11.


L'acqua fredda pizzicava la mia pelle esposta. L'unico pensiero che sentivo era che se avessi avuto indosso una tuta da sub non avrei certo provato quella spiacevole sensazione, avrei persino risolto il problema dell'ossigeno mancante.

La sirena che mi stava ancora trasportando non sembrava intenzionata fermarsi. Era più veloce di quanto pareva, in poco tempo dovevamo aver già percorso una grande distanza.

Improvvisamente sentii la presa sulla mia mano farsi molto più leggera. Non riuscivo a vedere niente nella scura acqua, ma sentii come se qualcosa mi stesse sfiorando lo stivale. Non avevo molte forze, ma quel contatto risvegliò in me uno strano timore che mi spinse a sottrarmi a quel tocco.
Il mostro mi lasciò definitivamente andare e potei sentirla agitarsi in una lotta. Qualcosa mi colpì con tutta forza e io fui sbalzata verso la superficie.

Sorvolai il mare per qualche metro e poi ricaddi in acqua. Mossi le braccia per riacquistare l'equilibrio e presi a boccheggiare.
Poco distante da me un gigantesco tentacolo stringeva la coda della sirena. Neanche i morsi della murena-braccio servirono a fermare il processo di stritolamento della bestia. Altri tentacoli si mossero a vuoto nell'aria prima di inabissarsi con la loro preda.

Un po' alla volta riacquistai la lucidità. La mia priorità era quella di allontanarmi da quel luogo il prima possibile. La pioggia che stava scendendo in quel momento era d'aiuto quanto la chiara nebbia che ricopriva il mare. Mi voltai in ogni direzione nella speranza di riuscire a vedere qualcosa che mi aiutasse a fuggire da quella situazione.

I fuochi d'artificio e il palazzo in fiamme dovevano essere stati fermati, non trovai traccia né di essi né della città. Alla fine posai gli occhi su una bianca luce che dall'alto illuminava l'acqua. Il faro di Screamhill era appena visibile in mezzo a tutta quella nebbia. La sirena mi aveva trasportato nei pressi della città vicina.

Mi muovevo a tratti con grandi bracciate, perlopiù imitavo un cagnolino. Non ero mai stata brava a nuotare, avrei dovuto farlo più spesso quando ero piccola, ma a dire il vero l'acqua non mi era mai davvero andata a genio. Non provai neanche a mettere la testa sotto perché i miei occhi, che già bruciavano, non erano abituati a quel contatto diretto con l'acqua del mare e non sarei riuscita a tenerli aperti molto a lungo.

Il vestito di Lisa si muoveva attorno a me e si alzava procurandomi un fastidioso solletico alle gambe. Per non parlare dell'intimo che indossavo, e che mi si era spiacevolmente appiccicato addosso. L'acqua salata mi entrava in bocca e io la sputacchiavo fuori a fatica mentre le labbra acquistavano pian piano una consistenza molliccia e raggrinzita. I miei capelli scuri fluttuavano sul pelo della superficie marina e dentro di me sapevo che avrei dovuto più volte lavarli per poter rimuovere il sale che stavano lentamente assorbendo.

Ricapitolai mentalmente quante creature marine potessero sbucare fuori all'improvviso per mangiarmi, ma le uniche che mi passavano per la testa si trovavano solo nell'oceano e a grandi profondità, laddove le acque sono troppo fredde ed è impossibile che un umano possa a sopravvivere. Temevo che qualcosa avesse potuto afferrarmi e trasportare giù nell'oscurità, ma non accadde nulla.

Raggiunsi a fatica il porto vicino al faro. Lì sapevo che avrei trovato la scalinata che usciva dall'acqua. L'avevo intravista anni prima durante la visita guidata del faro che la scuola aveva organizzato. Il proprietario, un anziano uomo di mare, era responsabile dell'eliminazione di alcune sostanze tossiche direttamente nelle acque circostanti. Per questo motivo non mi faceva impazzire l'idea di dover nuotare così vicino al suo territorio.

Il mare, agitato dalla pioggia, mi causò qualche difficoltà nel momento in cui raggiunsi i gradini di pietra. Per poco non andai a sbattere con la faccia contro il manico di metallo della scala. Quando uscii dall'acqua ero fradicia e a pezzi. Le ultime gocce di pioggia non tardarono molto ad arrivare, lasciandomi immersa nella nebbia.

Percorsi il lungomare, cercando di avvicinarmi di più alla città. La cosa che più mi infastidiva era la sabbia che si stava appiccicando sui miei stivaletti neri ormai pieni d'acqua. Camminare con essi non fu affatto un compito facile, oltre che questi ultimi, attaccati alle suole leggermente corrose, c'erano anche i resti dell'asfalto rimasto appiccicato dopo la mia breve avventura con l'acido.

Raggiunsi in fretta la strada, era deserta e priva di vita. Le villette che si trovavano ai bordi erano immerse nel più completo silenzio. Non una luce dalle finestre, non un abbaiare di cane.
Mi parve di veder qualcuno muoversi nella nebbia, era di spalle e non riuscivo a capire che aspetto avesse. Cercai di richiamare la sua attenzione, ma quando si girò mi accorsi dell'errore che avevo commesso.

Era vestito di rosso, con stivali neri e cappello. La cintura gli serviva solo per contenere la sua enorme pancia. La barba nera gli arrivava fino allo stomaco. Gli occhi viola mi scrutarono, per poi arrivare alla conclusione che vendendomi avrebbe guadagnato abbastanza per permettersi una fornitura a vita di biscotti.
Alzò un guanto sporco di sangue per salutarmi, e mi rivolse un grottesco sorriso con i suoi denti a punta. Anti-Babbo Natale mi aveva appena preso di mira. Guardandolo mi tornò in mente la sua filastrocca, e poco dopo lo sentii recitarla.

«Di tanti biscotti la pancia si riempie,
bambini scappate che il suo compito adempie.
Di Babbo Natale era il nemico,
attento ragazzo non fartelo amico.
Nel sacco ci mette i bambini
e con essi fabbrica bei regalini.
I suoi occhi viola sempre ti seguiranno,
finché in una morsa ti cattureranno.
Scappa in fretta
o di te resterà solo una fetta.
Babbo Natale ormai non c'è più,
adesso da uccidere ci sei solo tu.»

Presi a correre più velocemente che potevo, ma trovai difficile farlo, la nuotata mi aveva lasciato senza forze. Dietro di me il mostro mi stava inseguendo, e nonostante la sua ingombrante massa era piuttosto veloce. Sulle spalle teneva un sacco legato con un piccolo nastrino giallo. Girava voce che quella fosse una sacca magica, una volta dentro venivi trasportato in un'altra dimensione e solo lui poteva farti uscire.

A volte lo si può vedere girare per il mercato nero del lunedì mattina che si svolge nel quartiere meno malfamato della città. Solitamente lì si ritrova per vendere le sue ultime vittime a certi ricchi eccentrici dai gusti discutibili.
Ai poveri sfortunati che invece non vengono venduti tocca probabilmente la sorte peggiore: si trasformeranno in bambole, giochi o dolcetti di carne umana. L'alternativa di quelle vittime è il diventare esse stesse coloro che prepareranno le pietanze a base dei loro cari compagni, ma non sempre si trovano bambini disposti a farlo.

Mi ritrovai a correre in un bosco composto principalmente di bianca nebbia. Gli alberi sembravano guardarmi, li potevo sentire ridere malignamente di me. Quando andai a sbattere contro uno di essi fui afferrata da un ramo e spinta nella parte opposta.

A un certo punto si stagliò davanti a me la sagoma di una grande abitazione. Senza pensarci due volte ci entrai, sbattendomi la porta alle spalle. Se solo avessi guardato in dietro mi sarei resa conto che l'Anti-Babbo Natale si era fermato a una decina di metri di distanza e che, spaventato, si era subito allontanato da quel luogo chiamato "Hotel della morte".

Solo una volta dentro mi resi conto di ciò che avevo inconsciamente letto, ero finita nell'hotel della morte. Nome strano per un albergo, avrei riflettuto in una normale situazione, ma questo non era solito; questa era sicuramente una trappola o comunque un piano orchestrato da qualcuno che mi voleva morta.
Come lo sapevo per certo? Beh, il cartellone di fianco a me recitava le seguenti parole: "Raduno per uccidere il Protagonista dalle ore 00:00 alle 03:00 + buffet. Tutto al primo piano".

Guardai l'orologio che si trovava lì nella hall, mancava ancora un'ora. Cercai di riaprire la porta, ma era bloccata. Non importava quanto la tirassi o spingessi, quella rimaneva sempre ferma immobile. Le finestre invece erano barricate da assi di ferro che fino a un momento prima ero sicura non ci fossero.

Sentii tante vocine gracchianti e una veloce e agitata successione di passi, poi vidi le loro ombre. Erano sì e no una ventina di goblin che si dirigevano nella mia direzione.
Mi nascosi dietro a delle casse e assistetti alla loro mostruosa sfilata. I goblin sono mostriciattoli verdi, nudi o vestiti con una sudicia tunica marrone, che si divertono a uccidere tutto ciò che si muove. Ma la cosa più pericolosa di loro, che fortunatamente non hanno tutti, è l'astuzia. In questo caso supponevo non ci fosse nessuno dotato di cervello tra di loro e la loro presenza fosse dovuta al buffet promesso.

Stavano trasportando qualcosa, qualcosa di grande e molto pericoloso. Lo tenevano legato con catene gialle e lo tiravano verso una grande porta alla fine del corridoio buio. Era dorato, le sue zanne affilate, gli occhi rosso fuoco, e quando apriva le ali raggiungeva l'alto soffitto.
Ero sicura che se l'avessero lasciato andare mi avrebbe ridotto in cenere in meno di un istante. Era il drago più arrabbiato che avessi mai avuto il dispiacere di vedere.

In quel momento mi accorsi di un goblin che si stava staccando dal gruppo, avvicinandosi pericolosamente a me.

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