24 - LO SCACCHISTA (1)

Solo sette bolle, tra tutte quelle create e sparse per il mondo, contenevano un'unica persona.

Nel medesimo istante in cui Giancarlo scopriva il corpo senza vita di Flavio, il filo rosso smise di uscire dalla bocca dei sette singoli prigionieri e i gomitoli, in questo caso grandi come una pallina da tennis, cominciarono ad assottigliarsi velocemente, sgarbugliandosi nella bocca degli uomini viola. In pochi minuti si disfecero del tutto e gli ultimi refoli di energia rossa sparirono dentro ai carcerieri. Le bolle vennero risucchiate nelle mani così come ne erano uscite, e le povere anime prosciugate si accasciarono al suolo inermi, come sacchi vuoti.

Esaurito il loro compito, circa ventiquattro ore dopo aver iniziato l'estrazione, due di queste sentinelle partirono verso il centro di Bologna, mantenendo ognuna una diversa velocità in base alla distanza.

Giunsero in contemporanea, attraversarono la patina della grande bolla e atterrarono davanti alla palla viola che risplendeva di intensa luce arancione, l'unica cosa che pareva viva nella lugubre sera fatta di morte e macerie che incombeva sopra Bologna.


Ismel assorbiva, e intanto vigilava.

Arrivavano immagini un po' da tutto il mondo, perlopiù di persone sfuggite che si gettavano nelle bolle per tentare di recuperare un loro caro, o solo si avvicinavano per rivedere l'amato viso, forse un'ultima volta. Tutte andavano a ingrossare il gruppo.

La sua attenzione però era focalizzata soprattutto nelle zone in cui si era palesata l'energia di sua sorella, anche se riteneva improbabile ritrovare a breve i tre individui che la possedevano.

Per questo fu molto sorpreso quando si ritrovò l'omone davanti a una bolla.

Tramite gli occhi della sentinella lo fissava, intimorito: cosa sarebbe successo? Temeva sul serio potesse entrare nella bolla e rubasse il potere, liberando i prigionieri. Davvero poteva esserne capace? Continuava a pensare che sarebbe stato impossibile per un essere così mediocre poter eseguire una tale operazione; ma, ora, doveva ammettere a sé stesso che non era più sicuro di nulla. Si accorse, con disgusto verso sé stesso, d'avere paura, sia dell'omone, sia della propria ignoranza, sempre più estesa, a ogni nuovo accadimento.

Ma, con grande sollievo, il senso di impotenza divenne vera e propria euforia quando il potere della bolla, il suo potere, lui stesso, rigettò lo sgradito ospite, scagliandolo lontano.

L'umore cambiò all'istante, come accadeva spesso dal suo arrivo, man mano che il pianeta gli mostrava i propri pregi e le proprie debolezze; alle ansie, ai timori, alla fretta di finire prima possibile, si erano così aggiunte una calma serafica, una subdola pazienza, una meravigliosa beatitudine, man mano che il potere rosso che le sue sentinelle estraevano da quegli essere inferiori, confluiva in lui.

Ma altri strani conflitti aumentavano di pari passo con la forza che sentiva montare dentro: smaniava dalla voglia di scatenare il suo esercito per completare la missione, ma sperava che l'estrazione durasse ancora, per continuare a godere della meravigliosa sensazione che gli procurava quell'energia, mentre si mescolava alla sua; voleva stanare e distruggere quei tre individui in cui aveva percepito tracce di sua sorella, ma si compiaceva anche di lasciarle soffrire nella situazione che gli aveva disegnato attorno, lasciare che il dolore per le sicure perdite che aveva inflitto, li pungesse nei punti più sensibili del loro cuore; era furioso e felice, preoccupato e rilassato. Odiava e amava tutto. Aveva momenti di esaltazione totale e attimi in cui lo sconforto di perdere lo penetrava in ogni singola particella.

Ma, in mezzo a tutte queste piccole lotte interiori, sentiva crescere in lui nuove capacità, da cui scaturivano nuove idee, che potevano essere sfruttate. Era sicuro che fossero valide?

Aveva studiato il piano in ogni dettaglio quando era nel suo mondo, ponderando e analizzando ogni cosa, mentre adesso si ritrovava costretto, il più delle volte, a improvvisare.

Voleva farlo veramente? Considerando le lacune comparse sulla sua strada, sì! Ma quanti dubbi! E proprio mentre il turbinio di tutti questi pensieri vorticava, inasprendo le sue titubanze ed esaltando le sue certezze, si rese conto che aveva agito, come se l'energia rossa che stava acquisendo, plasmasse in lui una volontà che controllava involontariamente, che prendeva decisioni senza indugiare su assurde disquisizioni, mescolata e separata dal potere che già albergava in lui.

Aveva richiamato due sentinelle, tra quelle che avevano concluso l'estrazione, lasciando le altre sul posto per scovare chi era riuscito a sfuggire alla prima retata.

Per i due soldati aveva un compito diverso: seguire le tracce, trovare ciò che poteva essere utile. Odio, puro e semplice odio. Riusciva a captarlo ovunque, insieme all'invidia, alla perfidia, all'ipocrisia. Annusava la cattiveria insita su quel pianeta, poteva quasi vederla, toccarla e voleva usarla.

Le sentinelle non potevano avvicinarsi all'omone, alla ragazzina e al ragazzo grasso, ma qualcun altro, forse, ci sarebbe riuscito.


Le due aiutanti allungarono i pannelli che avevano come braccio, toccando la superficie della palla. Ci fu uno sfrigolio, e nel punto di contatto apparve un sottilissimo velo rosato che si propagò veloce, risalendo in un istante su tutti e due gli uomini e ricoprendone il corpo. Rimasero immobili per qualche secondo, assimilando gli ordini del loro padrone; poi il velo sbiadì, assorbito al loro interno e, senza indugio, partirono a razzo.

Volarono a fianco per un breve tratto, poi si divisero, prendendo ognuno direzioni diverse.


Il primo uomo viola planò sul marciapiede adiacente al grande parcheggio, interamente occupato da una bolla risplendente nell'oscurità.

Si fermò in aria, appena sopra un leggero e invisibile fumo chiaro che tremolava in un punto preciso, sospeso, tanto che pareva nascere dal nulla, salire un po' in alto e, di nuovo, svanire. Da lì partiva un'impalpabile scia aranciognola, striata di zone più scure e più chiare, sfumanti verso il giallo, fatta di minuscoli granelli ammassati tra loro, per farla apparire compatta vista da una certa distanza. Almeno per chi era in grado di vederla! E, Ismel, supponeva che solo lui ci riuscisse.

Era la traccia lasciata dall'omone.

Valutò se mandare il suo soldato a perlustrare anche la strada dove aveva scovato il ragazzo grasso, ma decise di accontentarsi di ciò che aveva trovato adesso.

Ordinò alla sentinella di seguire la traccia e lei obbedì.


Il secondo uomo giunse a Ozzano e arrestò il volo sopra a una massa di luce che pulsava d'arancio chiaro in mezzo alla strada, a ridosso dell'inizio del paese.

Nel buio della notte pareva un falò, inestinguibile, fiamme d'energia rilasciate da una ragazzina, che non irradiavano calore e non illuminavano nulla, perché esistevano solo per chi poteva vederle. Da lì partiva una lunga scia che correva sulla stessa strada, allontanandosi dal paese, perdendo progressivamente intensità.

La ragazzina era molto più potente, sia dell'omone che del ragazzo grasso. L'aveva già intuito, ora ne aveva la prova.

Ma un'altra cosa catturò la sua attenzione. Nella corsia accanto, proveniente dalla stessa direzione in cui si era allontanata la ragazzina, ristagnava una striscia rossa, lugubre, pesante, che emetteva spettrali e baluginanti luminescenze. Pareva dipinta sull'asfalto, come una lunga riga di sangue, e trasmetteva rabbia, cattiveria, vera e propria furia cieca, perdendosi all'interno di Ozzano, nell'oscurità.

Ismel ridacchiò.

"Segui quella!" ordinò alla sentinella che si avviò in quella direzione.


Ismel si stava facendo una chiara idea sul perché di queste scie grazie all'energia che aveva assorbito, che permetteva di comprendere decisamente molti più aspetti di tutta la situazione.

Questi individui umani, proprio perché umani, indegni a possedere un simile potere, faticavano a contenerlo e una qualsiasi emozione, forte, improvvisa e intensa, fosse paura o esaltazione o tristezza o rabbia, procurava un trabocco e un rilascio di energia involontario, senza nemmeno se ne accorgessero.

L'omone era stato respinto con violenza dalla bolla quando aveva cercato di entrarvi, mentre la ragazzina era braccata dalle sentinelle durante la fuga. Entrambi i casi di massima tensione avevano causato il fenomeno, e le pozzanghere di luce rimaste sulla strada ne erano la prova.

Le scie che partivano da lì e che lui stava facendo seguire, andavano via, via dissolvendosi, segno che dopo la forte emozione, i suoi non previsti avversari avevano ritrovato una sorta di tranquillità.

C'era il rischio che le scie, a un certo punto, sparissero del tutto? No! Ismel sapeva che si prova sempre qualcosa, anche nei momenti di maggiore calma; c'era il rischio che, in certi punti, le scie sarebbero risultate quasi invisibili, pure ai suoi occhi, impercettibili, composte solo da sparuti e minuscoli pulviscoli, ma lui sarebbe riuscito comunque a seguirle.

La traccia imprevista lo lasciava più perplesso, la scia rosso sangue, pulsante odio.

Quella non perdeva consistenza, ma era viva, compatta, soprattutto, rossa! Chi poteva averla lasciata? Un umano, certo, ma un umano di quelli che piacevano a lui. Una persona cattiva e sempre arrabbiata, proprio ciò che cercava e di cui aveva bisogno. E priva di potere giallo. Qualcuno che poteva controllare, qualcuno che poteva anche sacrificare per fare quello che lui non poteva (voleva?) fare.

Ma com'era possibile che lasciasse una scia? Perché non la lasciavano tutti, allora?

"Probabilmente ha avuto dei contatti violenti con uno di quei tre".

L'energia rossa rispondeva a tutte le sue domande, all'istante, l'intera massa che stava assorbendo, aggiunta a sé stesso, usando la sua voce nella testa. Se solo l'avesse avuta dall'inizio! Quanti sbagli avrebbe evitato! Quante paure in meno avrebbe provato!

Un solo dubbio, intanto, fluttuava in lui: con quali di quei tre individui quest'uomo così cattivo, così arrabbiato, poteva essersi scontrato, per generare una tale fuoriuscita di odio?

Ancora una volta l'energia rossa, frizzando, rispose.

"Ma è ovvio, no? Con la ragazzina!"


L'uomo viola seguiva la sempre più debole traccia lasciata dall'omone, radente la strada, nell'oscurità più totale appena rischiarata dalla luce lunare.

Ismel notò con soddisfazione che tutto era spento, lampioni, case, palazzi; l'elettricità si era bloccata da sola, senza bisogno del suo diretto intervento. Una cosa in meno di cui preoccuparsi!

La sentinella volava veloce e leggera, fendendo l'aria, seguendo i passi di quell'uomo, quell'inciampo sul loro cammino. A Ismel, all'interno della palla, immerso nel rilassamento che gli procurava l'assorbimento, pareva quasi di sentire la piacevole brezza serale che lambiva la superficie dell'uomo viola, mentre percorreva quelle deserte e buie strade. La scia era ridotta ormai a un'opaca riga color pesca e l'oscurità la rendeva difficile da scorgere. Ismel, tramite i suoi nuovi e potenziati poteri, riusciva comunque a vederla e a sentirla.

"Non puoi sfuggirmi, omone!"

Si sentiva felice in quel momento, in totale controllo della situazione.

Ma, ovviamente, durò poco!

La sentinella giunse alla fine di un lungo rettilineo, nei pressi di una rotonda. Era successo qualcosa, proprio in quel punto, perché un'altra di quelle piccole pozzanghere di luce ristagnava sull'asfalto. Ma fu quello che vide nella corsia opposta che non gli piacque, proprio per nulla!

Un'altra di quelle chiazze! L'ennesima.

"Forse è sempre dell'omone!" provava a convincersi. Ma sapeva che non era così. Era di un'intensità diversa, meno viva, ma non per questo meno forte.

Le due tracce erano unite e ognuna di esse sporcava l'altra: l'omone aveva incontrato qualcuno che possedeva il suo stesso potere. La ragazzina? Assolutamente no. Il ragazzo grasso? Poteva anche essere, ma dubitava. C'era della forza in quella luce, e quel ragazzo gli era parso debole, troppo debole.

Tutto portava a supporre che esistesse una quarta persona!

Certo, più erano e più era improbabile che riuscissero a riunirsi, però questa nuova minaccia si era incontrata con l'omone, e Ismel sapeva che era già successo anche con la ragazzina.

Tutta la gioia che stava provando evaporò e la rabbia si rimpossessò di lui, una rabbia satura di paura, rinnovata e più pesante. La smania di agire, di abbandonare la palla e sistemare la cosa lui stesso lo pervase di colpo, in maniera quasi irresistibile.

Ma riuscì a controllarsi, a contenersi e, seppur a fatica, spaventato, a calmarsi. Non poteva interrompere l'estrazione; doveva restare lì fino alla fine. Avrebbe sfruttato le sentinelle, che fungevano da occhi e da corpo.

La scia dello sconosciuto si allontanava sia a destra, sia a sinistra della rotonda, insieme a quella dell'omone.

"Sono andati da qualche parte e poi sono tornati indietro" rifletté.

Poteva cercare di scoprire dove si erano diretti, ma ritenne più importante sapere chi fosse (o forse era l'energia che voleva saperlo!) e da dove provenisse questo quarto, sgradito ospite. Così ordinò al suo burattino di seguire la nuova traccia che, come scoprì presto, lasciava San Lazzaro, si allontanava da Bologna, e si dirigeva verso nord.


La seconda sentinella arrestò il suo volo davanti a una piccola villetta, in un piccolo borgo, appena fuori del paese o, comunque, abbastanza lontana dalla zona più addobbata di cemento che poteva definirsi "centro", anche se, per un paese come Ozzano dell'Emilia, la definizione era un po' azzardata.

Durante il tragitto Ismel aveva percepito come una voce pulsante fuoriuscire dall'oscuro riverbero che emanava quella striscia scarlatta, una voce che mescolava rabbia, dolore e una cupa disperazione penetrante, come se urlata da qualcuno rinchiuso in un guscio.

Chiunque l'avesse lasciata (involontariamente, su questo ne era sicuro), aveva pensieri cattivi, pensieri di morte e il contatto con il potere della sorella, senza dubbio doloroso e forse umiliante, non l'aveva danneggiato nel corpo ma, anzi, ne aveva aumentato la malvagità. La cosa gli piaceva.

C'era una motocicletta parcheggiata nel vialetto davanti all'ingresso.

L'uomo viola atterrò e si diresse verso la porta, producendo un secco rumore metallico con i pannelli che aveva al posto dei piedi.


Bito spalancò gli occhi di colpo. Si era addormentato sul divano, vestito.

Appena entrato in casa, schiumante ancora di rabbia, in lacrime e con la testa che gli pulsava da impazzire, aveva ingoiato due pastiglie di Nurofen ed era crollato.

Non sapeva quanto avesse dormito, ma aveva la bocca impastata e il collo rigido. Il male vagava ancora nella sua testa, meno intenso, ma abbastanza da faticare a tenere gli occhi aperti.

L'aveva svegliato qualcosa che sbatteva fuori dalla porta, qualcosa di metallico, ritmico, che pareva avvicinarsi. Deglutì e si mise a sedere troppo in fretta, provocando una fitta micidiale alle tempie; milioni di puntolini rossi comparvero davanti ai suoi occhi chiusi, una confusa danza di macchie che altro non facevano che provocargli la nausea. Il cuore gli batteva forte e quando i rumori cessarono, il silenzio accelerò ancor di più i colpi al cuore.

Sollevò appena le palpebre proprio nell'attimo in cui la porta d'ingresso esplose e un alto individuo, nero nell'oscurità della sala, entrò, dirigendosi verso di lui.

Bito urlò e quando l'uomo gli fu davanti, urlò più forte, avendo riconosciuto la sentinella. Lo SMILE che aveva per faccia lo fissava, esibendo l'inquietante sorriso che mai come in quel momento, appariva falso.

Alzò il braccio meccanico, posizionandolo davanti alla faccia terrorizzata di Bito; poi, come fosse un film proiettato al rallentatore, ne scaturì un raggio, tenue, quasi trasparente, che sembrò posarsi sul volto dell'uomo.

Bito smise di urlare. Il mal di testa cessò all'istante, un'ondata di energia gli attraversò il corpo, infilandosi in ogni fibra e donandogli un vigore che non si sentiva addosso da almeno vent'anni. Si sentiva bene. Dio, come si sentiva bene!

La sentinella abbassò il braccio, si voltò e volò fuori dalla casa, sparendo nella notte.

Bito si guardò intorno, sorridendo felice e si alzò in piedi.

Adesso sapeva molto bene cosa dovesse fare.


L'uomo viola sorvolava l'autostrada a una velocità supersonica, seguendo la traccia lasciata dall'individuo misterioso, a volte ben visibile e risplendente nella notte, altre quasi impercettibile.

In pochi minuti la campagna che lo circondava, a destra e a sinistra, cominciò gradualmente a sollevarsi, diventando prima collina, poi montagne.

Giunse in un grosso paese in riva a un lago che rifletteva il chiarore lunare, dove s'arrestò, sopra a un'altra di quelle pozzanghere di luce.

"È successo qualcosa, qui!" pensò Ismel. "Qualcosa che lo ha emozionato. O emozionata."

La scia proseguiva oltre l'invisibile pozza e la sentinella, su suo ordine, riprese la marcia. Attraverso gli occhi del soldato, continuava a vedere ovunque bolle in cui l'estrazione continuava.

"Manca poco ormai, e poi le riavrò tutte a disposizione." gongolava.

La sentinella s'inoltrò per strade racchiuse da un fitto bosco, finché non giunse in un largo spiazzo, dominato da un grande edificio che aveva già visto, tramite gli occhi di uno dei suoi uomini, durante la caccia. Il misterioso individuo, portatore di una parte dell'energia più potente dell'Universo, era stato lì e non poteva essere un caso.

La sentinella entrò e Ismel fu investito subito dall'ondata di cattiveria più forte che avesse provato da quando si trovava su quel pianeta. Non c'erano linee rosse sangue stavolta a indicargli la direzione, nessun segno che fosse visibile a tutti o solo a lui. Niente di niente. Si trovava in un enorme e buia sala; la luce della luna riusciva a rischiarare appena l'ingresso, ma il resto era avvolto nella totale oscurità.

Qualcosa emergeva però da quelle tenebre; una malvagità pura, viva e latente, che pareva incollata ai muri, al pavimento e vibrava nell'aria. Ne poteva quasi sentire la voce, come sussurri appena accennati.

Ismel sorrise, beato nella sua palla.

Il corpo della sentinella brillò, spandendo un alone di luce intorno e illuminando la porta da cui più arrivava quella sensazione. Una ripida e buia scala scendeva, perdendosi in quelli che dovevano essere i sotterranei del posto. La sentinella cominciò a scendere e il clangore metallico che emetteva con i suoi "piedi", rimbombava tutt'intorno, amplificando ancora di più la sensazione di male che aleggiava in quella galleria, scavata nella roccia. Distratto e rapito dalla sensazione di malvagità che abitava in quella costruzione, aveva quasi dimenticato del perché fosse lì. Tracce della misteriosa scia che avevano seguito, si intravedevano su quegli scalini, ma a Ismel non gliene importava più nulla. Sapeva che laggiù avrebbe trovato qualcos'altro di più interessante.

«Chi c'è?» biascicò una voce, debole e strascicata, che proveniva dalla parte sinistra del piccolo e stretto corridoio che la sentinella si trovò davanti.

I suoi occhi erano fermi sulla porta di ferro incastonata nella roccia, ma vennero subito calamitati dall'altro lato, nel muro di fronte, dove pulsava il richiamo del male che l'aveva attirato. A Ismel pareva quasi di vedere le singole pietre vibrare, tanto l'ondata di malvagità era forte.

"Eccoti!" gongolò, quasi incredulo nel percepire tutta quella cattiveria repressa e vedendoci un preziosissimo alleato per attuare i piani che aveva in mente.

Con un fragoroso boato la porta fu scardinata e lanciata in fondo al corridoio.

«Ma cos'è?» continuava a chiedere l'altra voce, adesso con un timbro più spaventato.

La sentinella entrò nella cella aperta dove qualcuno giaceva sdraiato per terra, un uomo alto, con le spalle larghe. Era sulla schiena, a occhi chiusi; una piccola massa di capelli, disordinati e sporchi, gli copriva la testa, come se fosse un tupè appoggiato per caso; un'arruffata e incolta barbetta racchiudeva due labbra, serrate e sottili. Pareva morto, ma il petto si alzava e abbassava, in modo impercettibile e lento, dimostrando il contrario.

La prima impressione che Ismel ebbe vedendo il viso di quell'uomo fu di durezza e sicurezza, nonostante una spessa coltre di sofferenza, dolore e stanchezza coprisse tutto. L'apparenza era qualcuno piegato, quasi spezzato, che aveva combattuto ma che, alla fine, di schianto, aveva ceduto. Eppure, riusciva a vedere ciò che era stato e ciò che c'era ancora, ed era proprio quello di cui aveva bisogno in quel momento.

«Che cazzo succede?» continuava a piagnucolare la voce dietro all'altra porta.

Ismel, seccato, fece voltare la sentinella che, allungando un braccio, divelse anche quella.

Un urlo echeggiò nelle tenebre. Poi, timidamente, un uomo si affacciò. Era magro come un chiodo, sporco ed emaciato. La faccia era del tutto sommersa dietro a una foresta di capelli grigi che facevano tutt'uno con la lunga barba dello stesso scialbo colore.

"Un capo deve avere dei soldati ai suoi ordini!" pensò Ismel.

La sentinella allungò di nuovo il braccio, avvolgendo René in un delicato raggio trasparente. L'uomo si drizzò all'improvviso, riacquistò colore in viso e i due spenti occhi ripresero a brillare.

Poi si voltò verso l'uomo steso a terra, ripetendo l'operazione. Le palpebre si sollevarono di scatto, rivelando due occhietti neri e piccoli, quasi inespressivi, a parte una fioca luce che girava tutt'attorno, quasi cercando dove adagiarsi.

L'uomo si alzò; i capelli si erano accorciati, tornando corti e a spazzola; la barbetta era sparita. Piegò il collo prima a destra, poi a sinistra, lanciando secchi schiocchi che echeggiarono tra le pareti della caverna. Guardò fisso la sentinella e annuì, mentre quella si alzava appena da terra, volando su per le scale e sparendo.

Pietro Masi squadrò René, senza palesare nessun'emozione.

«Andiamo!» disse e, a passo deciso, cominciò a salire.

L'altro annuì senza dire una parola e lo seguì.


"Bologna è stata distrutta!"

Un uomo nudo è comparso in mezzo alla radura...

"Vi presento il servo!" "Buongiorno a tutti!" "Lo sopprima!" Bastonate!

"Ti amo!"

Lei si girò.

"Non può esserci amore qui!" "Una cosa MIA... E LA RIVOGLIO INDIETRO!" "Ti amo!" "Hai acceso in me la speranza di poter riavere una vita"

La donna lo stava bastonando a sangue.

"Zio, cosa succede?" "Siete al sicuro lì?"

Astra ululò.

"Ti amo!" "Anch'io ti amo, Alberto."

Astra lo stava dilaniando.

"No! Fermati, fermati!" "Direttore, dobbiamo scappare!"

Si era nascosta in mezzo agli alberi.

"Ho mangiato il tuo amore!" le stava dicendo la sua lupa. "Ti amo!" "NOOOO!"

Il portone esplose e vide qualcuno entrare volando.

"Non possiamo fare più il nostro viaggio a Bologna..."

C'era sangue sulla sua faccia.

"La tua lupa mi ha sbranato!" "Non può essere."

Vide una bolla arancione.

"Stiamo arrivando!" "Ti amo!" "Stiamo arrivando!" "Ti amo!" "Ti amo!" "Ti amo..."

Francesca aprì gli occhi.

Deglutì.

L'eco della voce di Alberto rimbombava ritmicamente nelle sue orecchie, affievolendosi sempre più. Si sentiva intontita, la testa le doleva, pulsando forte nella parte destra e irradiando il dolore anche nell'altra. E aveva freddo.

Dov'era? Non ricordava...

Era sdraiata per terra, ma sotto la testa sentiva qualcosa di morbido che si alzava e si abbassava con dolcezza. Allungò una mano e le dita affondarono in quello che sembrava pelo.

Si tastò il punto della tempia che lanciava fitte: le sue dita sentirono un bozzo che sprizzò subito di dolore. I suoi occhi vedevano solo nero sopra di lei e nella sua mente vorticavano ancora le immagini dell'incubo, togliendo spazio alla razionalità di ogni altro pensiero. Forse stava ancora sognando?

Pian piano si calmò e si rese conto di essere sveglia. L'oscurità cominciò a dilatarsi e un pallido chiarore rese visibili le pareti della grotta.

Alzò la testa, rabbrividendo, investita dall'aria di montagna che pugnalava la sua pelle sudata e poco vestita. Aveva i piedi nudi e ghiacciati. Intorno a lei masse oscure di pelo si muovevano appena, emettendo un basso suono gutturale, a metà tra il russare e il ringhiare leggero. L'odore nella grotta era acre, odore di animale selvatico, un odore che conosceva bene.

Di colpo la sua mente si aprì, e ricordò tutto...


Stava spulciando gli ultimi documenti arrivati, inerenti all'ultimo carcerato che sarebbe arrivato il lunedì successivo.

Indossava solo una maglietta a maniche corte e un paio di pantaloncini ed era seduta sulla sua poltrona, con i piedi sulla scrivania, quando Vignoli era entrato nel suo ufficio senza bussare, trafelato e con un'espressione di pura disperazione sul volto.

«Direttore!» aveva detto, senza nemmeno scusarsi dell'intrusione. «Un enorme robot ha appena distrutto il centro di Bologna!»

Il terrore era esploso improvviso dentro di lei e andava di pari passo con lo stupore che aveva provato nel sentirsi spiattellare in quella maniera una cosa che, solo qualche mese prima, le sarebbe apparsa piuttosto strampalata e inverosimile. Ma lo stupore si era tramutato subito in rassegnazione per aver ricevuto la notizia che stava aspettando da tempo, anche se aveva continuato, imperterrita, a ripetersi che nulla sarebbe successo.

«Stanno trasmettendo le immagini...» aveva continuato la guardia, indicando con la mano la stanza al piano di sotto dove avevano il televisore, cercando di comprendere se la reazione del direttore a una notizia tanto tragica, quanto grottesca, fosse quella che si sarebbe aspettato.

Francesca aveva tentato di ricomporsi in una posizione un po' più professionale.

«Faccio una telefonata e vi raggiungo» aveva detto all'uomo, che era corso di nuovo dabbasso.

Aveva chiamato subito lo zio per assicurarsi che stessero bene e tranquillizzarli a sua volta. Ma era rimasta molto scossa nell'apprendere che Alberto era uscito per una passeggiata e ancora non era tornato.

«Zio, fammi chiamare appena rientra, per favore. Voglio venire lì, se riesco entro stasera. Comunque, ci sentiamo dopo.»

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