49.


Gente. Tanta, tantissima gente.
C'erano lunghi e robusti tavoli che attraversavano l'intera la sala. Le sedie erano tutte occupate, per questo molte persone stavano in piedi a bloccare gli stretti passaggi tra un tavolo all'altro.
In mezzo si ergeva un enorme fontana nel quale si intravedevano dei grossi pesci muoversi. La stanza era molto grande, quasi come la sala da ballo di un vecchio castello, ma dai colori molto più accesi e intensi.

Le persone si urtavano a vicenda e urlavano imprecazioni e bestemmie contro gli altri quando il loro cibo cadeva per sbaglio a terra. Perché, sì, tutti lì stavano mangiando qualcosa.
Per la stanza c'erano diversi stand con il cibo e piccoli ristoranti dall'odore strano. Ogni sorta di pietanze immaginabili si trovavano nella stanza e quelle persone erano lì per provarle.

L'aria era pesante e consumata, non c'erano finestre aperte dato che eravamo sotto l'acqua. I tavoli erano pieni di piatti sporchi e cibi avanzati. Non c'era nessuno lì che passasse a raccoglierli, ma in compenso era pieno di magri e alti camerieri che prendevano le ordinazioni e portavano il cibo. Essi si muovevano rapidamente tra le persone, con ai piedi dei pattini a rotelle.

Alcuni esseri umani che erano evidentemente lì da più tempo emanavano un disgustoso odore di sporco e cibo andato a male. Erano grassi e gonfi nei loro succinti vestiti eleganti e nelle loro divise ricoperte di bottoni e medaglie d'oro. I loro visi contratti in un'espressione di desiderio e gola. Mangiavano avidamente tutto ciò che gli veniva messo davanti e non avanzavano nemmeno le ossa delle carcasse degli animali serviti.
Era una scena terribile. Tra grida e odori insopportabili mi sentii svenire.

Artemide e Vulcano erano in un angolo ad aspettarci e con mio sommo disgusto stavano mangiando anche loro.
La ciambella di quella mattina iniziava a salirmi su per la gola sottoforma di bile. Dovetti lasciare la mano a Marte per poter raggiungere l'altra davanti alla bocca. Chiusi di nuovo gli occhi sopraffatta da un forte senso di nausea.

La testa aveva ripreso a farmi male e tutto intorno a me sembrava girare. Le gambe non mi reggevano in piedi e ondeggiavo sul punto di perdere l'equilibrio. Boccheggiavo in cerca d'ossigeno, ma non volevo respirare quell'aria consumata e sporca. Quindi finii per auto-costringermi a bloccarne l'entrata nel mio corpo.

Qualcuno mi afferrò prima che potessi sbattere con la testa sul terreno. Una caduta in più non avrebbe certo fatto la differenza dopo tutte quelle che avevo già affrontato, ma ne fui grata. Fui stesa a terra e per una volta il pavimento non mi sembrò così duro, ma caldo e soffice.
La vista era diventata tutta appannata e ogni cosa sembrava ricoperta da un velo blu. Svenni per quelle che mi parvero delle ore, durante la quale dimenticai completamente la mia situazione e semplicemente dormii.

Qualcuno in fine mi tirò uno schiaffo, probabilmente Marte che aveva esaurito completamente le buone maniere.
«Avanti, torna tra noi.», esclamò prima di tirarmi un altro schiaffo in viso, questa volta più leggero.

Iniziai a respirare più normalmente, fregandomene delle condizioni in cui si trovava l'aria circostante. Quando riacquistai il controllo della mia mente poggiai la lunga manica del vestito sul naso e presi a respirare attraverso ad essa. Mi rimisi seduta continuando però a guardare il parquet rosso fragola.

«Come stai?», chiese Vulcano.
Non gli risposi, per il momento ero concentrata sul piatto di alette di pollo che stringeva ancora in mano. Disgustata decisi di chiudere gli occhi e alzai un dito in risposta alle troppe domande con cui Artemide mi stava sommergendo. La cosa non fece altro che far preoccupare ancora di più la ragazza che prese ad andare nel panico e ad agitarsi.

«Aspetta», provai a dire per fermarla, ma lei non mi ascoltava più e adesso cercava di infilarmi in bocca a forza le alette di pollo.

Io mi girai dall'altra parte per evitare di sentire quel forte e fastidioso odore di unto, ma incrociai lo sguardo di uno degli uomini grassi che stava mangiando un gigantesco piatto di pasta con le vongole.

La testa continuava a farmi male e non capivo come facessero gli altri a non svenire. Ero davvero l'unica che sentiva in modo così forte l'aria calda e consumata?
Sentii un altro conato di vomito salirmi e come prima lo rimandai giù per la gola. In bocca mi rimase però quel terribile sapore di acido, e la saliva iniziò ad aumentare ai lati della lingua.

«Non riesco a respirare, c'è troppa gente.», mormorai tra la manica del vestito.
«Dobbiamo andarcene da qui, abbiamo ancora una missione.», stabilì Marte, che già si stava per dirigere verso la porta da cui eravamo passati.

«Non si può uscire da lì.», lo fermò Vulcano, afferrandogli un lato del giubbotto. «Non c'è la maniglia.»
Non avevo voglia di controllare se quello che il ragazzo aveva detto era vero. Avevo solo bisogno di uscire da quel luogo il prima possibile.

«Ho visto un'uscita, ma è dall'altra parte della stanza.», parlò Artemide esitando.
«Allora andiamo.», concluse l'uomo. «Ce la fai a stare in piedi?»

Non risposi, il mal di testa mi stava uccidendo. A fatica mi rimisi in piedi da sola. Non volevo però guardare da nessuna parte, proprio come nel corridoio.

«Vuoi che ti tenga ancora per mano?», insistette lui.
«No, non voglio toccare nessuno.», decretai.

I miei occhi si fissarono sul rosso pavimento e pensai che da lì non li avrei mai più staccati.
«D'accordo, allora andiamo.», ordinò.

Da quello che prima ero riuscita a vedere in tutta la stanza non c'era una sola via che non comportasse il contatto con qualcuno. Ai lati stavano i piccoli ristoranti davanti i quali le persone facevano la fila per prendere i piatti. Decidemmo quindi di passare per la via al centro, che separava due grandi tavolate divise a loro volta a metà.

Marte, essendo il più grande, si mise davanti, mentre invece Artemide e Vulcano si posizionarono ai miei lati.
Tenevano tutti circa una decina di centimetri di distanza da me, così da non rischiare di toccarmi nonostante non ci fosse molto spazio in quel corridoio.

Non comprendevo il senso del loro gentile gesto nei miei confronti. Ero ancora confusa, ma da qualche parte nella mia mente si affollò il pensiero che si potessero sentire in colpa per ciò che mi sarebbe sicuramente accaduto da lì a pochi momenti. Forse si sentivano davvero a disagio, o forse volevano semplicemente assistere da vicino a una scena che mi avrebbe punito per i comportamenti sgarbati che avevo assunto prima con loro. Sta di fatto che al momento approvavo quella loro azione.

Ci muovemmo a gruppo verso il centro della sala senza incontrare grandi ostacoli, se non le persone che sedute ai tavoli sbraitavano per ricevere il cibo. Il problema arrivò quando una vecchia signora vestita con un abito color orchidea e un grosso ed ingombrante cappello si alzò dalla sua seggiola, facendomi così arretrare.

In quel preciso momento passarono in fretta, dai piccoli corridoi che separavano i tavoli, degli alti camerieri che portavano in mano grandi vassoi pieni di cibo.
Chiusi gli occhi aspettandomi quasi di venire spintonata via dalle loro lunghe gambe, ma questo non accadde. Quando li riaprii vidi che i camerieri mi avevano superata con un balzo ed erano passati oltre.

Di Artemide e degli altri non c'era però più nessuna traccia. I massicci uomini seduti sulle sedie mi impedivano la vista con le loro grosse schiene. Sembrava che tutto attorno a me si fosse improvvisamente ingrandito, o forse ero solo io che in quel momento mi sentivo più piccola.

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