47.


L'elettrocardiogramma produsse un fastidiosissimo e acuto rumore. Un brivido attraversò tutto il mio corpo in modo talmente improvviso da farmi muovere le spalle con uno scatto.

Hester si stava sciogliendo proprio come la madre di Vulcano e Noah, ma ancora non riuscivo a comprenderne il motivo. Le due figure precedenti erano mostri, ma questa non pareva esattamente esserlo. Sembrava abbastanza umana a eccezione del fatto che era stata ricoperta da una strana sostanza nera. Pensai che forse essa fosse il mostro in sé che si era impadronito del suo corpo, ma questo non avrebbe spiegato il motivo del perché Marte non gli avesse subito sparato.

La testa mi faceva male a furia di rimuginare su questi pensieri, il cervello sembrava esplodermi e desiderai tanto perdere la memoria solo per non poter più produrre questi complicati ragionamenti.

Volevo andarmene da lì perché la stanza mi sembrava fin troppo vuota e il bianco troppo libero di muoversi.
Marte era rimasto fermo, con la mano robotica appoggiata sul copriletto e l'altra ancora sulla ormai sparita guancia della donna.
«È morta di nuovo, e io non ho potuto farci niente.», sussurrò in fine, tenendo lo sguardo fisso sullo specchio.

Artemide gli si avvicinò e lo abbracciò. Lo stesso fece Vulcano, imitando il suo esempio. Non pensavo veramente che Marte si sarebbe lasciato abbracciare da loro, ma a quanto pareva non lo conoscevo abbastanza.
Rimasero a lungo abbracciati senza dirsi niente, il silenzio bastava in quel momento.

Mi sentii di nuovo di troppo, quella famiglia era completa e io non ne facevo parte. La voce nella mia testa parlò di nuovo, dopo tanto che non lo faceva, suggerendo di allontanarci da lì.
Afferrai il mantello nero di Marte e il lenzuolo bianco, per poi tirarli via con forza mostrando così l'intero specchio.

«Dobbiamo andare.», dissi freddamente.
«Hai ragione.», concordò Marte, sorprendendomi nuovamente. «Abbiamo ancora molto da fare.»

Si alzò e per la prima volta fu lui il primo ad attraversare lo specchio. Con un balzo passò per la lastra di vetro e noi a ruota lo seguimmo.

Questa volta quando percorsi lo specchio sentii come se qualcosa mi stesse strappando via la pelle di dosso, quasi si fosse trattato di un semplice adesivo, uno strato di troppo che andava tolto. Ormai ci avevo fatto l'abitudine a cadere sui terreni duri, e anche questa volta non fui risparmiata.
Artemide, Vulcano e Marte erano atterrati in piedi, ovviamente. Io ero l'unica che aveva perso l'equilibrio all'ultimo e sbattuto a terra entrambe le ginocchia.

L'Esperto d'armi si guardava attorno, probabilmente sorpreso per il luogo in cui si trovava. Artemide e Vulcano avevano evidentemente pensato la stessa cosa dato che sembravano terribilmente confusi e smarriti.
Io fui l'unica che capì di che luogo si trattasse, e proprio per questo motivo chiusi gli occhi e mi rannicchiai in mezzo a quel corridoio.

Mi tenevo fermamente le ginocchia incollate al petto, e gli occhi più stretti che potevo. La testa appoggiata nell'incavo che si era creato tra le due gambe chiuse e le braccia con cui la tenevo stretta.

«Dove siamo adesso?», domandò il Survivalista.
«Ce lo deve dire lei, è l'unica che non ha ancora subito nulla.», disse Marte, probabilmente indicandomi. Dalla mia posizione non riuscivo a vedere niente e nessuno, se non il nero delle mie palpebre.

«Stai bene?», chiese la ragazza, ma non saprei dire se era un pensiero rivolto a me o di preoccupazione per l'uomo.
«Alzati.», ordinò L'Esperto d'armi, ma io lo ignorai.

Mai avrei voluto ritrovarmi in una simile situazione. Avrei preferito di gran lunga arrampicarmi di nuovo su una statua con un coccodrillo che mi inseguiva.

«Hai sentito?», continuò lui. «Ti ho detto di alzarti, ora!»
«NO!», risposi con un tono di voce eccessivamente alto e acuto.

Ciò che avevo visto una volta arrivata in quel luogo mi aveva destabilizzato come una palla da bowling in pieno stomaco. Mi ero piegata in avanti perdendo l'equilibrio e subito richiusa verso l'interno, ma neanche così ero al sicuro e lo sapevo.

«Non vorrai certo rimanere lì per sempre?!», insistette.
«Sì, invece! Non mi muoverò mai più da qui.», affermai.

«Ester, ragiona, non puoi rimanere qui per sempre. Cosa farai quando avrai fame? Non puoi mica auto-mangiarti come certi mostri, non ne hai la capacità fisica.», cercò di dissuadermi Artemide con una voce di finta dolcezza. Ogni volta che diceva frasi del genere sembrava rivolgersi a un bambino particolarmente stupido.

«Se noi ce l'abbiamo fatta a superare i nostri ricordi, allora puoi farlo anche tu!», esclamò improvvisamente Vulcano facendo sussultare l'Esperto di mostri che mi aveva appena appoggiato una mano sulla spalla.

«Non ci riesco!», insistetti senza sentir ragione. «Ho paura, va bene?!»
«È da Protagonisti avere paura, ma adesso devi tornare tra noi. Se non lo fai inizierò a piantarti dei chiodi sotto alle unghie per farti aprire le mani», minacciò Marte.
«D'accordo», accettai titubante.

Provai quindi lentamente ad aprire gli occhi e a guardare le mie gambe coperte da quel bianco e puzzolente vestito. Con la coda dell'occhio, però, vedevo già quello che mi stava attorno.
Aprii scompostamente le gambe per guardare sotto di me, ma non appena l'ebbi fatto la mia mano destra si mosse da sola e mi impedì la vista. Provai allora ad allontanarla lentamente dal viso verso il pavimento.

Pensai che dovessi apparire veramente patetica agli occhi degli altri, così terrorizzata da non poter neanche guardare in giro.
Arrivò però un punto in cui la mano non servì più a coprire niente ed io potei vedere con chiarezza cosa c'era sotto di me, di fianco a me e sopra di me.

Acqua, c'era molta, moltissima acqua. Eravamo finiti in un lungo corridoio di vetro sospeso all'interno del liquido. I pavimenti, le pareti e il soffitto erano totalmente trasparenti, così da permetterci di vedere il mare intorno a noi. Non si vedeva altro che acqua, e più andavi oltre con lo sguardo più si scuriva fino a diventare una distesa blu.
In molti avrebbero adorato quella vista, ma io non ero uno di quelli.

Sentivo l'ansia che saliva mentre concentravo lo sguardo verso quell'immensità azzurrina. Avevo paura che all'improvviso qualcosa potesse sbucare fuori dall'ombra.

Ignoravo cosa temessi esattamente. Non era la morte a spaventarmi e di mostri ne avevo già visti tanti, ma c'era qualcosa nei recessi della mia mente che avevo a fatica rimosso. Qualcosa che a quanto pareva mi stava procurando non pochi problemi.

Un'ombra si mosse nel buio, assomigliava vagamente alla sagoma di un grande pesce.
Immediatamente mi richiusi in me stessa urlando: «Non ci riesco. HO PAURA!»

«Se speri che rimarremo davvero qui ad aspettarti per sempre ti sbagli di grosso!», rese noto Marte con voce parecchio alterata.
«No, aspettate, ce la posso fare.», avvisai, mettendomi una mano sugli occhi e usando l'altra come aiuto per alzarmi.

Non riuscii neanche a fare pochi passi in quella condizione perché per qualche strano motivo andai subito a sbattere contro il vetro. A tentoni lo toccai con la mano libera e subito arretrai per paura di quello che poteva nascondersi dall'altra parte. Era freddo e attraverso esso percepivo la pressione dell'acqua.

«Se vuoi ti tengo io la mano.», propose Artemide.
«Scusa, ma non credo che mi potrai essere tanto di aiuto.», le risposi. «Non per offenderti, ma ho bisogno di qualcuno che sappia tenere tutti i miei pezzi insieme, e tu non riesci a tenere attaccati nemmeno i tuoi.»

Sapevo di averla ferita, ma in questo momento non mi importava. Avevo paura e la mia voce era diventata più rapida e balbettante del dovuto. Tutto a causa dell'ansia e della fretta di dire le cose che pensavo.

«Potrei tenertela io.», si offrì Vulcano.
«No, tu sei il collante per i suoi pezzi!», esclamai infastidita dalla proposta. «Quando combattete tu sei quello che benda i feriti. Io non lo sono. Ora sono integra, ma non lo sarò ancora per molto se vado avanti così!»

Nel mentre stavo animatamente gesticolando con la mano libera e mi sorpresi di sentirla afferrare da qualcuno. Inizialmente la ritrassi spaventata, ma la stretta era troppo salda per poterne scivolare via.
La mano che mi aveva afferrato era grande e leggermente ruvida. Sentii il suo calore scaldare le mie fredde dita mentre il mio palmo ghiacciato raffreddava le sue.

«Non ho capito cos'hai detto, ma se non è di una colla che hai bisogno allora ti darò un'arma per proteggerti.», comunicò calmo l'uomo.

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