Venerdì 31 ottobre 1997

«Halloween non è solo una festa americana, Halloween è il giorno in cui il mondo dei vivi compenetra il mondo dei morti» iniziò Angelo, a sedere su una panchina del parchetto di via Palazzone, il mercoledì prima di Halloween. In uno dei suoi bigliettini dove si segnava le cose, scritto con un carattere fittissimo intervallato da disegnini, aveva fatto uno schemino piuttosto grezzo sulle anime in qualche modo ancora incatenate al corpo. E quale luogo migliore del cimitero?

«Il 31 ottobre sarà speciale. È speciale da sempre, ma il mondo ha dimenticato questi significati. E queste possibilità» poi fece una pausa e cercò qualcosa nel bigliettino, annuendo, «Noi abbiamo sentito le presenze, chiaro che non abbiamo sentito moltissimo. Penso che sia perché siamo impreparati. Sinceramente non lo so, non l'ho capito. Ma il 31 potremo vederle. Sono sicuro che il giorno, e magari anche l'atteggiamento che avremo, ci permetterà di vedere!».

La Sarigna già batteva le mani al solo pensiero di prendersi un'altra forte dose di paranormale. La altre due erano leggermente più distaccate perché si domandavano come avrebbero potuto, per la seconda volta nel giro di quindici giorni, uscire di nascosto di casa e raggiungere il cimitero non viste. Il ragazzo, però, non mollò.

«Ragazze, voi lo sapete che dove sorgeva il cimitero c'era la pineta, e non era come ora, era un posto più paludoso, e in seguito infestato da briganti. Ci sono centinaia di storie di sparizioni di persone in questa pineta, vittime di delitti efferati, o anche solo picchiate, derubate e lasciate morire nel fango o tra i pini. Sulle cronache locali ho trovato una marea di riferimenti», sventolò un foglietto dove un elenco si allungava su entrambi i lati, «Questo luogo è lugubre, non è certo il cimitero più lugubre del mondo, ma è lugubre: non guardatelo al sole, guardatelo la notte, o guardatelo in un giorno di nebbia. Guardate persino le date di nascita e morte: malattie, omicidi, tragiche casualità. Questo è un posto di anime in pena».

Fece vibrare la voce su "pena" quel tanto che bastò a produrre una scarica di brividi lungo la schiena delle altre.

«Angelo ma come facciamo? Era già dubbiosa per il primo pigiama party e non me ne farà fare un altro dopo due settimane!» disse la Cinzia, che aveva già dovuto dire troppe bugie alla madre negli ultimi giorni.

Era una vicenda talmente inusuale per lei che non aveva avuto nemmeno il coraggio di confessarla al suo sacerdote ma si era presa il tempo di visitare la chiesa della Stella Maris per confessarsi lì. Si torturava la collanina con la croce al collo, in ansia per quella vicenda.

«Vale ma tu non riesci?» chiese il ragazzo.

«Ma abito al primo piano».

«Potrei darvi la mia scaletta. Lo so che è un ben misero aiuto, però meglio che niente».

«E poi come entriamo al cimitero?».

«Posso provare a farne un'altra. Io in qualche modo faccio».


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Alla fine, a forza di ragionarci sopra, la Vale andò dalla madre e chiese di organizzare questo famoso pigiama party. Quest'ultima quasi sbroccò quando iniziò a pensare a letti, lenzuola degne, coperte, cene, spuntini in caso rimanessero sveglie, spostare le Tv in camera, allacciare i videoregistratori.

La ragazza sapeva che sarebbe finita così. La madre non riusciva ad essere serena per quelle cose, dando il peggio di sé stessa quando si trattava di organizzazione. Le due finirono per litigare furiosamente e la Vale fu molto triste nell'annunciare che di casa sua non se ne poteva fare nulla. Il piano B era "ognun per sé e dio per tutti": partendo dalle rispettive case, si sarebbero visti alle undici e mezza, avrebbero aspettato al massimo cinque minuti e poi, chi c'era c'era, sarebbero entrati.

Il padre della Vale era uno che passava le ore al bar, giocava interminabili partite a carte, alcune sere talmente lunghe che il barista iniziava a spazzare e mettere via le sedie mentre lui ancora tirava briscole.

La madre, quando si fecero le dieci e venticinque, se ne andò a letto. La figlia in un lampo si vestì, diede l'ultima occhiata alla strada e si calò dalla scaletta, con la fifa di cascare da cinque metri di altezza, rompersi l'osso del collo o, peggio ancora, finire al cimitero, ma passando per il cancello principale.

In cortile, come una gatta guardinga, uscì lestamente, coprendo l'ultimo tratto in silenzio, allo scoperto, lungo i circa ottanta metri che dividevano la casa dalla cinta esterna del parco naturale. Una macchina passò, con la musica che rimbombava nell'abitacolo, diretta verso Ravenna, sicuramente non la notò, o almeno così si augurò lei.

Una volta vicino al parco naturale, facendo attenzione, si avventurò tra i pini fino a giungere al cimitero, al solito angolo, dove gli altri tre aspettavano, con il capo cordata che dondolava la scaletta di corda.

«Era ora».

«Non rompere Angelo!» gli rispose la ritardataria, in apprensione per essere l'ultima. Osservò il loro cicerone nella penombra, domandandosi per un attimo perché era lì, il disagio per i cimiteri e le sedute spiritiche era tenuto a mala pena a freno, ma per quegli amici si poteva fare, evidentemente.

«Andiamo!» disse il loro comandante, e il gruppo passò il muro di cinta.

Dentro al cimitero, i fiori freschi davano un aspetto tutt'altro che lugubre al posto. L'avvicinarsi della ricorrenza di ognissanti aveva messo frenesia ai donnini da cimitero, che avevano agghindato i loculi per l'occasione, senza badare a spese. I pini sempreverdi aiutavano a smorzare l'idea di mancanza di vita, ma tutte quelle foto allineate facevano rabbrividire la Vale.

Il drappello dei quattro giunse sulla tomba della volta precedente, si disposero a cerchio, tirando fuori di nuovo il tavolo, provando a rimettersi in contatto con lo spirito della ragazza, nel silenzio più assoluto si sentivano solo i loro respiri.

Poi, a un tratto, Angelo si alzò rovesciando il tavolino, con gli occhi fuori dalle orbite, si portò le mani sulla bocca con forza, comprimendo un urlo disperato, che ripeté altre due volte prima di iniziare a respirare affannosamente, in maniera talmente congestionata che le tre gli si fecero attorno preoccupatissime. Lui riprese un minimo controllo, poi, imprecando, rovistò nello zaino fino a trovare una candela, la accese e la avvicinò a una zona della lapide vuota, con le mani quasi tremanti.

Comparve pian piano una scritta.

LI HO UCCISI TUTTI

Gli sguardi atterriti delle tre ragazze si concentrarono su Angelo, come a domandargli come poteva essere?

«L'ho vista, l'ho vista in una specie di... visione! Mi ha detto che si voleva rivelare!».

Angelo avvicinò di nuovo la candela, altre lettere comparvero.

LO MERITAVANO

Gli sguardi dei quattro correvano impazziti dalla scritta alle tombe vicine fino alla punta dei pini più in lontananza, erano molle pronte a scattare di terrore se solo fosse successo qualcosa.

SATANA REGNERÀ

Un tonfo come di pietra che si sposta, alla loro sinistra, incredibilmente vicino. Le molle, tutte all'unisono, scattarono, con il terrore che gonfiava dentro di loro, fino alla scaletta poi su e su fino in cima e poi dall'altra parte dove, quasi senza guardarsi in faccia, arrivarono all'angolo cieco del parco naturale, invisibile se non dalla ferrovia, deserta.

«Ragazze, io sto male, io stanotte non dormo» disse il ragazzo, visibilmente scosso. Le altre non parlavano, tornarono poi a casa turbate in una maniera così profonda che nessuna riuscì a passare una bella notte. La Vale rimase in dormiveglia per lunghissimo tempo. La Sarigna ebbe un incubo ed urlò tanto che la madre corse a controllare che non stesse male, e lei aveva detto, nemmeno tanto convinta «È stato un brutto sogno».

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