40 - MILES (1)
La Polo si arrestò davanti a un gruppo di case, proprio all'ingresso del piccolo paesino che avevano appena raggiunto.
Al contrario di Veronica e Laura, gli altri viaggiatori avevano deciso (o, per meglio dire, l'aveva deciso Camilla) di evitare l'autostrada e i sicuri sbarramenti che avrebbero potuto trovare, seguendo, senza saperlo, la stessa strategia decisa da Alessandro Gallo il giorno prima.
«Ma la strada la sai, almeno?»
Andrea fissava il foglietto con l'indirizzo della villa scritto da Alberto, la villa dove l'assistente di quel vecchio di cui avevano tanto parlato, in teoria, li stava aspettando, mentre ascoltava la ragazza esporre le sue intenzioni di viaggio.
Camilla l'aveva guardato di sfuggita. Era molto concentrata, e anche un po' tesa; era il primo giorno della sua vita in cui guidava in piena autonomia un'auto, e per così tanto tempo.
«Sì!» aveva risposto, con la voce incrinata dall'emozione. «Con i miei genitori andavo a sciare tutti gli anni in una località lì vicino.»
Si era grattata l'occhio sinistro, eliminando un piccolo accenno di lacrima.
«Un paio di volte è successo che in autostrada abbiamo trovato molta fila, così papà decideva di fare la strada normale. Sai quel che si dice: "Se non guido, non guardo la strada!" Beh... per fortuna, io non sono mai stata così. Sono sempre stata molto attenta.»
Aveva bevuto una sorsata d'acqua da una delle bottiglie portate dai "Ginepri".
«So arrivare al paese, ma la via della villa non la conosco. Quando saremo là, vedremo di trovarla.»
Andrea aveva sorriso e annuito. Era molto sorpreso dalla versione "pilota" della sua Camilla, e non riusciva a smettere di guardarla, cercando di non farsi notare troppo; si era legata i capelli in una piccola coda, e l'espressione impegnata che teneva pressoché costantemente, unita alla postura di guida, le donava un'aria più matura e più ingenua allo stesso tempo; era molto sexy, almeno per lui, più del solito.
Nella sua testa era già più volte guizzato il pensiero di continuare a "vedersi" come semplici amanti (magari senza che lei lo pensasse del tutto!), visto come fosse ormai evidente che il suo cuore era del tutto e senza dubbio nelle mani di Veronica; ogni volta che il pensiero faceva capolino lo respingeva con veemenza, ma si rendeva conto, in realtà, di quanto l'idea lo solleticasse. Non voleva rinunciare a Camilla così a cuor leggero, e l'aveva capito soprattutto nelle ultime ore. Forse l'aveva sempre saputo, ma non aveva mai voluto ammetterlo sul serio. Era innamorato di Veronica, ma desiderava Camilla. Sentiva come una scissione dentro di lui: a una desiderava dare il cuore, ma all'altra... beh, qualcosa di diverso. Continuava a pensare ai loro incontri, a come lei lo toccava, lo baciava e a come gli donava il suo corpo, nudo e formoso, senza alcuna vergogna, facendogli provare tutti i piaceri del sesso che lui godeva per la prima volta. Aveva scoperto di essere bravo e i gemiti di lei glielo confermavano. Si sentiva come un vulcano rimasto inattivo, e fatto eruttare all'improvviso da una potente scossa sismica, incapace ora di smettere di buttare fuori lava.
Con Veronica avrebbe fatto senz'altro esperienze diverse, ma soprattutto avrebbe dovuto aspettare: era ancora acerba, inesperta, forse non pronta, nonostante dimostrasse una grinta fuori dal comune pressoché in ogni cosa, e fosse alquanto sbarazzina. Quando il suo viso si stampava nella sua testa, sentiva il cuore battere all'impazzata, e moriva dalla voglia di prenderla per la mano, portarla in un prato e sdraiarsi con lei, baciarla, guardarla negli occhi, nascondere le dita nei suoi meravigliosi capelli e baciarla di nuovo. Risentiva in bocca la morbidezza della sua lingua, le narici si riempivano del suo odore, e ogni volta si convinceva di più di quanto l'amasse. Di quanto fosse lei la ragazza giusta.
Ma quando lo sguardo ruzzolava su Camilla, e in quei momenti succedeva spesso, sentiva muoversi qualcosa in mezzo alle gambe. La desiderava di continuo; la desiderava quasi come se non la potesse avere, come se le stesse sfuggendo dalle dita, solo per colpa sua. Ma era ben consapevole che, a ogni suo piccolo cenno, lei sarebbe corsa da lui, e questo rendeva il tutto ancora più eccitante. Tutti gli ormoni dei suoi sedici anni, sembravano impazziti come non erano mai stati, nemmeno la sera in cui lei gli aveva sbattuto le tette in faccia per la prima volta.
"Ed è sbagliato? Cazzo, se non ne approfittiamo alla nostra età!"
Una parte di lui avrebbe desiderato che nei tre sedili didietro non ci fosse nessuno, né Miles, né Riccardo e, anche se il solo pensiero lo faceva vergognare, nemmeno sua mamma, solo per poter allungare la mano sul seno destro della ragazza, e accarezzarlo con dolcezza. Nella sua testa vedeva mentre lo faceva, mentre lei ricambiava, con la mano non più posata sulla leva del cambio. Magari avrebbe accostato la macchina, si sarebbe chinata su di lui e...
L'immagine era talmente viva, talmente eccitante, che per un attimo aveva creduto che stesse realmente accadendo. Aveva sbattuto più volte le palpebre.
"Non fare il cretino!" si era detto. Era tutto come prima: lei stava guidando, Miles fissava il paesaggio, sua mamma e Riccardo vagavano tra le loro ombre, e lui divideva lo sguardo tra la strada e Camilla. Tutto uguale.
A parte in mezzo alle sue gambe, dove si era gonfiata una delle erezioni più grosse che gli fosse mai venuta.
«Che succede? Perché ci fermiamo?»
Camilla scoccò uno sguardo torvo a Miles, poi distese le labbra in un sorriso forzato.
«Devo fare una sosta. Guido ormai da due ore e non è che sia così abituata. Ho bisogno di andare in bagno, voglio cercare qualcosa da mettere sotto i denti e voglio riposarmi una mezzoretta.»
«Sì, ci sta. Anch'io ho bisogno della toilette» disse Andrea, inarcando la schiena per stiracchiarsi. Si girò.
«Mamma, devi andare in bagno?»
Lina si limitò a fissarlo; non batteva nemmeno quasi le palpebre.
Aveva dato timidissime speranze di ripresa quando erano ancora a Ozzano, ma in quelle due ore di viaggio, qualsiasi sparuto spiraglio di sole stesse provando a farsi largo dentro di lei, era stato prontamente oscurato. Era abulica, proprio come il suo collega Riccardo.
«Non te lo dicono se devono andare in bagno. Non dicono nulla, come avrai notato. Adesso che ci penso... sto con loro da stamattina, ma non hanno mai fatto pipì, né altro. Buffo, no?»
Camilla, già scesa, si affacciò al finestrino, vicino a Riccardo.
«No! Non è per niente buffo!»
Aprì lo sportello e aiutò il padre di Veronica a scendere. Provava molta pena per lui, tanto quanto disprezzava la figlioletta.
«Vieni, Riccardo.»
«Dove lo porti?» chiese Andrea, in piedi dall'altra parte.
«Io, da nessuna parte. Tu, invece, devi provare a fargli fare pipì. Io farò lo stesso con tua mamma. Hanno bevuto qualcosa in queste due ore?»
Andrea non ci aveva fatto caso, ma ora che ci pensava... No! Oltre a non parlare, non bevevano, non mangiavano e, a quanto pareva, non avevano bisogni fisiologici. Camilla continuò.
«È tua mamma, Andy! Devi starci dietro, devi pensare tu a lei. Non dovrei dirtelo io...»
Andrea rimase allibito. Non aveva più davanti la Camilla con cui aveva fatto sesso più volte, la ragazza che gemeva sopra di lui guardandolo fisso negli occhi e che aveva pianto come una bambina quando aveva scoperto che lui amava un'altra; non scorgeva nemmeno la brutta versione con un fucile in mano o quella impegnata a guidare, sebbene senza patente. In quel momento riusciva a vedere solo una donna, severa, che sgridava un bambino che non aveva fatto i suoi compiti. E mai come in quel momento percepì la differenza di maturità tra loro due ma, in generale, tra maschi e femmine. Era così, c'era poco da dire! Lei s'era preso il gravoso impegno di guidare, aveva deciso la strada da percorrere, si accorgeva dei bisogni degli altri...
"Io invece penso solo a scopare! Ho ritrovato mia mamma, ed è praticamente un fantasma, e il mio unico pensiero è di toccare le tette di Camilla!"
Si vergognava e fece fatica a sostenere lo sguardo della ragazza, continuando a desiderarla, forse ancora di più.
«Hai ragione! Li porto io. Tu vai pure a fare le tue cose.»
«Lascia stare. Andiamo insieme. Dobbiamo andare tutti in bagno, tanto. Tu, Miles?»
«Sì?» Anche lui era sceso e stava aiutando Lina.
Due file di rughe comparvero sulla fronte di Camilla. «Ti scappa? Hai fame? Qualcosa...»
«Oh, non preoccupatevi per me. Forse è meglio dividersi. Se voi andate in questa,» indicava la casa davanti alla quale erano fermi, «io provo a cercare cibo nelle altre. Se volete li porto con me e provo a farli bere e farli andare in bagno.»
Camilla aprì la bocca, ma la richiuse subito. Lo guardò un secondo.
«No. Ci pensiamo noi. Tu cerca da mangiare» disse, poi. «Ci ritroviamo qui tra mezz'ora.»
Miles fece un cenno affermativo e si avviò.
«Che ne pensi di Miles?» chiese la ragazza ad Andrea, mentre teneva la bottiglia d'acqua davanti agli occhi di Riccardo.
«Non mi piace! Ho la sensazione che ci nasconda qualcosa.»
Camilla svitò il tappo e appoggiò la plastica sulle labbra dell'uomo che continuava a guardare il nulla davanti a sé.
«È Ismel, in realtà.»
Aveva lo sguardo molto serio. «E quasi sicuramente tua mamma e il signore qui che non vuole bere, li ha risvegliati lui.»
Aveva inclinato la bottiglia, e il rivolo d'acqua che era uscito stava scivolando giù per il mento di Riccardo.
Andrea teneva per le spalle la madre e sbiancò alle parole di Camilla. «Ne sei sicura? Come può essere lui?»
Lei stava fissando sconsolata la piccola pozza d'acqua formatasi tra i piedi di Riccardo; poi passò la bottiglia ad Andrea.
«Prova a farla bere.»
Sospirò, alzando le spalle. «Quasi sicura. Non ne ho la certezza assoluta, ma penso proprio sia lui.»
Andrea avvicinò la bottiglia alla bocca di Lina, ma anche lei non ebbe nessuna reazione. «Cosa te lo fa credere?»
Gli occhi di Camilla luccicarono e lui fu certo di vedervi dentro un lampo di terrore.
«Entriamo, dai» disse lei, distogliendo subito lo sguardo.
Recuperò un'altra bottiglia d'acqua e si avviò verso il grosso buco che c'era al posto dell'ingresso della casa, tenendo per mano Riccardo che si lasciava trasportare come un cane al guinzaglio.
Ismel sentì il bisogno di starsene un po' per conto proprio, solo quando l'auto si arrestò.
Non stava dormendo, per il semplice fatto che il sonno, come la fame e la sete, non gli appartenevano; erano solo grette bassezze dell'umanità, tipiche di un'esistenza debole, precaria, bisognosa di ricaricarsi ciclicamente, attraverso il "riposo" o l'"alimentazione". Loro morivano senza tutto questo. Lui no! Lui veleggiava su altri livelli!
Eppure, la leggera spinta in avanti provocata dalla dolce frenata, l'aveva colto di sorpresa mentre era... dove? Il suo corpo, nell'auto ma, la mente? Non lo sapeva, e la cosa era preoccupante. Come se, a un certo punto del viaggio, un qualcosa di simile alla nebbia fosse calato sui suoi pensieri, sui suoi sensi, intorpidendoli, addirittura quasi spegnendoli.
Ricordava la discussione intercorsa tra Camilla e Andrea sulla strada da fare, poi avevano parlato d'altro, qualcosa che non aveva attecchito dentro di lui, beato a fissare il paesaggio scappare via, fuori dal finestrino. Non ne era del tutto sicuro, ma tutto questo assomigliava proprio al dormire.
L'oscillamento involontario del suo corpo l'aveva... svegliato, quindi? La domanda era apparsa nella sua testa d'improvviso e incombeva su di lui come un cielo nero carico di pioggia.
Raggiunse a passo veloce, quasi di corsa, la casa più vicina e s'infilò nell'apertura provocata da una delle sue sentinelle; si guardò intorno per un momento, poi salì le scale a due gradini alla volta, gettandosi nella prima stanza a destra, chiudendosi la porta alle spalle e rannicchiandosi in un angolo. Stava tremando e percepiva qualcosa negli occhi, qualcosa di pesante che bruciava.
«Che mi succede?» disse, a voce alta.
Si sentiva stanco, preoccupato, forse impaurito.
«Sto diventando come loro? Mi sto trasformando in un umano?»
Nemmeno lui sapeva bene a chi stesse rivolgendo la domanda, ma la solita voce, sempre presente, rispose.
"Non proprio trasformare."
«Cosa vuoi dire?»
"Hai assorbito la loro energia e di conseguenza anche alcuni dei loro aspetti."
«No! Non voglio niente di loro. Non mi va bene questa cosa.»
"Non puoi farci nulla."
Si alzò in piedi, di scatto, e andò alla finestra; da lì vedeva un grande prato, racchiuso, oltre che dalle case davanti alle quali si erano fermati, da una serie di altri palazzi e villette. Tutta l'area del parco era ricoperta di corpi inanimati e sdraiati. Ismel sorrise, suo malgrado.
«Ecco qual è il loro posto. E qual è il mio. Loro laggiù morti, io quassù a guardarli. Non voglio assomigliare in niente a loro.»
"A livello estetico però, sei come loro."
«Smettila! Ho questo aspetto solo per ingannarli e per ottenere ciò che voglio. Io sono il più forte di tutti!»
Tornò alla porta, l'aprì e stette a guardare la scala che scendeva da basso.
"Sarai il più forte, ma intanto hai lasciato le due marionette con loro. Hai lasciato decidere la ragazza, la stessa che pensavi di controllare."
Ismel cominciò a camminare furiosamente nel corridoio, avanti e indietro.
«E cosa possono fare? Non riusciranno mai a riportarli come erano prima.»
"Ne sei sicuro?"
Si fermò e batté il pugno sul muro.
«Ora basta! Comando io qui!»
"Non ti arrabbiare. Voglio solo..."
«Ho detto basta! Continuerò questa farsa fino a quella villa, ma se il tuo piano non funziona, farò a modo mio. Io non ho paura di quella ragazzina!»
"Solo perché non l'hai mai incontrata."
Per un attimo tacquero entrambi, poi la voce riparlò.
"Questo non è il mio piano. È il tuo! O nostro, se ti fa sentire meglio."
«Mi hai detto che tu sei la parte di energia che ho assorbito quaggiù. Non era vero?»
"Certo che è vero, ma non ho mai detto che sono indipendente da te. La voce che senti è la tua, ciò che dico è un prodotto della tua mente. Solo che non riesci ancora a riconoscerlo, tutto qua."
«Allora perché voglio affrontare la ragazzina, mentre tu, invece, mi fermi?»
"Perché non puoi affrontarla, e lo sai bene anche tu. La tua parte razionale, cioè io, va in contrasto con quella più istintiva. Riesci a capire? Devi conciliare le due cose, devi imparare ad ascoltarci entrambi."
«Imparare? Io sono qui per distruggere e conquistare, non per imparare.»
"Se ragioni così, perderai. E verrai distrutto."
Ismel si sedette sul primo gradino.
«È la prima volta che mi fai questi discorsi? Perché?»
"Non eri pronto a formularli, e di conseguenza, ad ascoltarli."
Si sentiva più calmo, ora, e forse rinvigorito.
«Che facciamo, allora?»
"Continua ad assecondarli. Ma, attento! La ragazza sospetta di te, e al ragazzo non piaci. Devi conquistare la loro fiducia, fare in modo di arrivare senza intoppi dove vogliono arrivare, e intanto addestrare i due burattini, farli rimanere tuoi, dalla tua parte. Non devi lasciarli più soli con loro; la ragazza non si fida e per questo ha fatto in modo che non venissero con te. Temo che voglia allontanarti, e sai bene che il ragazzo farà tutto quello che dice lei. È un debole."
«Allora li uccido! Raggiungo la casa di quel vecchio, aspetto che arrivino tutti e li distruggo.»
"Continui a non capire! Non puoi affrontare coloro che detengono il potere di tua sorella. E non puoi nemmeno arrivare alla villa solo con le due marionette. Desteresti sospetti. Sarebbe rischioso, e non possiamo correre rischi! I due ragazzi ti servono, e ti servono dalla tua parte."
«Funzionerà?»
"Il padre si avvicinerà alla ragazzina, perché lei lo farà avvicinare. Piangerà, sarà vulnerabile e lui potrà ucciderla. E lo stesso la donna con l'omone. È un piano talmente semplice e ovvio... Come puoi non vederlo?"
Ismel si prese la testa tra le mani. Sentiva confusione, tanta confusione, e la fievole sensazione di vigoria si era già spenta.
«Come posso fare a convincerli a fidarsi di me?»
Ebbe la sensazione di qualcuno che ridesse dentro di lui.
"Sai già la risposta!"
La voce parlò, esponendo il piano già germogliato nella testa di Ismel.
Si alzò sorridendo, tornò nella stanza e si sporse dalla finestra, per assicurarsi che nessuno stesse guardando. Oltre alla distesa degli umani immobili, non c'era nessun altro.
I suoi compagni di viaggio erano nella casa a fianco, intenti a badare a quelle due mummie e a cercare del cibo.
"Schizza in alto, così saremo certi che non ci vedono."
Ismel annuì a sé stesso, salendo sul cornicione della finestra.
Spiccò il volo e, in un baleno, sparì.
«È inutile, Andy. Sembra che la bolla li abbia svuotati del tutto, anche dalla voglia di mangiare, bere e, a quanto pare, andare in bagno.»
Camilla era uscita dal bagno, spingendo Lina; Andrea aveva già provato, inutilmente, con Riccardo.
«Ma moriranno se non mangiano e non bevono!»
Andrea aveva un accenno di lacrime agli occhi.
«Non voglio perderla di nuovo. L'ho appena ritrovata.»
Si era seduto sul pavimento, a gambe incrociate, tenendo la testa bassa. Ora piangeva sul serio.
Nella sua testa navigavano due pensieri: il desiderio che sua mamma non fosse stata sull'auto, per poter stare solo con Camilla; e la ragazza che lo rimproverava di non pensare abbastanza a lei. Si sentiva piccolo in quel momento, un bambino troppo cresciuto che non era ancora in grado di fare l'uomo, sebbene credesse già di esserlo. Camilla si avvicinò e si chinò, abbracciandolo e carezzandogli la testa. Andrea sentì all'istante l'eccitazione montare e, di nuovo, si vergognò.
«Dai, su! Hanno bisogno di tempo. In qualche maniera li faremo mangiare, vedrai. Ora, stai con loro un secondo. Devo fare pipì.»
Impiegò cinque minuti.
«Che voglia avrei di farmi una doccia!» disse, quando uscì.
«Potremmo farla. Se usiamo anche le altre bottiglie... Tanto di quelle ne troviamo in giro.»
«Voglio fare una doccia vera. Mi tengo la voglia, per quando potremo. Se devi andare in bagno anche tu, vai. Ti ho lasciato la bottiglia e il sapone sul bidet. Almeno, lavarsi sotto è piacevole.»
Andrea annuì, accorgendosi del bisogno impellente che aveva pure lui di liberare la vescica.
Il bagno era pulito e profumato, segno di cura di chi aveva abitato in quella casa. C'erano alcuni piccoli giochi di gomma sul bordo della vasca e le lacrime, appena stoppate ma ancora vive alla base degli occhi di Andrea, ripresero a fluire lente e amare, pensando alla famiglia che aveva vissuto tra quelle pareti, felice e serena, ora immobile, inerme da qualche parte, sotto i raggi infuocati del sole.
Quando uscì dal bagno, non c'era nessuno.
«Camilla?» Un leggero panico invase il suo cuore.
«Sono su.»
Era in piedi, in cima alle scale.
«Dove siete?» chiese Andrea. «Non ripartiamo?»
«Voglio rilassarmi dieci minuti prima di rimettermi a guidare. Vieni.»
Sembrava un ordine più che una richiesta, ma il ragazzo obbedì. Si sentiva stordito, confuso; salì le scale quasi senza accorgersene, come se una forza invisibile lo spingesse da dietro. Gli girava la testa, e si ritrovò al piano di sopra inebetito.
«Dov'è la mamma? E Riccardo?»
«Tranquillo!» Camilla sorrise. «Li ho messi in quella stanza. Solo dieci minuti, Andy.»
«Per... cosa?»
Credeva d'aver capito, ma non era sicuro fosse il momento più adatto.
Lei gli prese la mano ed entrò nella stanza di fronte; lui la seguì, senza opporre resistenza. Nonostante la situazione, i rimorsi, i pensieri, i suoi ipotetici propositi, aveva una voglia disperata di lei.
Si fermarono a fianco del letto, poi Camilla si voltò e lo baciò, spingendo il suo corpo contro la sua erezione. Si staccarono e lei si levò la maglietta.
«Sei sicura sia una buona idea?»
«Oh, sì. Buonissima» rispose, sfilando la sua.
Si appiattì contro di lui, baciandolo di nuovo. Andrea sentiva la pressione dei suoi enormi seni sul petto e temeva sul serio che i pantaloncini gli scoppiassero da un momento all'altro.
Camilla si allontanò, calandosi gli short e le mutandine; poi, con addosso solo le scarpe, si sedette sul letto, appoggiata sui gomiti e allargando le gambe.
«Siamo sporchi e puzziamo. Fai subito! Però sbrigati a entrare che non resisto più. Ti voglio, Andy! Ti voglio come non ti ho mai voluto...»
Solo per un attimo il viso di Veronica fluttuò davanti agli occhi del ragazzo in tutta la sua meravigliosa tristezza, per quello che lui le stava facendo alle spalle. Ma era un'immagine eterea, evanescente, e la visione della vagina di Camilla, circondata da una sottile peluria, aperta, invitante, irresistibile e reale, fece dissolvere la visione come una nuvola di fumo in una folata di vento.
Si sfilò i pantaloni e i boxer.
«Come sei eccitato, amore mio!» sussurrò lei.
La penetrò e cominciarono a gemere insieme, e insieme, dopo forse nemmeno un minuto, raggiunsero l'orgasmo più forte della loro breve relazione, quasi gridando.
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