Paura del buio

***Leggere dopo il capitolo 33 della storia principale***

Leonardo POV

L'ennesimo semaforo rosso mi costringe a fermarmi, continuo a picchettare l'indice sul volante a ritmo di musica. La playlist di musica latina risuona nell'abitacolo, riportandomi alla mente i momenti felici con Valeria. Potrei perdere le ore a ricordare le nostre lezioni di balli caraibici nel salotto di casa sua, finite molto spesso sul divano a scambiarci tenere effusioni.

Questo mi aiuta a stemperare un po' di tensione che mi contrae i muscoli della schiena e delle braccia. Da quasi sette anni ho evitato di ritrovarmi, anche solo per sbaglio, nei pressi dell'Allianz Stadium, lo stadio che ospita la Juventus, la squadra più importante della città.

Il direttore sportivo della Juventus mi aspetta alla Continassa, sede della squadra bianconera da un paio di anni. È il primo incontro da quando sono diventato l'agente di Fabio Rosati, che viene definito uno dei nuovi talenti del calcio italiano.

Vedo già la struttura caratteristica dello stadio, è tutto grigio con alcuni rimandi alla bandiera italiana e presenta due piloni che si innalzano dalle curve. L'ho sempre considerato uno dei migliori impianti calcistici a livello Europeo e ne sono ancora convinto a distanza di anni.

Dopo aver costeggiato gran parte dello stadio mi ritrovo davanti a un cancello in ferro, che lascia intravedere un viale, sembra quasi di ritrovarsi in un'importante villa d'epoca. Parcheggio l'auto e mi avvio verso l'ingresso, facendo anche un respiro profondo. Prima di varcare la soglia della sede mi sistemo la giacca e mi accerto che tutto sia in perfetto ordine.

«Leonardo, che piacere rivederti qui.» Il direttore Costa mi accoglie con un largo sorriso e mi stringe la mano.

«Buongiorno, è un piacere anche per me. Sembra passato poco tempo dall'ultima volta.» Non so neanche perché l'ho detto, sono solo parole di circostanza. Una sensazione di calore pervade il mio corpo e mi sento quasi soffocare.

«Mi spiace che tu abbia dovuto abbandonare, stava andando tutto bene e stavi già conquistando la maglia da titolare.»

È una frase che fa male, ma non gliene do una colpa, chi non lo prova non può capire come ci si senta. Il mio problema al cuore mi ha impedito di proseguire la carriera da calciatore quando tutto sembrava stesse prendendo la piega giusta.

Mi invita a seguirlo nel suo ufficio e non posso fare a meno di notare tutto l'arredamento con i colori della squadra e la J caratteristica del logo.

L'ufficio, al contrario, sembra un po' spoglio e riempito solo da una scrivania e una libreria con cartelle piene di documenti. Sul piano in legno scuro sono già pronti i fogli che riguardano Fabio, penso sia solo un abbozzo del contratto per la prossima stagione.

Il nostro colloquio non dura neanche molto, siamo d'accordo quasi su tutto e mancano solo gli ultimi dettagli.

«Questa settimana ci sarà la grande sfida, il derby è molto più sentito quest'anno dopo la vittoria dello scudetto da parte della Nikitus. Hanno fatto bene a tenersi tuo fratello, sembra avere il tuo stesso talento.»

Gli sorrido e lo ringrazio, in effetti l'ho sempre pensato anche io.

«Ti va di venire a fare un giro allo stadio? Vado a vedere come procede la preparazione del campo.» È di nuovo Costa a prendere la parola.

"No, ho un altro impegno urgente."

È quello che vorrei dirgli, ma dalla mia bocca esce solo una risposta affermativa. Forse, in cuor mio, non aspettavo che questa proposta.

Ci avviamo verso lo stadio e, nel frattempo, scambiamo qualche chiacchiera riguardo la rosa del momento e i probabili arrivi durante il mercato estivo. Non sono mai riuscito a staccarmi dalla Juventus, ho sempre seguito tutte le notizie di mercato e anche le partite. Sono un tifoso di questa squadra da sempre, anche se molto spesso devo tenerlo per me.

Entriamo da un ingresso secondario e ci troviamo direttamente sul campo. Mi guardo attorno e vedo tutti gli spalti vuoti, che si riempiono subito dopo con gli stessi volti di quella sera, mi sembra di ricordarli uno per uno. Alzo lo sguardo verso i box e vedo tutta la mia famiglia che è venuta a fare il tifo per me e la mia squadra, gli occhi della mia piccola sorellina sono puntati su di me dopo che mia madre le ha indicato la mia posizione in campo. Sento le urla e i cori da parte di tutti i tifosi, anche qualche fischio rivolto alla squadra avversaria.

Poi c'è stato solo silenzio.

Tengo fermo lo sguardo sull'area di rigore che si trova dalla parte opposta a quella in cui sono io al momento. Stringo i pugni e rivivo quell'episodio come se fossi uno spettatore qualsiasi. Mi vedo mentre mi accascio a terra privo di sensi, anche lo stadio ha smesso di cantare. Per quei minuti interminabili ai tifosi è mancato il respiro. Sono tutti in attesa di capire cosa stia succedendo, perché sono disteso a terra e non mi muovo neanche di un millimetro. I dottori che sono a bordocampo corrono in mio soccorso e i miei compagni di squadra si avvicinano non appena capiscono che la situazione sia più grave del previsto. I calciatori avversari si precipitano anch'essi verso di me. Negli occhi di tutti c'è solo paura, la paura del buio.

Questo ricordo finisce con il mio risveglio in ambulanza, mentre i medici cercano di non fare fermare di nuovo il mio cuore.

Subito dopo la diagnosi che mi ha allontanato per sempre dai campi da calcio, ho guardato quelle immagini su uno schermo in continuazione. Non sono mai riuscito a darmene pace. Conosco tutti frame a memoria, gli spostamenti di ognuno dei presenti, ma soprattutto i miei movimenti che a un tratto sono divenuti inesistenti.

Tutti dicono che è una fortuna che io sia qui a raccontarlo, perché poteva anche andare peggio, ma la realtà è che una parte di me quel giorno è rimasta su questo prato, abbandonandomi per sempre.

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