NON PUOI MENTIRE PER SEMPRE
POV NADINE
Sgattaiolai da sotto il suo pesante braccio, sollevandolo con estrema lentezza dal mio fianco su cui aveva trovato casa dopo essersi unito a me.
Ero furiosa. Più con me che con lui. Ero furiosa con entrambi a dire il vero. Con Alec per aver ricorso alla sua avvenenza per ottenere ciò che era venuto a prendersi e con me per aver mancato di rispetto al mio orgoglio. Giaceva nascosto in fondo al mio stomaco. Lo percepivo simile ad una lama. Una lama che mi feriva ogni volta che la rabbia sgomitava dentro di me per andare ad insultarlo della sua scarsa volontà di non lasciarsi soccombere dal desiderio.
Avevo ceduto. Mi ero lasciata vincere dai sentimenti, dimentica completamente che dentro di me, oltre ad un cuore, c'era ancora una parte di cervello atta a consigliarmi ogni volta che le emozioni prendevano il sopravvento. Era un cervello arrugginito dai paletti antichi su cui si ergevano leggi anti femministe, emesse per il mero scopo di mantenere alto e indiscusso il potere conferito agli uomini; ogni cosa potesse minacciare la loro posizione gerarchica e sociale rappresentava una minaccia. Ed era esattamente così che vedevano noi donne. Perché il nostro cervello era una macchina pronta a lanciarsi a velocità verso il traguardo, superando di gran lunga le ridicole staffette egocentriche e maschilistiche degli uomini di quell'epoca.
Più restavo nel XVII secolo, più le mie capacità dovevano trovare riparo agli occhi degli altri. Ed io mi stavo disabituando a far affidamento ad esse, appoggiandomi esclusivamente ad un cuore infranto e macchiato di sofferenza. Ormai incapace di suggerirmi il modo in cui uscire a testa alta da quell'assurda situazione, batteva inesorabile in ritirata, scandendo i secondi che mi separavano da un'inevitabile sconfitta.
Per questo ero tremendamente furiosa con me stessa. Cedere e lasciarmi vincere dalle avance di Alec, per quanto fossero spinte da un'inequivocabile sentimento di genuino amore nei miei confronti, aveva fatto sì che quell'epoca retrograda ed estremista mi entrasse sotto pelle, annullando ciò che fino ad ora ero stata. E mettendo fine alla guerra che avevo dichiarato ad Alec. Una guerra che forse non mi avrebbe portata a nessuna vittoria ma che di certo avrebbe lasciata integra la mia moralità.
Osservai le sue labbra piegate leggermente verso l'alto in un sorrisetto compiaciuto e soddisfatto. Le ciglia disegnavano lunghe ombre sulle gote ricoperte da un velo di barba bionda. Intere ciocche di capelli erano sfuggite dal nastro in cuoio, circondandogli il volto rilassato e abbandonato al sonno.
La soddisfazione dipinta sulle sue labbra carnose e rosate non era dettata solo da ciò che gli avevo concesso. Ne ero certa. Stava cominciando a convincersi che mi ero trasformata in tutto e per tutto in una donna docile e ubbidiente, schiava delle proprie deboli passioni. E non esisteva parola nel mio vocabolario che potesse annullare quel sorriso. Perché era esattamente così che mi sentivo. Stavo diventando malleabile e incapace di mantenere la mia posizione. Stavo diventando dipendente da Alec O'Braam. Esattamente come ci si aspettava da una donna del XVII secolo.
Mi strinsi il corpetto, tirando i lacci incrociati sul davanti e aggiustandoli in modo che il mio seno non fosse troppo visibile. Lasciai più allentati quelli sopra il ventre per evitare che le stecche dell'abito potessero pungere la pancia sempre più gonfia, quindi strinsi un lembo dell'orlo della gonna e la sollevai fino alle ginocchia permettendo alle mie gambe di non trovare ostacoli nella propria fuga.
Corsi lontano dalla stalla, attraverso il campo di grano, spoglio e secco nel suo tenue colore beige che si disperdeva a vista d'occhio su per le colline, invalicate dalla maggior parte dei commercianti. Era l'unica barriera che mi teneva al riparo dal popolo e dalle battaglie che si sarebbero susseguite fino all'inverno dell'anno successivo, durante il quale una breve tregua avrebbe lasciato entrambi gli schieramenti scontenti e diffidenti verso il futuro.
POV MARY
Lo stretto chignon mi tirava terribilmente sulla nuca, facendo pulsare il sangue esattamente dietro le orecchie, dove sole poche ore prima mio marito aveva succhiato e lambito la pelle fino a lasciarmi il marchio della sua passione.
Adorava lasciarmi segni addosso come prova che gli appartenevo, ed io adoravo il fatto che lui si sentisse così orgoglioso di me da voler mostrare a tutto il nostro popolo l'esigenza fisica che provava nei miei confronti nonostante i diversi anni di matrimonio.
Inizialmente per lui ero stata solo una spina sul fianco. Incastrato in un matrimonio deciso a tavolino dalle nostre famiglie, si era ritrovato responsabile per me e per tutti i miei servitori. La dote che gli era stata promessa si era rivelata più bassa delle sue aspettative, in grado a mala pena di coprire le spesa di ristrutturazione del castello e del vecchio mulino erto a pochi metri dalle coltivazioni di granoturco. Ben presto però il suo sguardo accusatorio era cambiato, trasformandosi in complici occhiate machiavelliche che mi rendevano partecipe alle sue decisioni militari. La mia furbizia si era mostrata efferata e caparbia: una vera e propria strategia militare sulla quale aveva basato la maggior parte delle proprie decisioni.
Non per ultima quella di assoldare lord Geneviev, cavaliere fidato di O'Braam, come spia per raggiungere il nostro annoso obiettivo di rovinare quell'uomo fino a condurlo alla morte certa.
Per quanto fino ad ora le sue notizie fossero state approssimative e poco utili per la nostra causa, ciò che mi aveva appena riferito ribaltava tutta la situazione, ponendo me e mio marito in netto vantaggio.
"Ne siete certo?", chiesi. Il cuore batteva nel petto frebbricicante e vittorioso.
"Ve lo posso giurare, Signora. Lord O'Braam ha raggiunto la moglie per un saluto e poi si recherà al suo castello, deciso a rimanerci fino alla nascita del suo primogenito. Se vorrete attaccarlo, quello sarà il momento migliore".
Lo fissai di sbieco. "Nessuna notizia su dove si trovi sua moglie?".
"Questo purtroppo non sono riuscito a scoprirlo", tagliò corto. Fin troppo.
Mi insospettii, ma decisi di farmi bastare la notizia che mi aveva appena fornito. "Quando arriverà al castello?".
"Tra una settimana potrete attaccare", rispose, gettando un'occhiata furtiva lungo lo stretto viale di ciottolato che cingeva le alte mura perimetrali del convento di San Stephen.
Lo zampillare di una piccola fontana teneva le nostre orecchie al riparo dai rumori serali, ma non riuscì a coprire il basso ticchettio dei passi di una donna. Una suora stava passeggiando a pochi metri di distanza, tenendo un rosario tra le dita nodose, ignara della nostra presenza. Stava recandosi verso di noi senza dare alcun segno di timore.
"I miei denari", mi apostrofò svelto, staccando le muscolose spalle dal muro.
"Dovete dirmi altro?", aggiunsi in fretta, tenendo d'occhio la suora. Ancora pochi passi e ci avrebbe raggiunto.
"Niente di rilevante".
"Tenete", gli porsi il borsello di cuoio e lui si affrettò a legarlo alla cinta. "Aspetto altre istruzioni da parte vostra".
"La prossima volta vi chiederò il doppio", mi avvertì con un sorriso gelido.
"E sia", conclusi la trattativa, allontanandomi svelta verso le ombre sempre più scure della sera che, con le loro lunghe dita nere, inghiottirono la mia figura, cancellando la mia presenza da quel posto.
"Che la pace sia con voi, buon uomo", sentii la voce della suora.
"Non ci sarà mai pace, donna".
POV NADINE
L'ultimo gradino sulle scala che dal retro portava al piano superiore era rotto, crepato centralmente e precariamente fissato con dei chiodi di ferro. Posai lentamente la punta del piede, tastando prima con le dita per accertarmi che col mio peso non avrebbe scricchiolato, ma appena vi posai sopra anche il tallone, il legno cedette di un altro po', ingigantendo la crepa in un crepito secco e rumoroso.
Aldilà della parete sentii le voci di lady Clark e Alec interrompersi.
Merda.
Immobilizzai il piede al centro della crepa e restai con l'altro sospeso nel vuoto, tenendomi in equilibrio con una spalla malamente posata contro il muro.
Qualche istante dopo la voce di lady Clark tornò a risuonare acuta e pensierosa. "A dire il vero, mio Signore, vostra moglie non mi ha detto nulla al riguardo".
Mi feci attenta. Che si stavano dicendo? Restai appostata in silenzio, l'orecchio destro premuto contro il legno dela parete, all'altezza di una piccola fessura che dava direttamente alla stanza da cui provenivano le voci. Percepii il rumore del fuoco che scoppiettava vivace nel caminetto. L'odore della legna arsa arrivava fino a me, mescolandosi con l'aria fresca della sera. Mio malgrado tornai con la mente agli inverni della Scozia del XXI secolo, ai suoi cieli brillanti subito dopo un'acquazzone, ai marciapiedi ghiacciati e all'aria così pungente che faceva male a respirarla. Eppure, con mio grande stupore, non sentii quella solita fitta di nostalgia che inesorabilmente mi spingeva fino alle lacrime. Era come se quel senso di solitudine che aveva ghiacciato il mio cuore nelle ultime settimane si fosse dissolto in quei pochi minuti che avevo trascorso tra le braccia di Alec.
"E dove si trova ora?", la voce di Alec mi strappò dal futuro, rigettandomi in quest'epoca.
I marciapiedi ghiacciati scomparvero dalla mia visuale e al loro posto apparve la campagna desolata e aspra, illuminata a malapena dalle luci delle stelle che brillavano in un cielo talmente blu, che sembrava essere dipinto con le tempere che usavo da piccola alle elementari. I miei occhi non si sarebbero mai potuti abituare a quei colori così vivi e differenti. Nel futuro sembravamo solo degli spettatori davanti ad un dipinto ad olio. Ma nel passato... Dio, nel passato sembrava di essere scaraventati direttamente dentro la tela.
"Ve l'ho detto, mio Signore", rispose dispiaciuta Clark. "Ho visto lady Nadine correre lungo la campagna, verso quella strana costruzione in legno che ha fatto costruire per vostro figlio. A dirla tutta, mio Signore, credo non sappia nemmeno lei a cosa possa servire".
"Oh, lei lo sa benissimo, fidatevi", il sorriso, per quanto non potessi vederlo, era evidente nel timbro della voce.
"E da quel momento non è più rincasata", continuò Clark, usando un timbro leggermente più preoccupato. "E' notte, non vorrei le fosse capitato qualcosa. Forse, se posso suggerirvi, dovreste andare a cercarla".
"Temo che in questo momento io sia l'ultima persona che voglia vedere".
Tirai un sospiro di sollievo e mi scostai dalla parete, pronta a cercarmi un altro nascondiglio.
"Ma credo che per questa volta ignorerò il suo desiderio di tenersi al riparo da me e andrò a cercarla", continuò.
Tornai a irrigidire le spalle e mi risistemai contro la parete. Dannazione. Con orrore percepii il rimbombo di alcuni passi sempre più vicini e velocemente mi ristaccai dalla parete, allungando in fretta e furia la gamba sul gradino più in alto. Feci in tempo solo a posare la punta del piede quando un'ombra imponente iniziò a sovrastare la mia.
"Tenete, mettetevi questo", ordinò pratica lady Clark. "Vi terrà caldo. Fuori si gela e temo vi ci vorrà molto tempo per trovarla".
"Lo credo anch'io... oh, trovata!", ridacchiò Alec alle mie spalle. "Dopotutto credo che questo pesante mantello non mi servirà dal momento che ho impiegato meno tempo di quel che temevo per ritrovare mia moglie".
Non mi sfuggì il modo in cui calcò sul possessivo e sentii una fitta di panico nello stomaco. Molto lentamente mi voltai e abbozzai davanti alla sua espressione infastidita.
"Stavate fuggendo da me?", mi interrogò, sarcastico.
"E' così evidente?", abbozzai ancora, a corto di altre espressioni facciali. Mi sembrava di aver avuto una paralisi.
"Sì. Lo è molto meno il motivo che vi spinge a farlo". Lo sguardo lascivo che mi inviò però smentì le sue parole.
Sapeva benissimo perché lo stavo evitando ma voleva sentirselo dire da me.
Ridiscesi con calma i gradini e lo oltrepassai, dirigendomi verso Clark, decisa ad usarla come scudo umano. Il suo ventre era molto più gonfio del mio e a una prima vista avrei potuto giurare che il momento del parto era quasi giunto. Avrei dovuto ricordarmi di visitarla.
"Potete lasciarci?", la invitò gentilmente Alec.
Lady Clark sembrò titubante. Guardò prima me, poi lui, infine di nuovo me.
"Anche se è ormai quasi buio, vorrei dare un'occhiata alla mia proprietà. Sono certo che Nadine abbia voglia di accompagnarmi". Con un sorriso glaciale mi sfidò a contraddirlo.
"Non vedo l'ora", abbozzai. Sì, decisamente i miei muscoli facciali si erano seccati in quell'espressione.
"Col vostro permesso", si declinò Clark, inchinandosi prima verso Alec per poi lanciare un'ultima occhiata preoccupata verso la mia direzione.
Mi sforzai di tranquillizzarla con una sorta di sorriso che non la convinse nemmeno un po', ma ugualmente dopo pochi istanti la vidi scomparire nell'altra stanza. Ero certa stesse andando a cercare lord Stuart e che non ci avrebbero persi di vista ma mi guardai bene dal dirlo ad Alec.
"Vogliamo andare?", mi sollecitò, porgendomi il braccio.
Ignorai quel suo gesto e lo oltrepassai, spingendomi a passo svelto verso il giardino adiacente la casa. Risentii la sua voce solo quando fummo sufficientemente lontani dall'ingresso.
"Stavi davvero fuggendo da me?".
Feci spallucce. "Ero stanca e non avevo voglia di iniziare nuove discussioni".
"Sono certo che, impegnandoci, potremmo avere anche noi due una conversazione normale, come tutte le coppie sposate del mondo".
"Diciamo allora che sono troppo stanca per impegnarmi". Sospirai e guardai davanti a me, non sapendo che direzione prendere. "Vuoi davvero dare un'occhiata alla tua proprietà?".
I suoi occhi vagarono per un momento lungo le campagne. "Vengo qui di rado e vorrei accertarmi che sia tutto a posto. Vieni. Seguimi".
Mentre mi conduceva nel labirinto di stretti sentieri in ghiaia che si biforcavano tra campi destinati alle piantagioni di grano e prati sconfinati di trifogli, indugiò con la mano sull'incavo della mia schiena, poco più sopra dell'attaccatura alle natiche. Irrigidii i muscoli e feci per allontanarmi ma lui non me lo permise, anzi, aprì bene la mano e la lasciò scivolare verso la natica.
Trattenni il respiro e aumentai il passo, incespicandomi su per la collina e mettendo una piccola distanza tra i nostri corpi. Fermi davanti ad un campo completamente ghiacciato ne approfittammo per riprendere fiato.
"Qua vengono coltivate le carote", mi spiegò. "Non è grande ma d'altra parte concedo a pochi contadini fidati di venire a lavorare in queste terre".
"E laggiù?", chiesi, sollevandomi sulle punte dei piedi per osservare meglio ciò che si nascondeva dietro ai cespugli di biancospino.
"C'è un piccolo stagno". Un sorriso nostalgico fece scomparire l'aria severa dal suo volto. "Quando ero piccolo mia madre mi ci portava durante i pomeriggi d'estate e restavamo ore intere a osservare le rane".
Fissai quella macchia nera e indistinta, provando a raffigurarmelo piccolo e chiedendomi se nostra figlia avrebbe somigliato più a lui o a me quando sentii la sua mano posarsi nuovamente sul mio fianco per proseguire svelta attorno alla coscia, in una carezza furtiva.
Mi voltai di scatto, bruciandolo con lo sguardo. "Che hai intenzione di fare?".
Il suo sguardo non cedette di fronte al mio. Il fuoco che infiammava i miei occhi sembrava solo scaldare le fiamme ben diverse che lui stava cercando.
"Io? Assolutamente nulla", ribattè, il ritratto dell'innocenza.
Tirai un lungo respiro, attirando inevitabilmente i suoi occhi contro l'abbondante porzione di seno che il corpetto non riusciva a nascondere. "Solo perché poco fa ho perso la testa non significa che io sia disposta a...".
"Ad ammetterlo?", mi imbeccò, sornione.
"Ammettere cosa?", ringhiai, spostandomi indietro di un passo per mantenermi ad una distanza di sicurezza.
Alcuni passi non lontani rivelarono la presenza di Clark e lord Stuart e con un'imprecazione Alec mi agguantò per il gomito, spingendomi a forza dietro un salice piangente. Sollevò alcuni rami e mi gettò contro il tronco, restando comunque ad alcuni passi da me. Con una fitta di rabbia mi resi conto che eravamo in un nascondiglio perfetto.
"Ammettere che ti è piaciuto il modo in cui la mia lingua ti ha fatto godere", riprese. "Ammettere che essere posseduta da me ti trasforma in un'appassionata libertina".
"Libertina?", scoppiai a ridere tra i denti. Dio, ma chi la usava più questa parola? A parte Alec, ovviamente. "Appassionata?".
"Fidati, so riconoscere la passione quando viene da una donna sotto di me".
"Ho perso la testa", rimarcai. Quindi gli inviai un sorrisetto cattivo. "Puoi dire la stessa cosa di te?".
Mi sorrise di rimando, per nulla colpito dalla mia accusa. "Cosa vuoi farmi ammettere di preciso?"
"Che hai perso la ragione allo stesso modo in cui l'ho persa io".
Con un solo passo annullò la distanza tra noi, imprigionandomi tra il proprio torace e il tronco dell'albero. Una braccio teso accanto al mio fianco e l'altro accanto alla mia spalla. Ero in trappola.
"Lo ammetto, sì. E non me ne pento". Mi guardò intensamente la bocca prima di cominciare a chinare la testa. "Ammetto non solo che non ragionavo poco fa ma anche che non ragiono adesso".
La mia bocca accettò immediatamente la sua invasione, aprendosi per ospitare in me ogni fibra d'amore che la sua lingua trasportava in un miscuglio di sospiri e saliva e calore.
Le sue braccia si staccarono dal tronco per sollevarmi da terra. Mosse il bacino per farmi percepire la sua erezione tra le cosce, spalancate contro i suoi fianchi. Eppure impiegò poco a riprendere il controllo. Interruppe il bacio e mi lasciò nuovamente scivolare a terra, riprendendo il totale controllo di se.
"Non azzardarti mai più a fare una cosa del genere senza prima chiedermelo".
Lui inarcò il suo biondo, irritante sopracciglio. "Quante volte dovrò baciarti per farti ammettere che ti piace?".
Mi sentii avvampare dalla testa alle dita dei piedi... quelle dita che fino a un attimo prima si erano arricciate per il piacere. Alec aveva ragione. Adoravo essere baciata da lui. Non potevo fidarmi di me stessa quando c'era lui nei paraggi. Perché per quanta rabbia provassi nei suoi confronti, gli bastava un niente per trasformarmi in una peccaminosa, vogliosa ragazzina in preda agli stravolgimenti ormonali.
Quando non risposi, Alec sorrise, pigro e insolente, e si spostò leggermente di lato, lasciandomi abbastanza spazio per uscire da quell'improvvisato nascondiglio senza per forza toccarlo.
"Vogliamo continuare il nostro giro prima che ci trovino Clark e lord Stuart?".
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