VATTENE LONTANA DA ME
POV ALEC
6 MESI PRIMA - (GIORNO IN CUI ALEC E NADINE SONO TORNATI NEL PASSATO)
Era quasi surreale il modo in cui la fiamma che ardeva nel cuore di Nadine riuscisse a penetrarmi, simile ad un lampo, sempre più in profondità. Entrambi c'eravamo sempre infiammati rapidamente di rabbia, ma ancor più velocemente di passione. E l'amore era sempre stato in mezzo a noi, a tenerci abbracciati con le proprie dita invisibili, anche quando il tempo si era infilato infido tra noi, cercando con violenza di spezzare quelle impalpabili nocchie che non volevano sciogliere la presa.
Ed ora eccolo qui, quell'amore: schiacciato sotto la suola dei miei stivali, dilaniato dalla mentalità retrograda e troppo ignorante del mio popolo per poter essere in grado di accettare il fatto che Nadine non fosse il frutto di una stregoneria ma solo una vittima di questa. Lo sentivo dilaniarsi come un ossesso per sgattaiolare da sotto i miei piedi e librarsi nell'aria. Voleva volare verso il corpo di mia moglie steso in mezzo al prato, custodito da un uomo che non ero io e che l'aveva gradualmente accompagnata nel suo viaggio di ritorno al passato.
Dalla punta più impervia della collina, dove il fiume si diramava a est e sud tranciando di netto le coltivazioni di grano, potevo tenere monitorata l'intera vallata. I confini della battaglia erano stati travolti dall'ira implacabile delle milizie dei clan ribelli, ed ora si stavano spingendo verso le zone periferiche delle mie terre, radendo al suolo anni e anni di ricordi e tradizioni. Intere famiglie erano state sfollate, spedite verso il riparo dei boschi dove, complici l'oscurità notturna e lo spesso manto erboso, avrebbero trovato senz'altro un nascondiglio per scampare alle spade nemiche.
Quando poche ore prima i miei occhi si erano riaffacciati nel XVII secolo, avevo impiegato poco tempo a comprendere che la situazione era disastrosa. Il comando assunto da Renuar sul mio esercito aveva stravolto parte della storia, mandando all'aria l'intera sicurezza delle terre e del popolo scozzese. La battaglia che avremmo dovuto vincere ad occhi chiusi, senza una difesa ad ostacolarla aveva trovato terreno fertile dove seminare morte e distruzione.
Ed era poco rassicurante la lettera che Renuar aveva inviato a lord Stuart, confermandogli il proprio ritorno nel giro di due giorni; troppa gente ci aveva già rimesso la vita, troppe coltivazioni erano state arse dagli incendi per poter ripristinarle prima della stagione calda, troppe case erano state rase al suolo.
Potevo fare affidamento solo su Geneviev, uno dei pochi soldati valorosi che aveva disertato ai comandi di Renuar, restando a difesa delle terre scozzesi. Accucciato accanto a me fissava attentamente lo schieramento di cavalieri che avanzava inesorabile attraverso la vallata, puntando la vasta estesa d'erba che circondava la piccola chiesetta bianca dove il corpo di Nadine aveva giaciuto durante il coma forzato.
Messo alle strette mi ero azzardato a confidargli il sortilegio a cui mia moglie era stata sottoposta, ma la sua reazione tardava ad arrivare. Se ne stava accoccolato accanto ad un pino solitario, gli occhi vigili e attenti verso la battaglia che infuriava e verso le fiamme alte che eliminavano definitivamente tutto ciò di sacro che quella piccola chiesa aveva avuto fino a quel giorno.
"Mia moglie si sta svegliando", lo avvertii, più che altro per timore di vederlo perdere il controllo. Un conto era sentire parlare del sortilegio, un altro era assistervi.
"E l'esercito dei Campbell avanza ancora", rispose. Una ruga di preoccupazione gli attraversò la fronte.
"Geneviev, comprendo di avervi messo di fronte ad una notizia difficile da accettare ma...".
"Mio Signore", mi interruppe, composto. "Cercate di comprendere il motivo che mi spinge a non voler discutere di questo. Quel sortilegio, quella... cosa che è capitata a vostra moglie è davvero troppo da digerire e spero non vi aspettiate che vi riesca durante una battaglia. Lasciatemi il tempo necessario per comprendere come mi stia sentendo al riguardo e vi giuro che ne discuterò con voi. Ma per adesso, vi supplico, lasciatemi concentrare solo sulla battaglia".
"Lo comprendo", annuii con un colpo secco della testa. Quindi mi voltai verso il mio stallone, afferrandone le redini. "Montate a cavallo, cavaliere: è tempo per noi di porre fine a questo scempio".
In sella allo stallone bianco, lanciai il mio urlo di battaglia, sollevando verso il cielo lo stendardo con i colori del mio clan. Affrontare l'intero plotone nemico era un'impresa suicida ma conoscevo la fedeltà di Geneviev allo stesso modo in cui conoscevo me stesso. Non mi avrebbe voltato le spalle, ed io avrei salvaguardato le sue.
Mentre ridiscendevamo la collina gettai un ultimo sguardo verso mia moglie: seduta accanto a lord Stuart, gesticolava nel suo delizioso modo che avevo imparato a riconoscere. Si era già resa conto di essersi risvegliata nel bel mezzo di una battaglia? Avrebbe seguito lord Stuart senza sollevare polemiche come al suo solito? Oppure si sarebbe voltata verso l'avanzare dei nemici, pronta ad affrontare la morte? Mi domandai di sfuggita quando avessi cominciato ad amarla. E la risposta arrivò immediata: era stato quando avevo scoperto che, nonostante riuscissi sempre a prevalere su di lei, non si arrendeva mai. Dannazione! Avrebbe affrontato la morte pur di non ubbidire ad un ordine impartitole da lord Stuart. Questo era certo. Proprio per questa ragione l'amavo.
Strattonai le redini per accelerare l'andatura e il rumore degli zoccoli contro la terra mescolata alle rocce scandì la mia avanzata verso il clan dei Campbell. Dovevo fermarli prima che la raggiungessero.
Mi scontrai con gli invasori sul limitare della foresta proprio mentre un guerriero dall'aria feroce stava brandendo contro di me un'ascia a doppio taglio. Mi chinai sulla sella per evitare il colpo e senza indugi immersi la spada nel collo dell'uomo. Egli cadde senza un grido, morto sul colpo. Tuttavia la sua sventura non passò inosservata, richiamando su di noi l'attenzione di una cinquantina circa di uomini.
"Mantenetevi alla mia destra, Geneviev", gli raccomandai.
I nemici si scagliarono uno dopo l'altro contro di noi, senza riuscire a scalfirci con un graffio. Geneviev combatteva al mio fianco e anche lui sembrava non avere alcuna difficoltà a parare e schivare gli affondi dei nemici. Nonostante l'ingente numero di uomini che si avventavano su di noi non indietreggiammo nemmeno di un passo, coprendoci i fianchi a vicenda. Col passare dei minuti ci accorgemmo di essere rimasti soli nell'ampia vallata, circondati dai cadaveri degli invasori.
Ruotai il cavallo su sé stesso, osservando tutto intorno a me, finché alla nostra destra, da una delle profonde gole che scendevano a picco sul mare, udii il frastuono metallico di alcune armature. Tirai le redini, bloccando lo stallone, e volsi lo sguardo dove avevo visto risvegliarsi il corpo di Nadine. Dalle macerie della chiesa bianca si sollevavano piccole nubi di fumo, andando a nascondere il fioco bagliore delle stelle. Poco più sotto nella valle, un'intera squadra di avversari stava camminando in un omogeneo schieramento verso Nadine.
Scambiando un'occhiata d'intesa con Geneviev, spronai il cavallo e mi avvicinai.
"Difendetela a costo della vostra vita", urlai al mio braccio destro.
"Nessuno toccherà la nostra Signora", assicurò, cavalcando rapido al mio fianco.
Il vento gli sferzava i lunghi capelli neri, gettandoglieli all'indietro contro il mantello. Era giovanissimo, forse poco più grande di mia moglie, eppure il suo coraggio e la sua abilità nel maneggiare la spada lo avevano reso uno dei più temuti cavalieri che si potessero incontrare in un campo di battaglia.
Il terreno diventò troppo instabile per guidare lo stallone, così smontammo di sella brandendo le nostre armi e facendo abbastanza rumore da attirare l'attenzione generale. Speravo con tutto me stesso che Nadine non mi vedesse e che il mio folle piano di affrontarli tutti insieme le avesse concesso il tempo necessario per fuggire.
Con la coda dell'occhio la vidi sollevarsi, sorretta dalle braccia di lord Stuart, ma la persi di vista immediatamente quando un giovane dalla barba rossiccia si avventò su di me. Parai il primo fendente con difficoltà, indietreggiando nel terreno di quasi cinque passi.
"Figlio di una baldracca", sibilai, guardandolo fisso negli occhi.
Quindi ruotai il polso e feci scattare il braccio in avanti, portando la punta della spada a pochi centimetri dalla sua gola.
"E' vostra moglie, la donna laggiù? L'ho riconosciuta", cercò di distrarmi. "Ammettetelo se non volete che richiami tutti i miei uomini".
"Sì, lei è mia moglie. E voi siete un uomo morto".
I suoi occhi si sgranarono in un miscuglio di paura e sorpresa e restarono spalancati quando la giugulare gli venne squarciata dalla mia arma.
Con tutta fretta tornai disperatamente a cercare mia moglie tra la calca di armature e la vidi fuggire verso un avvallamento, tampinata da un giovane che, da come si muoveva, non doveva essere un veterano. Con orrore mi accorsi che gli sarebbero comunque bastati pochi passi per raggiugerla. Mentre a me ne sarebbero serviti molto di più per raggiungere l'uomo e fermarlo. Non c'era motivo che un soldato si accanisse su una donna, a meno che quella donna non rappresentasse una minaccia. Imprecai mentalmente, nell'improvvisa consapevolezza che l'esercito nemico l'aveva sicuramente riconosciuta.
Afferrai d'istinto il pugnale che tenevo nascosto nello stivale e lo scagliai in avanti. Subito dopo accaddero due cose simultaneamente: l'uomo cadde supino a terra, trattenendo tra le mani la lama piantata nella gola. Se l'avesse estratta sarebbe morto dissanguato ma il disperato tentativo di aggrapparsi alla vita lo rese stolto e impavido. L'istante successivo Nadine si voltò verso di me, riconoscendomi nella mischia di combattenti.
Per un lungo istante i nostri occhi si parlarono, raccontandosi e rivivendo tutto ciò che avevamo condiviso, ogni singolo istante, ogni singola emozione. Ogni singola parola. La battaglia sembrò diventare di colpo silenziosa, il mondo smise di girare. C'eravamo solo noi.
"Alec", lessi il labiale.
Nonostante la voglia di correrle incontro e farle da scudo, impostai le labbra in una lunga linea retta e socchiusi gli occhi in uno sguardo glaciale. Sapevo con estrema certezza che se le avessi rivolto anche solo mezza parola avrei perso il controllo e non sarei più stato in grado di lasciarla andare. Il clan dei Cambpell aveva appena dimostrato di averla riconosciuta e tenerla accanto a me avrebbe significato condannarla a morte.
"Vattene lontana da me", sillabai lentamente, in modo che potesse decifrare la parola attraverso il movimento delle labbra.
I suoi occhi si sgranarono per mezzo secondo, incapaci di accettare le mie parole. Le avevo dato quest'ordine per salvarle la vita ma lei di certo non lo avrebbe mai saputo. E quando tra alcuni mesi, al termine di quella guerra, non mi avrebbe visto arrivare nel punto in cui eravamo rimasti d'accordo di ritrovarci, avrebbe per sempre pensato a me come ad un traditore. Il mio cuore sussultò, maledicendo il fato. Se solo l'esercito nemico non l'avesse riconosciuta avrei potuto tenere fede alla mia promessa e raggiungerla in tempo per quando sarebbe nato nostro figlio. Ma ora era cambiato tutto. Raggiungerla, unirmi a lei, ora significa solo la sua morte.
L'istante successivo, frastornata e delusa, si lasciò trascinare via dalle braccia di lord Stuart. Mentre seguivo la sua sagoma sempre più lontana, nonostante la promessa che le avevo rivolto prima di partire, seppi che con tutta probabilità che questa sarebbe stata l'ultima volta che l'avrei vista.
E sebbene il mio cuore fosse già dilaniato dal dolore, un'altra parte di esso si spezzò. Morendo.
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