36 - IL CAMPEGGIO (2)

Avvertì d'improvviso una presenza davanti a lui e quando si rigirò mise il piede su un tombino appena sollevato dalla strada; la caviglia si storse appena e cadde in avanti, frenando di riflesso la caduta con le mani, mentre si girava sulla schiena pronto a vedersi i cinghiali piombargli addosso.

Vide invece qualcosa volare sopra la sua testa e colpire l'animale sul muso; il cinghiale si fermò di colpo, muggendo di dolore. Allo stesso tempo un'ombra lo superò alla sua destra, frapponendosi tra lui e gli altri quattro maiali, brandendo un bastone lungo in mano e urlando come un ossesso. I cinghiali si arrestarono e si sparpagliarono grugnendo di protesta, mentre due braccia lo sollevavano da dietro.

«Dai! Vieni! Veloce!»

Ebbe la tentazione di voltare la testa prima d'obbedire, ma si sentì tirare quasi di peso e si alzò, spingendo con i palmi e puntellandosi con i talloni; subito un dolore pungente partì dalla caviglia, inducendolo d'istinto a rimettersi giù.

«Dai! N'c'ettempo!»

La cadenza toscana s'intrufolò nella sua testa ripiena di spavento, regalandogli in modo inaspettato un piccolo momento di ritrovata forza. Ignorando il dolore, fece uno sforzo e si tirò su, aiutato dall'uomo, che si fece mettere un braccio attorno al collo, cingendolo al fianco con l'altra. Lo tirò fino al primo gradino, mentre l'altro individuo continuava a mulinare il bastone davanti a sé.

Salendo le scale, Franco si voltò un istante e vide i quattro cinghiali un po' più in basso di dove erano arrivati, spaventati da quelle improvvise apparizioni; il quinto invece, il più intrepido e il più feroce, stava tornando alla carica, ripresosi dalla botta e per nulla intimorito da quel legno che veniva agitato davanti al suo muso.

«VIENI VIA, TONI! SAI CHE QUELLO L'È TOSTO D'AFFRONTARE!»

Giunsero sul terrazzo. Alla loro destra c'era la piscina, a sinistra, il ristorante chiuso da una lunga vetrata. L'uomo lo lasciò.

«Entra lì!» e gl'indicò una porta di fronte, l'ingresso dell'emporio del campeggio. Franco zoppicò più veloce che poteva; il dolore alla caviglia era forte e aveva spento quello più lieve al ginocchio; riusciva comunque ad appoggiare il piede e questo era un buon segnale.

«ATTENTO, TONI! ST'ATTENTO!»

Un urlo squarciò l'aria; Franco, ormai sulla soglia, si voltò e vide l'uomo, di schiena in cima alle scale, con le mani nei capelli.

Scese qualche gradino, ma tornò su subito, dirigendosi verso di lui, camminando all'indietro, proprio come aveva fatto lui solo qualche minuto prima.

«Che c'è?» chiese Franco. «Dov'è Toni?»

L'uomo lo spinse all'interno del negozio.

«L'è andato!»

Chiuse la porta dando due mandate con la chiave.

L'ambiente era avvolto da una sottile penombra e l'unica luce che filtrava era quella che veniva dai vetri della porta.

«What? In che senso, è andato?» chiese un altro tizio, basso e magro, in piedi, appoggiato al muro di fondo. Si avvicinò.

«M'aiuti almeno a bloccà la porta?»

Il primo uomo s'era messo su uno dei lati di un grosso freezer, nell'atto di spingerlo. Per un attimo, Franco credette si stesse rivolgendo a lui, e si avvicinò per aiutarlo. «Non tu! Non ti s'è storta la caviglia?»

L'altro tizio affiancò il primo uomo e insieme spinsero il pesante elettrodomestico, finché non fu contro l'ingresso.

«Antonio è morto?»

Una terza voce giunse alle loro spalle. Franco si voltò e vide una donna, ferma sulla soglia di una porta che non aveva notato, perché chiusa. Ora che era stata aperta, dall'altra stanza filtravano i raggi del sole che bucavano la penombra come spilli in una mela, provenienti da una finestra assente invece nell'emporio in cui si trovavano.

La donna fece un passo avanti; se non fosse stato per l'evidente scorrere degli anni che le aveva segnato il viso (senza dubbio anche lo sconvolgimento causato dalle cose successe negli ultimi giorni, aveva fatto la sua parte), sarebbe sembrata una ragazzina, vista la corporatura minuta che aveva. Ma il volto suggeriva un'età non tanto minore alla sua; Franco abbozzò potesse avere tra i quarantacinque e i cinquant'anni. Aveva i capelli ricci, rossi, tagliati corti, e si era coperta le spalle con un telo da mare, dal quale s'intravedeva, sul davanti, la parte sopra di un costume che le aderiva perfettamente sul petto praticamente piatto; un paio di pantaloncini da jogging nascondevano fino al ginocchio due gambe molto magre; ai piedi, minuscoli e curati, aveva un paio di ciabatte.

«Certo che l'è morto! Ma se il tu' marito ci dava una mano... magari sarebbe ancora qui! Piacere, Mario» sbraitò il primo uomo, mentre allungava la mano a Franco che la stringeva con un sorriso perplesso, ricambiando la presentazione. Stava per esternare la sua immensa gratitudine per avergli, di fatto, salvato la vita, quando l'altro tizio sbottò.

«Che cazzo vuoi da me? Io non me ne vado in giro con tutte quelle bestie, là fuori!»

«E io perché invece devo andà? Perché Antonio è dovuto andà?»

«Ma... figa di biscia! Chi va costretto? Io certo no...»

Mario gli si fece sotto e lo prese per la maglia. «Che cazzo di egoista tu sei? Lui sarebbe morto se non fossimo andati!»

Indicava Franco che, pensando a Toni, si sentiva in colpa. Era salito al campeggio per salvare qualcuno che aveva trovato morto, di fatto segnando il destino di quest'uomo, Antonio detto Toni, di cui nemmeno aveva visto la faccia, sbranato da cinque cinghiali solo per salvare la sua vita.

"Se non è stronzo il destino...!"

La donna avanzò a passi decisi. Lo sguardo stanco di qualche momento prima era sparito, sostituito da qualcosa di decisamente più combattivo. Si frappose fra i due uomini, guardando dritto in faccia Mario, placando e placcando il marito che sembrava sull'atto di colpire l'avversario.

«Non lo toccare! Fa bene lui a starsene qua!»

«Se mi metti di nuovo le mani addosso, stronzo...»

«...e Martina? T'aveva chiesto se andavi...»

«Se te la vai a cercare, perché...»

«... ti faccio vedere io se...»

«Signori! SIGNORI!»

Franco intervenne tenendo le braccia alzate.

«Per favore! Calma! Dobbiamo parlare e anche alla svelta.»

Sia Mario che la donna si zittirono, mentre il terzo tizio continuò, imperterrito. «...pensa te! Io devo andare a farmi sbranare da dei maiali solo perché...»

«BASTA!» gli urlò in faccia Mario.

«Oh! Che cazz...»

«Zitto, amore. Dai, sentiamo cosa deve dirci.»

«Per favore» riprese Franco. «Non ha senso litigare tra noi, o tra voi in questo caso. Spiegatemi bene com'è la situazione qua. Poi parlerò io. E, per favore, avrei bisogno d'acqua e di qualcosa da mangiare.»

Mario gli indicò uno scaffale con pacchi di biscotti, merendine e snack vari.

«Non abbiamo nient'altro da offrirti. La roba fresca ormai l'è andata, senza più elettricità per far funzionà il frigo. Le bottiglie d'acqua sono lì. Per fortuna c'avevano portato le scorte sabato mattina, prima di... tutto questo.»

La voce gli s'incrinò mentre lanciava uno sguardo cupo alla coppia; stavano continuando a discutere tra loro.

«Se mi rimette le mani addosso...»

«Basta, amore! Calmati un po'...»

«Figa di biscia! Sembra che tu lo difenda!»

«Cosa dici? Sto difendendo te e...»

Mario invitò Franco ad andare nell'altra stanza, precedendolo e scuotendo la testa.

«A proposito... Grazie per avermi salvato la vita» gli disse Franco, mentre prendeva un paio di pacchi di biscotti, alcune confezioni di patatine e una bottiglia d'acqua naturale. Diede uno sguardo sfuggente anche alla mensola degli alcolici, sentendo la saliva ribollire nella bocca e la sete che si trasformava lentamente nel bisogno di qualcosa di più saporito dell'acqua. Ma girò la testa in fretta cercando di non pensarci, sapendo che, se l'avesse fatto, non avrebbe resistito.

«Non lo dì nemmeno! Se non c'aiutiamo tra noi...»

Si voltò poi verso il fastidioso borbottio degli altri due. «La piantate, per favore? Per di qua... Franco, giusto?»

Annuì. «Hai detto che non c'è più elettricità?»

«No. E nemmeno gas e acqua! Questi alieni so' furbi! Han tolto le comunicazioni, poi i servizi. Così se anche hai scampato la bolla... duri poco!»

La seconda stanza altro non era che il magazzino dell'emporio, e forse anche del bar. La parete di fronte era stipata di scatoloni e, osservandola, Franco pensò, non senza una punta d'inquietudine, a quanto del cibo che c'era lì dentro sarebbe rimasto ad ammuffire. Su una delle mensole erano disposte una fila di bottiglie che lui conosceva molto bene: vodka, Martini, Montenegro, whisky... Per non parlare delle cassette di birra che coprivano quasi per intero l'angolo alla sua destra.

"È un tormento continuo!" pensò, sentendo crescere sempre più la voglia di farsi un goccetto.

La caviglia gli faceva male e anche il ginocchio aveva ripreso a pulsare, per non parlare dell'adrenalina che il suo corpo aveva prodotto durante il confronto con i cinghiali e che sembrava essersi incollata a ogni sua fibra. Sì! Un buon bicchiere l'avrebbe aiutato! Il mal di testa era passato, stranamente non si sentiva nemmeno più stanco, o almeno non come prima. Pareva che le fortissime emozioni passate l'avessero ripulito, eliminando le scorie della sbronza precedente. Era pronto per iniziarne un'altra, nel caso...

Mario s'avvio a sinistra, attraverso un piccolo corridoio che terminava in una porta, ma nella sua mente Franco si vide andare nella direzione opposta, verso la mensola, afferrare la prima bottiglia che capitava (una qualsiasi... non importa... basta che si beva!) e tracannare beatamente finché un nuovo mal di testa gli comunicasse che era iniziata la nuova sbronza. Poi avrebbe chiesto un Oki, si sarebbe cercato una bella brandina, si sarebbe sdraiato...

«Per di qua!»

La voce della donna lo riportò alla realtà. Si ritrovò immobile, appena varcata la soglia, in piedi, a fissare la mensola degli alcolici.

"Sei patetico!" pensò, voltandosi e vedendo la coppia che lo fissava perplessa, per poi avviarsi pure loro dietro a Mario. Franco li seguì.

Un pensiero lo fulminò.

"E se fosse stata quella... cosa che mi è venuta prima?"

Ricordava benissimo che mentre si godeva la meravigliosa sensazione regalatagli dallo scoppio di quelle bollicine sulla (dentro?) la sua pelle, non sentiva più stanchezza, mal di testa, la fiacchezza dei suoi anni ma, soprattutto, la voglia di bere.

"Non desideravo più fare una cosa che adoro fare, ma che sto cercando disperatamente di smettere di fare..."

Il pensiero gli venne così, all'improvviso, senza che ci riflettesse nemmeno un secondo e dovette ripeterselo per capirlo del tutto. Desiderava il calore; lo bramava più di quanto avesse mai bramato bere; il desiderio di rivivere quelle sensazioni, superava di gran lunga anche quello che aveva per sua moglie e che l'aveva spinto negli ultimi quattro anni ad aumentare di parecchio il numero di masturbazioni quotidiane.

«Ehi! Tutto a posto?»

Si accorse che Mario lo fissava. Si era bloccato di nuovo, immerso nei suoi pensieri e nelle sue bramosie, stavolta davanti alla seconda porta.

«Sì, sì. Tutto bene. Un leggero capogiro...»

Varcò la soglia e si ritrovò in quello che doveva essere il ristorante del camping, una vasta sala piena di tavoli sparecchiati, chiusa su due lati da un'ampia vetrata che dava sul terrazzo. Quasi tutta la lunghezza della parete di fronte a loro, invece, era occupata dal bancone del bar, con tutte le sue belle vetrinette e mensole ricolme di...

"Cazzo! Che palle! Cos'è, un test di resistenza?"

I suoi compagni stavano procedendo oltre, infilandosi in un ennesimo ingresso alla loro destra, dopo quella che portava alle cucine.

«Dove stiamo andando?» chiese.

«Nel mi' cottage. Così si po' parlare più comodi.»

Scesero per una scala e attraversarono un breve corridoio.

«Io non ho molto tempo. Devo ripartire al più presto.»

«E vorresti tornare là fuori?»

Il tizio di cui ancora non sapeva il nome, si era voltato. Franco aveva già deciso che non provava molta simpatia per lui.

«T'hanno appena salvato da morte certa. Vuoi riprovarci?»

«Ando! Dai.» La moglie gli diede una gomitata. «Scusalo! È un po' su di giri. Io sono Cata, piacere.»

Gli allungò la mano, mentre camminavano. Franco la strinse, aggrottando la fronte.

«Fa niente, fa niente!» disse.

«Non sono su di giri! È che la situazione è decisamente border line.» Gli tese pure lui la mano. «Sono Ando. Piacere.»

Franco strinse anche la sua. Non aveva capito cosa avesse detto, ma non se ne fece un cruccio. «Beh, io sono Franco.»

Pareva una coppia ben assortita: minuta lei, piccolo lui, riccia lei, ricciolino pure lui. Entrambi usavano dei nomignoli (riteneva ovvio che Cata e Ando non fossero i veri nomi!) e tutti e due erano piuttosto battaglieri. Non era ancora riuscito a inquadrare la donna, ma il marito pareva uno che cercava sempre e comunque di fare i propri interessi. Almeno questo era parso a Franco, per quel pochissimo che aveva potuto constatare

«Eccoci qui!» disse Mario.

Entrarono in una piccola sala, occupata quasi per intero da un divano che girava per tre quarti intorno a un tavolino piuttosto basso. Alla loro destra c'era il bagno, visibile attraverso la porta semiaperta, mentre di fronte s'intravedeva la camera da letto.

Un pastore tedesco nero, corse loro incontro abbaiando.

«Bona, Gabi! Bona!»

Mario si chinò e l'afferrò, carezzandole la testa.

«L'è il mi' cane!» disse a Franco che si era arrestato timoroso.

Ando si accucciò e la chiamò; l'animale, scodinzolando, lo raggiunse, prendendosi la dose di coccole, a cui si unirono quelle di Cata.

«Poverina! L'è stata spaventata pure lei in sti giorni» aggiunse Mario.

Franco s'avvicinò prudente, cercando di mostrare al cane un volto rassicurante. Ma Gabi cominciò a ringhiare; si divincolò dalle braccia di Ando e cominciò a indietreggiare, alternando dei guaiti ai ringhi.

«Che c'è, tata?»

Subito Mario le si accostò per tranquillizzarla; l'animale gli leccò una mano, ma continuava a tenere occhi pieni di terrore fissi su Franco che s'era bloccato, piuttosto imbarazzato.

«Non ho mai avuto un buon rapporto coi cani. Mi sa che la tua, non fa eccezione.»

Non era vero. Avevano avuto un pastore maremmano al ristorante per quasi vent'anni, trovato da suo padre per strada quando era un cucciolo. In breve, era diventato la mascotte di tutti loro e anche dei clienti. Aveva sofferto, insieme a Franco, la morte dei suoi genitori e, dopo qualche anno, se n'era andato pure lui. Il dolore era stato immenso e Franco, di comune accordo con i suoi dipendenti e amici, aveva deciso di non prenderne un altro.

In quel momento, però, sentì che mentire era la cosa giusta e, senza sapere il perché, ripensò ai granchi e ai pesci che si allontanavano da lui. C'era una correlazione con la reazione che stava avendo adesso quel cane? Non riusciva a vederla, ma quel granchietto che si scostava da lui così rapidamente non si schiodava dai suoi pensieri.

"In quel momento avevo il calore addosso..." pensò. "Adesso no."

C'erano tante cose che non capiva, e si sentiva molto confuso. Una volta smesso di pensare alle bollicine, gli era tornata la voglia delle altre bolle, quelle di un buon vino frizzante. Ma ora, la paura del cane, il pensiero sui granchi, sui pesci... di nuovo sentiva irresistibile il bisogno di risentirsi addosso quel calore. Se solo avesse saputo come farlo tornare!

Mario stava trascinando Gabi in camera; la fece salire sul letto e le diede un pupazzetto che stava per terra.

«Sta' bona qui, tata. Dopo ti do da mangià.»

Chiuse la porta e li invitò a sedersi.

«Mi dispiace per il cane. Io...»

«Non l'è mica colpa tua, per la miseria. E so' cani. Anche loro hanno le loro simpatie. Coraggio, cerchiamo di capì la situazione in fretta. Poi si dovrà decidere come procedere.»

Ando strabuzzò gli occhi. «Sorry? Non vorrai mica andar via da qui?»

«Qualcosa dobbiamo fà, ciccio! Non si po' mica resta' qui per sempre! Se Franco c'ha da proporre qualcosa d'interessante, lo si ascolta volentieri!»

«Raccontatemi prima cos'è successo a voi. La Biodola l'è piena di cadaveri e di cinghiali.»

Da quando aveva cominciato a vivere con Beatrix, aveva quasi perduto la cadenza toscana, comunque, mai troppo accentuata nella sua parlata. Sua moglie ne era dispiaciuta, confessandogli che trovava quel dialetto piuttosto sexy. Ma Franco non lo faceva apposta; era sparita, forse influenzata dalla cadenza strascicata delle parole di Beatrix. Ma quando si ritrovava a contatto con qualcuno la cui toscanità era così evidente, ne veniva, per così dire, un poco contagiato.

«L'è semplice» iniziò Mario. «Prima c'è stata la tragedia di Bologna, poi quel messaggio e i telefonini che han smesso di funzionà. Poi so' arrivati quegli omi viola volanti... Immagino l'hai visti anche tu. Si so' portati via quasi tutti, giù alla spiaggia: clienti e i mi colleghi di lavoro. Ah, scusa. Io so'... ero, il capo dei tecnici in servizio nel camping. Siamo rimasti in sei. Noi tre, il povero Toni, ch'era il cuoco...» la voce gli s'incrinò e fece una piccola pausa. «... Martina e Luigi, altri du' clienti. Non ti sto a raccontà come ci siamo salvati. Culo e coraggio, diciamo così.»

«Noi eravamo in casa perché non avevamo voglia d'andare in spiaggia e abbiamo sentito di Bologna» interruppe Cata. «Dio mio! Ho chiamato subito mia mamma e mio babbo per sentire come stavano, perché siamo bolognesi se non lo sapevi. Ero sconvolta, merda! Poi la telefonata si è interrotta e quel messaggio... Pensa che abbiamo degli amici che vivono dietro a Piazza Maggiore e...»

«Va bene, Cata! Ma questo non ci serve adesso. Lasciami proseguì.»

La donna si zittì, quasi offesa.

«Dicevo... Ci siamo rifugiati qui, in attesa di capì cosa fare. Per du' volte abbiamo sentito l'omo qui fuori, ma non c'ha trovato, per fortuna. Domenica mattina, visto ch'era tutto tranquillo, so' uscito per cerca' qualcun altro. Nel campeggio non ho trovato nessuno. So' andato giù alle spiagge e ho visto...»

Chinò la testa in avanti, massaggiandosi le tempie con la mano. Quando riprese a parlare, piangeva.

«Ho visto la bolla e tutta quella gente a guardà in su, con quei cosi rossi che uscivan dalla bocca. Tu sa' che cazzo era?»

Franco fece no con la testa.

«So' tornato qui; non sapevamo che fare. A pomeriggio abbiamo deciso di provà ad andare a Portoferraio per vedere, capire. Ma nel parcheggio c'erano i cinghiali. Quelle bestiacce c'hanno attaccato subito; siamo sfuggiti per un pelo.»

«Il più grosso aveva quasi preso Ando!» intervenne ancora Cata.

«Figa di biscia! Me la son vista brutta! Per fortuna che sono un runner

Mario stava per intervenire di nuovo, ma Franco lo anticipò, ignorando quasi del tutto la coppia. Li aveva già abbastanza inquadrati: erano un concentrato puro di egocentrismo. Si rivolse all'altro uomo che pareva decisamente sul pezzo e gli ispirava molta fiducia.

«E dove sono... com'hai detto che si chiamano? Martina e...»

«Luigi! Martina e Luigi. Erano du' clienti. Lei era qui con su marito e il piccino; lui con la fidanzata. Catturati! Dico il marito, il bimbo e la ragazza di Luigi. Lei era disperata... Voleva a tutti i costi andà a cercarli. Aveva chiesto a lui...» indicò Ando, «se l'accompagnava, visto ch'erano vicini di casa...»

«Mi dispiace per lei e per i suoi, ma andare in giro con quelle bestie non mi pareva molto intelligent

Di nuovo Franco accigliò lo sguardo per il modo in cui si esprimeva Ando; gli piaceva sempre meno e trovava parecchio fastidioso l'eccessiva importanza che dava a sé stesso e alle cose che lo riguardavano. Era un aspetto delle persone che non aveva mai sopportato e, in quel frangente, con quello che stava succedendo intorno a loro, riteneva fondamentale la cooperazione tra le persone. Non poteva credere che una donna gli avesse solo chiesto d'accompagnarla a cercare il marito e il figlio e lui le avesse negato l'appoggio. Era inconcepibile! E, purtroppo, notava che anche Cata soffriva della stessa malattia, anche se, la prima impressione che aveva avuto su di lei, era stata diversa. Per un momento sentì il calore tornare a spandersi in lui e il suo cuore ebbe un fremito improvviso di gioia. Ma fu solo un attimo, un fugace e veloce attimo. Si spense subito, ma non prima che facesse in tempo a sentire le adorate bollicine formarsi e scoppiare sulla pelle.

«Guarda, Ando...» rispose Mario. «Non parlà nemmeno che è meglio!»

Blocco con la mano il tentativo di ribattere e continuò.

«Comunque... Martina alla fine l'è andata a cercà i suoi, anche se le ho detto che non c'era nulla da fare. Ma la capisco anche, suvvia. Luigi l'ha voluta accompagnà. Non sono più tornati...»

«Dove avevate il cottage o chalet o quello che era?» chiese Franco, rivolto più a Cata che ad Ando. Credeva di sapere già la risposta.

«L'ultimo in basso, sopra la strada» rispose lei.

Franco sospirò. «Allora Martina l'è morta. E male anche. È stata dilaniata da due cinghiali. L'ho vista io.»

Nessuno parlò per un minuto, poi Cata ruppe il silenzio. «E Luigi?»

«Non lo so. Ho visto solo il cadavere di una donna.»

«E tu, invece?» s'intromise Mario, dopo un profondo sospiro. «Che ci racconti? Che facevi là fori?»

«Sarò rapido e conciso pure io. Ho bisogno di ripartire prima possibile.»

Ando emise un piccolo sbuffo, simile a un breve sghignazzo. Sia Franco che Mario gli lanciarono un'occhiataccia.

«Ho lasciato il mio ristorante ieri sera» continuò, massaggiandosi il ginocchio appena dolorante. «I miei amici e dipendenti sono finiti tutti là, dove sapete. Sono salito sul mio peschereccio e sono partito con l'intenzione di arrivare a Livorno, da mia moglie.»

Le espressioni dei suoi interlocutori cambiarono e a Franco parve quasi di vedere la domanda scorrere nelle loro menti: "Perché tua moglie sta a Livorno?" Non erano sicuramente fatti loro, ma le parole gli uscirono di getto, come se la parte più istintiva di sé stesso ritenesse giusto informare quegli estranei sulla sua vita coniugale. «Mi ha lasciato quattro anni fa... per colpa mia. Devo assolutamente sapere se sta bene.»

«Certo, certo...»

Mario sorrise, notando l'imbarazzo improvviso salito sul viso dell'uomo.

«Hai un ristorante? Qui sull'isola?» chiese poi, cercando di cambiare discorso.

«Già. "Le luci di Bastia". Sta a Colle d'Orano. Lo conosci?»

«L'ho sentito, ma non so' mai venuto, mi spiace.»

Franco sorrise, come a dire che non era certo un problema.

«Colle d'Orano non è vicino a Sant'Andrea?» chiese Ando, con uno strano sorriso sulle labbra.

«Poco dopo. Ma che c'entra, scusa?»

«Mi pareva! Veniamo all'Elba da quanto? Dieci anni, ormai. Figa di biscia! Credo di avere una certa knowledge dell'isola, ormai!!»

Sorrideva e Cata con lui.

«Ma scusa... se sei partito per mare da Colle d'Orano ieri sera, e vuoi arrivare fino a Livorno che, insomma, it's a long navigation e dici di avere una fretta terribile... Com'è che oggi pomeriggio ti trovavi ancora davanti alla Biodola? E soprattutto, perché ti sei fermato?»

Il fastidio che quell'individuo procurava a Franco cominciava a raggiungere livelli troppo alti! Deglutì per la rabbia, ma anche per l'imbarazzo di dover ammettere che era un ubriacone patentato, cosa che non aveva voglia di fare al momento. Gli sguardi di Ando e Cata, fissi su di lui con il sorriso mezzo accennato, come a dire "ci nascondi qualcosa, vero bello?" lo mandavano in bestia, ma quando si voltò verso Mario, la rabbia divenne stupore. Anche lui lo fissava, in attesa di una spiegazione che, a quanto pareva, tutti volevano. Perché aveva percorso solamente qualche miglio in circa una ventina di ore?

"Perché ero ubriaco pesto! Ecco perché!"

Più si sforzava d'inventarsi qualcosa e più la verità si stampava nella sua mente e se cercava di spostarla per far emergere la prima bugia credibile, quella tornava al centro, come se fosse attaccata a una molla. Da buon marinaio quale riteneva di essere, decise di circumnavigare intorno alla realtà, cercando di non avvicinarsi troppo a quel paio di argomenti che, ancora, riteneva saggio non divulgare.

«A prescindere che non sarebbero cazzi tuoi, comunque, se proprio ci tieni saperlo, mi sono ancorato al largo ieri sera, perché non volevo navigare al buio. Mi sono addormentato tardi e mi sono svegliato tardi, tipo dopo mezzogiorno. Mi sono portato dietro delle taniche di gasolio e ho dovuto fare rifornimento... ho perso un po' di tempo. Quando sono passato qui davanti, mi sono fermato a vedere com'era la situazione, perché amo la Biodola, per tanti motivi. Ho visto i corpi, ho visto i cinghiali e ho sentito un urlo provenire da quassù. Probabilmente era Martina. Ho una coscienza e l'ho ascoltata, anche se non sono servito a nulla. Anzi... Se avessi tirato dritto, Toni sarebbe ancora vivo! Comunque, eccomi qui! Contento?»

Aveva deciso, proprio in quel momento, di non parlare nemmeno del calore; non sapeva spiegarsi il perché ma, in qualche modo, sentiva che era una cosa solo sua e non voleva condividerla con nessuno. Un brivido di freddo lo attraversò all'improvviso, istantaneo, quasi impercettibile, ma la pelle gli si accapponò. Alzò lo sguardo, chiedendosi se qualcuno di loro avesse notato una sua minima reazione a quell'effetto così strano e imprevisto. Ando e Cata lo fissavano con la stessa espressione indagatrice di prima, mentre Mario proruppe in una fragorosa risata.

«AH! AH! AH! Ti ha stampato per bene! Vero, fenomeno?» ruggì verso Ando.

«Oh, ha fatto solo una domanda! Cos'è tutta questa aggressività?» Cata prese subito le difese del marito.

«E poi ti ho già detto di moderare i toni, perché guarda che...»

«Va bene! Va bene!» intervenne prontamente Franco. La sensazione era già passata. «Non ricominciate. C'è un'altra cosa che devo dirvi, la più importante.»

I tre interlocutori si voltarono verso di lui; l'espressione da battaglia era ancora dipinta sulle loro facce.

«Sentiamo!» accennò Ando con lo sguardo infastidito, come se si preparasse ad ascoltare la più grossa seccatura della sua vita.

«Una volta trovata mia moglie, sperando sia viva e stia bene, ho intenzione di andare su in Trentino.»

«Perché proprio in Trentino?» Mario aggrottò le sopracciglia.

«Mesi fa ho ricevuto la strana telefonata di una tizia che mi ha raccontato una storia piuttosto... all'epoca, inverosimile. Non le ho creduto, le ho risposto male e le ho sbattuto giù il telefono.»

«E che storia sarebbe?» chiese Ando, senza mutare tono di voce.

«Ricordo poco di quello che mi disse, ma parlava di alieni e di energie colorate, o qualcosa del genere. Ripeto: sul momento non le ho creduto e l'ho rimossa dalla mia mente in fretta; ma poi, quando è successo quel che è successo... beh, mi è ritornata in mente.»

«E lei come faceva a sapere che...»

Franco alzò subito le mani. «Non fatemi domande di questo tipo, perché non so rispondervi. Resta il fatto che qualcosa sapeva.»

Cata tossì e si schiarì la voce. «E cosa centra il Trentino?»

«Mi aveva detto di recarmi da Franco de Simone, suo zio, come ospite. Sapete chi è Franco de Simone?»

Ando e Cata fecero di no con la testa, ma Mario sbottò, alzandosi in piedi.

«Perbacco! È il fondatore dell'FDS! Abbiamo avuto alcuni dipendenti come clienti, anni fa.»

«E questa SD... no FSD...»

«FDS!» corresse Franco, interrompendo i balbettii di Cata. «Era un'azienda famosissima, all'avanguardia in tanti settori. E aveva sede in Trentino... Ha sede in Trentino. L'azienda è chiusa ma esiste ancora, e Franco credo abiti lì. Possiamo tranquillamente definirlo uno scienziato, per quel che ho letto su di lui.»

«E dov'è l'azienda di preciso?»

«Non lo so, Mario, ma una volta là, credo di poterla trovare in qualche modo. Insomma... Alla luce dei fatti, non ritenete sia importante andarci?»

Tutti tacquero.

«Quindi questo sarebbe l'action plane?» disse poi Ando.

Franco lo fissò, perplesso.

«Il piano d'azione... Ma per arrivarci devi tornare alla tua barca. Come fai con i cinghiali?»

«Se venite con me, possiamo aiutarci. E credo ce la possiamo fare.»

«Cavoli! Io ci sto!»

Mario batté le mani, gli si avvicinò e gli diede una pacca sulla spalla.

Ando sbuffò, mentre Cata lo osservava accigliata. «Non lo so. Mi sembra un rischio inutile. Siamo sicuri che non ci stai dicendo delle palle?»

Mario sbraitò. «Ma come ti permetti? Perché dovrebbe raccontarci delle balle, scusa? Quale dovrebbe essere il suo tornaconto?»

Franco gli strinse il braccio, come a dirgli che non era successo niente.

«È tutto vero, te lo giuro sulla vita di mia moglie. Poi, che questo de Simone possa realmente offrirci qualcosa o aiutarci in questa situazione di merda, non lo so. Ma che alternative hai, Ando? Che alternativa abbiamo? Restare qui? A far cosa? Prima o poi quei cinghiali finiranno di papparsi tutta la carne che c'è in spiaggia. Dove andranno poi a cercarne dell'altra?»

I due coniugi si fissarono. «Ha ragione, amore. Me l'hai detto anche tu stamattina» sussurrò Cata.

Per una volta, Ando tacque.

«Ho solo un dubbio...» aggiunse lei.

«Dimmi pure.»

«Perché questa donna... la nipote, giusto? Perché ha telefonato proprio a te?»

«Ottima domanda!»

Franco sorrise.

«Ancora una volta non chiedetemi spiegazioni che non sono in grado di darvi, ma credo c'entri col fatto che io sono uno dei nove che sono stati guariti da Nicolas, il guaritore. Non so se vi ricordate o sapete di cosa parlo...»

Ando sbiancò e gli piantò addosso due occhi sbarrati e stupefatti, mentre Cata gli strinse forte la mano, serrando gli occhi e stendendo le labbra in quello che sembrava il ghigno tipico di una maschera.

«Che c'è? Ve lo ricordate, dunque?» Franco li fissava, stranito.

Ando si alzò e andò, quasi barcollando, verso la porta del bagno, dove s'arrestò tenendo le mani incrociate sul collo. Fissava il soffitto, come se la sua mente si fosse trasferita altrove. Cata lo seguì con lo sguardo, poi si rigirò verso Franco e Mario.

«Altroché se ce lo ricordiamo» disse, dopo un sospiro. Aveva le lacrime agli occhi. «Anche noi due facciamo parte dei nove.»

Franco non ebbe modo di stupirsi, né di elaborare a pieno quell'incredibile rivelazione.

Nell'esatto momento in cui le labbra di Cata si richiusero, un forte rumore di vetri infranti giunse a loro. Mario s'alzò di scatto.

«Cristo di Dio! So' entrati!»

Gabi cominciò ad abbaiare dalla camera.

«Merda!» disse Ando, voltandosi.

«Aiutatemi, presto!»

Cominciò a trascinare il tavolino finché non lo sbatté contro la porta.

«Il divano, ora.»

Tutti e quattro si misero a spingere il grande e pesante sofà verso la porta; Franco strinse gli occhi quando la caviglia protestò per la pressione che ci stava esercitando sopra.

Qualcosa urtò la porta dall'esterno, emettendo sbuffi e grugniti, proprio mentre appoggiavano il divano al tavolino. Il legno cominciò a sussultare con insistenza per il raspare vibrante; poi, di nuovo, un altro botto.

Il cane continuava ad abbaiare furiosamente in preda al terrore più puro; Cata piangeva e si rannicchiò in un angolo, subito raggiunta dal marito.

«Dobbiamo andarcene da qui!»

Franco guardava Mario che annuiva, pallido come un cencio, mentre fissava la porta tremare sempre più, sotto i colpi insistenti dei cinghiali inferociti.

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