37 - IL DOTTORE (2)

de Simone attese nella sala della baita che la famiglia si lavasse, si cambiasse e si ristorasse.

«Siamo pronti!» disse Silvia, entrando con la famiglia al seguito. «Grazie di tutto! Ci voleva proprio.»

«Perfetto» disse il vecchio. «Allora. La chiacchierata la facciamo su nella torretta. Perché, ve lo dirò. È necessario però che qualcuno rimanga a sorvegliare Masi.»

«Ma dalle telecamere possiamo vedere se si sveglia, no?»

«Sì, ma noi dobbiamo parlare di cose importanti; non staremo con gli occhi fissi sul monitor. Vorrei che rimanesse qualcuno giù, che lo distragga nel momento in cui si sveglierà, per darci tempo di arrivare, prima che tenti di fare qualsiasi cosa voglia provare a fare.»

Si schiarì la voce.

«Pensavo al vostro ragazzo.»

Silvia reagì subito. «Cosa? Ma stai scherzando?»

«È già rimasto con lui, prima, mentre eravamo con Francesca. E, obiettivamente, è l'unico a cui la chiacchierata non interessa. Mi par di capire che non è molto propenso a spiegare le cose che dice, giusto? Non c'è nulla di cui preoccuparsi, Silvia. Gli darò un piccolo telecomando che dovrà schiacciare se vede l'uomo svegliarsi. E noi arriveremo subito.»

«Ah sì?»

La donna era piantata in piedi davanti al vecchio, con le mani sui fianchi. «E per fare cosa?»

«Parlare. Voglio chiedergli un paio di cosette. Dopodiché, se ciò che ho in mente funziona... beh, so cosa fare con lui.»

«Sarebbe?»

«Ve lo spiego su, promesso. Ma dobbiamo sbrigarci, perché è necessario che appuri una cosa prima che Masi torni dal mondo dei sogni.»

«Cominciano a essere un po' tante le cose che devi spiegarci. Tu non dici nulla?» Silvia si era rivolta al marito.

Alessandro li guardò entrambi, poi guardò Antonio, intento ad appannare il vetro della finestra con l'alito, per poi tracciare strani disegni.

«Credo abbia ragione, Silvia. Antonio è speciale e non corre alcun pericolo.»

«Siete così sicuri che quell'uomo si risvegli? Non ha ricevuto delle bastonate in testa?»

«Non l'ho visitato, ma in effetti potrebbe essere in coma pure lui.»

Franco accigliò lo sguardo. «Io non sono un medico. Ma so che uomo è, fisicamente. È forte e resistente, purtroppo. Inoltre, è stato dotato di poteri eccezionali. Con il mio smorzatore non dovrebbe riuscire a esternarli, ma dentro di lui... È probabile lo rendano ancora più resistente.»

«Come sai queste cose?» chiese Silvia.

«Non le so. Sto ipotizzando. Ma difficilmente le mie ipotesi sono sbagliate. Se ci fossero qui i miei dipendenti, ve lo confermerebbero. Basterebbe anche solo mia nipote... Comunque, ho lavorato tanto con quest'energia e un'idea, piccola e scarna su di lei, un po' me la sono fatta.»

Silvia sospirò. «Due contro uno. Mi arrendo. Va bene, ma voglio la visuale della telecamera di fronte a me e bene in vista.»


«Prima cosa: ti posso assicurare, Alessandro, che Dio non c'entra niente nella tua guarigione.»

Si erano seduti al tavolo che circondava il grosso tubo argentato posto proprio sotto l'antenna a stella che svettava sul tetto. Franco aveva fatto rientrare il recinto danneggiato, tenendosi sulle labbra uno strano sorriso compiaciuto. All'esterno, il sole cominciava a lambire le vette delle montagne, e il cielo iniziava a colorarsi di tonalità un po' più scure.

«Non era malato, come non lo è nostro figlio!» s'intromise piccata Silvia, con lo sguardo fisso sul monitor che mostrava un Masi immobile, con la testa ciondolante in avanti. Nel monitor a fianco, invece, si vedeva Francesca sdraiata sul lettino.

Franco rimase un momento interdetto; Alessandro alzò le spalle.

«Ti chiedo scusa, Silvia. Hai ragione. Comunque, il succo del discorso è che il potere di guarire dalle malattie e, nel suo caso, annullare gli effetti della sindrome di Down...» guardò un attimo Silvia, come per cercare l'approvazione di quello che aveva appena detto, «... che aveva quel Nicolas, non era un miracolo divino. Niente di paragonabile con le stigmate, o le lacrime delle statuine, Lourdes o i sedicenti maghi. Tutte sciocchezze, secondo il mio punto di vista. Quel ragazzo aveva dentro di sé il potere che ci può permettere di sconfiggere Ismel.»

Tacque, per vedere le loro reazioni.

Alessandro e Silvia si fissarono, perplessi. «Scusa, in che senso? Che c'entra Nicolas con Ismel?» chiese l'uomo.

«Oh, c'entra tantissimo. Allora, facciamo così. Vi racconto in breve tutta la storia. Promettetemi due cose. Uno: non interrompetemi. Le domande, alla fine. Due: credete in quello che dico! Vi giuro che non vi racconto balle. È una storia che può parere assurda, ma è vera, e quello che è successo in questi giorni ne è la prova. E, nel caso, ho un paio di argomenti anch'io per dimostrare la veridicità del tutto. Allora... Promettete?»

Silvia sbuffò. «Come si può promettere di credere a una cosa che ancora non si sa?»

«Però Franco ha ragione. Sono successe cose assurde in questi giorni, assurde e terribili. Credo di non sorprendermi più di nulla, ormai. Io prometto.»

Silvia fissò il monitor. Poi i due uomini; poi di nuovo il monitor.

Pensò al sogno che aveva fatto, parecchio, parecchio reale. E a quella sensazione stranissima d'aver capito tutto, senza ricordarsi però cosa. Si sentiva rassegnata e spaventata, sentendosi affondare in un "pozzo del pessimismo", come sua mamma chiamava quei momenti in cui tutto sembrava nero, impossibile, soffocante e il lieto fine, era una lontanissima e irraggiungibile chimera.

«Lo prometto!» disse, nonostante tutto.

«Benissimo! Cominciamo, allora.»

Franco si schiarì la voce, bevve un bicchiere d'acqua dalla bottiglia che si erano portati e, cercando di essere il più stringato possibile, raccontò di Augusto, della sua avventura, dell'incontro con la misteriosa donna e di tutto quello che lei gli aveva detto.

Mentre Silvia adocchiava di continuo il monitor che mostrava un Masi sempre svenuto, e Alessandro, con meno frequenza, teneva controllata Francesca dal video accanto, Franco spiegò loro dell'immenso regalo fatto all'umanità dalla donna e di come questo era stato protetto e tramandato, tramite gli scrigni e i custodi. Il racconto giunse quindi all'arrivo del servo sulla Terra, evento che scatenò l'eccezionale potere taumaturgico di Nicolas (anche se Franco ci tenne a precisare che non si trattava di un miracolo, o almeno non con l'accezione che gli uomini davano al termine), che, senza volerlo, aveva diviso l'energia in grado di sconfiggere Ismel, in nove parti.

«I nove guariti. Tu, sei stato il primo.»

Accorgendosi di aver ridetto la parola "guarito", girò gli occhi su Silvia, imbarazzato; la donna continuava a dividersi tra il monitor e le sue parole, ma non sembrava averci fatto caso.

«Aspetta un attimo» disse. «Stai dicendo che mio marito ha dentro di sé un pezzetto di questa... energia?»

Franco annuì.

«E cosa vorrebbe dire, nello specifico? Cioè, cosa dovrei farne?»

Alessandro cominciava a pentirsi di essere venuto lì.

«In teoria usarla, insieme agli altri otto, per sconfiggere Ismel e riprenderci il mondo. Almeno riprenderci la nostra zona. Il nemico è qui. Dalle altre parti d'Italia, ma anche del mondo, non sappiamo cosa stia succedendo. Può anche essere che le persone scampate alle bolle riprendano piano, piano a vivere. Ma questo non ci interessa al momento. Dobbiamo sconfiggere quell'essere, prima che... prima che concluda la sua missione, qualunque essa sia.»

«Cioè... tu vuoi chiedere a nove persone comuni come me, di fare la guerra contro a un essere fantascientifico, intergalattico, e chi più ne ha, più ne metta? Uno che è arrivato qui volando, ha strappato la Torre degli Asinelli dalla terra...» si fermò e deglutì, «... ha strappato la Torre degli Asinelli dalla terra... fa paura solo a dirlo! Dopodiché ha distrutto l'intero centro della mia città, ha interrotto le comunicazioni in tutto il mondo, ha sguinzagliato...»

«Va bene, Alessandro! So quello che ha fatto. Io non ve lo voglio chiedere. Lo dovete fare e basta, se volete che il mondo come lo conosciamo non finisca.»

«E come dovremmo affrontarlo? Gli andiamo incontro e gli spariamo raggi addosso? Perché, in tutta sincerità, io non credo di riuscire a sparare niente. Senza contare che non troverò mai il coraggio di fare una roba simile!»

«No. Assolutamente non potete affrontarlo in quel modo. Ma possiamo riparlarne in un altro momento? Quando ci sarete tutti, per esempio. L'energia della sorella dev'essere completa per avere qualche speranza.»

«E dove sono gli altri?» domandò Alessandro, a cui fischiavano le orecchie, incapace di capire se quello che stava provando in quel momento era solo uno stordimento dettato dalle tante notizie terribili ricevute o, se più semplicemente, cominciava già a serpeggiare in lui la paura, che ben presto sarebbe diventata angoscia.

«Uno è arrivato qui mesi fa e si chiama Alberto; ha vissuto con me e Monica, si è fidanzato con mia nipote e ora l'ho mandato a cercare gli altri. Pare ne abbia già trovati altri due. Uno lo sta aiutando nella ricerca e l'altro l'ha indirizzato alla mia villa. Monica è là ad aspettare per portarlo, o portarla, qui» disse sorridendo.

«E come è successo che uno di questi cosiddetti scrigni, sia giunto proprio qui, da te che li cercavi?» chiese Silvia, con il tono piuttosto dubbioso.

Franco sorrise. «Capisco la domanda, anche se me ne aspettavo altre. Anche mia nipote e Alberto hanno avuto gli stessi dubbi quando ho raccontato loro la storia.»

Franco bevve un'altra sorsata d'acqua.

«La donna del racconto è giunta proprio qui, in questa zona, e il servo e Ismel, senza accorgersene, sono stati costretti a seguire la sua strada. Per circa centosettant'anni lo scrigno di turno è vissuto in queste zone, finché Nicolas, che aveva ereditato il potere alla morte del padre, si è trasferito vicino a Bologna, per studiare. E là, a casa vostra, sono avvenute le nove guarigioni.»

Silvia storse di nuovo la bocca sentendo la parola, ma stavolta non disse nulla.

«Questo, per spiegare perché la storia giri tutto intorno a Bologna e qua. Può esserci stata della fortuna in alcuni casi...» continuò Franco. «...come per Alberto... Anche se la sua storia è particolare. No!»

Alzò una mano, per zittire Alessandro.

«Adesso non vi serve sapere di lui, e non abbiamo nemmeno tempo. Quando e se lo conoscerete (lo spero!), potrete chiedere direttamente a lui. Ma non c'è casualità, ve l'assicuro. E, a dire il vero, nemmeno poi così tanta fortuna visto che, con te, Alessandro, siamo solo a quattro scrigni.»

«Infatti, era quello che volevo chiederti. Degli altri non si sa nulla?»

«Sappiamo di tutti. L'intenzione era di contattarvi al più presto. Ma ho impiegato anni a studiare modi per affrontare il nemico, cosa che ritenevo prioritaria, e mentre lo facevo, la vecchiaia mi ha raggiunto e acchiappato. La primavera scorsa mia nipote e Alberto hanno compiuto un po' di ricerche, fatto telefonate...» sorrise ad Alessandro. «E ora, come vi ho detto, Alberto li sta cercando. Ma...»

Silvia distolse lo sguardo dal monitor e guardò il vecchio, a occhi stretti.

«Ma?»

«Non voglio demoralizzarvi o farvi perdere le speranze, ma abbiamo scoperto che una è morta, uno vive all'Isola d'Elba, una, addirittura, è americana!»

«Cosa?» Alessandro strabuzzò gli occhi. «Ma allora è tutto inutile!»

«Ecco! Questo è l'atteggiamento sbagliato, Alessandro. Ho fiducia in Alberto, piena fiducia. Inoltre, non dimenticate che tutte queste persone hanno un qualche legame con la città di Bologna. Sono state guarite in quella città, perché si trovavano lì. Sembra una cosa molto ovvia, ma non lo è, ve l'assicuro. Io sento che presto la squadra sarà al completo.»

«Sei un ottimista, Franco. Ti invidio» disse Silvia, con uno sguardo serio e, forse, velato di una qualche sorta di tristezza.

«Sono uno scienziato. Non pretendo di sapere tutto, ma in genere le mie sensazioni sono basate su studi più o meno approfonditi.»

«Cioè, mi stai dicendo quindi che in realtà tu "sai" che arriveranno tutti e nove? I tuoi... calcoli hanno detto questo?»

«Calcoli no, in questo caso. Ho delle teorie, alcune che sono riuscito a verificare. Ma, in questo caso, la mia prova è tuo marito.»

Franco esibì un largo sorriso dopo aver pronunciato queste parole, accorgendosi di come quell'espressione fosse in netto contrasto con quelle dei suoi due ospiti; e pure con ciò che si sentiva nell'animo, ancora gravato, terribilmente gravato, da ciò che era capitato a Francesca. Ma aveva davanti a sé uno scrigno, e stava tenendo le redini della conversazione in modo saldo, accorgendosi di riuscire a galoppare libero, saltando con facilità ogni ostacolo. Tutto questo gli allargava il cuore, gli infondeva fiducia, speranza; e tutto insieme, eruttava sul suo viso in un sorriso spontaneo e sincero.

«Io?» chiese Alessandro.

«Proprio tu! Sei venuto qui, dove dovevi venire, di tua iniziativa. Solo in base a una telefonata che ti ha fatto mia nipote. Se non è una prova questa...»

«Scusa, Franco. Io non capisco. Prova... di cosa?»

«Sentite. Ci stiamo avventurando troppo nella questione e c'è poco tempo. Sapete abbastanza, per il momento. Avremo modo di approfondire in modo esaustivo e dettagliato, quando ci saranno anche tutti gli altri.»

«Ma se una è morta! Come facciamo...»

«Morendo l'energia è stata trasferita a qualcun altro. Scusate, non ve l'ho detto...» Vedeva le loro facce perplesse. «Quando uno scrigno muore, l'energia si trasferisce all'essere vivente più... potente, diciamo, che c'è nelle vicinanze; in genere, quindi, a un'altra persona. Oppure, se lo scrigno è una donna, può passare il potere al proprio figlio o figlia, partorendo.»

Bevve l'ennesimo sorso d'acqua.

«Alberto troverà il nuovo scrigno, ne sono certo!»

Alessandro e Silvia si fissarono, senza dire nulla, ma parlandosi con lo sguardo: entrambi avevano capito di trovarsi davanti a un uomo che viveva di scienza, ma anche di speranze, quest'ultime forse dettate dall'età avanzata. A tutti e due, però, dando per scontato che tutta quella storia fosse vera, pareva che di speranza ce ne fosse veramente poca.

"È un illuso" pensò Silvia, stando attenta a non esternare sulla faccia i suoi pensieri.

"Però è vero che abbiamo deciso noi di venire qui, proprio qui dove eravamo attesi! Beh, forse non ha poi tutti torti, allora."

Le tornò all'improvviso e di nuovo quella sensazione che aveva provato a casa, la sensazione d'aver capito tutto; fu impercettibile, e ancora le sembrava di avere la testa piena di nebbia.

«Dopo che Nicolas annullò la mia sindrome, come puoi ben immaginare, ho seguito con molta attenzione tutta la vicenda» disse all'improvviso Alessandro, distogliendo la moglie dai suoi pensieri. «Non ho mai incontrato uno degli altri guariti, anche se hanno provato a organizzare vari talk show, per averci tutti; ma io mi sono sempre rifiutato. E credo anche gli altri. Di fatto, non ci siam mai incontrati. Però ricordo bene i loro nomi e anche l'ordine in cui sono stati guariti: Emanuele, Eleonora, Narciso, Beatrix, Franco, Rodolfo, Marisa, Erika. Non c'è nessun Alberto.»

Franco sospirò. Si era ripromesso di non pronunciare mai il nome di NC360, come da lui desiderato. Ma, per quell'unica volta, fece un'eccezione.

«Narciso è morto davanti ad Alberto, per cui Alberto ne ha ereditato l'energia. Stop!»

Alzò la mano di nuovo, stoppando Alessandro che stava per parlare.

«Questo fa parte della storia del nostro amico, e ho già detto che adesso non abbiamo tempo. Fattelo bastare.»

Alessandro rimase un po' accigliato, poi parlò di nuovo, cambiando argomento. «Credi che la donna spaziale sia venuta qui perché sapeva di te?»

Franco alzò le sopracciglia. «Caspita! Ottima domanda, sul serio. Ci ho pensato anch'io, sai. Molto, ci ho pensato. Ma non so risponderti. Io sono nato circa centoquarant'anni dopo, ma chi sa quali poteri quest'energia può conferire? Ne ho scoperti alcuni, ma credo sia solo una parte infinitesimale di quello che è capace. Certo, sarebbe affascinante pensare che abbia scelto di venire qui perché sapeva, o percepiva, che proprio qui sarebbe nato un uomo capace di sfruttare il suo regalo. Ma potrebbe essere anche solo una grandissima botta di culo!»

Sorrise.

«O anche il contrario, per carità. Non sono Dio. Magari da altre parti, nel mondo, ci sono persone capaci di sfruttare l'energia in modi molto più efficaci di quelli che ho pensato io. Chissà...»

«E quali sarebbero questi modi?» chiese Alessandro, deglutendo.

Ancora faticava a credere di essere finito in quell'imbuto, in quel vicolo che sembrava senza uscita. Quello che era accaduto in quei giorni era stato terribile; la distruzione di Bologna e le maledette bolle, avevano senza dubbio ucciso un numero incalcolabile di persone, soprattutto se il fenomeno si era propagato in tutto il mondo, come in effetti sembrava. Ma lui era vivo, sua moglie era viva e suo figlio era vivo. Cosa doveva sperare, più di questo? Era un pensiero egoista ma, poteva non esserne felice?

"L'egoismo non è alla base della vita, su questo stupido mondo?" pensò.

Perché diavolo gli era venuto in mente di venire fin lì, solo per avere delle risposte, seguendo la curiosità che quella telefonata gli aveva instillato? Che fine faceva il topolino curioso? Ora come ora, dopo aver sentito tutte le parole uscite dalla bocca del vecchio, il desiderio più grande era quello di ripartire, tornare a casa sua, al suo ambulatorio e... ricominciare. Provarci, almeno.

"E se quelle sentinelle ritornano? Se l'intenzione di Ismel è di distruggere tutto con quel suo... mostro?"

Non era un uomo coraggioso, non lo era mai stato. Aveva paura delle persone, dei loro giudizi e delle loro azioni. Come poteva anche solo pensare di affrontare un essere così potente?

«Ancora, Alessandro? Te l'ho già detto... Ne riparleremo quando saremo tutti. Ora voglio che tu faccia un'altra cosa per me. Anzi, scusa... per noi.»

Lo vide sbiancare e spalancare gli occhi.

«Tranquillo. Niente di impegnativo. Prima, però, molto brevemente, vorrei sapere alcune cose da voi.»

«Aspetta!» protestò Silvia. «Hai già finito il racconto?»

«Al momento, sì. Vi ho detto tutto il necessario. Se avete dubbi (so che li avete!) o domande, ci sarà tempo per approfondire. Come ho detto, ci sono altri argomenti da affrontare, ma preferisco parlare una volta sola, quando la squadra sarà al completo.»

Bevve di nuovo.

«Oddio! Ho detto sul serio "come ho detto"? Lo odio quando lo sento nei film!»

Ridacchiò.

«La storia di Augusto e del suo incontro è tutta scritta in un libro. Lui stesso è l'autore. Se volete, potete leggerlo. Inoltre, posso mostrarvi il video dell'arrivo del servo. Quella è una vera e inconfutabile prova di quanto tutto sia reale. Almeno lo era, prima dell'arrivo di Ismel, quando lo scetticismo aveva più senso.»

«Come fai ad avere un video del genere?» domandò Silvia.

«Semplicissimo. Ho installato quattro telecamere su alla radura.»

«Scusa, un'ultima cosa. Ismel ha attaccato Bologna perché sapeva che gli scrigni sono qui? E lui sa degli scrigni?» chiese Alessandro.

«Spero proprio di no, ma ho paura che almeno qualche sospetto ce l'abbia, altrimenti perché avrebbe dato dei poteri a due umani? A quei due umani, per giunta. Due persone che mi conoscono e conoscono questo posto... Anche questa non è una coincidenza. Per quanto riguarda la prima domanda, invece, forse quella è l'unica vera casualità di tutta questa storia. Forse! Vi ho già detto che Ismel è venuto qui perché costretto a seguire la strada tracciata dalla sorella; gli serviva una torre per attuare il suo piano (chissà perché non si è semplicemente costruito un semplice robot!), e ha usato quella più vicina e più famosa. La vostra. Così almeno la penso io. Ora... Come sta mia nipote, dottore?»

Alessandro era stato rapito dalle parole del vecchio e il brusco cambio di argomento lo fece quasi destare da un piccolo torpore.

«Eh? Oh... Sembra stabile dal monitor. Dopo, vado a controllarla.»

«E il nostro sgradito ospite, Silvia?»

«Sempre dormiente! Io invece voglio andare da mio figlio, se non ti dispiace.»

«Certamente! Solo alcune domande velocissime... Mia nipote ti ha chiamato qualche mese fa...»

«Sì. Mi chiese se fossi il Gallo della guarigione e che tu volevi parlarmi.» Abbassò lo sguardo.

«Ok. Non era ancora la domanda.»

Sorrise.

«Lo so che ti ha chiamato e anche il perché. Spiegami però com'è andata. Ho solo la sua versione.»

«Beh... le ho sbattuto giù il telefono.»

«Però il giorno dopo l'hai richiamata. Perché?»

Alessandro fissava la moglie che a sua volta gli teneva puntati addosso due occhi stanchi.

«Antonio. Appena messo giù il telefono mi ha chiesto se tu volevi vedermi.»

«Gli avevi mai parlato di me?»

«No! Scusa, per quale motivo dovrei parlare di te a un ragazzino?»

«Tranquillo. Era solo una domanda. Magari ha ascoltato la telefonata da un altro ricevitore...»

«No! Ci ho pensato anch'io sul momento, ma non è capace di fare una cosa del genere. Ne sono sicuro. Lui... sapeva, come sapeva dell'arrivo delle sentinelle, di quando non erano più un pericolo, della sua mamma che era spaventata dentro al centro commerciale, e che stavamo per essere sbranati dai cani.»

Franco aggrottò la fronte.

«Un contrattempo che abbiamo avuto durante il viaggio» aggiunse Alessandro. «Lui sa le cose, almeno alcune cose. Come faccia a saperle...»

«... non lo sappiamo» finì Silvia.

«Vi eravate mai accorti di questa sua... sensibilità? Prima della telefonata di Francesca, intendo.»

I due coniugi scossero la testa. «Credo che anche quelle due lettere... Vu Effe... Abbiano un significato» disse Alessandro.

«Oh, senza ombra di dubbio. E credo che lo scopriremo presto.»

«Cosa significa tutto questo, Franco?»

Silvia aveva gli occhi lucidi e le tremava la voce. Sentiva forte l'impulso di rivelare le strane sensazioni provate e soprattutto il sogno, il sogno sull'FDS che aveva fatto, così vero, così intenso. Ma si trattenne, senza saperne il motivo, e fu contenta di notare che Alessandro sembrava non ricordarsene più.

«È difficile da dire, ma un sospetto ce l'ho. Un sospetto che incrinerebbe un po' le poche certezze che ho in questa storia. Alessandro, è il momento di fare quella cosa che ti dicevo.»

Batté velocemente alcuni tasti sulla tastiera che aveva davanti e nel tubo si aprì un piccolo sportello, proprio sotto a quello da cui Francesca aveva estratto la pistola potenziata dall'energia di Masi. Franco sollevò la piccola porzione di tavolo al suo fianco, creando un piccolo accesso.

«Alessandro, ti prego. Metti la mano sulla piastra che trovi lì dentro. Non sentirai nulla, te lo assicuro» aggiunse in fretta, vedendo la sua espressione mutare con velocità verso il preoccupato. Aveva già notato l'insicurezza che abitava in lui, e non era di sicuro una cosa buona per uno scrigno, destinato a dover compiere imprese molto pericolose. A meno che...

«Che cos'è?» chiese l'uomo, avvicinandosi con il cuore che batteva all'impazzata.

«Un'altra mia invenzione, frutto degli studi su questa energia. Quella piastra è in grado di catturare un po' del tuo potere, veramente una minima parte, spararla su all'antenna e creare un nuovo "Recinto", uno serio questa volta. Uno scudo invulnerabile e inattaccabile, persino da Ismel, che ci terrà al sicuro e ci garantirà il tempo necessario per prepararci. In teoria...»

«In teoria?» disse Silvia.

Franco alzò gli occhi al cielo, più divertito che infastidito.

«Uno scienziato saggio mette sempre il dubbio davanti alle proprie conclusioni, anche quando è sicuro del risultato.»

I suoi occhietti azzurri scintillarono dietro agli occhialini, mentre guardava Silvia, quasi sfidandola a controbattere. La donna, però, tacque.

«Va bene. Sono pronto.»

Alessandro si era posizionato davanti allo scompartimento, la mano all'interno sollevata sopra la piastra, e guardava Franco, attendendo il via.

«Quando vuoi tu. Se funziona, si dovrebbe attivare tutto non appena tocchi la base.»

Alessandro si girò verso sua moglie e le fece l'occhiolino, ricevendo in cambio un bacio mimato con le labbra; poi pose lo sguardo sulla piastra, trasse un respiro molto profondo e appoggiò la mano. Strinse gli occhi d'istinto, incassando la testa nel collo.

Ma non successe nulla. Assolutamente nulla.

Sia Alessandro che Silvia si voltarono subito verso Franco. Stava sorridendo.

«So cosa state pensando, ma non è il mio meccanismo che non funziona.»

«Cioè? Mi sembra che...»

«Ora puoi andare da tuo figlio, Silvia. E vorrei lo portassi qui.»

Le allungò il mazzo di chiavi, tenendo tra le dita, separato dal resto, il cilindro per sbloccare l'ascensore.

Lei rimase perplessa, così come il marito. «Qui? Antonio? Perché?»

«Perché forse posso rispondere ai vostri dubbi. Sarà più facile capire se lo porti qui, per favore. E fa in fretta.»

«E Masi?» intervenne Alessandro.

«Per cinque minuti può restare da solo. È svenuto, legato e controllato da una telecamera. Non credo sia in grado di scappare...»


«Ecco quello che devi fare, caro. Devi appoggiare la tua mano su quella piastra. Capito?»

«Un attimo!» Silvia era allarmata. «Si tratta di questo? Credi che mio figlio abbia dei poteri?»

«È quello che voglio appurare, sì. Ti giuro Silvia che non gli succederà nulla.»

«Ma...»

Stavolta fu Alessandro che le prese la mano. «Lascialo provare, amore.»

Lei si zittì, fissando tutti con lo sguardo impietrito. Le immagini del sogno scorrevano vivide davanti ai suoi occhi, le sensazioni che aveva provato erano molto forti: l'orgoglio, immenso, e la forte preoccupazione, ma soprattutto la tremenda certezza di sapere già tutto, quando al momento non riusciva a ricordare nulla. Due grossi lacrimoni le scesero sulle guance.

«Tesoro! Cosa c'è?»

«Niente, niente. Procedete.»

Franco si era fatto serio. «Silvia, ascoltami. Devi capire che io non ti racconterò mai bugie. So quel che faccio. Posso dirti che non so se una mia invenzione funzionerà, ma se asserisco che a tuo figlio non succederà niente mettendo la mano su quella piastra, è così.»

Lei scosse la testa, e le parole le uscirono di bocca senza che lo volesse. «Non è questo.»

Franco strinse gli occhi. «E allora, cosa c'è?»

Silvia sorrise e si asciugò le lacrime. «Niente di importante. Tato, fai come ti dice il signore, su.»

«È peee... peer il reee... ciinto?»

«Visto?»

Alessandro si era voltato di scatto verso Franco, che si era ricucito ancora il sorrisetto sulle labbra. «Sì, caro. Proprio per quello.»

Ad Antonio brillarono gli occhi e, senza indugio, posò la mano sulla piastra.

L'interno dello scompartimento s'illuminò di luce gialla e, per un momento, l'intera sala ne fu pervasa. Tutti si coprirono gli occhi per ripararsi dall'improvviso bagliore accecante. Un ronzio, basso e continuo, partì sopra di loro.

«Guardate!»

Alessandro indicava con il dito le vetrate; nonostante fossero oscurate si vedeva chiaramente una patina giallo scura che, come acqua su uno scivolo, scorreva uniforme verso il suolo, circondando la fabbrica e la baita. Solo la rimessa del treno rimase all'esterno.

«Incredibile!»

Silvia si era avvicinata alle finestre.

«Ha funzionato, veramente.»

Si voltò verso Franco, vedendo il suo viso soddisfatto, poi di nuovo guardò fuori.

«Cosa significa, scusa?»

«Anche Antonio ha i poteri? Come uno scrigno?» Alessandro si era avvicinato al vecchio.

«Vooo... vogliooo too... oornaare giùùù.»

«Sai andarci da solo, caro?» gli chiese Franco.

Antonio fece sì con la testa, con il suo sorrisetto furbo a farla da padrone sul viso.

«Bene, vai pure. E mi raccomando. Se l'uomo si sveglia, spingi il bottone del tuo telecomando.»

Il ragazzo annuì ancora, si avviò verso l'ascensore rimasto aperto e sparì in un lampo.

I genitori guardarono tutta la scena, senza dire nulla, ancora storditi da quello che era successo.

«Quindi, Franco?»

«Alessandro. Tuo figlio ha i poteri, esatto. I tuoi poteri, nello specifico. Lui è lo scrigno, non tu.»


Antonio sbucò nella fabbrica e s'affrettò a raggiungere la stanza dove aveva lasciato a metà la battaglia dei "soldatini-viti", nel punto da dove poteva vedere anche quell'enorme uomo che gli avevano detto di controllare.

Si fermò all'ingresso, vicino al vetro rotto e lo guardò, in silenzio. Muoveva la testa e, d'improvviso, aprì gli occhi. Li fissò in alto, poi li posò su di lui. Percepì la sua paura, improvvisa, poi lo sentì calmarsi.

«Ccc... coome ti ccc... chiami tuuu?» gli chiese.

«Pietro! E tu invece?» rispose l'uomo, strascicando le parole.

«Aaa... Aaann... nnntonio!» rispose il ragazzino, mentre, di nascosto, spingeva il pulsante del piccolo telecomando che quel signore gli aveva dato, e che lui teneva nella tasca destra dei suoi pantaloni.


«Ma... Hai detto prima che l'energia si tramanda morendo o partorendo.»

Silvia camminava su e giù per la stanza, come una tigre alienata dentro a una gabbia.

«Come fa ad averla lui, allora?»

Franco sorrideva, anche se si rendeva conto che quella scoperta non deponeva molto a favore della sua credibilità. Eppure, si sentiva felice e stranamente euforico. La riteneva una buona notizia, anzi, un'ottima notizia. Qualcuno gli avrebbe dato del matto.

"Come puoi essere contento nell'avere appreso che uno degli scrigni è un ragazzino down, piuttosto di un uomo... normale, diciamo così?"

Non sapeva rispondere ma, come in tante altre occasioni, si affidava alle sensazioni. Sensazioni, nel suo caso, condite da un bel po' di scienza. Quel ragazzino sarebbe stato di gran lunga molto più efficace del suo spaventato papà.

«Già» rispose. «È una sorpresa anche per me, in effetti. Un po' mi destabilizza, perché vuol dire che la donna, la sorella di Ismel, non era cosciente al cento per cento del suo potere. Non sapeva che c'è una terza via per donare l'energia, una via, però, che non ho ancora capito come funzioni.»

«Ma ne sei certo che lo scrigno sia lui?» s'intromise Alessandro. «Potrebbe anche...»

Un suono lo interruppe. Una piccola lampadina rossa nella consolle cominciò a lampeggiare.

«Il nostro amico si è svegliato» disse Franco, spingendo la carrozzella verso l'ascensore.

«Antonio!» Silvia lo anticipò, e prendendo dalla tasca il mazzo di chiavi, rimasto a lei, infilò in fretta il cilindro nella fessura.

«Tranquilla, cara. Probabilmente tuo figlio è quello, tra noi, capace di difendersi meglio da quell'uomo!»

Lei non rispose, e si buttò all'interno dell'ascensore, non appena le porte si aprirono.

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