Augusto trottava veloce, aiutato dall'appoggio del suo fidato bastone di ginepro che, da anni ormai, l'accompagnava nelle sue lunghe camminate. Nel corso del tempo l'aveva lavorato, reso liscio, rimosso ogni spuntone e imperfezione, e dotato di una comoda impugnatura rivestita di soffice cuoio. Col suo coltellino aveva inciso su un fianco la "C" di Caterina, il giorno stesso in cui si erano dichiarati amore e, da un anno, la "T" di Tolomeo, il loro piccolo, sull'altro lato.
La stagione era ancora abbastanza mite, sebbene l'autunno avesse già piantato le proprie tende; per esperienza si era coperto, perché sapeva bene che a quelle quote il tempo cambiava in fretta e il freddo poteva arrivare a mordere quasi senza che uno se ne accorgesse. Nella sacca, che sempre si portava dietro, aveva perciò infilato anche il suo mantello, oltre la solita mela.
Solo qualche ora prima, appena Tolomeo si era addormentato e lui si era coricato, la sua Caterina gli era saltata a cavalcioni sul letto e gli aveva sussurrato due cose all'orecchio.
La prima era lo scopo dell'attuale camminata, e cioè il desiderio dei funghi speciali della radura, per preparare la zuppa di cui entrambi andavano ghiotti. «E sai che di mattina presto, si trovano quelli più buoni, come diceva il nonno!» Ad Augusto le teorie del nonno facevano sorridere, ma a lei non lo diceva. «E magari trovi qualche mirtillo rosso per Tolo, così gli calma il pancino.»
La seconda fu di spegnere la luce e chiudere gli occhi.
Si era alzato alla buon'ora, riposato, felice, sereno. Le aveva baciato le labbra addormentate, aveva fatto una carezza al suo piccolo e si era messo in marcia. Adorava camminare, adorava farlo alla mattina prestissimo, quando ancora gli echi della notte gli sussurravano attorno, e adorava la montagna. Calcolò che per le sette sarebbe stato alla radura, forse prima se le gambe si scrollavano di dosso gli ultimi strascichi di torpore notturno. Notò che era già così. Le sue lunghe leve rispondevano bene, agilmente, i piedi ballavano che era una meraviglia. Si sentiva frizzante, energico, in pace con sé stesso e in armonia con il mondo.
Il primo tratto del sentiero era il più agevole, quasi sempre diritto, con un basso dislivello e un soffice velo di terriccio che copriva il fondo, comunque battuto. Soffiava una leggera brezza che lo accompagnava da dietro e sembrava sospingerlo; più volte, abbozzando un sorriso, ebbe la tentazione di mettersi a correre, convinto che gli sarebbe parso di volare, tanto si sentiva leggero in quel momento. Ma voleva godersi ogni attimo, al massimo che poteva.
Il percorso, a poco a poco, cominciò a salire e a diventare un po' più impervio, in corrispondenza della deviazione che portava verso il casato dei Rossi, i "signori" della zona, come piaceva a loro farsi chiamare. Il terreno sicuro e pareggiato del primo tratto stava progressivamente sparendo, sostituito da un sentiero più ripido, bitorzoluto e rigato, frutto del continuo passaggio di carri e animali che andavano e venivano dal casale. Augusto, pur conoscendo a memoria quel percorso, aumentò la cautela nei suoi passi, saggiando con prudenza il terreno col bastone a ogni passo.
Ormai era in marcia da circa quaranta minuti e cominciava ad avere la fronte umida. La sua eccitazione stava crescendo. Doveva affrontare ancora due curve poi, sulla sinistra, sarebbe spuntato l'elegante viale che saliva al colle dove la grande casa sorgeva e dove sperava di vedere Lucilla, la figlia del padrone. Era mattiniera come lui, e spesso soleva passeggiare beatamente per la zona insieme al suo cane. Anche lei amava recarsi sovente alla radura e proprio lì si erano incontrati la prima volta.
Augusto era un onesto marito e un ottimo padre e non aveva nessuna mira sulla giovane ragazza. Se l'era ripetuto mille e più volte nella testa, sicuro di non provare nessun impulso sessuale; men che meno passionale. Amava alla follia la sua Caterina che rispecchiava in tutto e per tutto il suo ideale di donna, sia nel fisico che nello spirito.
Ma la compagnia di Lucilla, anche solo il vederla di sfuggita in lontananza, gli infondeva un qualcosa che, in tutta onestà, non riusciva a spiegarsi. Era il suo viso, bianco come la neve, perfettamente rotondo, cesellato con due occhi sferici, dalle pupille bianche anch'esse, un piccolo naso morbido e una bocca sottile, racchiusa in due labbra che parevano due esili fili di raso rosa. Tutto sembrava confluire verso la fronte, alta, da cui partiva, come una cascata d'oro, un fiume di biondi capelli, lunghi e diritti che lambivano la base della schiena. Nelle giornate di sole più accecante, Lucilla risplendeva veramente di luce. Augusto pensava che mai un nome era stato più azzeccato.
La ragazza non era in vista, così, un po' deluso, proseguì, cercando di non perdere il piacevole buonumore che fino a quel momento l'aveva accompagnato. Il sole si levava veloce e la sensazione era quella di una giornata calda, sicuramente la più calda dell'ultima settimana. Augusto aveva trovato il suo consueto ritmo di camminata e, anche se la strada continuava a salire (in alcuni punti l'ascesa era impegnativa), aveva di nuovo aumentato l'andatura. Non pensava più a Lucilla ma era di nuovo focalizzato sulla sua meta e sul successivo rientro dalla sua famiglia.
Respirava a pieni polmoni ogni odore che arrivava alle sue narici, odori pieni di natura, di bosco, mischiati tra di loro. Eppure, era in grado di discernerli tutti: la fragranza dei pini, la delicatezza dei fiori, l'umidità del sottobosco, il selvaggio degli animali. Una commistione di sensazioni diverse tra loro che l'aveva sempre ammaliato e gli aveva sempre ispirato immagini affascinanti di vita all'aperto, immerso del tutto nella pura natura, senza obblighi, responsabilità verso nessuno, se non verso sé stessi. Se esisteva il Paradiso, sperava fosse così.
Ma quel giorno, qualcosa era diverso, in primis l'aria. Non era la solita brezza, fresca, dolce, che in alta quota, anche nelle ore più calde, accarezzava la pelle, scompigliando i capelli coi suoi improvvisi refoli. Adesso pareva "ferma". E troppo calda. Augusto aveva calcolato di essere in marcia ormai da sessanta, forse settanta minuti, battezzando un'ora compresa tra le 6.15 e le 6.30. Quella non era l'aria tipica di quell'orario, a quella quota, in quel periodo. E il cielo... L'aveva guardato con attenzione nemmeno un minuto prima, attirato dalle sfumature della notte che schiarivano in quelle del mattino. Ma, sbalordito, ributtando l'occhio in alto, vide che ora erano sparite; sopra di lui c'era un vasto specchio bianco giallastro, compatto, come uno lago rovesciato, assolutamente immobile. Nemmeno l'idea di una nuvola l'offuscava. Non era mai stato uno studioso particolarmente portato e volenteroso (a parte lo scrivere, dove aveva scoperto di essere abbastanza dotato), ma sapeva che il clima aveva le sue stranezze; l'aveva sentito e qualcosa aveva anche visto (l'arcobaleno, la prima volta, l'aveva lasciato estasiato). Il fenomeno però che stava osservando e vivendo era parecchio anormale e gli conferì un non so che d'inquietudine.
Qualcosa alla sua destra si mosse tra i rami...
Un tuono fragoroso esplose, facendo quasi sobbalzare il letto. Alberto cacciò un urlo e mollò il libro che cadde sul petto. Un nuovo dolore acuto gli punse il collo, irradiando dolore sulla spalla, fino alla base del gomito.
«Alberto! Tutto bene?»
La voce di Monica proveniva, un po' ovattata, da dietro la porta.
«Sì, grazie. Mi ha spaventato il botto improvviso, tutto qua.»
Era veramente a disposizione per ogni cosa, quella donna.
«Siamo un po' impressionabili, mi pare?» rise lei.
Gli sembrava quasi di vedere le sue sopracciglia aggrottate e quell'espressione d'ironica indagine che spesso assumeva.
«Se hai bisogno, chiama pure. E tranquillo... È solo un temporale!»
«Grazie.»
Si sentiva un po' stupido, ma si era immerso nella lettura così a fondo d'aver completamente azzerato ogni rumore e ogni cosa intorno a lui; il boato improvviso l'aveva del tutto colto di sorpresa, non avendo nemmeno visto arrivare il lampo. Il fulmine doveva essere caduto molto vicino.
Il dolore si stava di nuovo ritirando nella sua tana. Alberto si massaggiò delicatamente il fianco del collo, piegandolo verso sinistra e sentendo un leggero "clock" che gli diede un po' di sollievo.
Risollevò il libro e cercò con gli occhi il punto in cui si era interrotto. Nelle prime righe aveva fatto un po' fatica a star dietro a quello stile di scrittura tipico del passato, un po' aulico, voluto o non voluto, questo non lo sapeva. Ma poi era stato catturato e trasportato nella storia come se fosse presente sul luogo col proprio corpo. Quel tizio sapeva scrivere e raccontare i fatti in modo fantastico. Si sentiva esattamente come Bastian, mentre leggeva "La storia infinita".
Trovò il punto e riprese.
«Ristetti immobile peril tempo di un minuto, forse più. Il suono ripeté e l'aulente cespo che miravomosse ancor i suoi arbusti...»
Augusto deglutì, continuando a fissare il cespuglio che tremolava e si scuoteva.
Ma cosa stava capitando? Non gli era mai successo di provare inquietudine, spavento, addirittura paura, proprio lì, nel suo elemento preferito. Non aveva mai visto un cespuglio muoversi? Non aveva mai avuto caldo? Perché, all'improvviso, la quiete e la serenità che gli appartenevano fino a poco prima si erano sciolti in quella maniera, ai suoi piedi, e la pozzanghera in cui ristagnavano puzzava così tanto?
Di nuovo il cespuglio tremò e lui ebbe un altro sussulto. Era incapace di muoversi.
Poi qualcosa sfrecciò fuori, con un secco colpo d'ali sbattute e volò via, zigzagando tra i rami, prima di sparire lontano.
Ad Augusto scappò un urletto da bambino, in uno stonato falsetto che mai si era sentito addosso. Era una coturnice, un'innocua, semplice coturnice alpina. Era fradicio di sudore, ma sorrideva alla sua stoltezza. Era tutto a posto. Era tutto normale. Cose normali che capitano in un normale bosco in una qualsiasi normale giornata. Tirò su col naso e si accinse a riprendere il cammino, di nuovo, apparentemente, ben disposto.
Ma in un attimo la normalità finì.
Il cielo divenne all'improvviso un'alternanza di giallo e bianco ma lo sfumare era talmente uniforme da sembrare sempre un'unica mescolanza che tendeva ora all'uno, ora all'altro colore. L'aria si fece ancora più calda e Augusto sentì gli indumenti appiccicarsi addosso. Girava freneticamente la testa, a destra, a sinistra, riguardava il cielo, poi si fissava i piedi. Non capiva, non sapeva, per la prima volta in vita sua si trovava in mezzo a un bosco spaesato e spaventato. Cosa stava succedendo? Dove poteva andare? Casa era lontana, quindi gli venne in mente solo la radura, che era a poche svolte del sentiero, sopra di lui.
Sentì un "pop" schioccare nel cielo, e vide una scia, formatasi all'improvviso in un punto imprecisato, solcarlo, cadere in silenzio a una velocità irrealmente lenta e sparire dietro gli alberi, sopra di lui. Qualsiasi cosa fosse (o non fosse), cosa viva o inanimata, Augusto sospettava si trovasse nella radura.
Nello stesso preciso momento tutto si era fatto grigio, l'aria si era rinfrescata vertiginosamente, fino a diventare fredda, gelata, rispetto solo a qualche secondo prima. Un brontolio di tuono echeggiò lontano nella valle e la pioggia cominciò a cadere, leggera e fine, ma costante. Recuperò il mantello dalla sacca e l'indossò, coprendosi anche col cappuccio.
La curiosità spesso è come un topolino che si avventura in mondi sconosciuti, ignorando gli eventuali pericoli, attirato dall'irresistibile odore del formaggio. Nel suo caso Augusto non aveva nemmeno quello, ma si avviò lo stesso verso la radura, attratto da qualcosa che, in fondo, era decisamente più forte della semplice curiosità.
A passo deciso si accinse ad affrontare gli ultimi tornanti che lo separavano dalla meta, quando tutt'intorno a lui riecheggiò un urlo. All'inizio sembrò un fioco lamento, ma crebbe veloce, d'intensità, e si prolungò per una decina di secondi. Una voce di donna che squartò il monotono ticchettare delle gocce che cadevano e si raccolse in una eco strozzata che si dissolse quasi subito.
Augusto cominciò a correre, incurante delle buche e della fatica. I muscoli cominciarono subito a bruciare, ma non ci badò. Voleva arrivare in cima prima possibile.
Sbucò nella radura in meno di dieci minuti, facendo l'ultimo, penoso sforzo nell'ultimo tratto di salita, sentendo le gambe che stavano per cedere.
Appena la scarpa toccò la soffice erbetta che ricopriva l'altura, mollò il bastone, si lasciò cadere sulla schiena e, ansimante, riprese fiato, respirando a bocca aperta mentre la pioggia gli bagnava la faccia. Tossì e si tirò su un fianco, guardandosi intorno.
La radura era immobile, silenziosa, uguale a come l'aveva vista l'ultima volta. Un grande spiazzo d'erba e piante, circondato da alberi e da un crostone di roccia alla sua destra, dove s'intravedeva l'entrata di una grotta. In quel punto sembrava esserci la sola cosa stonata del luogo, la sola cosa che i suoi occhi non riconobbero. Sembrava un cumulo di panni abbandonati, proprio davanti all'ingresso della caverna.
Augusto si sollevò un po' di più, mettendo a fuoco l'immagine, accorgendosi che si muoveva. Col cuore che martellava fece qualche passo carponi, poi si alzò e si avvicinò con curiosa cautela.
Era una persona, nuda, rannicchiata su sé stessa in posizione fetale; tremava come una foglia e piangeva come un bambino. Guardando i piedi, piccoli e delicati, sembrava proprio un bambino, ma Augusto non ebbe dubbi che fosse una donna, decisamente minuta. Non disse niente ma si sfilò il mantello e lo lasciò cadere attorno a quel corpo. Il pianto soffocò in un gridolino, la testa si voltò leggermente e due occhi tristi fecero capolino tra l'incavo delle braccia.
«Non avere paura. Non ti voglio fare del male. Ma se non ti copri un po' ti prenderai un gran brutto raffreddore» le disse, nel tono di voce più dolce che riuscisse a produrre. Alle sue orecchie gli sembrò di aver usato lo stesso che gli era scappato con l'urletto causato dalla coturnice e se ne vergognò.
Lei non reagì, ma i suoi occhi sembrarono più sorridenti e meno tristi.
«Ti aiuto ad alzarti se vuoi...» e gli porse la mano. «Piove, ripariamoci nella grotta.»
La donna allungò il braccio e gli toccò le dita, girandosi sul fianco, facendo scivolare la mantella sull'erba. Mostrava le sue nudità in tutta tranquillità, come neanche si fosse accorta di non avere niente addosso.
Era di una bellezza disarmante, un tipo di donna che Augusto mai aveva visto e forse mai si era anche solo immaginato di poter vedere. Era completamente glabra, priva di qualsiasi pelo, capello, ciglia o sopracciglia, ma questa privazione, su quel corpo, risaltava in un modo a dir poco splendido, tale da convincere lo scettico più scettico che anche solo una misera pagliuzza avrebbe scalfito la perfezione che emanava. Aveva la pelle che brillava di tonalità che non aveva mai visto, ora bianche, ora gialle, ma di gradazioni sconosciute ai suoi occhi e, ne era certo, agli occhi di tutti. Le sfumature parevano rincorrersi tra loro, lente e veloci allo stesso tempo. A uno sguardo più attento, si notavano velatissimi riflessi di un rosa delicato, come se una mano invisibile stesse distribuendo su quella cute la più insignificante delle pennellate. La testa era un perfetto ovale, e perfettamente conteneva due occhi disegnati da un compasso, dotati di iridi che assumevano via, via i colori della pelle. Erano occhi tristi, pieni di angoscia, eppure Augusto vi scorgeva qualcosa di recente e di grandioso, che lottava per non spegnersi. Il corpo, che in posizione fetale gli era sembrato minuto, era invece slanciato; le lunghe braccia dondolavano dalle spalle, perfette, in simmetria e accompagnavano lo sguardo sui due seni, due coppe rotonde, piene, assolutamente identiche tra loro, con due capezzoli sferici che parevano appoggiati sopra, formando l'aureola più precisa che avesse mai vista. I fianchi scendevano rientrando leggermente e subito riallontanandosi, per lasciare spazio alla vagina, un bocciolo di rosa appena schiuso.
La mente di Augusto fu folgorata da un pensiero: la vita veniva da lì, la vita di tutti era uscita da quelle incredibili e straordinarie piccole labbra che stavano davanti a lui.
Era completamente imbambolato da quella visione e per un attimo, solo per un fugace momento, non sentì più la pioggia, il freddo, la fatica. Non voleva stare da nessun'altra parte. Né con sua moglie, né con suo figlio, non gli interessava più nulla di niente e di nessuno. Voleva solamente rimanere lì con quella meravigliosa creatura, per tutta la vita, in ginocchio, a guardarla. Meglio... a contemplarla!
Ma lei parlò e lui si riscosse.
«Aiutami!»
Fu come se un alito di vento avesse fatto volare via un velo dai suoi occhi. La sua voce era in sintonia col suo corpo. Era vellutata e talmente delicata che, nell'ascoltarla, pareva di percepire il fruscio della seta. Augusto ripiombò in un attimo nelle stesse sensazioni e, per un attimo, vacillò.
«Ti prego. Ho poco tempo.»
Di nuovo fu come se si risvegliò dal sonno, ma ora era perplesso.
Davanti a lui c'era una donna nuda, bellissima, ma normale. La pelle era rosa, il classico rosa della pelle umana contaminato dalle piccolissime imperfezioni che distinguono un individuo da un altro. Dettagli minuscoli e veramente insignificanti, ma enormi se paragonate alle visioni precedenti.
Cosa aveva visto? Aveva avuto una visione mistica, causata dall'altitudine, dalla fatica? Forse stava guardando la Madonna in persona, come le storie che aveva letto e a cui non aveva mai creduto. Sorrise a quell'idea.
«Certo, vieni.»
La ricoprì col mantello e l'aiutò a sollevarsi, accompagnandola all'interno della grotta e facendola sedere su un masso piano, nella parete di sinistra.
Lei accennò un sorriso e si avvolse stretta nel mantello. Sulle guance era comparso un lieve rossore, come se, solo in quel momento, si fosse accorta di essere nuda davanti a un estraneo. I suoi piedi stavano assumendo un colore leggermente violaceo e, guardò due volte per essere sicuro, gli pareva proprio di scorgere qualche piccolo callo. Inoltre, tremava. Sembrava quasi in preda a piccoli spasmi, di freddo, di angoscia, di paura... non lo sapeva. Ma l'immagine che aveva davanti era penosa e assurda allo stesso momento. E gli si strinse il cuore.
L'abbracciò, cercando di scaldarla. La donna sembrò calmarsi ma si divincolò subito da lui.
«Devi ascoltarmi attentamente, perché manca poco. Lo sento.»
La sua voce aveva assunto una leggera inflessione di pesantezza.
«A cosa... manca poco?»
«Devo dirti tutto. Spero tu sia quello giusto.»
La sua pelle stava perdendo lucentezza, e non pareva più seta, ora, ma un candido tessuto, di quelli usati per ricamare i fazzoletti. Augusto era totalmente confuso. «Sei tu che hai urlato, prima?»
«No!» rispose. «È stata quella ragazza. Lei è la chiave di tutto e tu, solo tu, dovrai prendertene cura.»
«Ma di chi stai parlando? Chi sei tu?»
Le sue mani sbucarono dalla mantella e afferrarono le sue. Lo guardava negli occhi con intensità.
«Sono venuta qui per salvarvi!»
Una sottilissima linea comparve sotto il suo occhio destro, una ruga appena accennata.
Augusto cominciava a capire, anche se era tutto talmente assurdo che ancora stentava a credere. Quella creatura si stava trasformando sotto i suoi occhi; stava invecchiando, tanto velocemente per i normali ritmi della Natura, quanto lentamente per i suoi occhi. Si accorse che se la fissava senza mai distogliere lo sguardo, non pareva mutare. Ma se anche solo sbatteva le palpebre, ogni volta la trovava diversa, sempre più umana. Comprese che stava assistendo a un fenomeno unico nel suo genere, qualcosa che non era del suo mondo. E nella sua mente balenò l'immagine della scia che aveva visto nel cielo. Quanto era passato? Cinque minuti? Dieci? Non poteva dirlo. Gli pareva di essere inchiodato su quella radura da giorni.
«Da dove vieni?»
Lei sospirò e parve riflettere, forse indecisa su come cominciare.
Poi, gli raccontò tutto.
«Vengo dal principio. Dall'inizio di tutto. Dove sono stata generata, anzi, plasmata, e dove tutto ha avuto origine...»
«Un pianeta?»
«Ti prego, non interrompermi. Sto cercando di usare parole vostre e ciò vuol dire semplificare i concetti, per tentare di farti comprendere. Non potresti mai capire quello che ti dico, altrimenti. Sarebbe come se provassi a spiegare al bimbo appena nato, come è nato.»
Augusto si sentì un po' offeso da questa affermazione, ma non disse nulla. Sentiva la pelle dei suoi polpastrelli sfregare il dorso della sua mano e il contatto era diventato più ruvido, solo negli ultimi secondi. Anche lei se ne era accorta perché aveva abbassato gli occhi, con un misto di imbarazzo e angoscia.
«Devo far presto. Tra poco morirò.»
Augusto spalancò gli occhi e la bocca, ma lei gliela chiuse col palmo.
«All'inizio, quello che voi chiamate Universo, era privo di vita: stelle, gas, energia, nient'altro. Poi ci fu un'esplosione colossale, la più imponente supernova mai avuta prima e che difficilmente si riavrà. Sprigionò la quantità di energia più grande di sempre, una massa talmente imponente da ridefinire per sempre il concetto stesso di Universo. Non so dirti come o perché, ma questo enorme ammasso, dopo un tempo non quantificabile, si è addensata, generando, anzi, generandosi in una mente pensante, purissima energia gialla. Un concentrato di vita, capace di creare la vita stessa, altrettanto purissima. Questo essere pensante era mio padre. Riesci a seguirmi?»
Augusto annuì, sempre più infastidito dal tono da maestra che quell'essere stava usando con lui. Altre piccole rughe le segnavano il viso, la voce si era arrochita un po', ma la trasformazione più evidente, in quel momento, era nell'atteggiamento. Sì! Era un essere soprannaturale, non umano.
«Non so cosa sia una sup... surnova...»
«Supernova! Un'esplosione di stelle, semplicemente. Ti basti questo.»
Augusto annuì, ma più per accondiscendenza che per comprensione.
«Mio padre è stata la prima forma pensante mai esistita. Ma nemmeno lui, nella sua onniscienza, sapeva il perché della sua improvvisa esistenza. Ma l'accettava, in totale serenità. Almeno all'inizio... Percepiva la vita, la sentiva scorrere in lui, era lui stesso la vita, quindi sapeva di essere solo, del tutto solo. Fu inevitabile sentire il bisogno irresistibile di crearne altra. Ma percepire questo desiderio prorompente, quasi insopportabile, era una macchia nella sua purezza e lui lo sapeva. Capisci il paradosso? Aveva la possibilità di creare vita grazie alla sua purezza, ma il desiderio di creare gli conferiva una sorta di debolezza. Perché, se già sei puro, non puoi desiderare null'altro di più. Decise di assecondare il bisogno, perché era insopportabile e gli conferiva una tristezza profonda, accettandone i rischi, compiendo un gesto di altruismo ed egoismo insieme. Diede forma ai suoi pensieri più profondi, si immerse totalmente in essi, penetrandoli più che poteva e generò altra vita, che sparse per tutto l'Universo. Una vita imperfetta se paragonata alla sua, ma senza invidie e gelosie, serena, libera dai tormenti che lo assillavano e con la voglia costante di progredire, di migliorare. Una cooperazione tra esseri viventi del tutto diversi tra loro, che imparavano gli uni dagli altri in armonia. Mio padre fu piacevolmente sorpreso quando vide che questi suoi figli si cercavano, anche se i loro mondi erano lontanissimi. Si cercavano, si trovavano, si fondevano, si amavano, scambiandosi le reciproche conoscenze, e sfruttando a pieno il regalo più grande che gli era stato fatto: quello di poter creare la vita stessa. Mio padre fu felice della sua scelta. Ma l'energia gialla potenzia tutto quello che travolge, e una piccola particella del desiderio che si era insinuato in lui, si isolò; quel piccolo angolo di tristezza e solitudine che aveva provato, fu ammantato dall'energia gialla e si intensificò, sopraffandola nella sua furiosa smania di brama. Lui lo sapeva che era rischioso fare quello che aveva fatto, e purtroppo ebbe ragione. E così si creò il male. È la storia dell'Universo. Ogni azione porta sempre le sue conseguenze, positive o negative. Bisogna compiere delle scelte, anche quando sei l'essere più potente di tutti. Mio padre poteva restare immobile, ignorare i suoi bisogni ma, di fatto, avrebbe sprecato la sua stessa natura. Capisci questo?»
«Sì. Non sono stupido!» Augusto le aveva lasciato le mani.
Lei mostrò un sorriso amaro. «Vedi? Sei già pronto alla rabbia, al risentimento. Questo vi differisce dagli altri mondi.»
«No, aspetta! Io...»
«Non fa niente. Non è colpa tua, sul serio. Fammi proseguire e capirai.»
Tossì e la fronte si riempì di pieghe. Aveva le labbra colorate di un viola chiaro e cominciava ad avere il respiro più pesante.
«La piccola stilla di desiderio che si scisse involontariamente da mio padre prese coscienza, e nacque ciò che non sarebbe dovuto nascere. L'energia rossa, pura anch'essa, ma nell'invidia, nell'insoddisfazione, nella brama del potere, perseguito con rabbia. Si plasmò una seconda mente pensante, mio zio, usando parole vostre. E portò violenza. Voleva di più, voleva il potere e cercò d'impossessarsi dell'energia gialla; mio padre s'infuriò per la prima volta nella sua esistenza e fu costretto a sprigionare la sua collera, corrompendosi ancora di più. L'energia rossa era potente, molto potente e colpì duro. Ma mio padre era più forte e lo schiantò con la sua furia, scaraventandolo fuori dai confini protettivi che l'energia gialla forniva. L'esplosione fu seconda solo alla supernova. Milioni di piccole scintille di energia gialla e rossa si sparsero per l'Universo, alcune vagando senza meta, altre addensandosi per formare nuove stelle. Una di queste, voi la chiamate Sole. Vagando senza meta per lo spazio profondo, mio zio perse ogni controllo e si dissolse, lasciando l'enorme e pulsante massa rossa errare senza controllo, per miliardi dei vostri anni. Finché, per puro caso, ripassò nelle vicinanze del Sole e, attratta dall'energia che la stella sprigionava, la sua stessa dopotutto, si ricompattò, riacquistò vigore e diede forma a un nuovo pianeta, sul quale adesso ci troviamo. Un pianeta carico di questa energia violenta, il pianeta più potente di tutti, ma di fatto indebolito dalla vita stessa che poi si è creato: voi. A differenza di tutte le altre forme di vita, voi avete ansie, paure, invidie. Avete iniziato subito a farvi la guerra, quando ancora non sapevate nemmeno camminare. Siete riusciti a creare la sofferenza, dentro la quale vi siete immersi volontariamente. Le vostre piante, i vostri stessi animali vivono con l'istinto atto solo alla propria feroce difesa e alla distruzione di chi gli è avverso. Siete unici in questo, e nessuno ha mai voluto avere a che fare con voi. Sugli altri pianeti il fine è il bene comune, non il proprio. Vivete, con consapevolezza e d'istinto, solo a difesa della vostra persona, incuranti degli altri. Tuttavia, l'energia rossa ha assorbito un briciolo della gialla nello scontro: solo così si spiegano i lati buoni che, per fortuna, possedete: l'amore, l'amicizia. Quelle poche cose che vi accomunano agli altri pianeti, e anche il motivo per cui sono qui.»
Augusto cominciava ad avvertire un leggero mal di testa. L'aria nella grotta era umida e un po' rarefatta. Ma per lo più erano le informazioni che la donna gli stava sputando addosso. La sua pelle si era un po' scurita e presentava molti più punti di imperfezione. A un tratto si era mossa, sistemandosi meglio la mantella sulle spalle e lui aveva intravisto uno dei suoi seni, molto più grosso e irregolare di prima. Qualcosa di scuro spuntava tra le sue gambe, l'unico accenno di peluria sul suo corpo.
«Quindi, se ho capito, noi saremmo stati creati dall'energia... rossa, giusto? A differenza delle altre forme di vita che sono nate dalla mente pensante... tuo padre. Corretto?» chiese.
«Voi non siete stati creati dall'energia rossa... voi siete energia rossa! Dopo essersi addensata e aver creato il pianeta, deve aver avuto l'istinto irresistibile di plasmarsi in vita, e l'ha fatto. Voi, e i miliardi di organismi vegetali e animali che vivono, ne sono la prova. Essa scorre ovunque. Ed è la sua malignità, la sua purezza nel male che vi fa soffrire, arrabbiare, invidiare, e tutto il resto. Ma...»
«Ma qualche spruzzo di quella gialla, invece, ci ha dato l'amore, la felicità e le altre cose belle!»
La donna lo fissò un momento, seria. «Tu non mi credi, vero?»
La sua voce si era fatta più cupa, più gracchiante. Ad Augusto pareva di sentire quella della sua cara nonna.
«Non è facile! Ci sto provando... Ma tu come sai questo? Insomma, dopo che questa energia rossa è stata cacciata... come fai a sapere quello che ha combinato?»
La donna sorrise. «Sei sicuro di capire? Ne parli come se fosse una persona. Non farti ingannare dal mio aspetto. Ho dovuto assumere le vostre sembianze per presentarmi a voi. Se fossi rimasta quello che in realtà sono, probabilmente saresti impazzito solo vedendomi!»
Tossì ancora.
«Per rispondere alla tua domanda, comunque... Quell'energia cattiva era una parte di mio padre. Qualsiasi cosa fa, pensa, lui lo sente, lo percepisce. Altrimenti cosa servirebbe essere il più potente di tutti? Dopo è toccato a me... Lasciami continuare...»
Augusto aveva aperto la bocca, richiudendola subito. La donna ebbe un sussulto improvviso e si accasciò sul terreno. Il mantello scivolò via.
«Che ti succede?» chiese, aiutandola a tirarsi su.
«Devo finire di raccontare. Devi sapere tutto. Mi manca poco ormai.»
Si rimise a sedere, coprendosi nuovamente con il mantello.
«Lo scontro contaminò mio padre. L'energia gialla fu contaminata dalla rossa. Divenne energia arancione, l'ibrida. Molto potente, ma molto volubile. Instabile è la parola esatta. Capace di fare cose buone e brutte. Quando mio padre fu colpito, due scintille schizzarono fuori da lui e, come successe per la rossa, divennero pensanti: io e mio fratello, i figli non voluti, creati dalla voglia di potere di nostro... zio. Dopo ciò che era successo, nostro padre ci osservava di continuo, tenendoci d'occhio, preoccupato di dover fronteggiare nuovi rivali. Era affranto, un sentimento che non aveva mai conosciuto prima d'allora. Sentiva di essere stato "sporcato", ma fu consolato dalla nostra presenza. Vedeva o, meglio, percepiva l'unione delle due energie in noi, perché l'aveva anche lui. Una parte di energia pura, la gialla, che lottava contro la parte malvagia, la rossa. E come riusciva a fare lui, si accorse che anch'io ero in grado di far prevalere quella buona. E mi accolse. Ma mio fratello, no: lui era sopraffatto dall'altra ovviamente, perché sempre, in ogni circostanza, il male deve contrapporsi al bene. Fu respinto. Vedeva in lui un potenziale nuovo pericolo e decise di esiliare pure lui. Ma io lo bloccai e lo convinsi: ero speranzosa di poter aiutare la mia metà, di insegnargli a ignorare il male e abbracciare il bene. Imparare a discernere i due poteri e scegliere la parte giusta. Mio padre si rese conto che io controllavo l'energia rossa meglio di lui, che non avevo nessuna ambizione di potere ma solo di armonia e di serenità. Lui non ne era più capace; il sospetto lo comandava. Mi passò tutta la sua energia e si dissolse. Ero, a tutti gli effetti, l'essere più potente dell'universo. Mio padre aveva visto bene. Nonostante avessi il potere di creare, distruggere, creare e di nuovo distruggere tutto quello che volevo, i miei pensieri erano solo pensieri d'amore e di pace. Decisi di non creare più vita, a meno che non ne fossi costretta. E di proteggere quella che già esisteva, senza interferire, perché ogni essere vivente, buono o cattivo che sia, ha diritto di esistere secondo la propria natura, quella che gli avevamo regalato noi. La mia attenzione era, ed è ovviamente, più indirizzata su questo pianeta, su di voi, che siete quelli più a rischio. La gelosia di mio fratello prese il sopravvento: l'energia rossa aveva imparato l'arte della pazienza, l'arte dell'inganno e della premeditazione. In segreto, o così lui credeva, aveva scisso una piccolissima quantità da sé stesso, l'aveva resa pensante e che rispondesse solo ai propri ordini. Si era costruito un servo, per portare a compimento il piano terribile che aveva in mente: recuperare tutta l'energia rossa che era andata perduta. E tu sai già dove si trova questa energia... La sua speranza era ed è quella di poter contrastare la mia potenza e distruggermi, per assorbire anche il mio potere. Io sapevo tutto quello che faceva, non poteva nascondermi nulla. Ma ne soffrii. Ero devastata perché amavo mio fratello e ancora lo amo, e mai e poi mai gli avrei fatto del male. Non potevo, non posso; la mia stessa natura me lo impedisce. Gli parlai, senza fargli capire che sapevo. Gli tesi tutto il mio amore, tutta me stessa: ero disposta a condividere il mio potere con lui e vivere e far vivere tutto e tutti in pace. Ma lui rifiutò. Deve aver sospettato che potevo sentire i suoi pensieri perché cominciò a bloccarli. E io glielo feci credere. Commisi per la prima volta un atto non d'amore: lo ingannai. E il dolore ancora mi devasta. Percepii che stava usando la sua energia per creare strani oggetti e lessi la sua mente. Ero atterrita. Si appresta a inviare il servo qui da voi, per preparare le sue mosse, dopodiché verrà anche lui...»
«Cosa? Chi? Intendi adesso?»
Augusto si era alzato di scatto e la fissava. Quello che stava udendo sembrava uscire dalla bocca di una pazza, e in alcune occasioni l'aveva pensato sul serio. Ma quella creatura, meravigliosa all'inizio, assolutamente perfetta, si stava raggrinzendo davanti ai suoi occhi, si stava seccando come una foglia. A questo, doveva credere per forza.
«Non adesso. Il tempo scorre in maniera molto diversa qui. Sono partita dal mio mondo qualche ora fa, ma in realtà, quando mi sono mossa tu non eri nato, nemmeno tuo padre, forse neanche tuo nonno! Capisci? Non so dirti con esattezza quando arriverà il servo, né quando partirà lui, semplicemente perché non l'aveva ancora deciso, ma se anche fosse già successo, credo che passeranno non meno di un centinaio d'anni prima che tutto abbia inizio. Ho agito in fretta e ho agito bene. La decisione che ho dovuto prendere è stata tremenda. Abbandonare il mio mondo, sapendo che una volta uscitone avrebbe cessato di esistere senza il mio potere a tenerlo insieme. Non subito, ma lentamente si dissolverà. E, di fatto, abbandonare a sé stessi anche tutti gli altri mondi, sperando continuino a vivere nell'armonia che fino a oggi li ha contraddistinti, consapevole che, se dovesse succedere qualcosa, non sarò là e non potrò rimediare. In pratica, lascio l'Universo senza controllo, solo per salvare un singolo mondo. Ma la parte gialla che c'è in me mi ha suggerito di agire così: aiuta l'unico mondo che non può aiutarsi da solo. Dovevo prendere una decisione e l'ho presa. Io, l'essere più potente di sempre, mi sono spogliata di tutto e mi sacrifico per salvare l'unica imperfezione causata dal potere stesso di cui sono fatta, nella speranza che possiate... migliorarvi. Spero capiate quanto è potente la forza dell'amore quando le permettiamo di guidarci senza nessun vincolo, senza nessun ostacolo e, se riuscirò a salvarvi, se voi, vi aiuterete a salvarvi, impariate a isolare l'energia rossa dai vostri cuori e dai vostri pensieri, cominciando a controllarla, a reprimerla. Potete ancora diventare un mondo simile agli altri, se veramente lo volete. Mai come loro, perché siete energia rossa e la natura di base non si cambia. Ma potete avvicinarvi. L'amore ha mille sfaccettature, non una sola; e se questo mondo impara a vivere in pace e in armonia, poi diventa più facile combattere il male, quando si presenta.»
Una lacrima scese dall'occhio di Augusto. «Perché stai morendo?» chiese.
«Perché ho ceduto tutto il mio potere a quella ragazza, finché era ancora puro. Era qui quando sono arrivata e l'ho fatto subito, senza pensarci. Si è spaventata ed è scappata. Non sono riuscita a fermarla. Poi, sei arrivato tu.»
«Ma chi? Di che ragazza parli?»
«Era con uno di quegli animali che tenete per compagnia. Cane, giusto?»
«Lucilla! Mi vuoi dire che tutto il tuo potere è dentro a quella ragazzina?»
Lei gli afferrò nuovamente le mani. La mantella le scese dalle spalle lasciandole il grosso petto, aggrinzito, nudo. Non ci fece caso.
«Ascolta. Quando arriverà mio fratello, l'energia che c'è in lei sarà l'unica cosa che potrà sconfiggerlo, altrimenti non avrete alcuna speranza. Ti devi far carico di questo impegno. La devi proteggere e non devi mai perderla di vista. Mai.»
«Come faccio? Ho una famiglia, ho una vita!»
«Non ci sarà più vita su questo pianeta se lui vince. Ripeto: ci vorranno ancora tanti anni, forse più di cento prima che arrivi il momento; diventerà l'impegno di altri che verranno dopo di te, ma non succederà se tu non tramandi quello che ti ho detto e non difendi quello che vi ho regalato. Mai dono potrà essere più prezioso. Metti da parte l'egoismo. So che è faticoso per voi mettere al primo posto gli altri, ma dovete imparare. Tu devi imparare! Perché, se non lo farai adesso, un giorno lontano, ma non troppo, il genere umano sparirà.»
Seduta, davanti a lui, ormai c'era la brutta copia di quello che era stata prima. La pelle era olivastra, raggrinzita e cadente e sembrava influire notevolmente anche sulla voce che stava diventando sempre più gracchiante.
Augusto non poteva credere che tutto questo stesse succedendo a lui. Il terrore che quella storia gli aveva impresso dentro faceva quasi girare la testa. Appoggiò una mano sulla roccia e deglutì.
«E quando Lucilla morirà? Che ne sarà dell'energia? Se dici che mancano più di cent'anni...»
«L'energia si trasferisce in due modi. Morendo, all'essere vivente più forte e più vicino. Oppure partorendo.»
Cominciò a tossire e ad ansimare e si aggrappò alle sue braccia. Augusto rabbrividì al contatto, prima tanto piacevole, ora molto meno, ma cercò di non far trasparire nulla.
«E se questo potere viene usato per altri scopi? Lucilla o chi dopo di lei... potrebbero capirne le potenzialità e scatenarlo per propri vantaggi.»
«È troppo... potente... per controllarlo... in quella maniera.»
Ormai la sua voce si stava riducendo a un piccolo sussurro.
«Quest'energia... rimarrà... nascosta nel suo ospite. Solo emozioni... fortissime... di qualsiasi natura... potranno dare... minuscoli segnali.»
Deglutì.
«Quando... arriveranno...il... servo... e mio... fratello... l'energia... si paleserà...»
Mollò la presa e si rannicchiò per terra.
«Tenete... d'occhio... radura...»
Un dito che sembrava un ramoscello secco indicava l'apertura della grotta.
«Giunge... ranno... lì. Li ho... obbligati... venendo qui... prima... Anche... loro... avranno... forma... umana... costretti... da...»
Tossì rumorosamente, indicandosi col dito raggrinzito.
«Non è forte... come crede... Ma... lo diven... terà... Userà delle... macchine per colpirvi. Dovete... crearle... anche voi e incanalare... l'energia...»
La sua pelle stava diventando nera, la schiena si stava arcuando su sé stessa e sembrava non riuscisse più a tenere gli occhi aperti.
«...un esercito... creato... succhi... chieranno... energia... da... ognuno...»
«Un esercito di cosa? Cosa sono le macchine?»
Augusto era in preda al panico. Le notizie che aveva ricevuto e che ancora lei gli stava dando erano terribili, ma la scena che aveva sotto gli occhi lo era ancor di più.
«Devi... essere... custode... Tramanda... Racconta... Ma a pochi... Non... divulgare tr... troppo.»
Il corpo della donna, ormai completamente nero, era piegato ad angolo retto, grande poco più di un neonato.
«Luci... cilla... non deve cono... scere... suo potere... e anche... chi... dopo... lei...»
Aprì un'ultima volta gli occhi e lo fissò, in un ultimo, faticoso spasmo di vita.
«... la... super... bia... arà... asua... sconfi...»
Furono le ultime parole che Augusto percepì tra i rauchi sussurri che emetteva, poi quella che ormai era diventata una piccola palla nera brillò molto intensamente di luce argentina, ed emettendo un sospiro avvolgente, svanì.
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