Atypical Custom
Aprì gli occhi di colpo.
Era pervasa dal panico, smarrita e confusa, come risvegliata da un piacevole sonno con uno schiaffo.
Notò immediatamente di non potersi muovere, bloccata in posizione eretta, con le braccia distese, alzate dal corpo.
Faticò a guardarsi intorno e non riuscì a mettere a fuoco ciò che le stava affianco, non potendo ruotare la testa.
Davanti a sé c'era qualcosa.
Qualcosa che non capì.
Pareva un largo specchio, limpido, che continuava in altezza e larghezza oltre quel quadrato di spazio che le era concesso studiare.
Vi scorse riflessa la propria immagine, e si rese conto solo in quel momento di essere sospesa nel vuoto.
Osservò per pochi momenti il proprio fisico, nudo, snello e asciutto in ogni sua curva, dalla pelle perlacea.
Risalì con lo sguardo e continuò l'ispezione di quel corpo, unica cosa che era in grado di guardare in libertà e che per questo aveva il monopolio assoluto della sua attenzione.
I lineamenti del viso erano morbidi, moderatamente carini.
Nei suoi occhi era steso uno strano colorito grigio caldo.
Infine, i capelli erano di media lunghezza e lisci, non decorati, non raccolti, della stessa tinta delle proprie iridi, pressappoco.
Perse presto la cognizione del tempo, non aveva idea di quanto fosse effettivamente passato dal momento del suo risveglio.
Abbastanza per indagare ogni centimetro di quella pelle impeccabile e immacolata.
Le interferenze cominciarono senza che nulla presagisse il loro arrivo.
Linee colorate scivolavano lungo il vetro dell'ormai battezzato specchio percorrendo ogni traiettoria immaginabile, condite da coriandoli zebrati che fluttuavano e sfarfallavano senza sosta.
Sfrigolii, fischi e altri suoni senza apparente senso frastornarono la ragazza.
Questa, con la coda dell'occhio, catturò uno strano fenomeno che stava avvenendo alle sue braccia, o meglio, alla pelle.
Dapprima perlacea, ora risultava mulatta, ora olivastra, ora ebano, ora rosea, ora dorata.
E infine, tornò nuovamente bianco latte.
Distogliendo gli occhi increduli dalla visione opaca e imperfetta dei propri arti, cercò il suo unico punto di riferimento fra tutto quel caos di colori creatosi nel suo specchio.
Non trovò ciò che si aspettava.
Il proprio viso era incorniciato da un paio di lunghe trecce celesti adornate da grossi fiocchi bianchi, ora era nascosto da una frangia bionda, ora tirato all'indietro da un'esagerata coda rossiccia, ora di nuovo rilassato in un caschetto rosa pieno di mollette.
Infine, lasciato a due vaporose code laterali che le solleticavano le spalle, nere carbone.
<<Co- m- p-ce.>>
Questi suoni, vibranti, sovrastarono l'orchestra di stridii.
Alla ragazza parvero parole.
<<C'è qualcuno?>> provò a rispondere.
Dalle proprie labbra uscì invece quello che le parve un grido vittorioso, ma compiacente.
Il suo corpo, come avesse volontà propria, si mosse.
La mano destra andò ad abbracciare lo stesso fianco, facendo piegare il braccio, mentre il gemello sinistro si alzò verso l'alto, prima teso, poi sventolando la mano -che teneva alzate con fare trionfante l'indice e il medio- come per farsi notare da qualcuno lontano.
Le gambe si divaricarono, dirigendo il peso del corpo su un piano inesistente, e i fianchi si mossero di scatto, come a voler chiudere un cassetto invisibile.
Il tutto durò pochi secondi, poi la ragazza tornò alla sua postura normale.
-Dove sono?- si chiese, superata un poco la sensazione di smarrimento.
Questa domanda la perseguitava dal momento del suo risveglio, ma aveva deciso di ricacciarla giù, nei meandri della propria mente, non potendo rispondersi.
L'aveva lasciata riemergere.
Come un assassino che mentre affoga la propria vittima ha un improvviso ripensamento.
<<Ma io, chi s->> fece per chiedere ancora, ma venne distratta dall'ennesimo strano avvenimento.
Quello che sembrava a tutti gli effetti un cartello, le apparve davanti.
Era come trasparente, incorniciato di marrone, con una scritta al suo interno.
La vedeva al contrario, e poiché era apparsa all'altezza della pancia, faticò a leggere.
<<Ch-i>> la vista cominciò a ridursi a punti bianchi <<s-o-sono Ashley.-
<<Io sono Ashl-Samantha, io sono Sam-Bett, io sono Leena, io sono Lee->>
<<Dai ma f-nno schif->>
Per un momento tornò in sé.
<<Cosa-io sono Meredith.>>
<<Io sono Meredith.>>
<<Sì.>
Il rumore di un campanellino, dolce, amichevole.
Fu come se il nulla la inghiottisse.
Ebbe appena il tempo di bearsi nella pace mentale nuovamente raggiunta, quando si ritrovò con il viso premuto contro dell'erba.
Pungeva, ed era umida.
La ragazza si alzò, barcollante.
Poté solo sentire il peso della spada scheggiata che teneva per qualche motivo in mano, ammirare i propri vestiti, sgualciti e rattoppati, e udire, fra le grida e le urla di una guerra che imperversava in lontananza, una voce squillante dire:
<< Senti, io ora devo andare. La rifacciamo domani, spegni. >>
Prima di smettere di essere.
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