38 - CONSAPEVOLEZZA (1)
«Dove si arriva da qui?»
Franco Trudi indicava l'uscita nella parete di fronte al bagno, mentre i cinghiali continuavano furiosamente a raspare e sbattere contro la porta bloccata; Gabi abbaiava, Mario le urlava di smettere, Cata piangeva, Ando la consolava.
"Cata e Ando". Anche loro guariti da Nicolas.
Mentre cercava una via d'uscita, Franco si sforzava di ricordare se li avesse già incontrati, o solo sentiti. Non era nemmeno del tutto convinto d'aver compreso bene quello che la donna aveva detto; o forse sì, ma era talmente incredulo da dover decidere se crederci o meno.
"E perché mai dovrebbe mentire?" si chiese, mentre continuava a tormentare i suoi neuroni, alla ricerca di informazioni su quelle due persone. E non era facile, perché nel frattempo doveva pensare a un modo di salvare le chiappe. Il divano e il tavolino opponevano una buona difesa, la porta sembrava reggere agli urti impetuosi degli animali, ma per quanto ancora avrebbero resistito?
«S'esce!» rispose Mario che aveva portato Gabi lì con loro e l'accarezzava per calmarla. Era terrorizzata, e lo fu ancor di più appena rivide Franco.
«Siamo sotto al ristorante. Si passa dalla lavanderia, poi c'è un sentiero che costeggia tutto il camping fino alle scale per arrivà giù a Scaglieri.»
Franco fissava il cane che guaiva e si nascondeva dietro al suo padrone. «Allora passeremo da lì.»
«Ehi! One moment, please!»
Ando sollevò lo sguardo mentre abbracciava la moglie tremante.
«Forse dovremmo parlarne, prima. I sentieri sono più stretti della strada. Figa di biscia! Se incrociamo le altre bestie del camping, e questi ci inseguono... saremmo in trappola.»
"Possibile non riesca a ricordarmeli?" continuava a pensare Franco, mentre lo ascoltava. Se anche loro erano stati guariti, perché gli parevano due sconosciuti?
"Sono passati più di vent'anni... Come puoi ricordarteli?"
«Non abbiamo né tempo per discutere, né alternative!» rispose Mario, stoppando per un attimo i complicati tentativi di Franco nel ricercare informazioni all'interno degli archivi che aveva nella testa.
La parte inferiore della porta emise un sonoro scricchiolio, e un pezzo di legno si staccò. La punta del muso di un cinghiale spuntò sotto il tavolino. Franco, che si trovava sul lato destro della barricata, s'aspettava da un momento all'altro di vedere gli occhi della bestia scrutare dentro, come fosse una bizzarra parodia animalesca di "Shining".
«Io me ne vado. Preferisco morire provandoci che restando qui, immobile!» e si tuffò verso l'uscita.
Mario recuperò al volo il guinzaglio, lo attaccò al collare di Gabi, se lo arrotolò nella mano e si voltò verso Ando e Cata.
«Non fate gli scemi, su. Venite!» e seguì Franco, vincendo l'iniziale ritrosia del cane.
Un altro schiocco risuonò nella stanza e Cata urlò. I cinghiali avevano quasi divelto del tutto la parte bassa della porta e ora potevano inserire del tutto la testa.
«Via, amore! Andiamo via di qua!»
«Sei sicura? Potrebbe voler dire morire...»
Lo schiaffeggiò, si alzò e quando anche lui si tirò su, visibilmente stupito, lo abbracciò.
«Ti amo! Ti amo da impazzire. Portami via da qui, ti prego.»
Ando annuì e, di corsa, infilarono l'uscita.
"Non c'è mai stato il "Ritrovo dei guariti" o, se c'è stato, non ci hanno mai invitato!"
Franco correva e pensava, pensava e correva.
Il sentiero era tutto diritto, ed era impossibile sbagliare direzione. L'adrenalina era a mille. La caviglia pulsava, ma più ci correva sopra, più il dolore s'attenuava; era un buon segno. Il ginocchio non faceva male. Non sapeva se davanti a loro ci potessero essere cinghiali in agguato, e nemmeno se quelli entrati nel ristorante li stessero seguendo. A dire il vero non ci stava pensando. La sua mente era del tutto concentrata sulla clamorosa rivelazione di Cata e sul fatto che non se li ricordasse.
Lui e Beatrix avevano scelto di non parlare del periodo buio delle loro vite e, se possibile, dimenticarlo; fin dall'inizio avevano ripudiato il codazzo di popolarità, sgradito e fastidioso, che i media volevano appiccicare addosso ai guariti e, dal quale, entrambi erano subito fuggiti. Lui stesso, prima dell'incontro con Nicolas, seguiva la faccenda con distaccato interesse; la sua mente era giustamente distratta dalla morte ormai prossima che l'attendeva e non si faceva coinvolgere da nient'altro. Poi, era arrivata lei, l'amore della sua vita. Di fatto Beatrix gli aveva salvato la vita, l'aveva fatto rinascere, gli aveva dato nuove speranze; ed era stato grazie a lei che quel giorno avevano incontrato Nicolas, in quel parco di Bologna.
"Ando e Cata..."
Non erano i loro veri nomi, ovvio che non se li ricordasse.
"Cazzo! Perché non gliel'ho chiesti?"
Alla sua sinistra il sentiero veniva intersecato da un altro d'uguale larghezza. Franco quasi non lo notò, proseguì diritto, si voltò e vide Mario, qualche metro dietro di lui, col cane a fianco. L'animale sembrava aver scordato, per il momento, le paure che lui gli suscitava.
"Anche questo sarà d'approfondire!"
Dietro a loro c'era la coppia che stava impegnando quasi la totalità delle sue capacità mnemoniche; alla fine s'erano decisi.
"Che fatica però, ragazzi! Quell'Ando vuol far sempre quello che gli pare!"
Stava per rigirarsi in avanti quando, dal sentiero appena passato, sbucò grugnendo un grosso cinghiale. Urtò con violenza Mario sul fianco, scagliandolo contro lo scarno parapetto di legno che separava lo stradino dal pendio, quasi verticale, che finiva nel più piccolo e secondario parcheggio del camping. Era un salto di circa quindici, venti metri. L'asse che faceva da balaustra si spezzò con un colpo secco e Mario, emettendo un urlo strozzato precipitò di sotto, trascinandosi dietro anche il cane.
«MARIO! NOOO!» strillò Franco, all'unisono con Cata e Ando.
L'urlo dell'uomo si mescolò con il guaito disperato di Gabi, ed entrambi i suoni s'interruppero di colpo quando sbatterono sul terreno del parcheggio, in mezzo alla ghiaia, alzando una nuvola di polvere che, per qualche secondo, coprì la vista dello strazio dei loro corpi senza vita.
«CAZZO! CAZZO!» gridò Ando.
L'enorme cinghiale (Franco si chiedeva se fosse quello che stava per dilaniarlo, prima che Mario gli salvasse la vita), si voltò verso l'uomo e la donna, sbuffando famelico, e raspando le piastrelle con la zampa.
Ando arretrò, mentre Cata si era appoggiata alla balaustra con le mani sulla bocca, guardando la bestia con occhi terrorizzati.
Franco era impietrito, incapace di decidere su cosa fare.
Per una frazione di secondo non credette ai propri occhi, vedendo Ando voltarsi e fuggire nella direzione dalla quale erano venuti, abbandonando, di fatto, la moglie.
"Non ci posso credere! Che merda d'uomo! Che vigliacco!"
Ma lo vide fare solo pochi metri. Da quella direzione stavano arrivando altri tre cinghiali, di sicuro quelli che avevano cercato di sfondare la porta della casa di Mario, a quanto pare, con successo.
Ando s'arrestò e tornò indietro lentamente, camminando come un gambero codardo, con le mani protese in avanti. Passò a fianco della moglie che lo fissava con l'espressione più penosa che Franco avesse mai visto negli occhi di una persona, due occhi ancora carichi di terrore a cui si era mescolata incredulità, delusione e un piccolo focolaio di rabbia che poteva esplodere, da un momento all'altro, in un incendio.
«M'avresti abbandonato qui?» mormorò lei, ma prima che lui potesse abbozzare una qualunque giustificazione, il grosso cinghiale caricò.
La mente di Franco si chiuse all'improvviso, come se qualcuno avesse sbattuto con violenza una porta; spiccò due balzi, come mosso da invisibili fili manovrati da un abile burattinaio, lanciandosi sulla schiena dell'animale, poco prima si fiondasse sui due malcapitati.
Il cinghiale mugghiò di sorpresa e scartò su un lato disarcionando lo scomodo e non gradito cavaliere.
Franco cadde a terra battendo il ginocchio già dolorante, senza avvertire nessun dolore. L'animale gli si fece incontro, ma lui, con coraggio, si rialzò in fretta, mentre il calore, riaccesosi all'improvviso, lo travolgeva come uno tsunami dalla testa ai piedi; sentiva le bolle scoppiare, tremolare, riformarsi sulla sua pelle a una velocità impressionante, riuscendo a contarle a una a una; si sentiva una forza nuova, appagante, che lo rendeva felice come mai era stato, invincibile come nessuno si doveva mai essere sentito.
Non capiva se fosse ancora padrone del suo corpo, tanto si sentiva leggero e invulnerabile. Tutt'attorno il mondo pareva essersi arrestato; tutto sembrava andare al rallentatore, mentre osservava le braccia sollevarsi verso la bestia; la sentiva piangere versi strazianti mentre arretrava, fissandolo con occhi iniettati dell'orrore più puro. I dorsi delle mani, davanti ai suoi occhi, pulsavano in tutte quelle meravigliose tonalità di giallo che scorrevano sia all'esterno che all'interno, solleticandogli i nervi, i muscoli, le ossa, i vasi sanguigni. Poi i palmi cominciarono a prudere sempre di più, senza avere la necessità di grattarsi. Era come se si stessero aprendo, donandogli la sensazione più estasiante che un uomo avesse mai provato. Si ritrovò a piangere di gioia quando i raggi fluirono fuori, come acqua da un rubinetto, incenerendo il cinghiale in una frazione di secondo. La puzza di carne bruciata si levò nell'aria, senza che disturbasse l'incommensurabile piacere che stava provando.
Poi, contro la sua volontà, come se qualcuno avesse acceso una luce in una stanza buia, tornarono a scorrere i pensieri nella testa; ed erano pensieri su sé stesso, su cosa avrebbe potuto fare con un potere del genere, su come poteva sfruttarlo. E tutto si spense, repentinamente, così come era arrivato.
A Franco parve di sgonfiarsi come un palloncino; s'accasciò a terra, bombardato all'improvviso dalla stanchezza, dalla paura, dall'angoscia, dal dolore al ginocchio e alla caviglia, ma più di tutto, da una tristezza profonda che gli si era attorcigliata intorno allo stomaco.
Aprì gli occhi.
I tre cinghiali alle spalle di Cata e Ando erano spariti, e i due lo fissavano a bocca aperta, con un'espressione difficile da interpretare, tra stupore e terrore. Ma fu solo un attimo; l'oscurità lo avvolse, un abisso si spalancò davanti ai suoi occhi e lui vi precipitò dentro, cadendo, cadendo, cadendo...
«Franco! Franco!»
Cata era china sull'uomo, dandogli piccoli schiaffetti sul viso.
«Dai! Non mi mollare anche tu!»
Quello che era appena successo aveva senz'altro dell'incredibile, dell'eccezionale, ma Cata non era poi così sorpresa.
Fosse successo la settimana prima... beh, sarebbe senz'altro svenuta dalla paura e dall'incredulità! Ma una settimana prima le vite di ogni abitante della Terra scorrevano ancora normalmente (chi più, chi meno); nessun alieno era piombato su Bologna dentro a un'immensa palla viola, aveva distrutto e ucciso costruendosi un robot con una torre e aveva sguinzagliato un'orda di uomini di ferro per prelevare la gente, ficcarli in una bolla arancione e succhiarne via... Nemmeno lei sapeva bene cosa fosse successo a quella povera gente.
Vedere un uomo incenerire un cinghiale, sparando raggi dai palmi delle mani, ormai cosa poteva essere? Normale proprio no ma, vista la situazione, ci si poteva ancora sorprendere? No. Cata non era per nulla sorpresa.
Turbata però, sì. E ciò che la turbava era il sospetto che quello stesso fenomeno al quale avevano appena assistito, albergasse anche dentro di loro. Si imponeva con forza di credere fosse solo una sua idea, generatasi chissà come e perché, senza che lo volesse; ma in realtà il suo cuore era consapevole. Aveva capito che qualcosa bolliva in pentola dalla risposta che Franco le aveva dato, dentro alla camera del povero Mario.
«Credo c'entri col fatto che io sono uno dei nove che sono stati guariti da Nicolas, il guaritore» aveva detto, quando lei le aveva chiesto perché la nipote di quel vecchio in Trentino (non ricordava il nome), avesse telefonato proprio a lui. Quelle parole avevano cominciato subito a frullare nella sua testa, scappando a destra e a sinistra, aprendo porte, cassetti, stuzzicando la sua memoria, la sua fantasia, ma soprattutto la sua razionalità.
Aveva bene in mente le parole dette dal prete, la prima volta che era andata a confessarsi dopo essere stata guarita dal tumore al cervello che se la stava portando via.
«Ricordati, Eleonora, i prodigi lasciano sempre un segno...»
Non aveva capito il significato di quella frase, fino alla risposta di Mario.
Certo il prete si riferiva a concetti puramente religiosi, sempre che uno ci voglia credere. Ma la magia che aveva operato quel Nicolas doveva essere in qualche modo interconnessa con la venuta di quello stronzo spaziale e chi aveva beneficiato di quel miracolo doveva per forza aver acquisito... qualcosa. Cosa, l'aveva appena scoperto e ne aveva visto gli effetti.
Lo sguardo rivoltole da Franco, non appena gli aveva rivelato che anche lei e Ando facevano parte del club, non lasciava dubbi. Almeno per lei. Suo marito, ovviamente, non ci aveva fatto caso. Lui non faceva mai caso a niente, se una cosa non gli interessava.
"E a quanto pare non ha fatto caso nemmeno all'enorme cinghiale che stava per attaccarmi!" pensò.
Cazzo, se era arrabbiata! Era talmente furiosa che non era nemmeno riuscita ad articolare una frase condita di tutti gli insulti che meritava.
Appena i raggi si erano spenti, aveva visto gli altri tre cinghiali fuggire, lanciando versi disperati, e Franco crollare sul sentiero. E prima di tirare un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo, prima di preoccuparsi per Franco, prima di ogni cosa, aveva guardato negli occhi suo marito e gli aveva sputato addosso uno "stronzo".
Ora era preoccupata. Sperava con tutto il cuore che quell'uomo non fosse morto per loro. Sarebbe stato un sacrificio gradito, certo, ma non richiesto, e difficile da accettare.
Ando si avvicinò titubante.
«Mi dispiace, amore. Ti giuro che...»
«Cosa? Cosa mi giuri? Che m'avresti mollato qui? Cazzo, Ando...» cominciò a piangere a testa bassa, senza guardarlo.
«Siamo sposati da più di vent'anni, sei l'unico uomo che abbia mai avuto e mi stavi lasciando alla mercé di un maiale inferocito! Quest'uomo, conosciuto un'ora fa, si è sacrificato per salvarmi, invece. Come dovrei prenderla?»
Ando le s'inginocchiò accanto; anche lui piangeva, lacrime del tutto diverse. Cata riusciva a distinguere la disperazione di cui erano intrise.
«Hai ragione! È stato un gesto istintivo, te lo giuro. Mi ha preso il panico... Vedevo solo la bestia e nient'altro.»
Le prese le mani tra le sue.
«Ti scongiuro! Non mi odiare. Non sono nulla senza di te... Ti amo più della mia stessa vita...»
«Sei sicuro? In tutta onestà, è sembrato il contrario.»
Cata alzò la testa e lo fissò; si sentiva ferita e delusa, oltre che incazzata. Ma vedere il suo uomo in quello stato le straziava il cuore.
Era sincero? Certo. Lo conosceva bene ormai. Un enorme cinghiale infuriato stava per caricarli e lui aveva avuto paura. Poteva biasimarlo? Non è una reazione naturale dell'uomo quella di avere paura? L'istinto di conservazione non prende il sopravvento quando ci si trova in una situazione estrema come quella in cui erano stati?
Lei non era fuggita; era rimasta ferma sul posto ma, con tutta probabilità, non avrebbe fatto niente per proteggerlo, nemmeno lei. Questo non poteva negarlo.
Continuò a fissarlo e lui pianse ancora più forte.
«Perdonami!» sussurrò.
Sorrise, lo baciò e lo abbracciò.
«Ora aiutami a svegliarlo» disse, quando si staccarono, asciugandosi gli occhi.
«Ci ha salvato la vita.»
Franco galleggiava nello spazio profondo, roteando su sé stesso, rilassato e beato come non era mai stato. Aveva la netta sensazione di essere ricoperto di ovatta e la soffice imbottitura era, a un tempo, morbida e resistente, donandogli dolcezza e protezione. La contrapposizione era talmente intensa che gli scappò un grido di piacere.
S'accorse, però, di non aver aperto bocca. Eppure, la voce si era sentita...
Era ovvio fosse nella sua testa, ma la percepiva in modo diverso. Era come se le labbra si fossero spostate sulla corteccia cerebrale e parlasse con la mente. Che strana sensazione! Bella e appagante; si sentiva a un "livello superiore" e stava bene, molto bene.
Intorno regnava l'oscurità più totale e lui vi fluttuava all'interno. Perché era lì? Cosa faceva fermo in quel punto?
"Non sei fermo!"
Trasalì. Chi aveva parlato?
"Tu!"
«Io?»
"Tu! Sei in movimento, perenne e supersonico movimento."
Se veramente si muoveva, non se ne stava accorgendo. Era troppo rilassato per viaggiare alla velocità della luce, se non di più. La sua testa era sgombra, leggera. I ricordi della sua vita precedente gli apparivano lontani, appannati, frammenti di un'era che non gli apparteneva più (ma gli era appartenuta in realtà?), come l'adulto che si perde nei propri ricordi di bambino.
Era come se fosse lì da sempre e stava andando verso... cosa?
"La gialla!"
La sola parola risvegliò in lui un'infinità di piccoli piaceri, meravigliose sensazioni di calore avvolgente, di protezione, di forza invincibile. Rinasceva, tremolava, scoppiava e rinasceva ancora, di continuo, a una velocità incalcolabile, eppure lentamente per il modo con cui riusciva ad assaporare ogni singolo momento. Che meraviglia! Poteva esserci qualcosa di più bello?
Poi la vide. Davanti a lui, un punto lontano, la sua meta, la sua destinazione, dove la più minuscola parte di ogni singola particella di piacere che stava provando in quel momento, si sarebbe centuplicata all'infinito, nel più incredibile degli orgasmi, lungo tutta l'eternità. Era lei, la luce, la luce gialla...
Si accorse di non sapere esattamente il suo nome. O forse non lo ricordava?
"No! Non lo sai. Però quella luce sei tu! È la tua stessa essenza che stai per raggiungere. E quando vi unirete, sarai completo."
«Come posso non sapere il mio nome, se sono io?»
"Non hai ancora preso piena consapevolezza. Non sei ancora del tutto pronto."
«Pronto... per cosa?»
"Per diventare quello che in realtà sei. Hai già avuto dei segnali."
«Ma tu chi sei?»
Una risata echeggiò nella sua mente.
"Come chi sono? Sono te."
E di nuovo sentì ridere.
"Lo vedi che non sei pronto..."
Quella, però, non era la sua voce. Lo notava solo ora, adesso che riecheggiava nella sua mente più chiara, più pulita. No! Non era certo la sua voce. Era dolce, profonda ma con un che di infantile, sensuale anche, ma con sparute inflessioni di una fanciullezza ancora evidente, eppure quasi del tutto finita. Come riuscisse a capire tutto questo non lo sapeva, però ne era convinto. Era la voce di una ragazzina, strappata troppo presto dal suo desiderio di essere ancora per un po' una bambina.
All'improvviso s'incupì.
«E quando sarò pronto?»
Stava succedendo qualcosa. La prima avvisaglia fu il freddo, impercettibile e solo su un piccolo lembo di pelle.
"Dipende solo da te. Ma devi smettere di fare quello che stai facendo ora."
Un piccolo seme di paura germinò in lui.
«Cos'è che sto facendo?»
La luce in lontananza sfocò e la paura divenne panico.
"Dubiti! E ti lasci andare alla paura."
Ora aveva freddo a tutto il braccio e si sentiva osservato. C'era qualcosa che lo bramava nello spazio profondo attorno a lui, qualcosa di viscido, di gelido, una mano che si allungava per ghermirlo...
Si voltò di scatto, ma dietro di lui vedeva solo oscurità, densa e profonda.
"Smettila di avere paura. Col cinghiale non ne hai avuta e guarda cosa hai fatto!"
La luce svanì.
«NO! NOOO! Mi dispiace per qualsiasi cosa abbia fatto, ma ti prego... ti prego...»
L'urlo riempì la sua testa, il freddo si sparse per tutto il corpo. Era terrorizzato, pietrificato.
"Ma io non ti stavo rimproverando! Hai fatto cose meravigliose, quando non hai avuto paura."
La disperazione ormai l'aveva sopraffatto del tutto.
«Ti supplico! Aiutami...»
La testa rimbombava dal terrore, dall'angoscia e l'oscurità sembrava essere aumentata intorno a lui. In lontananza credette ancora di sentire ridere.
"Aiutarti? Ma io sono te. Se non ti aiuti da solo, io cosa posso fare?"
«Non è vero! Tu sei una ragazza!»
"Lo vedi che dubiti? Non credi nemmeno a te stesso. E dire che sei così vicino, ormai... Ti dico che è la tua voce che sta parlando, e ce ne sono altri come te. Altri con i quali dovrai unirti, fare gruppo, e fare cose grandi. Qualcuno di questi sta già cominciando a capire, è più avanti, come lo sei tu, che riesci a sentire..."
«Non capisco cosa dici! Non capisco...»
"È proprio per questo motivo che ora stai soffrendo, Franco..."
Ma ormai era tutto finito. Non c'era più niente a proteggerlo, a coccolarlo. Si sentiva solo, nudo, scoperto... E capì che stava precipitando nel buio, sempre più giù, sempre più giù, sempre più giù...
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top