5.
Ancora sull'autobus, l'unica differenza stava nel verso col quale la strada veniva percorsa. Non ripresi ad ascoltare la musica, era meglio rimanere vigile per il momento. Le persone all'interno del mezzo sembravano osservare con la coda dell'occhio ogni mio più piccolo movimento. Sentivo il peso dei loro sguardi addosso, che mi impediva di rilassare i muscoli sul sedile.
Mi concentrai sul paesaggio esterno nella speranza di dimenticare la loro presenza. Il cielo stava tornando, come di suo solito, coperto da nuvole grigie. I neri uccelli che facevano il nido sotto i tetti delle case volavano bassi, annunciando che verso la sera sarebbe arrivata pioggia. Nonostante ciò, la temperatura esterna non sembrava accennare alcun cambiamento. Quest'anno i venti freddi dell'autunno sarebbero arrivati a dicembre.
Erano ancora le nove e mezza quando la Quarantaquattro si fermò di nuovo nei pressi della mia abitazione. Una piccola villetta di un colore chiaro come la mia stessa anima, che in questo caso vuole indicare una sfumatura tendente al nero carbone.
Frugai nello zaino in cerca delle chiavi del cancelletto e quando le trovai lo socchiusi giusto il tempo necessario per strisciare all'interno della mia proprietà. Attraversai il cortile saltellando per non cadere sulle mine anti-mostro nascoste sottoterra. Le avevo fatte installare già da qualche mese a causa dello sfortunato incontro che avevo avuto con il mio stalker. Egli si era limitato per molto tempo ad arrampicarsi di notte sull'albero nel giardino della mia vicina e osservarmi con un binocolo.
La polizia non aveva saputo fare nulla a riguardo, se non consigliarmi di comprare delle tende più scure e ignorarlo. Inizialmente avevo provato a lanciargli contro qualche oggetto, ma fui costretta a smettere quando arrivò una denuncia formale per aggressione. A causa di essa alcune persone nel mio quartiere fanno di tutto per non incrociarmi, e di questo ne sono più che felice.
Durante l'estate il caldo arrivava a livelli che andavano ben oltre i normali limiti di sopportazione e più volte mi ero divertita a usare un ventilatore davanti alla finestra chiusa, solo per fare invidia allo stalker. Lui, non apprezzando il mio umorismo, aveva risposto introducendosi in casa e nascondendo un walkie-talkie sotto al mio letto. Non riuscendo a capacitarmi del fatto che qualcuno potesse entrare e uscire a piacimento dalla mia proprietà avevo ricoperto il giardino di mine.
In questo modo parecchi dei miei problemi trovarono soluzione, anche se la coordinazione corporea non è il mio forte e una volta avevo anche rischiato di finire in ospedale.
Suonai il campanello e dalla porta mi rispose una voce meccanica: «Identificarsi, prego.»
Era Soes, il mio Sistema di sicurezza elettronico per la casa. L'avevo comprato con i punti accumulati dalla spesa delle mine, gli esplosivi e il set di coltelli da cucina.
«Sono io», risposi.
La porta si aprì facendomi così entrare nelle sicure mura della casa. Prima o poi avrei scoperto come Soes facesse a riconoscere sempre chi ci fosse dall'altro lato del campanello.
Mi barricai immediatamente nel bunker anti-mostro che si collegava con grandi tubi a tutte le stanze della casa.
Accesi il computer di quella stanza e controllai che niente di estraneo fosse entrato nell'abitazione. Dopo aver constatato di essere al sicuro mi lasciai ricadere sulla sedia girevole.
La giornata era iniziata da poco e già si presagiva che non avrebbe portato a niente di buono.
Tutti i Protagonisti almeno una volta durante la loro breve esistenza si sono visti costretti a imbarcarsi per un'avventura potenzialmente mortale.
Fino a ora ho cercato in ogni modo di evitare di dover compiere grandi azioni, ma con l'andamento che stavano prendendo le vicende in questo periodo sarebbe per me impossibile non ritrovarmi coinvolta in un combattimento con qualche potente mostro.
Sospirai, osservando il soffitto di metallo del bunker. Non c'era moltissimo lì sotto, se non alcune scorte di cibo, acqua, un materasso e il computer. Alle pareti erano appesi poster motivazionali di gattini che saltavano su frasi come: "Lavorare troppo fa male", "Bevi tanta acqua", "Ricordati di lavare i denti" o "Ti ordino di mangiare qualcosa subito!".
Mi distesi sul materasso a leggere il mio libro preferito, di cui tengo sempre una copia in ogni stanza. Dopo due ore l'avevo già concluso e la fame iniziava a farsi sentire. Ovviamente potevo pranzare con le scorte che stavano nel bunker, ma la paura che non ce ne sarebbero state abbastanza nel momento del bisogno mi spinse a uscire.
Lasciai lo zaino con il cellulare lì a terra e presi solo un borsone viola per fare la spesa. Ed è così che mi ritrovai nel reparto ortaggi del supermercato più vicino a casa mia.
La voce nella mia testa mi aveva ricordato di comprare qualcosa di salutare, così avevo messo nella sacca una busta di mele. Camminai poi verso lo scaffale dei dolci e afferrai due barrette di cioccolato fondente perché, come spiegai a quella stessa voce, anche gli zuccheri fanno bene.
Passai vicino ai libri e i giornali, paralizzandomi quando sentii una sottile e acuta vocina proveniente dallo scaffale dire: «Compraci!»
Per esperienza personale consiglierei di non dare molto retta alle voci al di fuori dalla propria testa, ma questa seppe essere molto persuasiva.
Comprai solo due libri, perché altrimenti non sarei riuscita a tornare a casa in fretta.
Mi diressi verso la cassa e fui costretta ad aspettare parecchio tempo, perché la signora dai capelli ricci che stava in fila davanti a me non trovava da nessuna parte i soldi per pagare la sua abbondante spesa. La donna riuscì persino a convincermi a frugare sotto la cassa in cerca del portafoglio che lei sosteneva di aver perso lì. Non lo trovai, ma in compenso raccolsi molti centesimi che erano stati abbandonati dai clienti più distratti.
La signora, poi, si arrese e tirò fuori una lucida pistola con la quale sparò al cassiere lasciandogli un fumante buco in fronte. Il corpo dell'uomo si accasciò sulla sedia privo di vita e la donna poté così tagliare la corda dal negozio con in braccio la sua spesa.
In tutto questo io rimasi tranquillamente ad aspettare che venisse un sostituto dell'uomo alla cassa, e quando arrivò pagai la spesa con quei pochi soldi rimasti dall'ultimo assegno mandato dai miei genitori.
In questo mondo nessuno fa più tanto caso alle morti, siamo tutti troppo intorpiditi e anestetizzati da questa realtà per renderci davvero conto delle brutalità di cui siamo spettatori. Per me questa è solo una normale brutta giornata, uguale a tante normali brutte giornate che costituiscono la mia normale brutta vita.
Uscendo dal supermercato con la borsa piena si presentò però un imprevisto, qualcosa che non accadeva in tutte le brutte giornate quotidiane. Sentii una voce che mi chiamava.
«Ester, vuoi un passaggio?»
Mi passarono per la testa due pensieri:
Primo: se quella persona conosceva il mio nome allora voleva dire che o era mia amica o era un mostro, il che non riduceva di molto le possibilità.
Secondo: i libri non parlano, ma non fa niente, li leggerei persino se volassero.
In entrambi i casi arrivai alla conclusione che era meglio correre a casa senza voltarsi, ma prima che potessi attivare la modalità flash una mano mi afferrò trascinandomi in macchina. Mi ritrovai distesa sul sedile posteriore di una auto blu, con una ragazza che di femminile aveva solo il nome.
«Ciao, ciccia», salutò, Federica.
La guardai scocciata dalla mia scomoda posizione. «Quante volte ti devo ripetere che questo è un sequestro di persona!», sbraitai arrabbiata.
«Ti ho solo aiutato a salire più in fretta, non riuscivo a fermarmi di più.», rispose lei agitando la mano.
Sbuffai esasperata. Non importava quante volte glielo avessi spiegato, lei avrebbe continuato a farmi prendere infarti del genere.
Calò il silenzio tra le nostre due figure. L'aria condizionata scorreva sulla mia pelle spargendo sui vestiti l'odore di auto nuova.
Federica Lampione era bassa quel che bastava per essere considerata tale. Si vestiva con felpe, top, pantaloni sportivi o jeans. I suoi capelli corti erano originariamente stati tinti di azzurro, ma sbiadendosi avevano assunto una sfumatura verdastra, procurandole il soprannome di Verzurra. Era stata una mia compagna all'elementari e solo da poco avevamo recuperato i contatti.
Lei è uno Sportivo. Quella persona che, come dice il nome, pratica un sacco di sport. Solitamente muore divorata mentre cerca di sfidare il mostro, ma in rare situazioni salva il didietro al Protagonista, per poi morire nel seguito.
«Che cosa ci fai qui a quest'ora, non dovresti essere a scuola?», domandai nella speranza di poter abbandonare in fretta quel mezzo.
«E tu?», rispose lei.
«La mia scuola ha subito un attacco e ho deciso di andare a fare la spesa.»
«Tutto di seguito?», sorrise, guadagnandosi così una mia occhiataccia. Poi riprese a parlare con voce che tradiva una leggera punta di preoccupazione. «Comunque, la mia storia è un po' più lunga. Stavo uscendo per andare a scuola, da brava e rispettabile persona quale sono io, che non balza mai le classi per andare in palestra e che ha voti altissimi non solo in ginnastica.»
Non so bene spiegarne il motivo, ma per quest'ultima affermazione mi sembrò leggermente sarcastica.
«Per una volta avevo deciso di non fare i soliti quattro kilometri a piedi. Quando sono salita in auto, la portiera mi si è chiusa alle spalle e la macchina ha preso ad andare da sola. Così, stavo pensando, che visto che tu sei quel che sei, allora forse saresti riuscita a togliermi dai casini.», finì la frase mostrandomi con il volto un paio di perfetti occhi da cucciolo che chiede disperatamente di ricevere un pezzo di cibo dal tuo piatto.
Solo adesso mi accorsi che non c'era nessuno seduto al posto del guidatore. Il volante stava girando da solo, come se un fantasma si stesse gettando all'impazzata in mezzo alla strada. Le persone si scansavano dal nostro percorso per evitare di venir investite, ma alcune non erano abbastanza veloci. Un passeggino finì sotto una ruota, facendo sobbalzare l'intera auto, ma non riuscendo a fermarla.
«E cosa sarei io?», chiesi irritata, ignorando alla perfezione l'urlo di dolore di una donna sbalzata via dal parabrezza.
«Dai, lo sai, ciccia.», disse posandomi una mano sulla spalla. «Ti prego aiutami.»
Lanciai uno sguardo assassino a quella muscolosa ragazza. Pensare che in normali condizioni avrebbe dovuto essere lei a proteggere me, il Protagonista.
Mi maledissi mentalmente per essere uscita dal bunker e iniziai a cercare una via di fuga. La macchina stava certamente andando da qualche parte, e io non volevo sapere dove. Spalancai la portiera con l'intento di saltare giù e di correre al sicuro, ma un rumore mi pietrificò: CRASH.
L'auto rossa davanti a noi si era sfracellata sulla strada con uno sparpagliarsi di frammenti di vetro e metallo. Il guidatore ormai privo di coscienza aveva una parte del cranio schiacciata sull'asfalto fuori dal finestrino. Le sue rosee cervella erano ormai parzialmente ricoperte di sangue e pezzi di vetro sporchi.
Sentii la nostra macchina alzarsi in volo e inclinarsi lentamente verso il cielo. Dallo specchietto retrovisore vidi una piccola astronave puntarci con una luce giallo, avvolgendo l'auto e trascinandola verso l'alto.
Feci appena in tempo a realizzare che saremmo cadute, che già era troppo tardi. Il raggio dell'astronave si spense e noi precipitammo di peso verso la strada.
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