ATTO III- Volta Stellata - Shock e paura
Firenze 1548 , Volta Stellata nove mesi prima
Ludovico
La ragazza dormiva ancora, Carlotta mi aveva detto che era crollata dopo aver esaurito tutte le energie a forza di piangere. Doveva essere davvero sotto shock, sospirai appoggiandomi pesantemente alla porta della stanza dove riposava. Era inutile bussare sapevo che nessuno mi avrebbe risposto. Mi voltai verso il corridoio illuminato dalla luce fioca delle candele e iniziai a camminare senza meta fino ad arrivare a quello che era stato lo studio di mio padre.
Aprii la porta, accesi tre candele per vedere meglio. Oltre vi era una stanza non molto grande con librerie di mogano con decorazioni in oro, uno scrittoio anch'esso decorato con dell'oro e inciso sopra vi era il leone di San Marco. Federico doveva averla acquistata da un mercante veneziano. Appeso ad una parete vi era un ritratto di mia madre.
-Buonasera madre - sorrisi rivolto al quadro
Avvicinandomi allo scrittoio notai che vi erano documenti buttati alla rinfusa senza un ordine preciso. Libri dalla pesante copertina di pelle si litigavano lo spazio sullo scrittoio con il calamaio e con le piume d'oca distrutte e incrostate di inchiostro. Vi erano inoltre mappe nautiche e alcuni fogli su cui erano scritti dei conti.
Feci il giro dello studio, ma essendo buio non mi fu per niente semplice. Inciampai un paio di volte su bauli che non sapevo nemmeno fossero lì.
-Ludovico! Cosa ci fate per terra? - domandò Carlotta entrando nello studio.
-Sono inciampato non preoccuparti - mi tirai su e indicai i bauli.
-Tu sapevi che questi erano qui?- chiesi.
-No, non entravo mai qui. Vostro padre non voleva che noi della servitù venissimo qui. Quando gli portavo da mangiare dovevo lasciare il vassoio fuori dalla porta -
Questo non mi tranquillizzava affatto, cosa stava cercando di nascondere Federico?
-Non pensate troppo a questa stanza Ludovico. È notte fonda e voi sarete esausto. Forse domani con la luce del sole tutto vi sarà più chiaro -
Dovevo darle ragione, con il buio e la luce delle candele era difficile vedere cosa ci fosse dentro la stanza, a parte per quelle zone dove vi erano le candele.
Mi chiusi la porta alle spalle mentre mi domandavo come mai mio padre non avesse chiuso a chiave quella stanza. Se voleva tenere segreto una qualunque cosa avrebbe dovuto farlo. Scossi la testa e andai nella mia stanza.
Mi tolsi la camicia rimanendo a dorso nudo, le stelle mi sembravano lontane e fredde quella notte. Chiusi gli occhi pensando a mia madre e a quanto avrei voluto conoscerla. Poiché sembrava che tutti avevano avuto l'onore almeno di parlare con lei, meno che io.
Non so per quanto tempo rimasi a guardare il soffitto, ma alla fine dovevo essere crollato dal sonno.
Dafne
Avevo smesso di piangere perché non avevo più la forza di farlo. Lo shock era stato enorme, quell'uomo mi aveva tolto la mia dignità di donna, la mia purezza, tutto quello che avevo giurato di proteggere.
In un secondo avevo perso tutto e adesso la mia reputazione era infangata, niente mi avrebbe restituito quello che quel maledetto si era preso, soltanto sposandolo avrei potuto togliere quel fango.
Ma io non volevo sposare un essere così viscido. Strinsi di più le coperte intorno al mio corpo rannicchiandomi. Non volevo svegliarmi, non volevo vedere né sentire più nulla. Desideravo solo che la morte giungesse lesta e mi ghermisse con le sue dita fredde strappandomi da questo mondo.
-Perchè Signore? Perché mi punite in questo modo?- domandai con le mani tremanti e il corpo scosso dai brividi.
I ricordi erano dolorosi e nemmeno nel sonno riuscivo a scacciarli se non per pochi secondi.
Aprii gli occhi notando, grazie alla luce del sole che stava sorgendo, di essere in una stanza dall'arredamento signorile, tipico delle case dei ricchi banchieri e mercanti della città. Non ricordavo quasi niente di quello che mi era successo dopo che quello strano giovane aveva messo in fuga l'uomo che mi stava stuprando e mi aveva affidato alla donna che mi aveva portata qui.
Adesso che però ero in quella casa dovevo scoprire cosa volevano farmi, non mi fidavo più di nessuno tanto meno di uno sconosciuto.
Mi ero addormentata nel tragitto quindi non sapevo esattamente dove fossi. Sicuramente non a Firenze. Probabilmente mi trovavo fuori città. L'alba stava tingendo tutto di rosa.
La grande porta finestra si trovava a poca distanza dal letto a baldacchino dalle tende di broccato d'oro, i mobili in legno pregiato non stonavano affatto con la semplicità dell'arredamento.
Il lusso non era ostentato, anzi sembrava quasi che non si volesse far vedere la sua fortuna. Passarono alcune ore, nelle quali io rimasi immobile nel letto, senza avere la forza di alzarmi. Il sole ormai si era alzato e aveva inondato con la sua luce la stanza.
In quel momento bussarono alla porta e io sprofondai ancora di più tra le coperte forse per volermi nascondere ancora di più. Non sentendo la mia risposta, la persona che era dall'altra parte aprì la porta ed entrò.
Era una donna dai capelli grigi e gli occhi castani, il viso dai lineamenti dolci con un sorriso delicato in viso. In mano reggeva un vassoio con su un po' di latte, alcune ciambelle, e dei biscotti. Il profumo che si spandeva dal vassoio era davvero invitante.
-Buongiorno mia signora. Come state? - Il sorriso di quella donna era così dolce che mi sembrava maleducato non risponderle, nonostante fossi terrorizzata.
-B-bene - risposi sedendomi.
-So che siete ancora spaventata, ma vi ho portato qualcosa da mangiare, il signore non vuole che siate a digiuno. -
Si avvicinò tendendomi il vassoio e per un attimo mi sfiorò l'idea che il cibo potesse essere avvelenato. Il mio stomaco brontoló rumorosamente e mi fece passare quel brutto presentimento.
Mi abbuffai letteralmente mentre la donna sorrideva.
-Dovevate essere molto affamata.
Annuii accennando un sorriso luminoso.
-Posso sapere come vi chiamate? -
-Dafne.
-Un bellissimo nome, io sono Carlotta la governante e ...-
-Carlotta scusa posso entrare? - La voce era giovane e maschile. Questo mi fece accapponare la pelle. La paura era tornata. Chi era l'uomo che aveva parlato?
Vidi Carlotta sorridere
-Prego signore entrate pure -
Il giovane che entrò sembrava...un angelo. I capelli sembravano una cascata color cremisi, gli occhi erano strani di due colori diversi. Vestiva una giacca lunga nera, una camicia bianca e pantaloni neri. Doveva essere in lutto.
-Sono felice che siate sveglia. - Mi sorrise sollevato.
Non sapevo cosa dire o fare mi sentivo maledettamente a disagio in sua presenza forse perché era un uomo. Quello che avevo sopportato non mi aveva ancora abbandonato e non me la sentivo di parlargli.
-Ho portato un vestito, Maria non è potuta venire - passò il vestito a Carlotta e con un sorriso si congedó.
-Ti lascio il vestito, quando vuoi cambiati pure e raggiungimi di sotto - Carlotta mi sorrise ed uscì.
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