20 - RICERCHE (1)

I tre mesi successivi furono, per Alberto e Francesca, il classico periodo "gioie e dolori". Il loro rapporto procedeva a gonfie vele. Man mano che scorrevano le settimane, lei passava sempre più tempo alla baita. Oltre al sesso, sempre di pregevole fattura, amavano chiacchierare, parlando di tutto e di niente, scoprendosi anche ottimi amici.

Ai primi di maggio, quando il sole cominciò a fare sul serio, presero l'abitudine di fare lunghe passeggiate, spesso verso la famosa radura, speranzosi di trovare qualche nuovo dettaglio, o indizio, o qualsiasi cosa potesse aiutare in previsione dell'ipotetico arrivo del fratello distruttore, evento che il loro cervello, almeno la parte più istintiva, continuava con ostinazione a derubricare nella lista delle "cose improbabili, se non impossibili". Non trovarono mai nulla di nulla alla radura, ma quelle camminate si rivelarono particolarmente piacevoli, sia per il clima, sia per il paesaggio, ma soprattutto perché erano insieme. All'inizio Francesca era contraria al fatto che Alberto uscisse così allo scoperto, ma si fece convincere che ormai non correva più grossi pericoli. In effetti nessuno lo stava più cercando.

A poco, a poco Francesca cominciò a restare anche qualche notte. Le cose all'abbazia procedevano bene e il clima era molto più disteso ora che era stata rimossa la presenza di Masi. Era riuscita a ottenere ancora più fiducia dalle guardie, dando loro molta più responsabilità e poteri decisionali durante le sue assenze.

«Dovrò star via per due giorni questa volta» disse, la prima volta che decise di passare la notte alla baita con Alberto.

Karl e Burci, gli interlocutori del momento, avevano annuito senza domande. Si era più volte chiesta se avessero avuto dei sospetti ma, nel caso, non erano mai sembrati interessati. Con le nuove regole, aveva reso l'ambiente di lavoro molto più sereno e, a loro, sembrava bastare.

René e Masi erano rinchiusi nei loro buchi e nessuno aveva intenzione di aprire le porte. A turno le guardie portavano i pasti e questo era l'unico contatto che avevano con qualcuno. I primi giorni Masi aveva alternato suppliche e minacce poi, col tempo, aveva smesso, chiudendosi nel più assoluto mutismo, sebbene di continuo incalzato da René, desideroso almeno di parlare con qualcuno.

«Li abbiamo sotterrati e non ci daranno più fastidio!» rispose Francesca ad Alberto, quando le chiese che fine avevano fatto.

Purtroppo, però, non tutto era rose e fiori.

La salute di Franco, in primis, peggiorò e, a fine marzo, temettero seriamente di perderlo.

Una notte ebbe una grave crisi respiratoria e fu trasportato d'urgenza all'ospedale, dove rimase in coma farmacologico per due giorni, circondato dal pessimismo dei medici che lo davano per spacciato. Francesca restò con lui tutto il tempo (l'unica volta per cui non inventò scuse per l'assenza dall'abbazia), ed era presente quando, in modo del tutto inaspettato e contro ogni previsione, Franco riaprì gli occhi.

La guardò fissa per un attimo, poi le chiese: «È arrivato il fratello?»

Nonostante la grande felicità e il sollievo di tutti, l'incidente lasciò strascichi. Franco passava la maggior parte del tempo a letto, troppo debole, al momento, anche per stare seduto sulla carrozzella.

«Mi raccomando, assoluto riposo per almeno un mese» aveva ordinato il medico. «Evitategli qualsiasi cosa possa procurare emozioni, agitazione. Anche che siano belle notizie. Deve starsene tranquillo, capito?»

Monica, ovviamente, seguì alla lettera le indicazioni del medico, e proibì a Francesca e Alberto di parlare con lui di tutto quello che riguardava la storia del fratello, dell'energia e delle loro ricerche. Le insistenze di Franco, a volte, rasentavano l'ossessione, ma la donna lo zittiva sempre con la stessa frase.

«Deve riposarsi e stare tranquillo. Quando starà meglio sua nipote le racconterà tutto.»

Lui si accigliava e obbediva. Ormai da tempo si era rassegnato all'idea di non comandare più in casa sua.

L'altra spina nel fianco, penosa e dolorosa, era la ricerca dei nove o, meglio, degli otto.

Come Francesca aveva previsto la sera in cui aveva dato inizio alla caccia, il compito si era rivelato arduo, molto vicino all'impossibile. Aveva lavorato sia da sola, sia aiutata da Alberto, ma nonostante gli sforzi, la buona volontà e un numero notevole di ore dedicate, l'unico dei nove presente continuava a essere sempre e solo lui. Non che si aspettasse di arrivare a giugno con il gruppo al completo, alla baita, pronto all'azione, entusiasta e convinto al cento per cento di vincere ma, nel suo cuore, aveva avuto la tenue speranza di trovarne almeno un altro paio.

«Se è vero che il mondo dipende da questo, come dice tuo zio, e sono sicuro sia così, siamo messi parecchio male» diceva Alberto.

Lei annuiva con lo sguardo perso nel vuoto, ma poi, come punta da un bastone elettrificato, si tirava su all'improvviso, spronata da una convinzione e da un entusiasmo ogni volta sempre più deboli.

«Continuiamo, dai! Non dobbiamo abbatterci!»

Sapevano sin dall'inizio che la missione doveva seguire due fasi ben distinte, ma connesse tra loro, in modo imprescindibile: trovare e convincere.

Limitandosi al primo punto, le loro ricerche avevano anche acceso qualche timida fiammella di speranza; ma la seconda parte aveva sempre spento tutto, come un vento tempestoso che sferza due incauti e smarriti esploratori che cercano invano la strada alla luce di una torcia improvvisata. Con qualcuno, comunque, erano riusciti almeno a parlare.

Franco Trudi, cinquantacinque anni, abitava all'Isola d'Elba, ed era proprietario del ristorante "Le luci di Bastia", per cui fu uno dei più facili da rintracciare.

Francesca si presentò al telefono come una scrittrice alla ricerca di informazioni per un libro su Nicolas il guaritore. Lui la informò che, una volta morto il ragazzo, era stato contattato da due giovani preti inviati dal Vaticano; gli avevano fatto visita al ristorante e pregato di non parlare mai con nessuno di tutta quella storia. Usò il termine "pregare", ma ci tenne a specificare che in realtà le fu consigliato di tacere, accompagnando quell'insolita richiesta con una busta, sigillata e parecchio gonfia.

«Mi lasci indovinare! Ha cercato notizie in rete, foto dell'epoca, ma non ha trovato nulla, vero?» le aveva chiesto.

Era proprio così. Siccome però "a me nessuno può mettere il bavaglio", così disse, e visto che ormai erano passati già diversi anni, le raccontò tutta la storia. Quando però Francesca, dopo aver pazientemente ascoltato tutto il resoconto, che in realtà non le interessava più di tanto, le disse il vero motivo della telefonata, ottenne, per un secondo, solo silenzio.

«Mi vuole prendere in giro, signorina?» aveva poi chiesto, con un tono decisamente meno cordiale di prima. «Mi ha fatto perdere del tempo?»

«No, le assicuro che è tutto vero. Se lei potesse venire qui da noi, le mostreremmo...»

«Venire lì? Lì dove, scusi? Lei chi è? Chi la conosce?»

Il tono dell'uomo ora, era arrabbiato.

«L'ingegner Franco de Simone la ospiterebbe per...»

«Basta! Se lei ha tempo da perdere per fare stupidi scherzi telefonici, affari suoi. Alieni, energia rossa, gialla e blu! Mi ha preso per un deficiente? Io devo lavorare.» E aveva riattaccato.

Francesca aveva richiamato subito, incalzata da Alberto, ma si era sentita minacciare di denuncia, se avesse insistito.

«Come sospettavo. Chi può credere a una storia del genere?» aveva detto Alberto, deluso.

«Se almeno potessimo far vedere loro il video dell'arrivo del servo...»

«Penserebbero a un falso, fidati.»

«Almeno abbiamo scoperto perché è così complicato trovare informazioni su di loro. Il Vaticano ha insabbiato tutto!»

Alberto rifletté per un attimo. «Ma come possono cancellare foto, articoli... dal web, poi?»

«A quanto pare ne hanno il potere!»

«Ma la gente ricorda! Questo non possono cancellarlo!»

«Se sono riusciti a zittire i diretti interessati, la stampa, i media... fidati che alla lunga non ne parla più nessuno! Io stessa, sono sincera, l'avevo rimosso. Mi è tornato in mente quando me ne avete parlato.»

«Sì, è successo anche a me. Solo dopo aver letto la storia di Augusto me ne sono ricordato.»

Il signor Franco fu l'unico scrigno con cui riuscirono a parlare direttamente.

Francesca riuscì a scovare il numero di casa di Marisa Vertani, al cui nome lo zio aveva aggiunto il commento "anziana", ma i timori che l'accompagnavano mentre ascoltava il segnale di libero divennero, molto in fretta, certezze. Rispose una voce maschile, una voce giovane, e già questo non era un bel segnale.

«Buongiorno e mi scusi il disturbo. Sono una scrittrice incaricata di scrivere un resoconto sul guaritore Nicolas e i fatti accaduti nel 2000. Cerco Marisa Vertani.»

Era seguito un breve e imbarazzante silenzio.

«È morta nel 2010.»

La notizia era aspettata, ma Francesca si sentì lo stesso come colpita da un macigno. Deglutì e, guardando Alberto, che la fissava con aria interrogativa, scosse la testa.

«Mi dispiace moltissimo. Lei è il figlio?»

«Chi è lei? Cosa vuole?»

L'uomo, o il ragazzo (era difficile capirlo dalla voce) sembrava aver colto il secondo fine di quella telefonata.

«Solo fare delle domande. So che sua mamma è stata guarita...»

«Era mia nonna, non mia madre! E noi non parliamo più di quella faccenda. Buongiorno.»

«No, aspetti...» ma la telefonata era già stata interrotta.

«Cazzo, cazzo, cazzo!» sbraitò Francesca, sedendosi con lo sguardo perso.

Alberto le accarezzò la testa. «Eehhh! Che linguaggio!»

Lei ignorò il tentativo di conforto. «È morta, Alberto! E non sappiamo chi e se c'era qualcuno con lei, quando è successo.»

«Richiama e fattelo dire.»

Lei sorrise. «Non mi sembrava così propenso a parlare il nipote, o chiunque fosse.»

Prese il foglietto e annotò qualcosa a fianco del nome.

«Cosa scrivi?»

«Ho controllato. Il numero di telefono è di San Lazzaro di Savena, lo stesso comune dove Nicolas si era trasferito. Lo annoto, può tornare utile. Se non altro, senza volerlo, ci ha confermato che è la Marisa Vertani giusta.»

«Allora non è tutto così negativo, dai!»

Lei si alzò e lo baciò. «Ti amo quando cerchi in tutti i modi di tenermi su di morale.»


Il pomeriggio del 15 maggio successivo erano seduti sul letto a rileggere per l'ennesima volta il foglietto, con tutte le annotazioni che Francesca aveva aggiunto.

«Forse andrebbe ricopiato» suggerì Alberto. «Si comincia a far fatica a leggere quello che c'è scritto.»

«Sì, avevo già deciso di riscrivere tutto in Excel. Volevo finire di contattare... provare a contattare tutti. Mi manca Alessandro Gallo.»

«Il ragazzino guarito...»

«... dalla sindrome di Down! Proprio lui. È stato il primo, magari è più facile trovare qualcosa. Mi aiuti? Stasera voglio andare a fare un resoconto completo allo zio. Monica ci ha dato il permesso. Si è ripreso anche se non è tornato completamente quello di prima, e non succederà. Ma sta bene, considerando l'età e quello che ha avuto.»

«Tuo zio è tosto!»

«Sicuro. E dobbiamo metterlo al corrente di tutto. Quindi? Mi aiuti con Gallo?»

«Certo!» disse Alberto, massaggiandosi la spalla.

«Ti fa male?» Francesca lo fissava, seria.

«Non più, ormai. Diciamo che ogni tanto sento qualcosa di leggero, ma molto, molto velato. I massaggi di Monica sono stati portentosi. Quella donna è fantastica! Peccato non sia uno scrigno anche lei. La vorrei al mio fianco in ogni situazione di pericolo.»

Lei arricciò le labbra in un sorriso sincero. «È meravigliosa, sì. Mi ha fatto tante volte da baby-sitter quando ero piccola. La adoravo. Prendimi il portatile, per piacere.»

Alberto si alzò e la accontentò.

La ricerca di "Alessandro Gallo" su Facebook produsse un'infinità di risultati.

«Quanti caspita ce ne sono?» brontolò Francesca.

Scartarono quelli che abitavano troppo lontano da Bologna, ma i profili trovati rimanevano comunque tantissimi, senza contare quelli in cui le informazioni personali erano mancanti.

«Io lascerei perdere Facebook e i social in generale. Non sappiamo nemmeno che aspetto ha!» disse Alberto.

«Forse lo zio può riconoscerlo. L'ha visto in tv quando è guarito.»

«Era un ragazzino! Come fa a riconoscerlo senza una foto recente? È un uomo, adesso. Qui perdiamo tempo secondo me.»

Francesca sbuffò. «Per la Cataldi e Dandolo è servito...»

«È stato un caso. Cerca sulle Pagine Bianche, dai retta a me, isolando la ricerca su Bologna. Credo che filtri già in automatico tutti i risultati approssimativamente in zona.»

Francesca chiuse Facebook e aprì l'altro sito, senza protestare. Dopotutto, forse, Alberto non aveva tutti i torti.

La ricerca suggerita produsse un solo risultato: un Alessandro Gallo di Casalecchio di Reno.

«Visto?» disse Alberto, soddisfatto.

«Visto che? Non è mica detto che sia lui!»

Compose il numero col cuore che batteva forte. Al nono squillo, quando già Francesca stava per riattaccare, qualcuno rispose.

«Pronto?» Era la voce di un uomo.

«Signor Gallo? Alessandro Gallo?»

«Chi vuole saperlo?»

Francesca ebbe la netta sensazione di cogliere un'inflessione di tristezza nella voce che ascoltava. Questa volta aveva deciso di andare dritta al nocciolo, senza preamboli, senza frottole.

«La chiamo per conto dell'ingegner Franco de Simone, fondatore della FDS. Lo conosce?»

Percepì una lieve esitazione. «È uno scherzo?»

«No, no! Glielo assicuro, non è assolutamente uno scherzo, ma una cosa molto seria. Franco è mio zio. Lo conosce o no?»

«Non di persona, ma so chi è. Cosa volete da me?»

«Parlare della guarigione dalla sindrome di Down di cui ha beneficiato ventidue anni fa.»

Di nuovo ci fu silenzio, ma stavolta quella che percepì non fu esitazione, ma una vera e propria angoscia, nascosta in due respiri profondi che però si sciolsero, inaspettatamente, in una risata.

«Non sono io quel Gallo! Non è la prima persona che commette questo errore. Mi spiace.»

La notizia sconvolse Francesca, e Alberto, attraverso la sua espressione di colpo cambiata, capì che avevano appena fatto l'ennesimo buco nell'acqua.

«Ma è l'unico Alessandro Gallo di Bologna che ho trovato!» disse, rendendosi subito conto dell'inutilità di quella protesta.

«Signorina, che le devo dire? Non sono io quello che cercate. Mi dispiace. La saluto. Arrivederci.»

Francesca restò un minuto col cellulare in mano, guardando il display, ormai spento.

Poi fissò Alberto e scoppiò a piangere.

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