30.
«Non ho ancora capito cosa ci facciamo in questa città.», sussurrai all'orecchio di Artemide.
«Siamo qui perché abbiamo scoperto che...», tentò di rispondere la ragazza.
«Ti ho sentita!», la interruppe Marte un paio di metri più avanti a noi.
Stavamo camminando per quelle strette stradine già da una decina di minuti e ancora non ne avevo compreso il motivo.
«Se vuoi sapere cosa stiamo facendo lo devi chiedere alla persona più importante presente.», continuò l'uomo.
«Ho provato chiedermelo da sola, ma al momento mi sfugge la risposta.», sputai carica di ironia.
«Se non lo sai allora vuol dire che non sei poi così importante come credi.», ribatté lui continuando a camminare come se niente fosse.
«Come fa ad essere così irritante?», borbottai a bassa voce a nessuno in particolare.
«Continuo a sentirti!», esclamò infastidito.
«Lascialo perdere, è un Esperto d'armi.», mi sussurrò Artemide, come se quello che avesse appena detto servisse a giustificarlo, e in effetti era così.
Un Esperto d'armi sa essere molto fastidioso se vuole. Di solito si occupa principalmente di curare le proprie armi e si allena a usarle contro qualsiasi bersaglio. Non gli interessano le sorti delle altre persone, l'unica cosa che conta veramente per lui sono i suoi adorati strumenti da combattimento. Prende spesso il ruolo di leader in assenza di un Palestrato o di uno Sportivo, ma non è altrettanto bravo a tenere unito il gruppo. Solitamente non muore, è molto bravo a liberare tutto il caricatore addosso al mostro di turno, ma se perde la vita lo fa con stile. Solo dopo aver esaurito tutte le munizioni e le armi a disposizione contro il mostro verrà ucciso.
«Posso sentire anche questo.», fece notare Marte.
«Arty, non dovresti comportarti così con lui.», la riprese Vulcano.
«Mi dispiace, Capo.», disse Artemide mortificata.
«Fa niente, Miss Occhiaie-da-paura.», la scusò, abbandonando la faccenda con un gesto della mano.
Artemide e io ci avvicinammo di più a loro con passi veloci per colmare la distanza. Lei sembrava normale ai limiti delle sue possibilità, ma c'era sicuramente qualcosa che non andava. Sembrava più tesa di quella mattina, ogni tanto si guardava intorno con sospetto. Sentivo la mia mano stretta in quella di lei con eccessiva forza. Mi metteva a disagio la cosa, non sopportavo la sensazione estranea della sua mano sudaticcia unita alla mia fredda.
Mi venne improvvisamente in mente di farle la domanda che mi ronzava in testa da prima. «Perché fa quasi freddo?»
«Perché è sera e siamo vicini al mare.», rispose Marte senza esitare.
«Non è quello che intendevo.», insistetti scuotendo la testa.
«Sì, ho capito cosa vuoi sapere.», spiegò la ragazza albina. «Il Sole si sta effettivamente avvicinando sempre di più alla Terra, ma ogni tanto durante la notte sale da est un vento freddo che congela tutto ciò che trova.»
«Davvero non te ne sei mai accorta?», chiese stupito Vulcano. «Ultimamente si fa sentire sempre di più.»
«No, io la notte dormo sempre con il piumone, è più comodo.», raccontai. «Inoltre la mia circolazione sanguigna non funziona tanto bene, mi fa sentire sempre freddo, quindi di giorno compenso il caldo con il mio corpo freddo. Solo adesso riesco a sentirlo di più.»
«Ma che razza di conoscenze hai Capelli a sbianchetto!», esclamò Marte. «La tua collega lì è rotta!»
Artemide non disse niente, cosa che mi sorprese dato che aveva sempre qualcosa da dire in mia discolpa.
«Ehi, Arty, va tutto bene?», domandò Vulcano preoccupato.
Lei restò in silenzio e fece segno a noi di fare altrettanto.
Guardava fissa nel vicolo buio che sfociava all'interno della stradina dove ci eravamo fermati. Il vento improvviso che uscì da quel vicolo le scompigliò i capelli, ma lei non fece niente per metterseli a posto. Sembrava come paralizzata per qualcosa.
Sentii uno strano rumore uscire da quel vicolo. Pareva il suono che fanno le ossa se fatte scrocchiare. A esso si aggiunse lo strascichio di un pesante oggetto sul suolo, che rompeva il silenzio del luogo.
Guardai terrorizzata Artemide, ma lei con le labbra mimò "Non muoverti".
Stringeva con ancora più forza la mia mano, conficcandomi le lunghe unghie nel palmo.
Nell'oscurità del vicolo si stava avvicinando qualcosa.
Vulcano e Marte non accennavano a muoversi, seguendo l'esempio dell'Esperto di Mostri. L'uomo stava con le mani pronte su di un paio di pistole che teneva legate alla cintura.
Quando quella cosa fu a qualche metro da noi sentii un penetrante odore di uovo marcio e pesce, e mi salì un conato di vomito che bloccai all'istante. Trattenni il respiro, e non solo per la puzza, quando quel mostro uscì dall'ombra.
Era alto almeno due metri, con la pelle di un azzurro sbiadito. Trascinava le lunghe e strette braccia sul terreno, e ancora non erano uscite del tutto dal vicolo. Non aveva vestiti, ma se era per questo non sembrava possedere neanche organi genitali da nascondere. I suoi piedi erano palmati e le sue gambe erano la cosa più larga che aveva. La pancia era segnata da una linea chiusa, come se qualcuno avesse provato a tagliarlo in due metà.
La cosa che spaventava di più era probabilmente la sua testa. Il lungo collo simile a quello di una giraffa, ma molto più sottile e ripiegato avanti in una gobba, aveva in cima una piccola testolina. Uscendo dall'ombra quella sua testa si ritrovò piegata alla mia altezza.
Non aveva bocca, le orecchie erano grandi e ondulate ai lati della testa. Gli occhi gli dovevano essere stati cavati via o forse così c'era nato. Le orbite vuote dalla forma verticalmente più allungata del normale davano l'impressione di stare guardando proprio me. Non aveva un vero e proprio naso, ma solo due lineette appena sotto le orbite. Sul collo c'erano delle branchie, tre grandi linee rosse che si muovevano a ritmo con il suo respiro.
Camminò lentamente al mio fianco, quasi volendomi ignorare. Mentre lo faceva mi schizzò un paio di volte con l'acqua che gli era rimasta attaccata ai piedi. Essi, staccandosi piano dal suolo a ogni passo, davano l'impressione di essere ventose. Il rumore di ossa che venivano scrocchiate proveniva dalla sua testa, che stortava ogni quattro secondi in tutte le direzioni.
Strinsi il coltello che mi aveva dato Marte. Potevo sentire il liscio manico di quell'arma sfregarmi contro il pollice.
A dire la verità non riuscivo proprio a capacitarmi di come una creatura mostruosa come quella al mio fianco potesse effettivamente vivere in acqua con quel corpo. Le gambe erano troppo tozze, e le braccia e il collo troppo lunghe. Non poteva fisicamente nuotare in quelle condizioni, se non utilizzando le mani per darsi la spinta in acqua. Al momento però la mia mente era occupata da qualcosa di più importante della ricerca di una soluzione a questo dilemma.
Il corpo di quel mostro stava proseguendo per un altro vicolo dietro di noi, ma la testa no. Quella era rimasta fissa al fianco della mia, osservandomi con le sue orbite vuote.
La voce nella mia testa mi ordinò di non muovermi, cancellando istantaneamente qualsiasi mio pensiero riguardante una fuga disperata.
Rimasi paralizzata e con lo sguardo dritto davanti a me. Lei aspettava, lei sapeva, lei mi aveva visto. Quella testa non demordeva, attendeva una mia reazione.
Una goccia di sudore mi scese sulla fronte e poi sul sopracciglio, solleticandomi il viso. Non potevo permettermi di sbattere le palpebre, lei avrebbe potuto vedermi proprio come mi aveva già fiutato.
Se ne andò solo quando il corpo fu abbastanza lontano e il collo non abbastanza lungo. Sparì così in un altro vicolo buio.
Ripresi a respirare normalmente, e in fretta mi ripulii il sudore dalla fronte dove adesso si era quasi congelato dall'ansia. Quella fu una pessima idea.
Nella tensione del momento avevo scordato di controllare le braccia del mostro, che ancora venivano fatte trascinare a terra. In meno di un secondo esse fermarono improvvisamente la loro avanzata, volgendosi nella mia direzione.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top