34 - IL BURATTINAIO (2)
Sfondata la porta della farmacia con il vaso di fiori, Veronica tornò all'auto e trovò Marta a occhi chiusi, col respiro corto e affannoso e l'espressione molto sofferente. Scottava, ed era evidente che non era per l'aria afosa. E, cosa più grave, non si lamentava più. Una grossa macchia di sangue si era allargata sotto di lei, sulla pelle color nocciola che rivestiva il sedile.
Veronica fu colta da un'improvvisa ventata di panico.
«LAURA! LAURA!» gridò.
La donna ricomparve subito
«Marta sta male!»
«No! Piccola mia!»
Corse da lei e le sollevò la testa.
«È bollente! Credo abbia un'infezione in atto. Dammi dell'acqua... Quanto sangue ha perso!»
Veronica si guardò in giro, colta alla sprovvista. «Le borse sono rimaste sulla Polo!
«Vai a prenderne dell'altra, allora! Cristo! C'è un bar lì...»
La faccia di Laura era deformata in una maschera di stanchezza, intrisa dalla preoccupazione e da tutti gli orrori che aveva dovuto sopportare nelle ultime ore. Quel tono brusco ferì l'orgoglio di Veronica, che non credeva di meritare alcun rimprovero; aveva voglia di controbattere, ma vedendo l'espressione della sua anziana compagna di viaggio, lasciò perdere.
Di fronte a loro, dall'altro lato della strada, un marciapiede custodiva una serie di negozi allineati uno a fianco all'altro. Avevano tutti la serranda abbassata, tranne il secondo e il terzo alla sua destra, in cui la saracinesca era stata divelta da un'auto che vi si era schiantata contro. Uno di questi due era il "Bar Centrale", il più frequentato del paese. Veronica attraversò la via e si infilò nel pertugio che lo scontro aveva causato.
«Sbrigati!» le urlò Laura.
La ragazzina impiegò un minuto per trovare una confezione da sei di acqua piccola e, veloce come il vento, ritornò all'auto.
«Bagnale il viso e le labbra. Vado a prendere l'antibiotico.»
Laura sparì di nuovo all'interno della farmacia, per uscirne dopo pochissimo con alcune scatole in mano.
«Spostati!» disse, mentre eseguiva lei stessa il comando con la mano.
Bagnò del cotone con del disinfettante e pulì la ferita; Marta ebbe un piccolo sussulto e lanciò un piccolo lamento; poi tornò a emettere piccoli respiri, brevi e continui.
«Tieni duro, tesoro!»
Laura prese in mano una boccetta e mescolò la polvere all'interno con la giusta quantità di acqua; con una siringa estrasse un po' del composto creatosi e lo iniettò nel braccio di Marta, che contrasse le labbra secche e semiaperte. La bimba sembrava priva di coscienza e il respiro si faceva sempre più affannoso.
«Dobbiamo portarla all'ospedale, di volata! Va operata al più presto.»
Fu in quel preciso momento che la piccola emise un respiro profondo, molto più profondo di quelli che l'avevano proceduto, come se avesse ripreso fiato dopo una lunga e faticosa corsa; ma fu l'ultimo, non ne seguirono altri, e i suoi occhietti, che aveva chiuso già da diversi minuti, non si riaprirono mai più.
Laura e Veronica rimasero impietrite a fissare per alcuni secondi il corpo esanime della piccina, aspettando il respiro successivo, sicure che sarebbe arrivato. Il tempo sembrava essersi fermato, il caldo si era tramutato in freddo, la luce del sole si era spenta di colpo e ogni rumore era sparito. Era come se qualcuno avesse messo in pausa il mondo, solo premendo un bottone. A Veronica pareva quasi di non riuscire a muoversi e quando Laura si gettò sulla bambina, tutto tornò all'improvviso; caldo, luci, suoni la investirono come un treno in corsa.
«No, no!»
La donna sollevò il braccio di Marta, tastandole il polso.
«No, no!»
Si chinò e cominciò a soffiarle il proprio respiro in bocca; poi, con le dita della mano destra intrecciate a quella della sinistra, stantuffò il petto della bambina, a intervalli decisi e regolari.
«Dai, Marta! Su!»
Parlava a bassa voce, quasi un sussurro, ma il tono della voce e l'espressione di puro terrore, dipingevano nell'insieme un quadro angosciante che Veronica faticava a guardare. Due grossi rivoli di lacrime cominciarono a solcarle le gote, mentre Laura continuava le sue operazioni sempre più frenetica.
«Dai, Marta! Dai, Marta! Svegliati!»
Le appoggiava l'orecchio sulla bocca e poi ripartiva: respirazione, massaggio cardiaco e di nuovo ascoltava il respiro, sempre assente.
«Ti prego! Ti prego!»
Le lacrime arrivarono anche per lei che continuava il suo rituale con sempre meno convinzione.
«Non mi lasciare, piccola mia. Ti prego...»
Al terzo giro Veronica, singhiozzando, la bloccò, abbracciandola da dietro. Laura tentò di divincolarsi.
«No! No! Lasciami...» ma le forze le stavano venendo meno.
La ragazzina la strinse più forte, con la testa appoggiata alla sua schiena. «Se n'è andata! È inutile.»
Laura smise di lottare e rimase inerme nell'abbraccio di Veronica, come un pupazzo di peluche liso dal tempo.
«Perché? Perché?» diceva. «La mia piccola! Avevo solo lei, ormai. Perché? Perché?»
Si alzò, costringendo la ragazzina a mollarla; uscì dalla macchina e percorse alcuni passi verso il centro della strada deserta, camminando con le mani sui fianchi, come fosse un robot.
Si guardò intorno inebetita, senza sul serio vedere qualcosa. Diede un calcio a una piccola pietra che aveva di fianco al piede e cacciò un urlo, il grido più forte, più disperato, più terrificante che Veronica avesse mai sentito, in tutta la sua ancora giovane vita.
«Ho detto che ce la faccio!»
Camilla si stava spazientendo per l'insistente apprensione che Andrea le stava dimostrando da quando si era risvegliata.
«Sei appena svenuta! Può guidare lui... Giusto, Miles?»
«Oh, certo. Non sono un granché al volante, ma ce la posso fare.»
«Che palle! Ho detto che sto bene e che voglio guidare io. Andiamo.»
«Subito? Non vuoi riposarti un momento? Forse dovremmo andare a cercare la fonte di quell'urlo. Qualcuno potrebbe essere in pericolo...»
Camilla sbuffò. «Non avevi fretta di arrivare all'ospedale per trovare la tua fidanzata?»
Andrea si sentì un po' ferito; si preoccupava per la sua salute e per quella degli altri, gli sembrava del tutto naturale, e credeva di non meritare un tono così inacidito, condito da quel sarcasmo pungente. Non rispose subito, fissandola mentre lei saliva in auto, al posto di guida.
«Volete salire?» continuò la ragazza.
«Come vuoi tu... Vieni mamma.»
Andrea, rassegnato, prese Lina per una mano e l'aiutò a montare sull'auto, mentre Miles fece lo stesso con Riccardo, andandosi poi a sedere nello stesso posto in cui stava prima.
La Polo ripartì mentre ancora chiudeva lo sportello.
La realtà era che Camilla aveva fretta di andarsene da Ozzano.
Ricordava che stava vomitando, ma non il perché; si era poi risvegliata su un divano, all'interno di una casa che non conosceva.
Nel mezzo, nulla! Buio totale, fino a quel grido che aveva squarciato l'oscurità in cui era piombata. Aveva aperto gli occhi, ma prima di capire dove fosse, si era ritrovata come rinchiusa in un enorme stanzone nero, in cui il rimbombo dell'urlo era assordante e insopportabile. Non vedeva nulla, e nonostante il suono lacerasse il cervello, come se qualcuno le stesse infilando la punta di un trapano nell'orecchio, sapeva chi lo stava producendo.
L'eco era cessata di colpo, l'intensità dell'urlo era calata, rimanendo un semplice, se pur terribile, strillo umano e Camilla si era svegliata davvero; appena resasi conto di dove si trovasse, era arrivata la paura.
La voce che si stava insinuando così prepotentemente per le vie di un'Ozzano triste e silenziosa era quella di Laura. Non aveva alcun dubbio a riguardo. E pochi dubbi c'erano anche sul motivo per cui stesse gridando in quel modo: un motivo che lei stessa aveva causato. Una vita troppo piccola, troppo giovane, spazzata via... da cosa? Dalla sua stupidità? Dal suo egoismo? O semplicemente dalla malattia che albergava nella sua testa?
Le erano tornati alla mente di colpo tutti i pensieri sgradevoli che stava facendo prima di sentirsi male e le brutte sensazioni avevano ricominciato a fare a cazzotti nel suo stomaco. Stavolta era riuscita a controllarsi.
"O forse, non sei malata, e la voce che sentivi era veramente quella dello stronzo!"
Fissava Miles, intanto, fermo davanti allo squarcio del muro, sorpreso anche lui dal grido.
Camilla non aveva la patente, ma se qualcuno avesse visto la Polo sfrecciare per quelle strade, avrebbe senz'altro fatto i complimenti al pilota.
«Ehi! Piano, tesoro» esclamò Andrea, mentre si infilava, per la prima volta, la cintura di sicurezza.
La ragazza non lo ascoltava. Aveva gli occhi fissi sulla strada, e ogni tanto sbirciava Miles dallo specchietto retrovisore, non capendo quale fosse il suo gioco. Sempre che ne avesse uno!
Era ancora impaurita all'idea di incontrare la SAAB e i suoi occupanti, soprattutto di rivedere Laura. Non temeva una sua vendetta, improbabile, ma possibile e, in fondo, meritata. Ciò che le incuteva vero terrore era il pensiero dei suoi occhi, delle sue parole. Ci sono cose al mondo che possono fare molto più male di un'arma, o anche solo di un pugno; verità sputate in faccia, disprezzo incollato sopra a uno sguardo, cose che segnano e che non si possono più cancellare. Camilla sapeva che non poteva scappare all'infinito e che prima o poi avrebbe dovuto affrontare le proprie colpe e le proprie responsabilità, ma, ancora, non era il momento.
Doveva rimanere lontana da quell'auto nera soprattutto per tenere Veronica fuori dalle grinfie di quell'essere, ma anche per guadagnare tempo per sé stessa, per provare a redimersi agli occhi di tutti, anche ai suoi. Ne aveva le possibilità.
Di nuovo temette che l'uomo potesse leggerle la mente ma, a vederlo, non sembrava. Fissava il paesaggio fuori dal finestrino, in apparenza perso nei suoi pensieri.
"Sarebbe comunque più sicuro se tu chiudessi la mente e non pensassi più a niente!" Ma com'era possibile?
«Allora... Mi raccontate un po' com'è la storia?» chiese Miles, interrompendo il silenzio carico di tensione, stanchezza, preoccupazioni.
Andrea mosse la bocca, ma la ragazza fu più lesta.
«Non adesso, per favore. È una storia lunga e complicata e dobbiamo concentrarci su altre cose.»
Nemmeno lei sapeva quel che stava dicendo, ma aveva letto una volta da qualche parte che, quando si vuole convincere qualcuno di qualcosa, senza fargli sapere per forza cosa, stare sul vago era la scelta migliore. Andrea la fissò aggrottando la fronte ma, per fortuna, tacque.
«Dobbiamo ritrovare le nostre amiche e raggiungere prima possibile il rifugio.»
Avrebbe preferito che Miles non fosse a conoscenza di quelle informazioni, ma Andrea le aveva ormai spiattellate.
«Quando saremo più tranquilli e rilassati, se mai succederà, parleremo.»
Si sarebbe aspettata una reazione indispettita da parte dell'uomo, ma non arrivò. Miles si limitò ad annuire con la testa, riprendendo la visione del mondo esterno.
Impiegarono dieci minuti per raggiungere l'ospedale Bellaria, dieci minuti in cui l'unico rumore all'interno dell'abitacolo, fu il leggero ronzio del motore della Polo. Nessuno proferì parola; anche Andrea sembrava aver smesso di preoccuparsi della salute di Camilla, forse convinto dalle sue parole e dal modo in cui stava guidando. Le lanciava furtive occhiate ogni tanto, riconoscendo che la veste "automobilistica" assunta da Camilla, la rendeva piuttosto sexy.
Senza quasi volerlo, gli occhi si posarono sulle grosse forme che gonfiavano la sua maglietta e sulle sue gambe, lunghe, muscolose e nude. La mente, come una piuma libera di volare nel cielo, cominciò a viaggiare e tornò ai tanti bei momenti d'intimità che avevano avuto negli ultimi due giorni, a quello che lei gli faceva e a quello che si faceva fare; a come si accarezzavano, si baciavano, ai loro corpi nudi, uno sopra l'altro... E, com'era ovvio, arrivò l'erezione. Il viso di Veronica fece subito capolino davanti ai suoi occhi, in tutto il suo ingenuo splendore, come a ricordargli la sua presenza, e il cuore cominciò a battergli più forte.
L'amava! Non lo scopriva adesso, ma ogni volta era come se si aggiungesse un pezzetto al sentimento che provava per quella ragazzina. Ma si sentiva ancora parecchio attratto anche da Camilla, anche se più a livello fisico. Cosa poteva farci? Aveva sedici anni, era alle sue prime esperienze sessuali ed erano state esperienze molto, molto positive. Sapeva che al momento Veronica non poteva dargli tutto quello che Camilla gli dava, o per lo meno lo sospettava. Cosa c'era di male allora, se intanto si divertiva un po'?
"Ho tempo per la fedeltà..."
Ma era giusto? In questo modo le avrebbe preso in giro entrambe.
"Come reagiresti se vedessi Veronica baciarsi con un altro?"
Solo l'idea lo faceva stare male. Lei era sua, e di nessun altro.
"E perché allora, tu non dovresti essere solo suo?"
Ebbe la fugace visione di un angioletto e di un diavoletto, entrambi con la sua faccia, dentro la sua testa, uno di fronte all'altro; lo consigliavano e lo tentavano. L'immagine lo fece sorridere. Il bello (o il brutto) era che tutti e due avevano ragione. Allora che fare? Camilla, senza ombra di dubbio, sarebbe tornata alla carica alla prima occasione... Avrebbe resistito? Conosceva già la risposta.
La cosa migliore, a tutti gli effetti, era ritrovare Veronica; a quel punto la ragazza avrebbe desistito, si sarebbe messa l'anima in pace e lui avrebbe finalmente potuto vivere l'amore che provava in tutta tranquillità. Ma, ne era proprio così sicuro?
Come avrebbe voluto confidarsi con qualcuno... Teo, in primis, il suo migliore amico. Ma chissà se era ancora vivo! Magari suo papà poteva dargli qualche buon consiglio, ma era lontano e nemmeno sapeva se l'avrebbe più rivisto.
Rimaneva sua mamma; sarebbe stato imbarazzante, ma era sua mamma! Chi meglio di una madre può dirti la cosa giusta da fare. Al momento però non sembrava molto in grado di eseguire il lavoro di genitore, e il cuore di Andrea soffriva a vederla così, per quanto fosse felice di riaverla nella sua vita.
Non aveva ancora avuto modo di rifletterci troppo, ma c'era qualcosa di strano in questo risveglio così inaspettato, e i dubbi che aveva su Miles crescevano di continuo.
Si girò verso Camilla, sorridendo. La ragazza ricambiò con un sorriso stanco.
Concentrata sulla strada e sul paesaggio, era riuscita per un po' ad accantonare i pensieri inquietanti che la tormentavano, scoprendo di essere brava a farlo.
L'ospedale si trovava su una collinetta, appena al di fuori del paese di San Lazzaro; prima di giungere all'entrata della struttura, si passava a fianco di un ampio parcheggio in cui era stato allestito lo spettacolo più terribile tra tutti quelli che i loro occhi avevano dovuto sopportare in quelle ultime quarantotto ore, scoprendo come, in realtà, abituarsi a quelle visioni fosse, se non impossibile, senza dubbio molto, molto difficile.
Un quarto dell'area era occupato dalle auto, accatastate senza alcun ordine una sull'altra, come nel più disordinato degli sfasciacarrozze; lo spazio rimanente era una distesa di corpi, tale da nascondere per intero il colore dell'asfalto. Tutti ammassati, immobili, come fosse una delle più brutte fotografie arrivate direttamente dall'Olocausto.
Camilla e Andrea sgranarono gli occhi, e d'istinto l'auto rallentò.
«Dio Santissimo!» disse la ragazza con gli occhi lucidi.
Buttò lo sguardo su Miles e lo vide fissare la scena in modo neutrale, come se stesse osservando la più normale delle scene. Se il responsabile di tali atrocità era veramente lui e si stesse beando in silenzio dei suoi misfatti, o anche fosse solo una comune persona, talmente abituato ormai a vedere quegli orrori da non provarne più alcun sgomento..., in entrambi i casi, la sua reazione era molto inquietante.
«Bolla...»
La voce di Lina fendette il silenzio e quasi fece sussultare Andrea e Camilla.
Il ragazzo si voltò e prese la mano della madre.
«Sì, c'era una bolla qui mamma. Ma tu devi stare tranquilla. Ti proteggo io, adesso.»
Lei non diede segno di aver compreso quello che il figlio le stava dicendo, e riprese a guardare il vuoto davanti ai suoi occhi, proprio come faceva Riccardo, sin da quando li avevano incontrati. Miles non distolse mai lo sguardo dal finestrino, nemmeno quando Andrea lo guardò, aprendo la bocca per dirgli qualcosa, ma richiudendola subito.
Salendo verso l'ingresso dell'ospedale, i due ragazzi cercarono di scorgere la SAAB parcheggiata, tra le auto rimaste illese alla furia della sentinella.
«La vedi?» chiese Andrea.
«No. Ma se sono qui, penso che siano arrivati fin davanti al portone!»
In effetti, il ragionamento filava. Ma davanti alla scalinata che saliva all'entrata del Bellaria, non c'era nessun'auto.
«Aspettatemi qui. Faccio una scappata dentro a vedere.»
Andrea scese veloce, non appena la Polo si fermò.
Camilla sapeva che era una totale perdita di tempo, ma non poteva (voleva...) rivelare la verità e continuò a recitare il suo ruolo.
Il ragazzo tornò dopo dieci minuti, piuttosto abbacchiato.
«Niente! C'è un'assoluta desolazione là dentro. Ho urlato come un matto... Se fossero qui, mi avrebbero sentito, visto il silenzio che regna.»
«Vuoi provare in un altro ospedale? Tipo il Sant'Orsola? Il Malpighi? O il Maggiore...»
«No, no. Se fossero venute in un ospedale, sarebbero qui. Che senso avrebbe andare fino a Bologna? Cazzo! Se fosse stata Veronica a urlare, prima? O Laura... Non ci ho pensato!»
Camilla deglutì. «Come potevano essere ancora a Ozzano? Sono partite dieci minuti prima di noi dagli "Olmi". Vedrai che Marta sta bene e si stanno già dirigendo verso il Trentino.»
«Tu credi?»
Il cuore di Camilla sobbalzò per tutte le bugie che stava dicendo, ma continuava a convincersi che erano a fin di bene. Non poteva dirgli tutta la verità ora, ma l'avrebbe fatto, prima o poi, e lui avrebbe capito.
«Scusate...»
Miles s'intromise, schiarendosi la voce. Entrambi i ragazzi lo guardarono infastiditi.
«Non per interrompervi, ma se posso dire la mia credo che andare in questo rifugio di cui parlate, sia la cosa migliore, adesso. Non possiamo fare più nulla qui.»
Camilla sospirò. «Andiamo. Vedrai che le ritroveremo là» disse ad Andrea, come se Miles non avesse nemmeno parlato.
«Lo spero tanto! Come siamo messi con il carburante? Papà aveva detto che aveva fatto il pieno venerdì...»
«Dovremmo farcela. È a tre quarti.»
«Bene!»
E senza ulteriori indugi, la Polo ripartì.
Veronica e Laura erano andate a recuperare due vanghe da una ferramenta vicino, insieme a un tubo e a un paio di taniche per provare a estrarre un po' di carburante dalle macchine abbandonate. Risultò più complicato aprire il tappo della benzina che estrarla, cosa che a Laura riuscì poi con facilità succhiando l'estremità del tubo, finché il liquido rosa non si riversò nella tanica.
«Facevo il vino con mio marito, quando era ancora vivo» aveva detto, rispondendo allo sguardo interrogativo di Veronica.
«C'è un parco nelle vicinanze per seppellire il corpo di Marta?»
«Ce n'è più d'uno» aveva risposto Veronica.
Avevano scavato una fossa a fianco di un'altalena, in una delle poche zone del prato in cui non erano ammassati dei corpi.
«Così potrà giocare e volare per sempre.»
La maschera che Laura si era imposta fino a quel momento, si era sciolta all'improvviso nella tristezza più assoluta, come cera su una fiamma, colando in quelle che, Veronica ne era sicura, dovevano essere le lacrime più amare che un essere umano avesse mai versato, cariche di tutto il dolore represso per le gravose perdite che la donna aveva subito in quei pochi e neri giorni.
Marta era arrivata nella vita di Laura quasi subito dopo aver perso la propria famiglia, e per questo l'aveva accettata come una seconda possibilità; la sua morte doveva aver spezzato definitivamente gli ultimi fili che reggevano la stabilità emotiva e psichica.
L'abbraccio che si stavano scambiando era dolce e sincero, e il conforto che Veronica provava a infondere alla sua compagna di viaggio, con cui più volte si era dovuta scontrare a parole, voleva essere il più profondo possibile; ma l'alchimia non c'era.
La scintilla scattata con Dalila e con Marta, tra loro due non aveva brillato. Si volevano bene, senza dubbio. Avevano condiviso abbastanza avventure ormai, da rendere impossibile un totale disinteresse reciproco, ma entrambe sentivano un'empatia molto debole per l'altra e, anche se nessuna l'avrebbe mai ammesso a voce alta, avrebbero preferito di gran lunga un'altra compagnia.
Finché c'era Marta, a Laura poco importava con chi dovesse affrontare le assurdità di quei giorni, ma adesso... vedeva solo il buio davanti, un abisso scuro, freddo e profondo, in cui prima o poi, volente o nolente, sarebbe caduta. La presenza della ragazzina non poteva consolarla, anche se l'aveva un po' rivalutata rispetto alle prime impressioni, la discussione religiosa o il bacio con il ragazzo mentre la sua piccola era nelle mani di quel pazzo assassino. La prima impressione che suscita una persona è un po' come l'imprinting: se l'approccio è negativo, cambiare idea risulta complicato. E, tra loro due, l'inizio non era stato decisamente dei migliori.
Laura non stava traendo nessun conforto da quell'abbraccio, piacevole di per sé, ma nulla di più. Continuava a pensare che Veronica fosse solo una bambina, con i suoi egoismi e i suoi capricci, e non la compativa per le sue perdite che, se pur opprimenti, non erano lontanamente paragonabili alle sue.
Veronica percepiva la distanza che Laura continuava a voler mantenere e l'accettava, sapendo molto bene che aveva bisogno di lei per arrivare alla villa.
Si staccarono, e un certo imbarazzo si mescolò alla tristezza. Laura tirò su col naso.
«Forza. Ti porto a quella villa. Qui, ormai, non abbiamo più niente da fare.»
«E Andrea?»
Gli occhi della donna fiammeggiarono. «Ha scelto di stare con quella stronza bastarda. Per quel che mi riguarda, è colpevole anche lui!»
Quelle parole colpirono il petto di Veronica come uno sciame di spilli, sputatole contro con una cerbottana.
«Non puoi dire sul serio! Lui è buono e sensibile, e forse ha compreso come Camilla abbia agito spinta da qualcun altro...»
Non vide la mano partire, ma sentì tutta la rabbia e il livore di cui era saturo lo schiaffo che Laura le rifilò. Non le fece male fisicamente, almeno non tantissimo; ma dentro provò un bruciore pari alle fiamme dell'inferno, e le lacrime, che senza indugio zampillarono fuori dai suoi occhi, erano bollenti.
«SPINTA DA QUALCUN ALTRO? TU GIUSTIFICHI QUELLA TROIA MALEDETTA?»
La prese con violenza per un braccio e la spinse sulla tomba di Marta.
«GUARDA BENE COSA HA FATTO! HA AMMAZZATO UNA BAMBINA DI SETTE ANNI! SETTE. ANNI. CHI HA PREMUTO IL GRILLETTO? DIMMELO!»
Veronica inciampò e cadde sulla terra che avevano appena pareggiato, dove restò a testa bassa, a piangere le sue lacrime; sentiva il cuore pesante e mai come in quel momento, aveva nostalgia di Dalila.
Laura respirava a bocca aperta, con lo sguardo furioso.
«E, il tuo ragazzo... le è corso dietro per... cosa? Consolarla? Perché, poverina, è stata plagiata?»
Non urlava più, anzi, la voce usciva ora in una calma placida, alle orecchie di Veronica ancora più disturbante.
«O è corso dietro solo alle sue grosse tette? Sei solo una ragazzina...»
La pelle di Veronica cominciò a pulsare, e un intenso calore si sparse per tutto il corpo. Di colpo si sentiva arrabbiata, furiosa e con una grande voglia di spaccare la faccia a quella stronza di vecchia che osava parlarle in quel modo. Si alzò, piantò i piedi per terra e troneggiò su di lei. Lo sguardo di Laura mutò di colpo, sorpresa e spaventata da quella reazione.
«Vaffanculo! VAFFANCULO!» le ringhiò contro Veronica, mentre i suoi capelli scintillavano al sole tanto che parevano aver preso fuoco.
«ERO IO QUELLA CON IL FUCILE PUNTATO ADDOSSO! SE NON ERA PER ANDREA, C'ERO IO LI' SOTTO ADESSO!»
Poi, come di colpo si era infuriata, di colpo si calmò. Raccolse le due vanghe e si avviò verso la macchina, parcheggiata sulla strada al limitare del parco.
«Ma forse tu l'avresti preferito, vero?»
Laura rimase zitta e ferma a guardarle la schiena allontanarsi, incapace di decidere se si sentisse offesa o in colpa. E questo, la indispettì. Strappò dal prato un'intrepida margherita solitaria, sopravvissuta all'afa estiva che picchiava da settimane, e la lasciò sulla tomba di Marta insieme al bacio che gettò con la mano dalle labbra. Poi s'incamminò.
"Forse ho esagerato. Le dovrei chiedere scusa" pensò. "Ma perché poi dovrei farlo?"
Nel breve tragitto che la separava dall'auto e da Veronica, cambiò idea diverse volte.
«Dai, mettiamoci per strada» fu alla fine l'unica cosa che le uscì dalla bocca.
L'idea di guidare fin lassù non la entusiasmava per niente, ora che Marta non c'era più. Aveva pensato più volte a come sarebbe stato bello rifugiarsi là, con la sua piccina, rilassati e senza più pensieri, almeno per quanto il momento che stavano vivendo poteva permettere. Ora non gli importava più, e l'unico motivo che la spingeva ad accompagnarci Veronica, era la speranza di ribeccare Camilla, e farle comprendere a pieno, e alla sua maniera, la gravità delle sue azioni.
«Il foglio con l'indirizzo della villa è rimasto agli altri...» disse Veronica, in tono distaccato, mentre saliva sulla SAAB.
«Non importa. Me lo ricordo. Conosco bene quella zona.»
Accese il motore e, senza altre parole, partirono.
Veronica si mise la cintura, appoggiò il gomito sul finestrino e si concentrò sul paesaggio che iniziava a muoversi davanti ai suoi occhi, il paese dove era cresciuta e dove credeva avrebbe vissuto per sempre.
Qualcosa dentro le diceva che non l'avrebbe rivisto mai più.
Una sorta di frustrazione ondeggiava dentro a Ismel mentre, con enorme fatica, continuava a rimirare un paesaggio di cui non gli importava assolutamente nulla, mantenendo quell'espressione di compiacimento così umana, così faticosa da sostenere e così repellente per lui.
Ogni secondo che passava, sentiva di assomigliare sempre più a loro; da un lato era un bene, visto che in fondo era lì per quello; ma allo stesso tempo si sentiva misero, patetico, piccolo, insignificante. Si sentiva uno di loro, e più volte si era chiesto se non rischiasse di diventarlo davvero con quella farsa che aveva messo in piedi.
"No! Te l'ho già detto!"
L'energia interveniva sempre, a ogni dubbio.
"Ci serve tutto questo. Devi portare i tuoi due nuovi alleati dalla ragazzina e dall'omone e fargli compiere il loro dovere!"
"Voglio farlo io! Non sono un vigliacco e non credo loro possano sconfiggermi! Sono pur sempre degli umani!"
"NO!"
Ismel sussultò e si guardò subito intorno, temendo avessero notato il suo spasmo improvviso. Ma i due ragazzi, davanti a lui, discutevano sulla strada da percorrere; gli altri due non si sarebbero accorti nemmeno se un drago gigante avesse incendiato la loro auto.
"Tu non devi nemmeno avvicinarti a loro! Quante volte devo dirtelo? Non sappiamo quanto sono potenti, e non possiamo correre rischi. I due tonti sono perfetti. Sono il padre e la moglie... Meglio di così!"
"Perché non riesco più a leggere la mente della ragazza? Prima ci riuscivo."
"Non è vero. Non l'hai mai letta. Sentivi solo le sue parole, quelle che lei ti rivolgeva. È stata appena sfiorata dal raggio sparato da quel Bito e quindi non ha abbastanza energia dentro di sé per poterti permettere un collegamento totale."
"Perché io non le so queste cose?"
"Ci sono tante cose che non sai... Devi fidarti di me..."
"Ma tu sei me! Sto parlando con me stesso, in realtà! Com'è possibile che non sappia cose... che so?"
"È vero in parte... Stai parlando con l'energia dentro di te, la tua, originale, potenziata da quella che hai assorbito. Sei tu, è vero, ma con qualcosa in più!"
«Miles, tutto bene?»
Si girò e vide Camilla che lo fissava dallo specchietto.
Si accorse di non avere più addosso l'espressione di prima, ma qualcosa di molto simile a... cosa? Come si sentiva in realtà? Preoccupato, spaventato, angosciato? Senz'altro. Confuso? Parecchio, ma anche euforico e ansioso di porre fine a tutta quella storia. E schifato di stare in mezzo a esseri così patetici. Traspariva tutto sulla sua faccia, in quel momento? Gli occhi che aveva Camilla, mentre lo fissava, suggerivano di sì. Come sempre, l'energia gli indicò cosa rispondere.
«Soffro un po' di mal d'auto, niente di grave.»
«Vuoi che mi fermi?»
«No, no! Siamo appena partiti. Tra un po' mi passa. Grazie, comunque...»
Si rimise a fatica l'espressione da umano contento e riprese a osservare il mondo esterno. Si chiese se la ragazza avesse capito chi lui fosse in realtà, visti i contatti mentali che avevano avuto. Ma loro non erano così intelligenti. Lui l'aveva riconosciuta subito, non appena l'aveva vista scendere dall'auto; ma lui era lui! Un essere superiore!
"Non dar nulla per scontato."
"Ma dai! Se sapesse chi sono, non mi porterebbe certo dalla ragazzina. In pratica, questo sta facendo."
"Non dar nulla per scontato. Non li sottovalutare. Hai visto Masi come è riuscito a sfuggire al tuo controllo..."
"Non è la stessa cosa."
"Sì che lo è! Possono essere forti, più di quello che credi. Non li sottovalutare!"
A volte odiava tutto questo, odiava la prudenza a cui l'energia lo sottoponeva (costringeva?), odiava cosa l'aveva fatto diventare e rimpiangeva com'era stato una volta, quando si trovava ancora nel suo mondo. Era avventato, forse superficiale a volte, ma intrepido, libero. Eppure, se fosse tornato indietro, avrebbe rifatto tutto allo stesso modo. Perché, se anche ora si sentiva controllato, guidato da (sé stesso) l'energia, era altresì vero che si sentiva più forte, più potente; e questo, era impagabile!
"Liberati per sempre di tua sorella, e sarai libero di fare come vuoi tu. Io sarò la tua schiava."
Era la prima volta che l'energia gli parlava così. Era la prima volta che gli mostrava un futuro di pieno controllo, se pur attraverso un piccolo spiraglio. Questo gli piaceva, e si rasserenò.
Riccardo e Lina erano imbambolati a fissare la strada che correva verso di loro; erano i suoi burattini, le sue armi segrete e presto li avrebbe usati. Si guardò le mani, immaginando di vedere sottilissimi fili che partivano dalle dita e finivano addosso alle due creature. La cosa lo faceva sentire onnipotente.
"E' quello che sei, per loro. Sei il loro Dio!"
"La donna ha parlato e pensato da sola..."
L'ombra tornò a coprire i suoi pensieri.
"Sono solo sprazzi di quello che era. La femmina è più complessa del maschio, e quindi più difficoltosa da ripulire. Non indugiare! Prendine subito il controllo e tienila a bada. E fallo anche con l'uomo, per sicurezza. Puoi riuscirci, senza che i due ragazzi se ne accorgano."
Avrebbe (obbedito?) dato ascolto, come sempre.
Si chiese, non senza un certo fastidio, chi fosse in realtà il burattinaio.
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