciuta solo meno di due giorni prima, la facesse stare così male, avendo invece in pratica accettato la perdita della sua famiglia; e, allo stesso modo, aveva poco, se non nessun risentimento per Ismel, sebbene, di fatto, avesse tutte le colpe.

Ma l'alieno era irraggiungibile per tutti, a suo modo di vedere, e non credeva affatto che un gruppo di persone come lei avesse capacità e possibilità di sconfiggerlo; per questo riteneva inutile sprecare anche solo un pensiero su di lui, e altamente dannoso affannarsi a maledirlo. Era come una catastrofe naturale, fosse un terremoto, un'alluvione o un uragano: non si poteva evitare, non ci si poteva fare niente, ma pregare di sopravvivere e aspettare che passasse per provare a ricominciare. Era il volere di Dio, quel Dio che aveva venerato e pregato per tutta la sua vita.

Doveva ammettere che la morte di Marta aveva fatto un po' scricchiolare l'impalcatura della sua fede, ma erano stati pensieri impulsivi, dettati dalla disperazione calata su di lei all'improvviso, quando aveva visto Marta esalare l'ultimo respiro. A mente un po' più fredda aveva capito che Dio non c'entrava e, se proprio bisognava attribuirgli delle colpe, l'unica era di essere stato troppo buono con l'uomo, quando aveva deciso di concedere il libero arbitrio. Ecco qual era l'uso che ne veniva fatto, ecco come veniva sperperato il più grande dono che l'umanità aveva ricevuto, dopo la vita stessa. Fucilare a morte una creatura innocente!

"Perdonami, o Signore, se ho dubitato di te. E comprendo i castighi che ci mandi. Ce li meritiamo!"

Questa era la cruda realtà, e non appena si fosse presentata l'occasione, Laura avrebbe pregato, pregato e ancora pregato, per chiedere perdono per i peccati, passati, ma soprattutto per quelli futuri, quelli che sapeva di dover commettere.

Camilla! Ogni volta che l'immagine della ragazza le attraversava la mente il sangue ribolliva, l'odio la rivestiva con un mantello rovente e pensieri violenti s'impossessavano di lei; pensieri a cui aveva intenzione di ascoltare. Dio avrebbe capito, perché era giusto e avrebbe accolto le sue preghiere di contrizione.

Doveva preservare la sua anima, ora che si avvicinava il momento in cui Lui doveva decidere se accoglierla tra le sue amorevoli braccia.

"Ti ribecco prima o poi, stronza!"

Il silenzio era ripiombato nell'abitacolo, ma Laura non ne era particolarmente dispiaciuta, perché aveva così modo di pensare, di riflettere e di decidere. Sapeva già come affrontare Camilla, una volta si fosse ripresentata ai suoi occhi, e sapeva come punirla. Nella sua testa era tutto molto chiaro.

Lanciò un altro sguardo a Veronica, sentendo crescere forte il desiderio di rifilarle un altro sonoro schiaffo, uno di quelli che, a una ragazzina come lei, poteva fare solo che bene, soprattutto quando non si avevano ben chiari alcuni aspetti della vita. E lei, secondo la sua opinione, di punti oscuri ne aveva parecchi.

L'autostrada si snodava davanti ai suoi occhi come la lingua di un enorme drago, pronto a ricacciarle indietro e inghiottirle, almeno nello stato d'animo teso e angosciato che Laura sentiva al momento; l'asfalto, tremolante per l'effetto della calura ancora opprimente, nonostante la sera ormai incombesse, tagliava campi e paesi in cui, più spesso di quello che avrebbe voluto, il suo sguardo posava su corpi e corpi stesi, immobili, morti.

Aveva deciso di prendere l'autostrada, memore del viaggio fatto con Alberto e Marta (faceva male, faceva sempre male il ricordo!), in cui aveva notato come la corsia opposta, quella che stavano percorrendo ora, fosse decisamente più sgombra dell'altra. Infatti, fino a quel momento, non avevano incontrato particolari ostacoli, se si eccettuava un paio di macchine di traverso che l'avevano costretta quasi a fermarsi e a compiere manovre un po' complicate. Per il resto era andato tutto liscio, anche se, un po' per prudenza, un po' per l'età, non aveva mai superato gli ottanta chilometri orari.

Stavano per lasciarsi alle spalle i colli Euganei, e già le prime montagne profilavano all'orizzonte.

Le sue montagne! Le sue amate montagne! Le aveva lasciate... quando? Dovette rifletterci.

"È stato ieri mattina! Solo ieri mattina!"

Sembravano passate settimane.

"È incredibile quante cose siano successe in poco più di trenta ore! Incredibile... e assurdo!"

Una nuova ondata di tristezza era pronta a travolgerla, ma c'erano le montagne stavolta a consolarla e, là in mezzo, la sua casa. Era sicura che non l'avrebbe più rivista ma, solo pensarla, la faceva stare bene, sebbene serbasse in sé una marea di ricordi diventati ora tristi.

Nonostante tutto, Laura riuscì a sorridere.


Veronica aveva mentito. Sapeva molto bene chi fossero gli attori del presentimento che aveva avuto. Lo sapeva perché stava pensando proprio a loro due, quei due, gli unici due che non avrebbe voluto sapere insieme e, soprattutto, non avrebbe voluto sapere soli. Che poi nemmeno era sicura fosse stato un presentimento vero e proprio e, su questo non aveva dubbi, il suo essere scrigno stavolta non c'entrava nulla; stava provando sensazioni diverse, sensazioni nuove, un turbamento del tutto differente da quel turbinio d'emozioni che le avevano sconvolto cuore e stomaco, e al quale lei aveva dato il nome d'amore. Stavolta era un qualcosa di più pesante e... ferroso. Faticava a capire cosa significasse, ma quello era il termine più adatto a descrivere ciò che la opprimeva, che le rendeva difficile quasi anche il semplice respirare e il deglutire. Ma se era confusa nel cercare di comprendere le singole emozioni che la stavano colpendo come micidiali raggi laser, non aveva alcuna difficoltà a dare il nome a tutto l'insieme, al pacchetto completo: era la gelosia.

Ne aveva già sofferto in passato, quando aveva visto suo papà prendere in braccio la cuginetta davanti ai suoi occhi; la sua compagna di nuoto vincere la gara e ricevere la medaglia mentre tutti l'applaudivano; le sue due amiche del cuore venire invitate alla festa di compleanno della nuova arrivata, mentre lei non aveva ricevuto nessun biglietto. L'aveva provata anche quando la sua mamma era morta, gelosa nei confronti di Dio che, a detta della sua maestra di catechismo, "l'ha chiamata accanto a sé".

«È la mia mamma! Deve stare con me! Cosa vuole questo Dio?» aveva detto, in lacrime, quella sera al suo papà.

Ogni volta aveva sofferto, in modi differenti, con tempi differenti, ma aveva sofferto.

Ma ora... Caspita! Non c'era paragone!

Sentiva la rabbia mischiata alla delusione, la tristezza con la rabbia, la delusione con l'impazienza, l'eccitazione con la tristezza... Tutto un calderone ribollente dentro di lei, esploso di colpo nell'immagine vivida di loro due, giacere da qualche parte, nudi, abbracciati, ma non come si abbraccia un amico o un padre... No! Abbracciati nell'altra maniera, quella che lei non conosceva e che sapeva la penalizzava parecchio nel confronto con Camilla. E, tutto, le faceva provare vergogna!

Pensava quasi esclusivamente ad Andrea, invece che ricordare la mamma, o il papà, o Dalila. Ma non lo faceva apposta e se anche si sforzava di spostare i pensieri su qualcos'altro, l'immagine dei due ragazzi in costume, che si baciavano sulla sdraio, sul prato dei "Ginepri", tornava alla carica come una mandria di bisonti, spazzando via tutto il resto.

Avrebbe voluto parlarne con Laura; aveva bisogno di parlarne con Laura. In quel momento era la cosa più vicina a una mamma, o a una nonna, che aveva a disposizione. Ma non le piaceva, e sapeva di non piacere a lei. Era quasi certa che l'avrebbe presa male, come al solito.

«Marta è morta e tu pensi a quel ragazzo?» le avrebbe risposto.

Oppure: «È corso dietro solo alle sue grosse tette!»

Questo gliel'aveva detto veramente, dopo averle rifilato uno schiaffo.

Però era anche vero che non potevano continuare a ignorarsi in quel modo e discutere per ogni cosa. Laura era stata ingiusta con lei, ma anche lei si riconosceva degli sbagli.

Senza dubbio, baciarsi con Andrea, mentre Marta era prigioniera di Bito, per quanto fosse stato bello, non era stata una grande idea.

"Però ho undici anni! Mia mamma è morta, mio papà è morto, Dalila è morta... Non potrebbe chiudere un occhio?"

Anche Laura aveva subito delle perdite opprimenti e sicuramente stava soffrendo, ma...

"Ho undici anni!" si ripeté. "Lei, quanti? Settanta? Ottanta?"

Riteneva potesse essere in grado di gestire le emozioni meglio di lei.

"Sono un egoista, forse?"

La guardò di sfuggita; era tesa, concentrata sulla strada, ma era certa che sotto a quella fronte segnata dalle rughe, ci fossero pensieri che scorrevano, proprio come stava capitando a lei.

Marta? Giancarlo? Le sue figlie, i suoi nipotini...

All'istante sentì gli occhi gonfiarsi di lacrime. Si era mai soffermata a riflettere veramente su chi, quella donna, avesse perso?

"Le sue figlie, i suoi bambini, tutta la sua famiglia..."

Laura si girò a fissarla, mentre nella mente di Veronica erano già tornate le immagini di Andrea e Camilla, distesi, nudi...

«Che c'è? Perché piangi?»

Veronica era rimasta con lo sguardo su di lei, senza accorgersene, gli occhi pieni di lacrime, mentre Laura, con espressione dubbiosa, la guardava spingendo i suoi sul lato destro, mantenendo l'attenzione sulla guida.

«Ti puoi fermare?» chiese la ragazzina.

«Stai male?»

«No. Vorrei solo ti fermassi cinque minuti.»

Veronica si stava sforzando di addolcire la voce più che poteva, ma faticava tanto con il film delle performance sessuali tra il suo ragazzo e la rivale che scorreva, imperterrito, nelle sue fantasie.

«Per favore...» riuscì ad aggiungere.

Si chiedeva che viso le stesse mostrando. Impaziente e infastidito, in contrasto con il tono usato, rendendolo falso e sgradevole solo a sentirlo? O sofferente, supplichevole di un po' di conforto, quello che in realtà voleva da lei? Non lo sapeva. I tormenti di gelosia che stava patendo, sembravano avergli anestetizzato persino i nervi facciali.

Laura non pareva del tutto convinta, ma accostò, mettendo le quattro frecce. E mentre lo faceva, si chiese il perché non si fosse fermata in mezzo alla carreggiata, sgombra, deserta più di quel che pensava. Era certa che non avrebbero trovato traffico, ma sperava, quasi implorava di incrociare almeno un paio di auto. All'andata c'erano le bolle, ma adesso... Non sapeva se potesse centrare qualcosa, ma aveva sperato, con tutto il cuore. Invece doveva rassegnarsi alla brutta realtà, ormai consueta.

Spense il motore quasi con calcolata lentezza, come per rimandare più possibile il confronto che Veronica le stava chiedendo. Era in arrivo una nuova sfuriata? Che capricci aveva adesso quella ragazzina? Dubitava di poterla sopportare oltre, ma il suo visino, quegli occhi lacrimosi... le avevano suscitato tenerezza. E poi, doveva ammetterlo, era di una bellezza mozzafiato, capace di ammaliare anche una vecchia decrepita come lei.

«Ebbene?»

Impresse la solita freddezza alla sua figura ma, questa volta, senza naturalezza; se lo impose, come a voler mettere la bambina in guardia.

L'abbraccio di Veronica, irruento nello slancio, ma caldo e avvolgente nell'intensità, la colse del tutto impreparata, e mentre l'iniziale sorpresa cominciava a dissolversi, l'imbarazzo e un sottile senso di colpa ne presero il posto.

«Mi dispiace» sussurrò la piccola tra timidi singhiozzi.

«Per cosa?» Laura era colpita e vagamente sospettosa.

«Per non aver capito da subito quello che hai passato in questi giorni.»

Andrea e Camilla continuavano a pomiciare nella sua testa.

Laura tacque un momento.

«È stata dura per tutti. Maledizione! È dura! Ci siamo ancora tutti dentro fino al collo.»

«Ma nessuno ti ha mai chiesto come stavi o se avevi bisogno di conforto, io per prima.»

Con la testa sulla sua spalla della vecchia, Veronica fissava il poggiatesta, ma vedeva solamente le lingue dei due ragazzi avviluppate tra loro. Cercò di scacciare l'immagine chiudendo gli occhi, ma riuscì solo a immaginare Camilla staccarsi da Andrea, per un secondo, e fissarla con un sorriso malevolo.

«Sei una bella ruffiana, ragazzina!» diceva, rituffandosi nella bocca del ragazzo, che teneva una mano ben piantata su uno dei suoi seni.

Sentiva l'odore del sudore di Laura, delicato, ma appena pungente, adagiato su qualcosa di più profondo e più consistente, un altro odore che conosceva e risvegliava in lei vecchi ricordi delle sue nonne.

"L'odore della senilità." pensò, alzando la testa.

«Ti chiedo scusa.».

Laura pareva titubante. «Va bene, grazie, ma... dove vuoi arrivare?»

Ora Andrea si era posizionato alle spalle di Camilla e le teneva i seni stretti tra le mani, come fossero due palle, guardando verso di lei.

«È inutile, Vero. Non ci piace quella vecchia, eh?»

«Però continui a essere una bella ruffianella!»

Camilla rideva, beata.

«Un po' paraculo, se posso permettermi!»

Veronica era nel pallone più completo; avrebbe quasi desiderato che Andrea non l'avesse baciata vicino a quell'albero, scoperchiando, in quel modo così violento, i suoi sentimenti.

«Da nessuna parte!» rispose, cercando di non apparire offesa. «Volevo solo che sapessi che sei hai voglia di parlare della tua famiglia o di Marta... Insomma, siamo io e te. Dobbiamo sostenerci a vicenda, aiutarci, non litigare.»

Non riconosceva più la sua voce, e non sapeva nemmeno cosa stesse dicendo. Le parole uscivano da sole, senza controllo; tutte le sue facoltà mentali erano impegnate nel mostrargli quello che ancora considerava il suo ragazzo, fare le porcherie con quell'altra.

Laura piegò leggermente la testa, assumendo un'espressione di sincera perplessità.

«E c'era bisogno di fermarsi?»

Vide, come un lampo, un'ombra di rabbia passare sul viso della ragazzina, e si pentì subito della domanda.

«Ok, scusami. Grazie. Apprezzo il pensiero e ricambio. Se e quando hai bisogno di qualcosa...»

Veronica annuì e si rimise seduta nel suo posto. Laura riavviò il motore e partì.

«Ruffiana! Cosa aspetti a chiedere?» le rise in faccia Camilla.

Andrea continuava a toccarla e baciarla.

Veronica sapeva che nella realtà, due amanti nudi su un letto, non si sarebbero limitati a baci e carezze. Ma quella era la sua testa, le sue fantasie, limitate a ciò che conosceva. Sapeva come si faceva l'amore, a grandi linee, ma di fatto, non aveva mai visto nessuna immagine o nessun video in proposito.

Ma ciò che si immaginava, bastava a farla stare male.

«Lei è vecchia, è una bella signora, avrà avuto tanti uomini!» continuò Camilla. «Potrebbe consigliarti al meglio su cosa fare per riavere il tuo uomo!»

Veronica girò appena la testa verso Laura e aprì la bocca, richiudendola subito. Pensò a come esordire, a quali parole usare, ma era sicura che poi ne sarebbero uscite altre. Non era certa di essersi apparecchiata la tavola al meglio, e non voleva rischiare una nuova litigata.

Ma Andrea e Camilla continuavano e continuavano e continuavano, con una passione sempre più forte, mentre la sua gelosia cresceva a dismisura.

"Non è che a parlarne posso farli smettere, se veramente in questo momento stanno..." pensò.

Di nuovo intervenne Camilla, sdraiata sul letto ora, con Andrea sopra di lei che la baciava ovunque. «Lo sai che se ne parli poi stai meglio, dai!»

Di nuovo aprì la bocca e spinse con la gola, trattenendo all'ultimo la voce dentro. Laura pareva non accorgersi del tormento della sua compagna di viaggio, intenta a macinare chilometri.

"Forse è meglio aspettare un po'..."

Si girò verso il finestrino con il gomito sulla gamba e la mano sulla bocca, chiusa a pugno, e si mise a fissare il paesaggio.

Camilla rideva e gemeva, gemeva, e rideva. «Ruffiana! E anche vigliacca!»


La vera Camilla, in quello stesso momento, non stava ridendo per nulla.

Risaliti in macchina, si misero ad aspettare Miles, che ancora non si vedeva spuntare da nessuna delle case vicine. Si erano dati mezz'ora di "pausa" per cercare cibo, espletare i propri bisogni, riposarsi e rilassarsi, ma di minuti ne erano già trascorsi trentacinque.

Non era tanto il tempo il problema, anche se aveva voglia di ripartire prima possibile, e questa volta non fare più soste fino alla meta. Ciò che la preoccupava maggiormente era Miles stesso.

Prima di fermarsi aveva avuto altri pensieri più urgenti: fare la pipì, sgranchirsi le gambe, rinfrescarsi e assicurarsi di stringere un altro pochino il laccio intorno ad Andrea, ed erano stati tutti pensieri talmente urgenti da riuscire a tenere sottochiave qualsiasi altra questione. Ora, però, aveva sgombrato il campo, almeno per un po', e reputava fosse essenziale riflettere su quel tizio.

La tentazione più forte era di mollarlo lì, ma non era una decisione facile da prendere, e certo non da sola.

«Se ce ne andassimo?» buttò lì ad Andrea, continuando però a fissare con attenzione la fila di abitazioni davanti.

Non ci fu alcuna risposta.

Spostò lo sguardo sul ragazzo: era voltato, e fissava la madre, lisciandosi il mento ancora imberbe con due dita.

«Pronto?» incalzò lei.

Andrea sembrò destarsi all'improvviso. «Eh? Hai detto qualcosa?»

«Buonanotte! Ho detto: e se ce ne andassimo?»

Lui la fissò come se non capisse la sua lingua.

«Vuoi andare? Adesso? E Miles?»

Camilla alzò gli occhi al cielo. «Oh, buon Dio! Intendo andare via, certo! Senza di lui. Ma cos'hai?»

Andrea si appoggiò allo schienale.

Era evidente che fosse teso, più del solito.

«Sono loro.» Indicò dietro col pollice. «Sono catatonici, Cami. Li vedi anche tu. Non parlano, non reagiscono, non mangiano, non bevono... Non fanno nulla di nulla. Sono preoccupato per mia mamma. A Ozzano aveva dato qualche segnale, ma poi è come... regredita.»

Lei gli posò una mano sulla coscia. «Per questo dobbiamo arrivare prima possibile in quella villa. Forse quel Franco può fare qualcosa, non credi?»

«Lo spero. Ma... vorresti mollare qui Miles? Sai, io non credo sia Ismel. Dai, pensaci. Sarebbe assurdo. Colui che ha distrutto Bologna usando la nostra torre, che ha interrotto ogni comunicazione al mondo, che si è professato come onnipotente e padrone di tutto e di tutti... viaggia su una Polo con due ragazzi e altri due che non sanno nemmeno di esistere?»

«Sembra assurdo, è vero. Ma Ismel mi ha parlato tutta mattina, e mi ha indotto a fare... quello che stavo per fare.»

Abbassò il capo, provando potenti fitte di vergogna.

«E quando ho stretto la mano a Miles... non lo so, ma ho sentito qualcosa.»

Andrea strinse gli occhi. «Cos'hai sentito?»

«Non so spiegartelo, ma ho subito pensato fosse lui.»

«E se ti sbagliassi? Abbandoneremmo una persona qui, sola, in mezzo al caldo, alla gente morta...»

Camilla sospirò. «E se ho ragione? Portiamo il nemico in quella che potrebbe essere la base della resistenza?»

Le scappò un risolino che assomigliava più a un piccolo grido.

Andrea aggrottò la fronte.

«Scusa. Mi fa ridere pensare a noi come la "Resistenza".»

Accompagnò la parola facendo il segno delle virgolette con l'indice e il medio di entrambe le mani.

«Come nei film. Hai presente? Comunque, hai capito cosa intendo?»

«Certo che capisco! Non sono tonto. Ma penso che se lui è Ismel, dubito si lasci abbandonare tanto facilmente. Diciamo che, se lui è lui, siamo in trappola da quando l'abbiamo incontrato.»

«Quindi che facciamo?» chiese lei.

Vide Andrea girare la testa. «Ormai più niente. Eccolo che sta arrivando.»

«Cazzo!»

«Senti... Cerchiamo di tenerlo d'occhio, poi... non so, improvviseremo.»

«Scusate il ritardo» disse Miles, aprendo lo sportello e buttandosi dentro.

Era rosso in viso e sembrava ansimante.

«Ho esplorato un po' di case, ma non ho trovato nulla di commestibile. Voi, invece? Siete riusciti a farli andare in bagno?»

Camilla si girò e mise in moto l'auto. «No! Sembra che la bolla abbia chiuso i loro tubi.»

«Però abbiamo trovato qualcosa da mangiare. Qualche biscotto, una confezione aperta di pane e delle fette biscottate. E acqua. Niente di più.»

«Sempre meglio che niente!» rispose Miles, che pareva molto più allegro di quando si erano lasciati.


Si erano rimessi in strada da nemmeno dieci minuti quando Andrea vide qualcosa nel cielo, provenire dalla sua destra.

«Oh, mio Dio! È un aereo? Non è possibile! Guardate.»

Camilla fermò la Polo e si sporse dalla sua parte.

«Hai ragione!» disse Miles.

«Come può essere? Chi è che lo guida?»

«Non è un aereo. Merda!»

La ragazza scese, girò davanti al cofano e si fermò a fianco lo sportello di Andrea, schermandosi la fronte con la mano.

Il punto si era ingrandito molto velocemente e con esso anche la scia che lasciava.

Andrea capì al volo e aprì la portiera.

«Camilla! Torna dentro, presto!»

«Se ne erano andate tutte! Non capisco...»

Lui la tirava per il braccio, ma quando lei si voltò per tornare indietro, la sentinella era ormai sopra di loro.

Rallentò di colpo, si mise in posizione verticale, e planò in piedi davanti alla macchina, a meno di tre metri da Camilla.

Lei si fermò appoggiandosi al cofano, mentre Andrea, rimasto metà dentro, metà fuori, era impietrito dalla sorpresa e dal terrore.

«CAMILLA!» gridò, proprio mentre l'uomo viola cominciò ad avanzare verso di lei, accompagnato dal clangore metallico dei piedi e dal suo sorriso senza vita.

(continua)

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