37 - IL DOTTORE (1)

«Francesca! Tesoro mio! Dio mio, no! Tesoro! Tesoro mio!»

Franco de Simone piangeva, disperato e terrorizzato, accanto al corpo immobile della nipote.

Non appena aveva visto al monitor Pietro Masi aggredirla selvaggiamente, si era diretto all'ascensore, fregandosene dei ragionamenti appena fatti sulla salvezza del mondo, dei discorsi fatti ad Alberto e di tutto il resto.

«Devi cavartela da sola» aveva pronunciato, riferendosi a Francesca.

"Beh, fanculo! Non posso lasciarla morire così."

Sapeva di dare un poderoso calcio in culo alla coerenza, cosa che uno scienziato, uno scienziato come lui per giunta, non avrebbe dovuto fare, ma non poteva rimanere lì, con le mani in mano, a osservare sua nipote che veniva stuprata e uccisa in quel modo efferato, come solo Pietro Masi era capace di fare.

Se non poteva aiutarla, almeno avrebbe evitato di passare gli ultimi anni della sua vita pieno di rimorsi e sensi di colpa.

"E gli scrigni? Tutti i tuoi piani per sconfiggere l'alieno? La storia dell'"io" e del "noi"?"

La coscienza interna si era fatta subito risentire, in tutta la sua semplice ed efficace schiettezza.

«Non posso!»

Le lacrime continuavano a colargli sulle guance.

«Come si può abbandonare una persona a cui si vuole così bene, a un destino così crudele? Questo non può essere egoismo!»

Almeno avesse lasciato qualche istruzione, scritta o a voce, ad Alberto o a Monica o a qualcun altro. Niente! Non aveva previsto una così terribile piega degli eventi, proprio per nulla. Ed era proprio quello il brutto delle pieghe degli eventi: non avvertivano! Capitavano, e basta! Aveva mandato via Monica e aveva consegnato sua nipote tra le braccia di quell'essere spregevole, mentre lui, vecchio e paralitico, osservava un video.

«Complimenti, de Simone! Proprio un grande stratega.»

La cosa buffa, se in una situazione del genere era lecito pensare a cose buffe, era che all'FDS i mezzi per fermare quell'orribile uomo c'erano; e non pensava esclusivamente alle armi.

"Lo smorzatore! Idiota che sono!" rifletteva, mentre attendeva, con un'ansia sempre maggiore, che le porte dell'ascensore si aprissero. Non poteva muovere le gambe, così tutta l'agitazione si era condensata nelle mani che tormentavano freneticamente i comandi della carrozzella.

"Qual è il senso di inventare aggeggi, se poi non li ho mai a portata di mano?"

«CAZZO!» aveva gridato, cercando di buttare fuori almeno un pizzico del misto di rabbia e paura che gli tormentava il cuore.

Le porte si erano spalancate.

"Spero almeno di riuscire a fare qualcosa, prima che mi uccida."

Ma, a essere sinceri, non ci credeva nemmeno lui. Cosa poteva mai fare un vecchio in carrozzella, contro un uomo così malvagio e nel pieno delle sue forze? Agiva solo spinto dall'affetto che provava per Francesca, e per smorzare sul nascere i rimorsi, o meglio, per non farli crescere, perché, a dire il vero, ne era già piuttosto tormentato.


Per fortuna le pieghe degli eventi non sempre sono brutte; a volte capita che prendano corsi diversi e inaspettati.

Il piano di Franco era semplice: non appena l'ascensore si fosse aperto sulla fabbrica, sarebbe schizzato fuori alla velocità massima che poteva raggiungere la sua carrozzella e si sarebbe diretto su Masi. Non era un granché, ma contava di sorprendere l'animale ancora chinato su Francesca, saltandogli addosso, sperando di dar tempo a Francesca almeno di scappare, se ancora era in grado di farlo. Poi, sarebbe successo quello che doveva succedere.

Ma la scena che si presentò ai suoi occhi non fu quella aspettata.

Masi era in ginocchio, davanti a una terza persona che brandiva un bastone ("Il mio bastone da passeggio! Almeno, di quando passeggiavo...), che gli calò con forza sul lato della testa, facendo schizzare il sangue tutt'intorno.

«Tu...» gli sentì proferire prima di crollare a terra, esanime.

Franco non credeva ai suoi occhi: il terzo uomo era René, proprio l'uomo che, mesi prima, in quello stesso posto, aveva imprigionato.

Lo vide lasciar cadere il bastone, piegarsi sulle ginocchia e vomitare. Franco non ne era sicuro, ma il liquido che cacciò fuori era striato di rosso.

Si fissarono per una lunghissima frazione di secondo, prima che René stramazzasse al suolo, pure lui immobile.


de Simone non sapeva cosa fare.

Solo cinque minuti prima avrebbe dato chissà cosa per ritrovarsi a fianco di sua nipote con Masi fuori combattimento. Se qualcuno gliel'avesse detto, l'avrebbe preso per matto. Invece era successo e per merito della persona più improbabile. Si era completamente scordato di René; l'aveva visto arrivare insieme a Masi, in cima al "Vetta del Lupo", ma poi, l'incredibile catena di eventi succeduti, avevano acceso l'occhio di bue solo sull'ex capitano delle guardie dell'abbazia.

Eppure, la disperazione del vecchio ingegnere stava aumentando, a livelli sempre più alti, quasi da essere tentato di cominciare a urlare, gridare "aiuto" al vento, alle montagne, al fiume, gli unici che potevano sentirlo. Francesca aveva bisogno di cure immediate, e l'FDS disponeva di una stanza attrezzata a questo; ma, da solo, non era certo in grado di trasportarla fin là.

"Potrei andare a recuperare almeno le medicine..."

Ma non voleva e non poteva lasciarla sola con quei due che, da un momento all'altro, potevano risvegliarsi. Già! C'era anche quell'aspetto. Se solo uno dei due fosse rinvenuto, l'inaspettata fortuna piovutagli dal cielo si sarebbe sciolta come ghiaccio in estate.

"Però è stato René a mettere fuori combattimento Masi." pensò, senza sapere il pensiero da dove arrivasse. "Potrebbe anche essere diventato un alleato."

Franco scrollò la testa.

«Io e Francesca l'abbiamo catturato, imprigionato e rinchiuso nel buco più profondo dell'abbazia» disse a voce alta, quasi volesse che le sue parole penetrassero più a fondo nei suoi pensieri. «Non starà mai dalla nostra parte! Monica! Dove sei?» si lamentò.

"L'hai mandata via tu, stupido e vecchio coglione! Tu e i tuoi piani per salvare il mondo."

Non riusciva a credere alla dedizione che aveva dedicato a quello strampalato progetto messo in piedi; anni e anni di studio, sacrifici, rinunce, per poi ritrovarsi solo, con sua nipote mezza nuda, svenuta, stuprata e picchiata, e due delinquenti, tra i più pericolosi, pronti a finire l'opera, se solo si fossero risvegliati. Tralasciando il fatto che gli scrigni, i famosi scrigni alla base di tutto, erano sparsi chissà dove, e aveva mandato l'unico che aveva a disposizione a cercarli, con la certissima e seria possibilità di non rivedere più nemmeno lui.

"E tu saresti un genio? Questo è il risultato di tutti i giorni, i mesi, gli anni, a pensare, a riflettere, a organizzare?"

In quel momento avrebbe rinunciato a tutto, avrebbe lasciato l'umanità sparire in un pozzo senza fondo, pur di poter rivedere l'azzurro degli occhi della sua Francesca, proprio lui che solo dieci, quindici minuti prima, aveva deciso di sacrificarla per non compromettere il suo "piano".

"Dovevo dedicarmi alla volubilità dell'essere umano, piuttosto!" pensò, sentendo l'amaro riempirgli la bocca.

Fissava il corpo di sua nipote, piangendo e disperandosi.

«Se deve andarsene, non sarà così.»

Recuperò una coperta che sapeva esserci dentro allo stanzino e, chinandosi più che poteva, l'adagiò sulle natiche della donna. Poi si lasciò andare contro lo schienale della carrozzella e chiuse gli occhi, aspettando, cosa, non sapeva nemmeno lui.

"E così, grande inventore, hai passato la tua intera vita a creare e a scoprire cose innovative, strumenti che adesso potrebbero servirti, potrebbero salvare tua nipote... E tu rinunci a tutto? In questo modo?"

Aprì gli occhi, pieni di lacrime. «E cosa posso fare?» disse a voce alta. «Non la voglio lasciare sola con quei due.»

Sapeva benissimo, però, senza che glielo ricordasse la sua vocina interna che, se Masi o René si fossero alzati in questo momento, sua nipote sarebbe morta comunque, a prescindere se lui fosse stato o meno presente. La domanda che doveva porsi era: io voglio morire?

"Puoi ancora continuare, vecchio, e tentare di salvare il mondo."

Lo sguardo si posò su René e sul bastone abbandonato a fianco.

"Vattene da qui! Vai ad armarti. A quel punto li potresti uccidere, svenuti o no. E continuare con ciò che è importante."

Riuscì a fermare i pensieri, per un attimo. Si asciugò gli occhi e li posò su Francesca.

«Ma veramente sto pensando d'abbandonarla qui? Per andare a nascondermi?»

"Potresti ritornare qui armato e loro essere ancora svenuti. Salveresti anche lei, altrimenti..."

«BASTA!»

Era schifato da sé stesso e dai suoi continui cambi d'idea, dal fatto che una parte di lui avrebbe realmente voluto andare avanti e vedere come finiva tutta quella storia, vedere se i suoi progetti si sarebbero realizzati, così come lui li aveva sempre pensati. Bramava dalla voglia di conoscere gli scrigni, di averli tutti davanti a lui, di addestrarli e sentirsi a capo di un'impresa di tale portata. Desiderava ardentemente fare loro il discorso che si era preparato, che si era ripetuto nella testa centinaia e centinaia di volte, e che aspettava, impaziente, in un angolo del suo cervello. Sì, una parte di lui avrebbe sacrificato tutto, per questo. Anche sua nipote? Beh, tutto era tutto. Franco scoprì (ma forse l'aveva sempre saputo) che ciò che desiderava più al mondo era vedere la sua migliore creazione, quella più ambiziosa, risplendere alla luce del sole nella sua maestosità, nella sua grandezza...

«SMETTILA! O prendo il bastone e me lo calo sulla testa, con tutta la forza!»

Si zittì.

Cosa aveva detto? Sbuffò. «Sei un idiota, de Simone!»

Mosse la manovella facendo avanzare la carrozzella verso René.

«Stai qui a piangere e a fare pensieri stupidi, quando un'arma a portata di mano ce l'hai.»

Certamente non una delle armi più potenti di cui potesse disporre, ma abbastanza per mettere quei due ancora più fuori combattimento (o almeno lo sperava!) e guadagnare tempo. Per cosa? «Per andare a...»

«C'È NESSUNO?»

La voce rimbombò contro tutte le pareti del capannone, facendolo sobbalzare. Franco rimase immobile, con gli occhi sgranati e le labbra serrate. Senza accorgersene, stava tenendo il bastone dritto davanti a sé, con una mano. Ciò che aveva sentito era reale? O era solo nella sua testa? Ricordava uno studio che aveva letto, dove diceva che in situazioni critiche il cervello poteva anche...

«EHI! C'È NESSUNO?»

"Questa è una voce reale, idiota! Che stai facendo?"

«SI'! AIUTO! SONO QUI!» rispose con tutto il fiato che gli era rimasto.

Sentì il rumore di passi affrettati e vide tre persone emergere da dietro il labirinto di grossi strumenti incappucciati che era adesso la sua azienda. Un uomo, una donna e un ragazzino dalla faccia strana stavano avanzando verso di lui.

«Oddio! Che è successo qui?» L'uomo si chinò subito su René. «Silvia, prendi la valigetta.»

«Chi siete?» chiese Franco, guardando il ragazzino che ricambiava lo sguardo sorridendo. Ora che lo vedeva bene, capì che era affetto dalla sindrome di Down.

«Mi chiamo Gallo e sono un medico. Questo è mio figlio Antonio, e mia moglie Silvia è andata a... Merda!»

Tastava con le dita il collo di René.

«Che c'è?»

«Questo è morto.»

«Morto?»

Alessandro alzò lo sguardo. «Morto, esatto. Defunto. Spirato. Loro?»

«Non posso crederci! Un medico! È un miracolo...» stava dicendo Franco, guardandolo avvicinarsi a Masi. «No, la prego. Visiti mia nipote... Ha bisogno di cure immediate. È stata picchiata e stuprata da quell'individuo.»

Alessandro si fermò titubante, poi si diresse verso Francesca, mentre Silvia stava arrivando, correndo e sbuffando, con in mano la valigetta.

«Stuprata ha detto? E picchiata?» Si chinò, scostando la coperta.

«Se preferisce, ho una stanza medica dove potete trasportarla.»

«Dopo. Al momento non voglio muoverla prima d'essermi accertato che non abbia lesioni interne o altro. Lei è Franco de Simone, vero?»

«Sì. Come fa a...»

«E questa è sua nipote?»

Franco annuì.

«Quel tizio... Potrebbe risvegliarsi... È pericoloso, suppongo?»

«Molto. Ma possiamo neutralizzarlo finché è svenuto. O forse è morto pure lui?»

Alessandro sollevò lo sguardo sul vecchio, poi si avvicinò a Masi, tastandogli il collo con le dita.

«È vivo. Il battito è debole, ma è vivo.»

«Si occupi di mia nipote adesso, la prego. Signora...»

«Silvia.»

«Bene, Silvia.» Prese un mazzo di chiavi dalla tasca. «Ho bisogno di un favore.»

Lei lo guardava incuriosita, mentre Franco isolò un piccolo cilindro.

«È senz'altro più veloce di me. Con questa chiavetta può chiamare l'ascensore. Il codice è "1976". Vada al livello -1 e cerchi la stanza "09-ARM". L'aprirà con questa chiave gialla. All'interno troverà armadi su tre pareti; ogni armadio è contraddistinto da una lettera. A lei interessa la R. Il codice per aprirlo è "R09". Quello che mi deve portare è un collare, color rame. Lo riconoscerà appena lo vedrà. Si ricorda tutto?»

«Certo! A cosa...»

«Abbiamo poco tempo. A dopo le domande. La prego, ora vada.»

Silvia guardò il marito. Alessandro annuì. «Prima però aiutami a girare questa donna, per favore.»

I due coniugi sollevarono Francesca molto lentamente, e altrettanto, la ridistesero supina.

«Bene! Ora ci penso io. Tu vai dove devi andare.»

Franco stava per avvicinarsi ad Alessandro, che aveva già aperto la valigetta e si preparava a auscultare il petto di Francesca, quando Antonio lo abbracciò, all'improvviso. Il vecchio rimase per un momento impietrito e imbarazzato, poi ricambiò l'abbraccio.

«Che succede?» Sentì la voce del padre, ma non sapeva cosa rispondere.

Il ragazzino mantenne la posizione per un buon minuto, poi si staccò e lo fissò negli occhi. Sorrideva, come solo lui era capace di sorridere. Era irresistibile e, senza volerlo, Franco scoprì che stava ricambiando.

«Doo... dov'è Vu... Vu... Efffe?» chiese Antonio.

Il sorriso di Franco si spense, tutto d'un colpo.


Le tante domande che la famiglia Gallo aveva per de Simone furono al momento accantonate, così come quelle che Franco aveva per loro, subito moltiplicatesi dopo la stranissima (e inquietante) uscita di Antonio. Le priorità, ora, erano due: curare Francesca e neutralizzare Masi.

Una volta appurato che Francesca non era in imminente pericolo di vita, si dedicarono all'uomo, ritenendo saggio e prudente renderlo inoffensivo prima possibile.

Tenendolo, Alessandro per i piedi, Silvia per le braccia, lo trascinarono alla vicina parete contro la quale lo misero seduto, ammanettandogli le mani intorno a una stanga di ferro fissata al muro. Dopodiché Franco gli applicò il collare intorno alla testa.

«Che cos'è?» chiesero marito e moglie, quasi all'unisono. «Un modo per controllarlo mentalmente?» continuò lui.

Franco scosse la testa, sorridendo.

«Oh no, no. Nel modo più assoluto. È un "azzeratore di potenza", ma a me piace chiamarlo "smorzatore". Inibisce qualsiasi fonte di energia, anche a livello organico. Almeno spero.»

Mostrò un largo sorriso imbarazzato, mentre si grattava nervosamente la testa, la mano immersa nella soffice coltre bianca di ricci.

«Aspetti! Come sarebbe "spera"? Vuol dire che non l'ha mai usato prima?»

«Non è che in giro si trovavano tante persone con dei poteri sulle quali poter fare dei test, prima che ci capitasse... tutto questo.»

Indicò intorno con le mani.

«L'ho testato su diverse macchine e funziona alla perfezione, quindi non ho alcun dubbio che faccia il suo lavoro anche ora. Voi non mi conoscete ancora, ma vi assicuro che le mie invenzioni non hanno mai fallito.»

Franco si accorse d'aver assunto il suo solito tono pavoneggiante; sapeva che, se Francesca fosse stata sveglia, lo avrebbe rimproverato con gli occhi, e un velo di tristezza lo colpì, vedendo la sua adorata nipote stesa per terra, esanime. Allo stesso tempo, lo sguardo gli cadde sul ragazzino che si era messo a giocare con delle viti di ferro trovate in un secchio abbandonato vicino a una delle colonne; non era interessato a quello che stava succedendo e sembrava non ricordare nemmeno quello che aveva detto solo qualche minuto prima.

«Certo che la conosciamo. Lei è famoso, non lo sa?» disse Silvia.

Franco ridacchiò, a bocca chiusa.

«Diamoci del tu, per favore. Non mi piace tenere a distanza le persone. La cosa mi lusinga molto, veramente. Ma un conto è conoscere una persona attraverso i media, accettando quello che propinano che, la maggior parte delle volte, ve l'assicuro, sono bugie. Un conto è conoscere di persona.»

«Certo, certo» si difese subito Silvia. «Intendevo dire che...»

«Ho capito quello che intendevi. Non ti preoccupare.»

Le fece l'occhiolino.

«Non capisco. Che poteri avrebbe questo... uomo?» Alessandro pareva perplesso, ma forse nemmeno troppo.

«Sì, scusate. È ovvio che non siete al corrente di tutta la storia. Come potreste? Per prima cosa vorrei che ti occupassi di mia nipote, per piacere. Avremo tempo e modo poi, per raccontarci a vicenda le nostre storie. Prima cosa, vorrò sapere perché siete qui, anche se ringrazio il cielo, e voi soprattutto, di esserci. Un dottore... È veramente l'uomo giusto al momento giusto.»

«Ok. A dopo le spiegazioni. Ho una domanda sola, una brutta domanda, a dire il vero.»

Alessandro si massaggiava il collo con insistenza.

«Sentiamo...»

«Se questo... Masi, giusto? Se è così cattivo e pericoloso, non sarebbe meglio... insomma...»

«Ucciderlo?»

Alessandro annuì, vedendo Silvia fissarlo a occhi spalancati.

«Ci ho pensato ma, in tutta onestà, non mi sento in grado di uccidere un uomo, anche se avrei tanta voglia di farlo, visto l'uomo che è, visto quello che ha fatto e che stava facendo a mia nipote. Ma mi accorgo che l'odio che si prova dentro, anche nei momenti di rabbia più grande, raramente va di pari passo poi con il coraggio di esprimerlo in azioni. Almeno per persone come noi. Ma se tu ne sei capace e vuoi farlo... accomodati. Ti posso assicurare che avresti tutta la mia gratitudine.»

Alessandro rimase impietrito. Guardò il vecchio, poi guardò Masi e infine Silvia, che scuoteva la testa. «Sono un dottore. Io le vite le salvo, in genere. Non le tolgo.»

«Lo so, caro. Lo so. Per questo non avevo nemmeno proposto la cosa. Noi non siamo come questo animale, e sto offendendo gli animali. Costui è un essere immondo. E mi darete ragione quando verrete a conoscenza di tutto quello che ha fatto. Per il momento, sta bene qui. Sono sicuro che anche quando si sveglierà, non darà fastidio. Penseremo poi cosa farne.»

«E di lui? Che ne facciamo?» chiese Silvia indicando René. «Dovremmo seppellirlo, forse. Come è morto?»

«Quando sono uscito dall'ascensore stava colpendo Masi, poi ha vomitato ed è stramazzato a terra. Sono arrivati insieme meno di un'ora fa; dal monitor l'abbiamo visto lanciarsi contro il "Recinto" (forse obbligato da Masi), ed è stato sbalzato lontano. Sinceramente credevo fosse morto in quel momento. Ma sono abbastanza sicuro che l'accumulo di energia che deve aver immagazzinato quando ha toccato i raggi del "Recinto", era troppo per il suo corpo. Per fortuna ha fatto in tempo a vendicarsi su Masi. Forse l'unica cosa positiva della sua vita.»

Notò gli sguardi dei due interlocutori accigliarsi.

«Già! Era un poco di buono pure lui! E comunque... no. Non lo seppelliremo. Dovreste farlo voi due ed è uno spreco di energie e di tempo, soprattutto per un uomo del genere. C'è una carriola qui dentro, da qualche parte. Più tardi lo caricherete e lo getterete nel fiume. Almeno può servire ai pesci.»

Alessandro sgranò gli occhi e guardò la moglie. «Era così cattivo anche lui?»

Franco aprì la bocca, ma Silvia lo anticipò. «Lo so! Ci racconterà... scusa, racconterai dopo.»

Franco sorrise. «Più che cattivo, era abietto. Non ci sprecherò troppe parole. Ora, per favore... mia nipote.»


Francesca poteva essere spostata senza rischi; Alessandro e Silvia la sollevarono e la trasportarono nell'ascensore, per fortuna largo abbastanza da poterla tenere in posizione orizzontale; dopodiché, sbuffando per la fatica e seguendo le indicazioni di Franco, la portarono nella stanza "04-MED", non distante da quella in cui la donna aveva recuperato il collare. Silvia avrebbe voluto che anche Antonio andasse con loro, ma il ragazzino si era immerso del tutto nel suo nuovo gioco delle viti, e sembrava nemmeno sentire sua madre che lo chiamava.

«Lascialo lì, dai. È tranquillo e pare divertirsi. Torniamo subito, tanto.»

«Non voglio lasciarlo da solo con quell'uomo.»

«Non preoccuparti, Silvia. È neutralizzato per bene. Te lo assicuro» si intromise Franco.

Una volta nella stanza, adagiarono Francesca sul lettino e Alessandro le applicò una flebo.

«Come sta?» chiese Franco. «Dimmi la verità.»

«A livello fisico, bene. Ha il naso rotto, ma non in maniera grave. Parecchie ecchimosi in faccia e una leggerissima commozione cerebrale. Ma veramente poca cosa. E anche a livello genitale non ho riscontrato problemi, a parte qualche leggera abrasione. Insomma, tutte cose guaribili con qualche giorno di riposo.»

«Ma? Perché c'è un "ma", vero? Lo percepisco dal tuo tono.»

«È in coma, ma di un genere che non avevo mai visto. Sembra più uno "svenimento pesante", se mi passi il termine.»

«Oddio! Dici che si riprenderà?»

Gli occhi di Franco avevano ricominciato a riempirsi di lacrime.

«Chi può dirlo? Non lo so, Franco, mi spiace. Le sue funzioni vitali, comunque, sono stabili.»

Controllò per un attimo la flebo.

«Hai assistito allo stupro?»

«No» rispose il vecchio. «Appena ho visto nel monitor che l'assaliva, sono corso, o nel mio caso, ho ruotato velocemente la carrozzella verso l'ascensore, e quando sono arrivato qui, René l'aveva già colpito, come vi ho detto prima. Perché la domanda, se posso?»

«Volevo sapere se Francesca è stata cosciente durante lo stupro.»

«Credi abbia resistito, per poi crollare tutto in una volta quando ha visto il suo aguzzino venire neutralizzato?» chiese Silvia.

«Può essere. Ma a livello di cure, non cambia niente. Possiamo solo alimentarla con la flebo, aspettare e sperare. Pregare anche, Franco, nel caso tu sia religioso.»

Il vecchio ridacchiò, esibendo tutta la stanchezza che si sentiva addosso.

«Sono uno scienziato, pazzo per tutto quello che è fisica, meccanica, astronomia, e chi più ne ha, più ne metta. Scienza e religione fanno a pugni da sempre, e io... beh, non sono da meno. Pur rispettando chi preferisce crederci... no. Sono ateo, convinto al mille per mille. E poi, dopo la venuta del nostro amico spaziale, chi può ancora credere in qualcosa di divino? Voi siete credenti?»

I due coniugi si fissarono per un momento.

«Io sono nato down e, circa una ventina di anni fa, un tizio, toccandomi, mi ha tolto la sindrome. Non so se posso definirmi credente, ma devo ammettere che qualche pensata l'ho dedicata alla questione.»

«Finché non è nato tuo figlio, down pure lui!» intervenne Silvia, il volto tirato in una maschera di rabbia. «Sono tutte stronzate! Per quale motivo Dio dovrebbe farti nascere diverso, e poi mandare qualcuno a curarti? Che senso ha? Per poi far nascere tuo figlio con lo stesso problema. È lo stesso concetto di chi prega per i malati... Se Dio è tanto buono da farlo guarire, poteva non farlo ammalare! Non sei d'accordo con me Fra... Franco! Che c'è?»

L'ingegnere aveva posato le mani sui braccioli e sembrava realmente sul punto di alzarsi in piedi.

«Tu e mia nipote vi siete parlati per telefono, qualche mese fa...»

Alessandro spalancò gli occhi. «Sì...» disse, titubante, timoroso quasi fosse una cosa sbagliata. «Se siamo qui, il merito è suo.»

Il vecchio deglutì. «Qual è il vostro cognome? Me l'avete detto prima, ma nell'agitazione del momento, credo di non aver ascoltato.»

«Gallo. Io sono Alessandro Gallo.»

Nella mente di Franco comparve la lista, la famosa lista che aveva consegnato ad Alberto, tenuta in mano da... Antonio, quel misterioso ragazzino con la sindrome di Down. Sindrome di Down... All'improvviso, fu tutto chiarissimo.

«Tu sei quel ragazzino che, quasi ventidue anni fa, fu guarito dalla sindrome di Down dentro a un ipermercato di Bologna! Da Nicolas, il guaritore!»

«È quello che ho appena detto. Tua nipote mi ha detto che volevi parlarmi e...»

Ma Franco non stava ascoltando. Aveva il cuore che batteva forte, le orecchie che ronzavano, la testa che girava. Le lacrime si rinnovarono nei suoi occhi, quando li ripiantò su di lui.

«Mio Dio! Tu sei uno scrigno!» disse.


L'urgenza della "chiacchierata" era diventata impellente, da ambo le parti. Silvia chiese solo un altro po' di pazienza per il bisogno che, sia lei, sia suo figlio, sia suo marito, avevano di andare in bagno, farsi una doccia e mangiare qualche cosa.

«Certamente! Scusate. Non sono un gran ospite. È che di questo tipo di cose, in genere, si occupa Monica, il mio angelo custode. Ma adesso è in "missione", diciamo così. Spero torni presto. Andiamo alla baita. Là troverete tutto ciò che vi serve. Ma prima, come ultimo favore, vi chiedo di occuparvi del cadavere di René. So che non è un'operazione piacevole da compiere, ma vi chiedo, per piacere, di caricarlo sulla carriola che dovreste trovare nello stanzino, a destra dell'ingresso della fabbrica, e di scaricarlo nel fiume.»

I due coniugi si guardarono; entrambi avrebbero senz'altro preferito seppellire quell'uomo. Franco sosteneva fosse malvagio, e non c'era motivo per non credergli, ma per loro era solo un essere umano morto sul pavimento di una fabbrica. Scaricarlo nell'acqua di un fiume, come un pesce appena pescato, sapeva un po' di... selvaggio. Nello sguardo che si scambiarono entrambi lessero la medesima cosa, ma c'era soprattutto la stanchezza, accumulata in due giorni tra i più faticosi delle loro vite. Nessuno dei due aveva voglia di mettersi a scavare una buca nel prato, ma solo potersi sdraiare su un comodo letto, chiudere gli occhi e poter passare qualche ora senza troppi pensieri per la testa.

Gettare l'uomo nel fiume era la via più breve per arrivare al loro, meritatissimo riposo. Così non protestarono ed eseguirono il favore chiesto, mentre Franco posizionava una telecamera su Francesca, in modo che Alessandro potesse tenerla controllata, una volta sistematisi nella stanza in cima alla torretta, dove aveva intenzione di andare a parlare.

«Grazie mille. Lo apprezzo tantissimo. Vi aspetto da Antonio.»

Impiegarono circa mezz'ora; tornarono dentro all'FDS, dopo aver recuperato anche il borsone che avevano lasciato all'ingresso, appurarono che Masi fosse ancora nel mondo dei sogni e seguirono il vecchio all'interno della baita.

«Franco, abbiamo lasciato il resto della nostra roba nell'auto, nella radura all'inizio dei sentieri...» parlò Alessandro, mentre si avviavano verso una porta che, immaginò, collegava l'FDS alla baita.

«Ah! È così che siete arrivati qui!»

«Già. Volevo chiederti se c'è qualche modo per recuperare tutto... Senza tornare là a piedi, intendo.»

Conosceva la risposta, ancor prima che Franco parlasse.

«No, mi spiace. I sentieri sono percorribili solo a piedi. L'unico modo è raggiungere la mia villa col treno, e da lì arrivare alla vostra radura con un'auto. Ma il treno, ora, è via con Monica. Quando torna... se ne avete voglia e riuscite a convincerla...»

Fece un mezzo sorrisetto.

«Oh, dai! Non è così importante» disse Silvia, intromettendosi nel discorso. «Un po' di roba per cambiarci l'abbiamo qui.»

«Meglio così» sentenziò Franco, aprendo la porta e sentendo il sorriso spegnersi mentre fissava il buco che c'era nella seconda porta, al posto della serratura.

«Cos'è successo?» chiese Alessandro, notando pezzi di metallo sparsi per terra, e una grossa macchia nera sul muro, proprio sopra la porta dalla quale erano passati.

«Masi!» sentenziò Franco. «È entrato da qui, e si è divertito a distruggere la telecamera.»

«E quel reticolato che c'è fuori? Tutt'intorno alla casa? Non so se sai che è rotto... Si può riparare?» chiese Silvia.

«No, no. Non è una gran protezione. Se ci dovesse attaccare Ismel, lo distruggerebbe in un nanosecondo! L'ho usato solo perché ero sicuro che Masi gli avrebbe sparato contro, così ho ingabbiato un po' del suo potere in un'arma che aveva dato a Francesca. Purtroppo, non è servita a nulla. A proposito... È ancora nell'ufficio, in fabbrica. Ricordatemi di recuperarla, poi.»

«Però, scusa. Perché pensi che... Ismel dovrebbe attaccare proprio questo posto?»

Alessandro deglutì vistosamente nel formulare la domanda.

«Vu... Vu... Efffe!» disse all'improvviso Antonio, facendoli tutti trasalire.

Franco bloccò la carrozzina e si voltò a fissarli.

«Cosa significa questo "Vu Effe"? Voi lo sapete?»

Silvia fece no con la testa, ma Alessandro si limitò a fissarlo.

«Ale?»

«Non lo so! Ma anche stanotte... mi sono svegliato e lui era in piedi sulla soglia della camera, e ha pronunciato queste due lettere.»

«Perché non me l'hai detto?»

Lo sguardo di Silvia oscillava tra la rabbia e la delusione.

«Aspetta! È questo che ti ha turbato tutto il giorno, vero? Dimmi la verità.»

Lui la fissò senza voltare la testa e annuì, impercettibilmente.

Franco li guardava. Aveva mille pensieri che gli frullavano nella testa e mille dubbi che nascevano tutti insieme.

Si rivolse ad Antonio. «Ragazzo, cos'è Vu Effe?»

Il ragazzino si limitò a sorridere. In quel momento mostrava tutte le caratteristiche tipiche della sua sindrome. Non aprì bocca.

«Signori Gallo! Devo dire che siete molto, molto interessanti. Soprattutto il vostro ragazzo. Comincio a pensare che riservi delle sorprese.»

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