26.
Tornammo nel corridoio dove eravamo già passate in precedenza. Artemide camminava alla mia sinistra tenendomi costantemente d'occhio, come sapendo che sarei potuta scappare in ogni momento. Sul tragitto si fermò solo per indossare la felpa. Mi toccai le braccia e mi resi conto che erano fredde.
La temperatura era molto più bassa rispetto che fuori e quasi rimpiangevo l'atroce calore esterno.
Non ne comprendevo il motivo a dire la verità. Erano gli inizi di ottobre; eppure, l'eccessiva calura era strana per questo periodo.
Prima stando all'esterno mi ero accorta di una cosa, ma non ne ero sicura, probabilmente il caldo mi aveva dato alla testa. Provai quindi a chiederne conferma alla ragazza albina.
«Ehm... Artemide, sbaglio o fuori il Sole è molto più vicino di prima.»
«Sì, non l'hai saputo? È da circa un mese che si sta avvicinando sempre di più alla Terra.», rispose stupita. «Ce l'avevano detto a scuola, non ricordi? Probabilmente stavi di nuovo dormendo ad occhi aperti e non l'hai sentito.»
Non era la prima volta che dimenticavo qualcosa per questo motivo. Da quando ne ho memoria ho sempre sognato ad occhi aperti, anche inconsciamente. Fisso un punto nello spazio davanti a me e mi addormento. Sono sempre riuscita a tenere un canale aperto con il mondo reale, ma da un po' sto perdendo questa capacità. Sprofondo nei sogni senza averne il controllo e riprendo i sensi solo dopo alcuni secondi. Più volte mi ritrovo chiedere al mio interlocutore di ripetersi perché ero distratta.
Una cosa che faccio spesso quando sogno ad occhi aperti è ascoltare la musica, e camminare avanti e in dietro. Per questa ragione temo che un giorno mi sveglierò da uno di essi trovandomi in mezzo alla strada o sull'orlo di un precipizio.
«Perché il Sole si avvicina?»
«Non si sa, c'è chi dice che è scienza e chi invece chiama in causa il piano divino.», rispose pazientemente Artemide.
«Per te cos'è?», domandai.
«Scienza credo, dubito centri molto la religione.», disse pensierosa. «Thor dice che è tutta un'invenzione della Chiesa per attrarre nuovi adepti e farsi dare soldi per un posto migliore nell'aldilà. Secondo Agni invece è una specie di punizione divina per i non credenti. Per te cos'è?»
«Io non mi schiero da nessuna parte.», risposi senza pensarci. «Piuttosto preferisco stare ferma immobile e aspettare che la situazione si risolva da sola.»
«Ma è un po' come fregarsene di tutto!», esclamò la ragazza.
«Lo so.»
«Senti, Ester, riguarda anche te questo problema. Devi decidere con chi schierarti.»
«Tanto bruceremo comunque tutti insieme se non troviamo una soluzione, e se proprio la dobbiamo trovare tanto vale non perdere tempo in futili schieramenti e cercare subito una risposta.», spiegai.
«Non è così che funziona.», espresse lei con disappunto.
«Sì, ma sarebbe meglio.», riflettei. «Si butterebbe via meno tempo.»
«Comunque, siamo arrivati.», fece notare, interrompendo il mio ragionamento.
Mi accorsi alzando lo sguardo che ci trovavamo nuovamente davanti alla macchinetta per il caffè e il distributore di merendine. Non c'era traccia di una porta da nessuna parte.
«Questa sarebbe l'armeria? Sì, molto bella.», commentai sarcastica. «Mi domando solo dove siano le armi, e non dirmi che sono le barrette di cioccolato perché altrimenti le mangerei e non avrei niente da usare contro i mostri.»
«È dietro. Devo solo mettere il codice.», borbottò Artemide, inserendo una monetina nel distributore e premendo il pulsante "uno" due volte.
Il distributore fece uno strano rumore metallico e il muro dietro a esso si spostò di fianco mostrando un passaggio segreto. La ragazza mi fece cenno di seguirla lì dentro.
Una volta riuscita a passare dietro alla macchinetta vidi cosa si nascondeva dall'altro lato. Due scalinate di legno piuttosto malconce illuminate a fatica da un piccolo lampadario dalla luce calda. I muri erano di pietra, probabilmente quella parte dell'edificio doveva fare ancora parte del vecchio tempio.
«In quanti sanno di questo passaggio?»
«Tutti», rispose lei senza esitare.
«Allora perché nasconderlo se tanto lo conoscono tutti?», chiesi per poi rispondermi da sola. «No, aspetta, lasciami indovinare, è stata un'idea di Marte.»
«Vedo che stai imparando, qui tutto è fatto per volere del nostro capo.», annuì ridacchiando.
Dietro di noi il passaggio si richiuse, spostando la parete al suo posto e bloccandoci in quel luogo umido che puzzava di muffa. Quel posto ricordava vagamente la cantina della casa in montagna di mio zio. Una volta giocando lì sotto avevo trovato un grosso uovo grigio che si era poi rivelato essere una semplice roccia, ma la sensazione di silenziosa inquietudine che mi aveva lasciato quel ritrovamento mi accompagna ancora in tutti i luoghi freddi e scuri.
«Da che parte si va?», chiesi, osservando le due strade.
«Si sale su.», rispose Artemide, chinandosi ad afferrare una lanterna lasciata in un angolo da qualcuno precedentemente passato di lì.
«Cosa c'è giù?», continuai sospettosa, prima di mettere piede sul primo gradino.
«La piantagione di fragole del Dottor Anubi.»
Le sue fragole nascevano lentamente alla luce del neon, e non sarebbero mai state minimamente buone quanto quelle che crescono lungo i sentieri di montagna. Forse il particolare carattere bizzarro del dottore era dovuto alla degustazione di quei non molto solari frutti, o forse con esso c'era nato.
«Non sarebbe più logico spostarla in alto?», feci notare.
«La tiene laggiù per non farla bruciare dal Sole, o almeno è quello che ha detto. Non mi fido di lui, non ce la racconta giusta, probabilmente non è neanche umano.»
Quando un Esperto di Mostri dice che qualcuno non è umano conviene credergli senza esitazione. Sospettavo però che la ragazza si stesse facendo trasportare un po' troppo dalle emozioni. Forse il dottore gli aveva fatto una brutta prima impressione e d'allora lei lo aveva mal giudicato. Decisi in ogni caso che avrei tenuto una certa distanza dall'uomo, anche se avevo la sensazione che solo lui avrebbe saputo darmi tutte le risposte che cercavo.
La seguii sulle scale, ma mi venne un dubbio che mi fece fermare sul posto e così fece pure Artemide.
«Se qualcuno vuole mangiare esattamente la merendina che corrisponde al primo numero, come fa?», domandai stupidamente. «Cioè, se clicca il pulsante più di una volta per sbaglio ha perso i soldi e gli tocca aspettare che si richiuda il passaggio per poi riprovarci di nuovo?»
«L'undici non c'è e l'uno sono una sottomarca dei biscotti Quadrifoglio. Hanno un colore strano e un gusto tremendo, non li prenderebbe mai nessuno.», rispose in fretta la ragazza procedendo il cammino sulle scale.
Affrettai il passo per raggiungerla, non volevo essere lasciata al buio in quel posto inquietante. La luce azzurra della lanterna illuminava gli scalini di legno come un fuoco fatuo che indica il cammino da percorrere. Il corrimano era di ferro e le sbarre che aveva attaccate assomigliavano molto a quelle di una prigione. Facevo ogni passo con attenzione per paura che da un momento all'altro gli scalini si rompessero facendomi precipitare di sotto. Fortunatamente questo non accadde e arrivai in cima sana e salva. Lì sopra c'era una porta di metallo, proprio come quella che avevo passato per arrivare da Marte.
Artemide inserì nuovamente un altro codice, "3-1-8-0-5" che ripeté per quattro volte. Non capivo il senso di ripetere quei codici così tante volte, se avessi sbagliato una volta sola cosa sarebbe successo? Avrei dovuto rifarlo da capo oppure sarebbe spuntato fuori un mitra che mi avrebbe ridotto in semplici buchi? Non penso che Artemide avrebbe mai avuto il tempo e la voglia di dare una risposta a questi interrogativi, perciò smisi di pensarci.
La porta si aprì ed entrammo nell'armeria. Mi stupii della miriade di armi esposte e dal modo accurato con cui erano state posizionate e tenute. C'erano scaffali interi con spade e coltelli messi in ordine d'altezza. Altri invece avevano esplosivi, varie armi e oggetti per le torture. Pistole e fucili erano appesi alla parete e sotto ognuno di essi c'era affisso un cartellino con il nome.
Mi sono sempre chiesta il perché le armi da fuoco avessero nomi tanto strani. Nomi composti da lettere, numeri, e occasionalmente da vere e proprie parole comuni. Probabilmente era un semplice modo per classificarli in base alla potenza del colpo o alla velocità, ma rimaneva comunque una cosa strana da leggere.
Il pavimento della sala era in legno levigato e le pareti erano così tanto ricoperte da armi da non poterne capire il colore. La stanza infondeva calore nonostante la freddezza e la pericolosità del contenuto.
«Allora, sei pronta a scegliere un'arma?», mi chiese Artemide.
«Sì.»
«Sappi che in caso ne danneggiassi una Marte ti userebbe come bersaglio per i suoi giochi.», mi informò lei, come se non fosse stata una nozione ormai ovvia.
«Allora vorrà dire che cercherò di stare attenta.», pronunciai in una risatina nervosa.
Mi voltai verso il tavolo al centro della stanza. Lì sopra erano già state posizionate delle armi e tra loro avrei dovuto scegliere la mia. Sarebbe stata una scelta difficile, soprattutto perché non ne sapevo usare nemmeno una.
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