23 - LA SCP (1)
La Polo color argento sfrecciava sul rettilineo che portava alla rotonda del Centronova, seguita dalla SAAB nera con a bordo i suoi tre, eccitati occupanti.
Nonostante il campo alla loro sinistra fosse occupato dall'ennesima, grossa bolla, stipata dall'ormai consueta, immobile e disperata folla, Alberto sentiva palpitare il cuore, come forse non succedeva dall'ultima volta che era entrato in quell'ufficio, ricolmo per lui di emozioni intense.
Quello che provava adesso era qualcosa di molto diverso, ma l'aver finalmente incontrato qualcuno, qualcuno con cui avrebbe anche potuto condividere il delicato compito che doveva svolgere, aveva riacceso in lui una piccola fiammella di speranza.
Avrebbe dovuto raccontare tutta la storia, quello che aveva letto, visto e che gli aveva spiegato Franco e questo lo destabilizzava un po', anche se ormai gli ultimi e ostinati riflessi dei dubbi che l'avevano tormentato fin dall'inizio, si erano dissolti, ed erano sepolti sotto le macerie di Bologna.
Eppure, avrebbe preferito non parlarne mai più ed eseguire la missione in silenzio, cercando di scordarsi cosa stava succedendo intorno, cosa c'era dentro di lui, ma soprattutto cosa lo attendeva nei sotterranei dell'FDS. Pensare a quelle macchine, ma ancor di più al fatto di doverci entrare dentro e guidarle verso una sicura morte, lo terrorizzava.
L'incontro con quell'uomo sembrava aver ripulito, o perlomeno alleggerito la testa da queste brutture.
Accettò con molto entusiasmo l'invito di Roberto a unirsi a lui e al gruppo di sopravvissuti rifugiati in un luogo isolato sopra le colline (Cinepi gli pareva si chiamasse il posto, ma non era sicuro di aver capito bene...); scoprire che altre persone ce l'avevano fatta, oltre a lui, a Franco, Monica, Laura e la piccola, raddoppiò la sua contentezza.
I suoi pensieri, in quel momento, erano però concentrati su un'altra questione.
Quando quell'uomo lo aveva toccato, il calore si era fatto risentire. Alberto se ne era accorto perché aveva già provato sensazioni simili, sebbene in tono molto maggiore, quando era stato attaccato da un orso.
Cosa significava tutto questo? Sapeva ben poco di questa energia, anzi, si poteva dire che non ne sapeva nulla, se non le teoriche supposizioni di Franco.
Sapeva come si trasmetteva da una persona all'altra perché era successo proprio a lui, ma poi? C'era stato quello strano discorso sull'egoismo, di cui aveva compreso poco o niente e a cui non aveva più pensato (volutamente).
Ma l'aveva sentita... attivarsi? Muoversi? Non avrebbe saputo descriverlo, ma qualcosa c'era stato. Sia quando Roberto lo aveva abbracciato, sia quando gli aveva stretto la mano.
Con l'orso aveva supposto fosse stata la paura, forte, improvvisa, arrivata come un'ondata su uno scoglio, a scatenare un'emozione talmente intensa da far sì che un qualche tipo di potere si palesasse. Ma qui? La felicità di aver incontrato qualcun altro? Certo ne era felicissimo, era stata una sorpresa meravigliosa. Ma non di più.
Gli era persino turbinato in mente il pensiero che anche quell'uomo fosse uno scrigno, ma l'idea era nata già morta. Partire per cercare otto persone e incontrarne una, per caso, al primo colpo... va bene la fortuna, ma qui sarebbe stato troppo!
Inoltre, e il motivo era più concreto e incontrovertibile, nella lista di Franco non c'era nessun Roberto.
Quindi, cos'era stato?
Se Alberto era bersagliato da dubbi e incertezze, i pensieri di Laura, almeno quelli del momento, erano invece più leggeri, affascinata dall'omone comparso per magia dal nulla sul loro cammino, bello e rassicurante nell'aspetto, e che li avrebbe condotti in un rifugio sicuro, dove c'era altra gente. Non sarebbe stata costretta a rimanere sola con Alberto, per il quale non nutriva una grandissima simpatia, cosa di cui si vergognava un po'. L'aveva salvata, dopotutto.
Ma dentro di sé tambureggiava di continuo una domanda: lei voleva essere salvata? Il risentimento verso quell'uomo nasceva da qui, più che dalla discussione teologica che avevano avuto? Non era ancora riuscita a decidere se veramente lui le piacesse o no sebbene, durante il viaggio, fosse stato comunque cortese e molto dolce con Marta.
La bambina intanto aveva abbandonato di colpo lo stato di insofferenza, malinconia, paura, quando, passando a fianco a una porzione di prato recintata, aveva visto alcuni pony, alcune capre e due asinelli che brucavano placidi.
«Chi darà loro da mangiare?» aveva chiesto, eccitata.
Alberto aveva risposto che non lo sapeva e che non avevano tempo di occuparsi anche degli animali, al che Marta aveva iniziato a piangere e a lamentarsi. Era intervenuta Laura, guardando Alberto un po' di traverso e rassicurando la piccola.
«Stiamo andando al supermercato; prenderemo un po' di carote e frutta per loro, va bene?»
La bambina aveva annuito, tirando su col naso. Alberto temeva potesse chiedere anche cosa sarebbe stato di loro una volta finite le misere scorte che avevano intenzione di comprare, ma Marta tacque, scrutando fuori dal finestrino.
Quando Roberto aveva chiesto loro di seguirli al supermercato, Alberto era trasecolato scoprendo che il centro commerciale verso cui quell'uomo era diretto, era proprio il Centronova, il luogo dove Nicolas aveva operato il suo primo miracolo, il luogo dove, in fin dei conti, tutta quella storia aveva preso inizio; ed era a soli tre minuti di macchina da dove si erano incontrati.
"Non posso crederci! Chissà cosa direbbe Franco, se lo sapesse" rifletté, con una punta di sorriso in bilico sulle labbra.
Ma, il più eccitato di tutti, era senza dubbio Roberto.
Turbinavano ancora in lui le forti emozioni, le delusioni e i tormenti provati a casa di sua mamma; ma quell'incontro, tanto inaspettato quanto desiderato, era riuscito ad annacquare il dolore che lo tormentava. Stringendo la mano e abbracciando quell'Alberto, poi, aveva sentito qualcosa, qualcosa di famigliare. Uno strano formicolio alla pelle, seguito da un'ondata di calore, le stesse sensazioni che provava quando toccava Veronica. Meno intense, ma presenti.
"Che sia anche lui come noi?" si chiese, sentendo una leggera scarica di eccitazione.
Che fosse così o no, comunque quell'Alberto gli era piaciuto subito.
"Simpatia a prima vista", avrebbe detto la sua adorata moglie.
Il parcheggio principale del Centronova era pieno di macchine abbandonate.
«Mi sa che era bello affollato ieri pomeriggio, questo posto» disse Alberto, con aria rassegnata.
«Con questo caldo i centri commerciali sono sempre una grande attrattiva per chi non è al mare o in piscina. Per quegli stronzi viola sarà stato facile rastrellare, come per uno squalo che passa in mezzo a una bolla di sardine!»
«E la gente dov'è? Dove li hanno portati? Dici che quella bolla, là nel campo...» chiese Laura.
«Sicuramente. Non ci sono abitazioni qui intorno, a parte qualche sparuta casa di campagna.»
Seguirono Roberto nel parcheggio sotterraneo, fermando le macchine a ridosso dell'ingresso, proprio nel mezzo del passaggio.
«Non sarebbe meglio mettere le auto dentro alle strisce?» chiese Alberto, scendendo.
«E a chi vuoi che dia fastidio, qui? Sei fiducioso d'incontrare qualcun altro? Sarebbe bello, ma ho seri dubbi. Già mi sembra un miracolo aver incontrato voi» rispose Roberto, avviandosi verso i carrelli.
«Ne prendiamo uno a testa. Direi che tre carrelli pieni dovrebbero bastare per un po'» disse, infilando tre monete da un euro nelle rispettive fessure. «Signora, ce la fa a spingerne uno? Quando sarà pieno, intendo.»
Laura era imbambolata, persa nel suo sguardo.
«Certo.»
Alberto notò l'espressione sul viso di lei e scosse la testa con un accenno di sorriso, cercando di non farsi scorgere dalla vecchia. Provava una leggera punta di dispiaciuta gelosia, pensando alle loro discussioni e al modo in cui lei lo fissava, nonostante le avesse salvato la vita. A quell'uomo invece, appena conosciuto e con il quale ancora non aveva scambiato mezza parola, riservava sguardi languidi e sognanti.
Si avviarono verso le porte scorrevoli, ognuno spingendo il proprio carrello, tranne Marta che camminava tranquilla, a fianco della vecchia.
«Speriamo si aprano le porte...» disse Roberto. «Giancarlo sostiene che rimarremo senza elettricità, a breve. E lo stesso può succedere con l'acqua e il gas.»
«Chi è Giancarlo?» chiese Alberto.
«Oh, scusa! È un vecchio... un signore, simpatico, un po' pesante a volte, mio vicino di casa, padrone dei "Ginepri", il casolare in cui ci rifugiamo.»
Alberto ridacchiò.
«Che c'è?» Roberto lo guardava, divertito.
«Anch'io ero rifugiato in una baita, proprietà di un vecchio (il mio si chiama Franco), e anche lui sostiene che presto si interromperanno tutti i servizi.»
«Beh, questa è una bella coincidenza!»
«Già! Anche se non tanto bella, se si avvera sul serio. E non è l'unica!»
«Che vuoi dire?»
«È cominciato tutto qui, in questo Centronova, in qualche modo.»
Roberto si arrestò, così come Laura e Marta che ascoltavano quella strana conversazione in silenzio.
«Cominciato, cosa? Intendi quello che ci sta capitando? L'alieno, le bolle e tutto il resto?»
«Ovvio! Cosa, se no? Ma è una storia lunga e complessa. Vi racconto tutto stasera, promesso.»
«Sai delle cose? Perché a noi ne son successe di strane che non capiamo.»
«Sapessi a me! Stasera ci confrontiamo e vediamo se riusciamo ad aiutarci a vicenda. Ma dopo la grigliata... tu non puoi sapere da quant'è che non me ne faccio una come si deve!»
Rivolse lo sguardo alle porte automatiche, ormai davanti a loro. «Sperando che queste si aprano, però!»
«Oh, beh! Entriamo da sopra, nel caso! Non avete visto i buchi che ci sono?» intervenne Laura.
Le porte si aprirono ed entrarono.
Dopo poco meno di un'ora erano già risaliti sulle macchine ed erano ripartiti. L'interno del Centronova aveva messo loro addosso ancora più malinconia, semmai fosse possibile, soprattutto a Roberto, cliente abituale del centro, abituato a vederlo pieno di gente, rumoroso, illuminato, accogliente, almeno per lui che trovava piacevole e rilassante andare a fare la spesa. Ciò che apparve davanti ai loro occhi, invece, era un teatro di guerra, con vetri sfondati, vetrine infrante, carrelli ribaltati e cibo sparso ovunque. Non serviva molta immaginazione per visualizzare le scene avvenute lì dentro, meno di ventiquattro ore prima.
La COOP, che si trovava un po' più all'interno, era l'ambiente che aveva subito meno danni. Roberto riusciva quasi a visualizzare con i propri occhi le persone intente a fare la spesa, tranquille, serene, indaffarate, sentire all'improvviso i boati provenire dal centro, apprendere le terribili notizie di morte e distruzione, ascoltare l'inquietante messaggio e tentare la fuga per mettersi in salvo da ciò che ancora nessuno sapeva cosa fosse. Alcuni dovevano essere scappati addirittura col carrello, forse per barricarsi in casa con scorte abbondanti. Ma, evidentemente, erano stati sorpresi dalla sentinella (o dalle sentinelle).
«C'È QUALCUNO?» aveva gridato Alberto, più per prassi che con la vera convinzione di ottenere risposta.
Il silenzio che opprimeva quel capannone sembrava fissarli dall'alto, tanto era imponente e angosciante e l'eco della voce, tornando a loro come un boomerang senza controllo, non faceva altro che aumentare il loro senso d'inquietudine.
Avevano riempito due carrelli di casse d'acqua, il terzo di prodotti a lunga conservazione, tipo pasta, biscotti, the, caffè, vasetti di marmellata e Nutella, pane in cassetta, sacchetti di patatine, sughi pronti e scatolame vario.
Marta aveva chiesto se poteva prendere dei colori e qualche album da disegno, finiti subito nel mucchio, insieme a un paio di confezioni di Barbie che aiutarono la bimba a mantenere lo spirito allegro. Nel carrello erano finiti anche un paio di libri e qualche rivista di enigmistica che Laura si era andata a prendere nella piccola libreria all'interno del supermercato.
Alberto si era sentito esposto al pericolo per tutta la durata della visita. Si chiedeva di continuo quanto sarebbe durata quella sorta di estrazione che le sentinelle stavano operando nelle bolle e cosa sarebbe successo dopo. Ogni secondo temeva di sentire rumori improvvisi di cose che si spaccavano, di vetri che esplodevano e di vedere un uomo viola piombare su di loro.
Non sapeva se in quel casolare sarebbero stati al sicuro ma, sperandoci con tutto sé stesso, non vedeva realmente l'ora di arrivare e, una volta là, provare a rilassarsi.
"Per quanto vuoi rilassarti? Hai un compito da svolgere, bello! Non puoi indugiare troppo."
La voce di Franco risuonò in lui, puntuale, gettandogli una secchiata d'acqua gelida addosso per riportarlo all'unico motivo per cui era venuto lì.
Al ritorno Laura chiese e ottenne di salire in auto con Roberto.
«Perché no! Così facciamo due chiacchiere. Ci vuole mezz'ora scarsa per arrivare, a meno che non troviamo traffico!» aveva detto sorridendo e facendo l'occhiolino.
Marta si era così accomodata, eccitatissima, sul sedile davanti della SAAB ed era stata contentissima di far mangiare gli animali dalla propria mano, durante la piccola pausa che fecero.
Alla ripartenza si era di nuovo accigliata.
«Tranquilla! Se la caveranno» l'aveva rassicurata Alberto, appena l'auto si mosse, incollandosi alla targa di Roberto.
Passarono attraverso San Lazzaro di Savena, anche se immaginò fosse solo la periferia. Vide zone con villette, nuovi e vecchi palazzi e, ovunque, quelle orrende bolle a rovinare il paesaggio. Dopodiché cominciarono a essere predominanti i campi, finché non s'inoltrarono verso le colline. Passarono due piccoli paesini di cui non memorizzò il nome, finché si trovarono circondati da alberi, leggeri declivi e il fiume che sembrava seguirli, serpeggiando intorno a loro.
Marta era silenziosa, forse covando ancora un po' di tristezza per gli animali abbandonati in quel recinto e, per un po', rimase zitto anche Alberto finché, invogliato anche dal bucolico paesaggio che avevano intorno, provò a rompere il ghiaccio.
«Allora, ti piace qui?» chiese, dando fiato alla prima, banale cosa che gli era venuta in mente.
La piccola non rispose; stava fissando l'uomo che camminava sul ciglio della strada e i freni della Polo che si illuminavano.
«E questo chi è?»
Alberto aveva sgranato gli occhi, mentre arrestava l'auto dietro all'altra, che aveva già accostato.
«Flavio?»
Roberto era sceso dall'auto e si era avvicinato all'uomo fermo, girato verso di loro. Aveva la faccia stanca, gli occhi gonfi e rossi.
«Mio Dio! Sei tu! Che ci fai qui?»
L'altro lo fissò per un attimo, come fosse perso nei suoi pensieri più profondi, poi scoppiò a piangere e gli si avvinghiò al collo.
«Li ho persi tutti, Roby! Li ho persi tutti, e sono scappato!»
«Tutto bene?»
Alberto si era avvicinato timidamente, lasciando Marta in macchina. Laura era in piedi appoggiata allo sportello della Polo, e osservava la scena in silenzio.
«È un mio vicino di casa» sussurrò Roberto, battendo le mani sulla schiena dell'uomo disperato.
«Oh, mio Dio! I miei ragazzi! I miei ragazzi!»
Flavio pareva stesse buttando fuori tutto il dolore represso fino a quel momento.
Roberto era in imbarazzo e un po' scosso. «Sali in auto, Flavio, dai. Così mi racconti. Laura, ti dispiace sederti dietro?»
«No, ovvio.»
Roberto aiutò l'amico a sedersi.
«Dai, ripartiamo!» disse piano ad Alberto, ancora in piedi davanti allo sportello aperto della Polo. «Tra dieci minuti siamo su.»
Flavio Covoni, inquilino dell'appartamento al piano terra, sotto quello dei Nani, raccontava la sua storia a testa bassa, massaggiandosi le tempie con le dita della mano destra.
«Sono rientrato in casa appena prima che cominciassero ad arrivare quei cosi volanti» cominciò a spiegare, una volta riacquistato il controllo.
«Ero sceso in giardino con Carlotta subito dopo le esplosioni di Bologna, abbiamo ascoltato il messaggio giù in giardino, insieme agli altri. Lei era terrorizzata, e anch'io. Abbiamo sentito la proposta di Benisi, ci piaceva. Lei mi ha detto di tornare in casa, fare due valigie al volo, prendere i ragazzi e tornare lì, mentre andava a dire al vecchio che accettavamo l'invito.»
Si girò verso Roberto che lo ascoltava, pallido, mentre guidava.
«Ho incrociato Lina, entrando nel palazzo. È finita là sotto anche lei, vero?»
Roberto annuì con tristezza.
«Sono entrato in casa proprio mentre cominciavano a formarsi le scie in cielo... ho visto quegli uomini avvicinarsi e uno di loro scendere nel cortile e imprigionare tutti... Carlotta era...» ma non riuscì a finire la frase. Una nuova ondata di lacrime lo investì.
Laura appoggiò una mano sulla sua spalla. «Anche le mie figlie e i miei nipoti sono stati presi.»
Lui si voltò, sorridendole e ricambiando la carezza.
«Cosa è successo a Edo e Leo, Flavio? Li ha catturati entrando in casa?» chiese Roberto.
«No. Li avevo nascosti nel ripostiglio mentre preparavo le valigie. Vi ho visto, tu e tuo figlio, scendere nel mio giardino dal vostro balcone.»
«Caspita! Perché non ci hai detto nulla?»
«Ero terrorizzato! Avevo paura di attirarlo da noi. Ma è arrivato comunque! Sono riuscito a infilarmi nel ripostiglio coi ragazzi appena in tempo. Non ci ha trovato.»
Continuava a massaggiarsi le tempie con i palmi; sembrava quasi volesse levigare le parti più spinose dei suoi dolorosi ricordi.
«Siamo rimasti nascosti tutto il giorno. I ragazzi hanno insistito più volte per uscire, per andare dalla mamma, ma riuscivo sempre a farli desistere. Abbiamo atteso finché non cessassero quei tremendi suoni e le urla e tutto il resto... abbiamo aspettato un altro po', poi siamo usciti. Era buio e non so che ora fosse. Abbiamo visto quell'essere entrare dentro la bolla e quei fili rossi cominciare a uscire dalle bocche... Dio mio!»
«L'estrazione!» disse Laura che sembrava sentisse il bisogno di intervenire come per ricordare la sua presenza.
«Flavio, dove sono allora i ragazzi? Una volta entrata nella bolla, la sentinella non cattura più. L'ho visto con i miei occhi.»
Lo sguardo dell'uomo si riempì ancora di lacrime.
«Ma se ti ci infili, di proposito, finisci come gli altri. Mi sono attardato solo qualche secondo, Roby, solo qualche dannato e maledetto secondo! Non ho fatto in tempo a fermarli.»
«Cosa vuoi dire?»
«Stamattina... avevamo deciso di raggiungere la casa di Benisi. A piedi.»
Roberto strabuzzò gli occhi. «A piedi? Sei matto? Perchè non in macchina?»
«Credevo fosse troppo rumorosa. Non sapevo cosa avrei trovato sulla strada... Siamo usciti di casa e io mi sono fermato a chiudere a chiave. Capisci? A chiave! Un appartamento sventrato. Che cavolo mi è saltato in mente. Ho sentito i ragazzi che parlavano di "riprendersi la mamma", mentre si avviavano. Ne avevano già discusso tra di loro, senza dirmi nulla, è ovvio. Ho capito subito, ma era tardi. Sono corso fuori... ma stavano già entrando in quella cosa e... sono rimasti come tutti gli altri!»
Si prese la testa tra le mani e cominciò a singhiozzare. Laura stavolta non disse nulla. Appoggiata allo schienale, a braccia conserte, con due grosse strisce di lacrime che scendevano sulle guance, guardava e ascoltava.
«È una scena agghiacciante, Roby! Non la scorderò mai!»
Le parole uscivano dalla bocca sussultando tra i singhiozzi. Flavio stava piangendo come un bambino, perché tale era in quel momento. Il dolore, come quello per la perdita dell'intera famiglia, può essere talmente opprimente, gravoso, insopportabile, da arrivare come uno tsunami devastante e spazzare via ogni cosa. In lui non c'era più nulla; qualsiasi freno, qualsiasi appiglio a cui aggrapparsi... niente di niente. Era del tutto in balia della sua disperazione, e vederlo così faceva male al cuore.
«Si sono bloccati di botto, come se si fossero ricordati all'improvviso di qualcosa; hanno steso le braccia in basso, hanno alzato la testa, aperto la bocca... così lentamente che sembrava irreale. Pareva quasi lo facessero apposta! Hanno cominciato a sputare fuori quella roba rossa pure loro.»
Alzò il viso e piantò gli occhi gonfi in quelli di Roberto.
«E cosa ho fatto io? Cosa ho fatto? Sono scappato. Sono scappato come un codardo, abbandonando la mia famiglia là sotto.» E si rituffò tra le mani.
Roberto non sapeva cosa dire. Aveva perso una persona anche lui; Laura, a quanto aveva detto, le figlie e i nipoti. Ma in qualche maniera loro avevano reagito. Era molto rattristato per quell'uomo, ma non poté fare a meno, in quel momento, di pensare a quando aveva provato lui stesso a entrare nella bolla, qualche ora prima. Era stato respinto, così come riusciva a respingere la sentinella, se questa si avvicinava. Perché i ragazzi, invece, erano entrati? Cosa significava tutto ciò? Confidava molto in Alberto e nel racconto che aveva promesso; sperava che quell'uomo apparso sulla sua strada dal nulla, potesse regalare tutte le risposte che cercava.
«Hai visto qualche altra persona fuori dalla bolla?» chiese Laura, mentre guardava fuori dal finestrino.
«Eh?» Flavio alzò lo sguardo un attimo.
«Hai incontrato qualcun altro?»
«No, nessuno. Voi siete i primi.»
«Se vuoi possiamo dire una preghiera per la tua famiglia. Il Nostro Signore ascolta sempre!»
Roberto la fissò stranito.
«Apprezzo il pensiero, ma io non sono credente. Ma grazie, sul serio. Sei gentile.»
Laura rimase in silenzio, con una punta di delusione sul viso.
«Siamo arrivati!» esclamò Roberto, imboccando lo stradino sterrato.
«Sembra un bel posto!» disse Laura, mentre l'auto sollevava un po' di polvere, tanto da nascondere la SAAB dietro di loro.
Davanti alla casa c'erano Andrea, mano nella mano con Camilla, Veronica abbracciata a Dalila e Giancarlo, appoggiato al muro.
Tutti guardavano le due auto avanzare verso di loro con espressioni di puro stupore.
I nuovi arrivati furono accolti con grande entusiasmo, soprattutto Marta che, essendo la più piccola ed essendo anche piuttosto paffutella, attirò su di sé la maggior parte di carezze, buffetti e arruffamenti di capelli.
Giancarlo, senza nessuna esitazione, si diresse subito dall'affascinante Laura, riservandole il benvenuto più caloroso che il suo burbero carattere potesse esprimere, riuscendo pure a strappare un fugace sorriso a Flavio che aveva sempre considerato come uno dei condomini preferiti, solo per il fatto di non obiettare mai le sue proposte durante le riunioni.
Veronica e Andrea si diressero subito da Roberto che, vedendoli, scosse la testa, raccontando brevemente la sua avventura.
«Non ho trovato la nonna, Andy.»
«E la mamma? Non ci hai nemmeno provato?»
Roberto abbassò lo sguardo. «Sarebbe stato inutile. Mi spiace. Anche per il tuo papà» aggiunse, rivolto alla ragazzina che lo fissava in silenzio. Andrea lo abbracciò.
Alberto salutò giovialmente tutti, e tutti gli strinsero la mano tranne Dalila, che vi aggiunse due baci sulle guance, lasciandolo confuso e imbarazzato.
Veronica, al suo fianco, vide la scena a occhi e bocca aperta.
«Sei il primo con cui si dimostra così espansiva. Piacere, io sono Veronica» gli disse, sorridendo e allungando la mano.
Lui la strinse e subito la ritrasse, come se avesse preso una forte scossa. Anche lei fece lo stesso. Si guardarono per qualche secondo negli occhi, senza dire nulla. A Roberto non sfuggì la scena, mentre dava una pacca sulla spalla del figlio.
«Che succede?» chiese.
Alberto rispose continuando a tenere gli occhi fissi su Veronica.
«Forse è meglio se parliamo subito, prima di cena. Devo raccontarvi parecchie cose e credo anche voi a me.».
Il potente vocione di Giancarlo interruppe tutto.
«Informazione di servizio per i nuovi arrivati.»
Andrea si girò verso suo padre, con lo sguardo rassegnato, sapendo già cosa stesse per uscire dalla bocca del vecchio.
«L'elettricità e il gas sono andati circa venti minuti fa. L'acqua ancora resiste, ma scende sempre più lenta. Suggerisco di lavarsi finché c'è, magari cercando di usarne il meno possibile. Dopodiché dovremo usare le taniche che abbiamo riempito. E quando finiremo anche quelle, andremo avanti con le bottiglie. Fortuna che avete fatto una bella scorta! Ma se, oltre che berla, la usiamo per lavarci e per cucinare, mi sa che si dovrà tornare al market molto presto.»
Roberto si appoggiò alla macchina. «Cacchio! E come faremo a cucinare senza gas?»
«Per stasera, nessun problema, visto che useremo la griglia. Domani, ci penseremo.»
Alberto pensò alla valle dell'FDS dove, stando alle parole di Franco, quel problema non sussisteva.
«Devo raccontarvi tutto!» disse poi, come se volesse togliersi un fastidioso peso di dosso. «So chi è questo invasore, so cosa vuole e so come sconfiggerlo!»
Pronunciò la frase tutto d'un fiato, lasciando tutti a fissarlo, perplessi.
Il silenzio fu interrotto da Marta. «Posso andare dentro a disegnare?»
Mentre la bambina era seduta al tavolo, vicino al caminetto, con i suoi fogli, i suoi colori e la promessa di Veronica e Camilla di andare a colorare con lei, appena possibile, tutti gli altri si erano accomodati in sala, per ascoltare le parole di Alberto.
Durante il tragitto si era posto il problema se raccontare tutto, e con tutto intendeva anche il suo passato e le atrocità che aveva commesso, l'abbazia, Francesca, la fuga. Non conosceva nessuna di quelle persone, ma sapeva che difficilmente qualcuno avrebbe accettato di vivere sotto lo stesso tetto con un assassino stupratore, evaso per giunta, anche se pentito, convertito e in procinto di salvare il mondo. C'è sempre una grande differenza nel giudizio che si dà per quello che si vorrebbe fare e per quello che si è già fatto, e lui lo sapeva bene.
Il modo fantastico con cui era stato accolto, comunque, gli aveva cancellato ogni dubbio: avrebbe raccontato tutto, ma dall'FDS in poi, perché non avrebbe sopportato vedere spegnersi la scintilla di speranza e di felicità che aveva scorto nei loro occhi. Il resto della storia l'avrebbe cacciato fuori un'altra volta, forse, quando e se i rapporti con quella gente si fossero intensificati fino al punto giusto.
E dall'FDS dunque partì, chiedendo a tutti, con gentilezza, di non essere interrotto troppo spesso, almeno finché aveva cose da dire, per non perdere il filo di un racconto piuttosto complesso.
«Chiaro, Giancarlo?» disse Roberto, con un sorriso ironico.
Alberto parlò dunque per dieci minuti.
Cominciò dall'arrivo nella valle e dalla conoscenza di Monica e dell'ingegner de Simone (a quel nome Giancarlo aveva aperto la bocca, ma l'occhiataccia di Roberto gliel'aveva subito fatta richiudere); poi passò al racconto di Augusto e al video dell'arrivo del servo, la connessione con gli eventi del guaritore e le ricerche degli scrigni, fino alla venuta del fratello, di cui era stato involontario testimone.
«E quello che sta succedendo adesso nelle bolle, è la testimonianza diretta del perché quell'essere è qui.»
«Cosa sta succedendo nelle bolle?» chiese Camilla, anticipando di un soffio Giancarlo.
«Già, loro non sanno. Quando siamo arrivati qui ieri, era ancora in corso la caccia» aggiunse Roberto.
Alberto descrisse l'estrazione.
«Cazzo!» esclamò Giancarlo, mentre Camilla si era portata una mano sulla bocca.
Fu in quel momento che Flavio si alzò di scatto, facendo sobbalzare tutti. «Scusate, non ci riesco! Ho bisogno di stare da solo.»
E senza aspettare commenti, uscì dalla casa.
«Aspetta...» provò a lanciargli dietro Giancarlo.
«Lascialo andare. L'ha presa molto, molto male questa storia...» lo bloccò Roberto, mentre Laura annuiva con tristezza.
«Tutti l'abbiamo presa male e tutti abbiamo perso qualcuno, chi più, chi meno.»
«Non siamo tutti uguali, Giancarlo! Il punto di rottura è diverso per ogni persona. Purtroppo, lui l'ha raggiunto e ampiamente superato. Lasciamolo stare per un po'. Magari starsene un po' per i fatti propri, gli fa bene.»
«Cosa gli è successo?» chiese Andrea.
Roberto stava per riaprire la bocca, ma Giancarlo, sbraitando, lo sovrastò. «Cosa vuoi che gli sia successo! Quello che è successo a tutti! Andiamo avanti, per favore? Alberto?»
Tutti tacquero. Anche Roberto, fissando il vecchio con uno sguardo a metà tra la rabbia e il compatimento, poco sorpreso comunque dalla sua scarsa sensibilità.
Fu Andrea che spezzò l'imbarazzo creatosi, un po' mortificato dalla rispostaccia ricevuta dal vecchio.
«E cosa succederà quando questa estrazione finirà?» chiese. «Che ne sarà di mia mamma? Dei miei nonni? Del papà di Veronica, dei genitori di Camilla, di Giò, di chiunque abbia perso Flavio...»
«Le mie figlie, i miei nipoti e i genitori di Marta...» aggiunse Laura. «Dio ci aiuterà, se abbiamo fede!»
«Per favore, Laura. Teniamo la religione fuori da questa storia, per il momento» l'ammonì Alberto.
La vecchia aprì la bocca per ribattere, ma la richiuse subito. Incrociò le braccia e rimase in silenzio.
Alberto continuò.
«Anch'io, ho una persona cara là dentro, almeno credo. Sinceramente, non so che fine faranno.»
«Un attimo, un attimo. Andiamo con ordine, sennò non ci capisco più nulla» intervenne Giancarlo. «Credo di aver compreso la storia di quest'individuo spaziale, anche se, confesso, faccio parecchia fatica a rendermela credibile...»
«Ti capisco. Per me è stato lo stesso, all'inizio. Ma tutto quello che c'era scritto in quel libro si è avverato tra ieri e oggi» replicò Alberto, chiedendosi il perché non se l'era portato dietro. Sarebbe stato senza dubbio d'aiuto contro lo scetticismo.
«Va bene. È qua e abbiamo visto tutti cos'ha fatto e cosa sta facendo. È tutto il resto che è parecchio nebuloso.»
Rivolse lo sguardo a Veronica che se ne stava zitta a occhi bassi.
«Tu ci stai dicendo che ci sono nove persone che hanno ereditato, vent'anni fa, un potere in grado di sconfiggere l'alieno del cazzo? No, perché ieri abbiamo assistito a dei fenomeni un po' strani, giusto Veronica?»
Lei alzò appena gli occhi su di lui, pieni di lacrime.
Dalila la cinse con un braccio. «Cosa c'è, cara?»
Alberto si girò a guardarla, stupito.
Intervenne Roberto. «Avete sentito la scossa quando vi siete dati la mano, vero? Come pure noi oggi, quando ci siamo incontrati e abbracciati.»
«Sì, ma... di che fenomeni parlate?»
«Ieri le sentinelle non sono riuscite a catturarci, sia a me che a lei. Sembriamo possedere qualcosa che combatte il loro potere, o lo respinge, non so come dirlo. E a me è successa un'altra cosa strana oggi...»
Raccontò, il più brevemente possibile, la sua avventura con la bolla nel parcheggio, davanti a casa di sua mamma.
«I figli di Flavio, invece, sono entrati e là sono rimasti. Perché loro sì e io no? Perché questa specie di energia si palesa solo quando ci tocchiamo tra noi tre? Cosa significa? Tu hai avuto contatti con le sentinelle?»
«Quante domande! No, non ho avuto scontri con le sentinelle, per ora.»
Alberto prese un profondo respiro.
«Io sono uno dei nove scrigni» disse tutto d'un fiato.
Tutti lo fissarono in silenzio.
«Ho conosciuto un tale, uno dei guariti di Nicolas. Era mio amico ed è morto tra le mie braccia. Non sapevo che lui fosse uno di loro e non conoscevo nulla di tutta questa storia, ma ho sentito qualcosa mentre lui se ne andava, come una specie di strano calore friggermi dentro. Come vi dicevo prima, l'energia passa all'essere vivente più vicino e più forte, quando il portatore muore.»
Buttò lo sguardo di nuovo su Veronica.
«Oppure, partorendo. Mi chiedi perché se ci tocchiamo, io, te e lei, ci succede questo, Roberto... Mi piacerebbe rispondere che anche voi due siete scrigni. Sarebbe fantastico! Ma nella lista delle persone che sono venuto a cercare, non c'è nessuna Veronica e nessun Roberto.»
Il silenzio continuava ad aleggiare nella sala e Alberto fissava tutti, perplesso.
Poi, all'improvviso, ebbe come un'illuminazione.
«A meno che...»
«Mia mamma è stata l'ultima guarita» sussurrò Veronica, tra le lacrime.
«Aveva un tumore, lui la guarì e morì mentre lo faceva. Prima di andarsene le disse che non aveva finito di guarirla e che lei avrebbe dovuto scegliere tra vivere o dare la vita. Me l'ha raccontato il mio papà.»
Dalila le strinse forte la mano e la baciò con amore su una guancia.
Alberto si alzò con le mani nei capelli.
«Tu, sei figlia di Erika Bucci?»
Veronica, con gli occhi rossi, annuì.
«Non ci posso credere. Ne ho trovato uno.»
«Uno che? Uno di questi scrigni? Lei?» chiese Giancarlo.
Alberto era al colmo della felicità. «Sì! È incredibile!»
Si avvicinò alla finestra con le mani dietro al collo e guardò fuori, pensando a Franco e a quanto gli sarebbe piaciuto fosse lì con lui, per vedere la reazione a questo assurdo colpo di fortuna.
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