SOTTOMESSA A ME

 RENUAR

"Dov'è lei?", tuonai, entrando nell'angusta sala in cui erano stati radunati i malati.

Alcuni bambini stavano defecando contro le pareti in pietra, troppo sfiancati per trascinare le chiappe all'aperto. Non sapevo molto di colera ma dubitavo che con della semplice acqua quelle persone si sarebbero salvate. Tuttavia Nadine era stata chiara in proposito, istruendo lord Stuart a proposito della cura, e considerando che dalla sua c'erano quasi quattrocento anni di scoperte scientifiche e mediche non ero nella posizione di contraddirla.

"Siete tornato?", mugugnò lo stregone, guardandomi di sfuggita mentre reggeva la nuca di un bambino per bagnargli le labbra con una pezzuola intrisa d'acqua.

"Ho chiesto dov'è lei".

"Cosa vi fa credere che sia in questo monastero?". Stava prendendo tempo, era evidente. Un po' meno lo era il motivo che lo spingeva a comportarsi così.

Anche se il nostro rapporto non era sempre stato idilliaco, il fatto stesso che attualmente facevo le veci di Alec O'Braam avrebbe dovuto farmi guadagnare per diritto il suo rispetto. 

"Mi prendete per stupido?". Lasciai vagare lo sguardo attraverso la stanza, contando pressapoco i malati presenti. La maggior parte non doveva aver ancor compiuto i dieci anni. "Dove ci sono malati si presuppone ci sia anche un medico. E chi meglio di Nadine può porre rimedio ad una simile sventura?". 

 "L'ho vista uscire di qui qualche minuto fa", si arrese con un sospiro, rimanendo sul vago. "Suppongo sia andata a sgranchirsi le gambe qua attorno". Adagiò il capo del bambino sopra una stuola e a passi veloci si diresse verso la bambina accanto, ripetendo la stessa procedura. "Sapete già dell'ultimo scontro?".

Lo fissai a lungo, a disagio, ricordando con una fitta di rammarico la desolazione che aveva accolto me e il mio esercito non appena i nostri cavalli avevano valicato i pendii della vallata che fungeva da confine naturale tra le terre degli O'Braam e quelle dei Campbell. Le abitazioni erano andate distrutte e al loro posto sorgevano macerie e assi arse dagli incendi. Anche se i corpi dei defunti erano stati spostati e probabilmente già seppelliti, le macchie scure nel terreno raccontavano quanta morte e distruzione si era abbattuta a causa della mia assenza. La pioggia avrebbe dovuto scorrere per molte altre notti prima che quelle chiazze di sangue venissero cancellate, mettendo a tacere il mio rimorso. L'intervento a sorpresa effettuato su Londra non era andato a buon fine, lasciandoci stanchi e insoddisfatti. Il mio tentativo di cambiare la storia non aveva sortito alcun frutto se non quello di sottolineare che, per quanto avessi tentato di alterare il corso degli eventi, questi si sarebbero aggrappati con le unghie ad un destino già segnato e che trovava asilo nei libri storici del futuro.

"I clan ribelli ci hanno attaccato, valicando le mura di cinta indifese senza alcuna difficoltà", raccontò, dedicandosi ad un altro bambino. Il mento sollevato con indignazione. "Quanto a voi, che notizie mi portate da Londra?".

Senza fiatare gli voltai le spalle e puntai la porta. 

"Lord Renuar?", mi raggiunse la sua voce. "Lord?".

"Vado da mia moglie".

"Non è ancora vostra moglie", puntualizzò. Il tono stizzito mi colpì sul vivo.

Rallentai il passo, senza comunque fermarmi. Dovevo andare da lei. Il prima possibile. "Ho un testamento che dimostra il contrario".

"Lord Renuar?", mi chiamò. "Quel testamento avrà valore solo quando...".

Ma a quel punto la voce si disperse tra le pareti spoglie di quella sala e accompagnò solo in parte la mia marcia lungo il prato che circondava il monastero. Non avevo ascoltato la fine di quella invettiva, tuttavia potevo indovinare le parole che l'avevano conclusa; Alec O'Braam era tornato nel passato nonostante al momento della partenza avesse espresso la propria chiara intenzione di candidarsi come sacrificio per Nadine. Qualcosa doveva essere andato storto, modificando il piano inziale che mi avrebbe proclamato Signore di queste terre e Signore indiscusso dell'indomita Nadine. Alec era tornato, seppur senza rivendicare la sua posizione politica. Nascosto nell'ombra e protetto dalle mura del suo castello, stava riorganizzando le strategie militari, spacciando le sue idee per mie. Quanto il motivo che lo spingeva a restare nelle retro vie mi era più oscuro del cielo notturno. Ma conoscendolo non avrebbe rinunciato con la stessa facilità a sua moglie.

Affrettai il passo, spingendomi verso le file regolari dei vigneti, senza sapere con esattezza dove fossi diretto. Se Alec era tornato, con tutta probabilità si trovava accanto a Nadine e non potevo permettere che me la portasse via una seconda volta. Il testamento era da considerarsi nullo, ma giocando con astuzia avrei potuto mettere degli ostacoli al loro matrimonio. 

Un sorrisetto mi incurvò le labbra all'insù prima che potessi trattenerlo. Sì! L'avrei sedotta, lentamente. Con pazienza. Avrei raggirato la sua debole mente fino a farla inginocchiare ai miei piedi per implorarmi di possederla, e a quel punto Alec l'avrebbe ripudiata. Non mi serviva un testamento per farla mia. 

Allungai ancora il passo, notando in lontananza una bolla di spazio tra i rami delle vigne, illuminata a  tratti dalla luna. Il rumore di un secchio che sbatteva contro la roccia rivelò la presenza di qualcuno e appiattii la schiena contro il tronco di un albero, affidandomi al buio per non consentire a chiunque si trovasse in quel luogo di scorgermi.

Affinai lo sguardo, abituandolo in poco tempo alla penombra e mi sollevai sulle punte dei piedi per osservare la scena tra una piccola fessura dei rami. 

Dio del cielo! Rimasi senza fiato. Come se qualcuno mi avesse squarciato il costato e stesse stringendo a forza i polmoni. 

La gonna arrotolata non celava nulla alla vista dei suoi polpacci. Anche da lontano potevo distinguerne le curvature dei muscoli e le piccole sporgenze dei tendini. La caviglia sottile terminava su un minuscolo piede elegante che avrei potuto stringere completamente nella mano. Quello che avevo davanti si trattava di una visione raramente concessa a un uomo -a meno che non fosse sul punto di possedere una donna- per cui non era sorprendente che mi sentissi eccitato.

Sopraffatto dall'emozione venni assalito dall'impulso di uscire allo scoperto, gettarmi in ginocchio nella poltiglia di fango e supplicarla come il cane che ero.

Ma poi lei cambiò posizione, chinandosi in avanti per prendere il secchio, e questo la salvò. La luce della luna le illuminò i tratti delicati del profilo, gettando in ombra le gambe e facendo brillare quasi di luce propria la magnifica chioma castana e la carnagione pallida del collo. 

Per un riflesso puramente fisico mi portai una mano sulla patta, controllando la situazione là sotto. 

Con lei il desiderio era stato fin dall'inizio divorante, ma anche pieno di rispetto. Tuttavia era stato solo quando lei aveva tentato in tutti i modi di fare accedere noi uomini alla sua mente per consentirci di apprezzarne l'intelletto, che dentro di me si era accesa una forte scarica di puro possesso. Malgrado il rispetto che sentivo e che avevo giurato ad Alec O'Braam, dentro di me aveva preso corpo un senso di sfida che ancora non avevo potuto cogliere ma che mi spingeva a constatare sulla mia pelle quanti ostacoli avrei dovuto saltare e quante prove avrei dovuto superare per renderla più donna. Il suo spirito dominante, oltre ad essere ridicolo, necessitava di essere domato. E non vedevo l'ora di trasformarla e ribaltare le sorti: da predatrice a preda. La sfida era allettante. 

Un rumore alle mie spalle mi fece voltare e scorsi in lontananza un uomo, probabilmente un cavaliere del mio esercito, che stava trascinando una fanciulla nei pressi del vigneto, nella direzione opposta alla mia. La ragazza doveva essere una prostituta a giudicare dal modo in cui premeva il prosperoso petto contro il braccio dell'uomo e dal modo in cui ridacchiava era evidente il modo in cui lo avrebbe trattenuto nella mezz'ora successiva.

L'uomo sollevò lo sguardo su di me e dopo una frazione di secondi vidi i suoi occhi sgranarsi così tanto da diventare due palle scure. Acciuffò la ragazza per la vita e deviò percorso, sparendo alla velocità del fulmine. Soltanto allora mi resi conto di avere impugnato la spada. Stavo addirittura ringhiando al solo pensiero che i suoi occhi avrebbero potuto accidentalmente posarsi sulle gambe di Nadine.

Imbarazzatissimo per quella reazione demenziale lasciai l'elsa di scatto e tornai a concentrarmi su di lei; i suoi tentativi di infilare il secchio all'interno del pozzo erano ironicamente impacciati. Il fatto stesso poi che si fosse intestardita a tenere sollevata la gonna, le consentivano l'uso di una sola mano e nemmeno il contadino più abile e avvezzo sarebbe riuscito a calare il secchio in quelle condizioni. 

Dio santo ma non si rendeva conto di quanto fosse provocante?

La mia ossessione per lei divenne un incubo ad occhi aperti. Era la prima volta che smaniavo tanto per una femmina e non avrei augurato una pena simile nemmeno al mio peggior nemico. Era solo una gran spina nel fianco. E nel cuore. Un tormento inutile che si sarebbe placato solo dopo averla ripetutamente portata dentro il mio letto.

"Dannazione a tutta questa storia", la sua imprecazione deviò i miei pensieri lussuriosi, guidandoli verso la rabbia.

Decisi che era arrivato il momento di rivelarle la mia presenza. "Brutta nottatta?".

Le sue spalle si irrigidirono quando riuscì a scorgere la mia sagoma accostata al tronco di una vite. "Chi sei?".

Feci un passo avanti, consentendo alla luna di disegnare i lineamenti del mio volto. Sapevo, o meglio, ricordavo che non poteva conservare memoria di me a causa del sortilegio, e avrei sfruttato questa sua mancanza per raggirarla come meglio credevo. Una femmina senza ricordi necessitava di essere riempita come un vaso ed era ciò che gradualmente avrei fatto con lei. Le avrei fornito le informazioni necessarie per metterla contro Alec O'Braam, installandole ricordi che non erano mai avvenuti e spingendola inevitabilmente tra le mie braccia. 

"Posso prima dirvi quanto siete bella?", la rimproverai.

Non conoscevo nulla di ciò che il futuro concedeva alle donne, ma la sua spudoratezza, oltre ad essere pericolosa per lei stessa, era un affronto alla mia autorità. 

"Ti ringrazio", mormorò, voltandomi le spalle. 

Faceva la preziosa dopo aver usato con me un tono così poco formale? Ma davvero? Forse Alec non le aveva spiegato che il voi era un obbligo tra donne e uomini che non avevano ancora diviso il letto.

L'orlo della gonna le accarezzò i polpacci nudi quando mi voltò le spalle e fu come se una mano si fosse posata con foga contro la patta dei miei pantaloni. Sentivo il membro pulsare, bussare contro la stoffa dei pantaloni per invitarmi a liberarlo. Mi chiesi oziosamente quale sarebbe stata la sua reazione se l'avessi fatto.

"In questo momento lo siete anche troppo", l'avvertii, spostando il peso del mio corpo da un piede all'altro per dare un po' di sollievo all'erezione. Possibile che non si accorgesse di quanto la volevo?

Quei suoi occhioni allungati lievemente verso le tempie scattarono contro di me oltre la sua spalla. "La mia bellezza non ti riguarda".

Strinsi i denti, irritato dal suo tono, sollevando leggermente il mento per indicare l'orlo della sua gonna. "Siete voi che me la state sbattendo in faccia".

Abbassando lo sguardo sembrò rendersi finalmente conto delle sue dita strette alla stoffa. Le allargò di scatto e i polpacci lattiginosi e sodi scomparvero, permettendomi un sospiro di sollievo. Per quanto volessi affondare nel suo corpo, non era il luogo adatto per stenderla sotto di me, annullando la promessa di fedeltà giurata ad Alec. L'erezione pulsò ancora ma per lo meno divenne più gestibile. 

"Mi dispiace", arrossì. 

"Vi ha vista qualcuno a parte me?", interrogai. Dannazione a lei e alla sua arroganza. Se qualcuno l'avesse vista avrei dovuto sfidarlo a duello e non avevo voglia di eliminare dalla faccia della terra un mio possibile valoroso cavaliere proprio mentre stava per avere atto una delle più grandi battaglie scozzesi. 

"Due donne. Due malate. Ho detto loro che stavo venendo al pozzo". 

Due donne? Quindi nessuno l'aveva notata mentre veniva fin qua? Il desiderio di stenderla sull'erba umida e farla mia tornò prepotente, facendomi formicolare la punta dell'erezione. 

"Anche lord Stuart", aggiunse in fretta. Troppo in fretta. Stava mentendo, era evidente. Come era evidente che la mia presenza la intimoriva. 

Apprezzavo comunque la sua furbizia. Il fatto che si fosse affrettata a fare il nome di un uomo confermava la sua astuzia. Peccato che non poteva sapere che l'avevo incontrato solo qualche minuto prima all'interno della sala dove erano stati radunati i malati. Da dove si trovava non avrebbe potuto tenerla d'occhio nemmeno se avesse avuto dieci occhi.  

"Lord Stuart", ridacchiai. "E ditemi: avete mostrato le vostre gambe anche a lui?".

Si mise le mani sui fianchi con orgoglio e appena raddrizzò le spalle il suo petto scattò in avanti, premendo contro la stoffa dell'abito. Malgrado la rabbia mi presi qualche secondo per ammirarne la forma; non aveva dei seni particolarmente piccoli ma nemmeno talmente gonfi da sfuggirmi di mano quando glieli avrei accarezzati. 

"Non credo di doverti dare spiegazioni. Non credo di doverti nulla".

"E' qui che sbagliate", la contraddissi, gelido. Avanzai di un altro passo e lei retrocedette al medesimo tempo. La sua paura era quasi afrodisiaca. Mi faceva sentire in vantaggio. "Mi riguarda tutto  di voi, che vi piaccia o meno. E il fatto che vi siate mostrata nuda è un affronto che non posso ignorare".

"E' buio", cercò di farmi ragionare. "Nessuno può vedermi".

La rabbia divampò, alimentata dalla sua sciocca ingenuità e dal ricordo di quel cavaliere che avevo fatto fuggire limitandomi ad un'occhiataccia. "Io l'ho fatto".

"Cosa vuoi?".

Te! Voglio te!  - urlò la mia  testa. Ma il buonsenso la frenò, consigliandomi di procedere con calma. Con un gesto stizzito del mento indicai la gonna, deciso a provocarla. "Sollevatela nuovamente se avete la certezza che nessuno possa vedervi. Fatevi guardare da me".

"Me ne vado".

"Ve ne andate?", mi sorpresi. Nessuna donna aveva mai mostrato un simile coraggio davanti a me.

Mi voltò le spalle. "Sì! Non ho intenzione di stare qui a farmi offendere da uno sconosciuto".

Incrociai le braccia, tranquillo. Se credeva di avere anche solo una minima possibilità di allontanarsi da me si sbagliava di grosso. Prima che tornasse nel futuro, quando l'avevo corteggiata e lei mi aveva respinto senza nemmeno concedermi una possibilità, avevo giurato a me stesso di non importunarla mai più. E avevo mantenuto la promessa. Tecnicamente. Quei patetici giri a cavallo sotto la finestra della sua stanza che da quella volta avevo preso l'abitudine di fare mi avevano dipinto come un patetico. E un uomo ha il suo amor proprio da difendere. Almeno agli occhi del mondo.

"Ed io non credo di avervi dato il permesso di voltarmi le spalle".

A quel punto si fermò. Le manine strette in pugno. Dio! Era deliziosa.  

"Dovrei restare qui a farmi insultare?".

Come se le mie parole potessero mai offendere una testa dura come la tua. "Ciò di cui avete bisogno non sono insulti bensì una punizione".

Quella di certo l'avrebbe piegata. 

Si voltò di scatto e vidi chiaramente le sue pupille dilatarsi nel momento in cui si accorse che avevo eliminato la distanza tra noi.

"Punizione per cosa? Sono fedele a mio marito, non basta?".

"Preferirei non vi mostraste agli altri come una donna che si da".

Una risata isterica le sfuggì dalle labbra rosse e piene. "Solo perché ho sollevato un poco l'orlo della gonna? E comunque la faccenda sarà risolta tra me e mio marito. Tu in questo non centri nulla".

Ah, davvero?  "Sbagliate ancora, lady, dimenticando che vostro marito vi ha lasciata, dandovi a me".

Gli occhi le si spalancarono ancora e le mani strette a pugno si spalancarono per riflesso alla consapevolezza. Sebbene non si ricordasse di me, Alec doveva averla di certo informata del testamento. Potevo quasi vedere il suo cervello al lavoro mentre faceva chiarezza sulla mia identità.

"Tu sei...?".

Feci un breve inchino, senza perderla di vista. "Sono Lord Renuar. E voi siete mia".

"No", mormorò.

Annuii, lentamente. "Oh sì. Ed ora vi insegnerò personalmente come esigo essere rispettato da una moglie".

"No", urlò, girando di scatto su sè stessa per fuggire.

La sua mossa era stata più che prevedibile e non incontrai difficoltà nel riacciuffarla. "Non fuggirete da me tanto facilmente. E se per vostra sventura ci doveste mai riuscire, sappiate che la punizione che vi attenderà sarà molto più terribile di questa".

"Lasciami".

"Lasciarti? Oh, lo farò, statene certa, ma non prima di avervi ricordato che il vostro corpo mi appartiene e che per diritto sono l'unico che da adesso in poi potrà ammirarlo". 

Chiusi gli occhi, rapito dalla sensazione di pace che finalmente, dopo mesi, stavo di nuovo provando. Dirle addio era stato più doloroso di trafiggermi lo stomaco con la punta della spada, e solo in pochi erano a conoscenza di quanto mi fossi lasciato andare nei giorni a venire, rifiutando il cibo e sfuggendo all'abbraccio di Morfeo per timore di affrontare un sogno che mi avrebbe ricondotto da lei. Ed ora finalmente l'avevo di nuovo davanti a me in carne ed ossa. Il calore della sua schiena contro il petto era la conferma che non stessi come al solito sognando ad occhi aperti. 

"E ora vi solleverò la gonna, mia Signora. E' un peccato che ciò non sia potuto accadere in una circostanza ben più piacevole". Accostai le labbra al suo collo, inalando il profumo della pelle. "Voi chiaramente comprendete la mia posizione, non è forse così? Lasciarvi impunita creerebbe un precedente".

"La comprendo perfettamente". Le sue parole vibrarono contro il mio stomaco. "Sei tu che non comprendi che, appena mi volterai le spalle, ti castrerò".

Sollevai la mano, passando il pollice sopra il suo labbro inferiore, accarezzandolo fino a separarlo dall'altro. La saliva di Nadine mi umidì il polpastrello mentre le stuzzicavo la bocca in quella lenta carezza ma subito dopo venne sostituita da una fitta di dolore. Staccai il dito e malgrado il buio riconobbi il marchio dei suoi denti sulla pelle. Mi aveva morso? Questa maledetta ragazzina sperava davvero che ciò mi avrebbe fermato? Accecato dall'ira la feci ruotare su sè stessa, serrandole il polso con forza. Strinsi quel polso per alcuni lunghi attimi, dimostrandole quanto inutili fossero i suoi tentativi di ferirlo.

Quando lei sollevò l'altra mano per colpirmi al volto, le imprigionai anche il secondo polso e nonostante gli sforzi che fece per liberarsi, poco dopo si ritrovò in posizione prona. Prima che avesse il tempo di divincolarsi mi misi cavalcioni su di lei.

"Non provateci mai più", la minacciai.

"Vaffanc...".

"Come?", ruggii, strattonandole l'orlo della gonna.

"Ti farò rimpiangere di non essere morto a Londra".

La gonna sollevata rivelò dapprima i suoi polpacci, poi le cosce e finalmente i fianchi.

"Ti prego", implorò in un singhiozzo, "non farmi questo".

Esitai. Ecco... mi aveva pregato... la sua umiltà era stata riportata a galla, schiacciando quel carattere indomito che avrebbe irritato persino il più tollerante degli uomini. Ma sollevai ugualmente la gonna, questa volta più lentamente.

In quel momento il fatto di umiliarla era lungi da me, così come lo era anche il ricordo della punizione che meritava di avere, mentre centimetro dopo centimetro, scoprivo ciò che in precedenza mi era sempre stato negato alla vista.  E nulla, né la coscienza né lo scrupolo, avrebbero potuto trattenermi dal percorrere con il palmo della mano quelle sode e adorabili natiche.

"Dio del cielo...", mormorai, roco, scoprendo che sotto la gonna non portava alcunché, nemmeno una logora sottana. 

Nadine emise un gemito disperato che mi fece riprendere il controllo di me ma continuai a non affrettarmi. Di colpo compresi il perché Alec O'Braam aveva da sempre provato così tanta possessività e gelosia nei confronti della moglie. 

Il gemito di lei divenne più acuto, furioso per l'oltraggio. Sospirai e feci in modo che si spostasse leggermente, in modo da poter osservare meglio la zona sottostante delle natiche. Afferrai quindi il suo polso e lo premetti contro l'erba, chinandomi per mormorarle all'orecchio: "Ed io che fino all'ultimo speravo che in fin dei conti foste una donna casta. Dove avete dimenticato la vostra biancheria?".

"A casa di tua madre", ringhiò.

"State dando della puttana a mia madre?". Era così coraggiosa che per un momento dimenticai persino di offendermi, certo di aver capito male.

"Sto dando a te del bastardo".

Sollevai la mano e la lasciai cadere pesantemente sulla sua natica destra. E subito dopo ancora. E ancora. Mi fermai solo quando la pelle arrossata del suo fondoschiena installò in me un minimo senso di compassione. 

"Ripetetelo", la sfidai.

Nadine sollevò la guancia da terra, voltandosi a guardarmi di sbieco.

"Sei un bastar...".

Ma non riuscì a completare l'invettiva perché con un movimento brusco feci in modo che si mettesse supina e le coprii la bocca con la mia. 

Cercò di mordermi ma riuscii a evitare i suoi denti per quasi un intero minuto di lotta. Quando mi staccai da lei fui costretto a schiarirmi la voce per ritrovare l'uso della parola.

"Dicevate?".

"Sei un...".

Inclinai la testa, inviandole un'occhiata minacciosa, ma fu solo quando i miei occhi si posarono nuovamente contro la sua bocca che la voce le morì in gola.

"Non mi bacerai di nuovo", fece dietro front.

"Ah, ragazza mia", risi. "Imparerete molto in fretta a non lanciarmi sfide tanto personali".

"Sei così idiota da credere che un bacio possa trasformarsi in una punizione?".

Dimenò i fianchi in un altro tentativo inutile di sfuggire alla mia presa e i miei denti cozzarono l'uno contro l'altro quando inavvertitamente l'erezione affondò contro la sua cosca.

"Dovete perdonarmi, donna, per questo bacio. Ma riconoscerete senz'altro che la mia colpa è stata solo relativa... i miei istinti carnali si sono risvegliati solo perché non indossavate certi capi di biancheria". Mi sollevai di poco, concedendole spazio. "Ora alzatevi e venite con me".

"Perché dovrei farlo?".

"Perché da questo momento in poi voi mi appartenete". Le strinsi il mento tra le dita, strattonando il suo volto verso il mio in modo che le nostre labbra si toccassero quasi. "Disubbiditemi ancora e non mi limiterò a schiaffeggiarvi il sedere".





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