LA PACE PORTA GUERRA

POV RENUAR

Le calde labbra che lambivano la mia spalla non avevano più il potere di eccitarmi e nemmeno i leggeri capelli che ricadevano provocanti sulla mia schiena nuda, simili ad una lenta e sensuale carezza. Disteso a pancia in giù, sopra lenzuola ormai intrise di sudore e sperma, mi sentivo appagato e fiacco. Il mio corpo luccicava di sudore e a stento riuscivo a tenere le palpebre sollevate per osservare le due prostitute distese accanto a me, una a destra, l'altra a sinistra. 

"Credo che per questa notte non avrò bisogno oltre dei vostri servigi", mormorai assonnato.

Eppure la ragazza mora continuò il suo inesorabile assalto con le curve voluttuose che premevano eroticamente sul mio fianco, morsicando lievemente le mie natiche. 

"Solo un'altra volta", mugugnò, affondando le sottili dita tra i miei capelli per tirarmi il capo verso il suo petto.

Le afferrai il polso per farle allentare la presa. "Smettila, sgualdrina".

Quella donna era una prostituta irlandese sempre desiderosa di compiacermi. Non conoscevo nè il nome nè l'età ma a giudicare dalla sua comprovata esperienza doveva aggirarsi sui venticinque anni. L'altra invece era più remissiva e molto meno passionale. Si adattava pienamente al mio carattere e sapeva bene come soddisfare un uomo nel miglior tempo possibile. 

"Voglio solo farvi godere un'altra volta. Una soltanto", si lamentò con voce mielosa. 

"Credo che due volte sia abbastanza". 

Per tutta risposta si chinò per offrirmi un seno, stuzzicandomi le labbra con la punta del piccolo capezzolo roseo. "Non mi desiderate più?".

Sorrisi mio malgrado, stringendo scherzosamente tra le dita il turgido capezzolo. "La mia passione per te potrebbe svanire solo castrandomi. Ma ora è tempo che tu vada". Diedi una pacca al sedere dell'altra sgualdrina. "Anche tu, forza. Vi voglio fuori di qui entro breve".

"Ma perchè?", brontolò nel sonno la puttana più remissiva. I suoi lunghi capelli rossi le abbracciavano le spalle. 

"Conoscete le abitudini di un cavaliere", ricordai ad entrambe, sollevandomi su un gomito. "Un'eccessiva indulgenza ai piaceri carnali non si addice a un guerriero: lo renderebbe indolente".

Tirai un lungo respiro col naso quando i miei occhi si posarono inavvertitamente sul corpo procace della puttana irlandese: steso sui cuscini disordinati, cercava autonomamente un sollievo che stavo rimandando. Le dita solleticavano le cosce spalancate per me in carezze languide e circolari. 

"Una sola volta, mio Signore. Vi scongiuro".

"E sia", mi arresi, allungando stancamente le dita per carezzarle l'apertura già umida.

Le separai le labbra intrise di passione, alla ricerca del clitoride che trovai gonfio e palpitante nel suo nascondiglio fatto di carne liscia, calda e bagnata. Era pura e incantevole delizia per il tatto. 

Dopo soltanto un momento dalla gola della donna uscì un gemito così acuto che temetti potessero sentirlo per l'intera vallata. Gettò indietro la testa, roteando gli occhi e dimenando i fianchi. 

"Dentro. Venite dentro di me". supplicò.

"Vi farò godere, donna, a patto che non mi diciate cosa debba fare", l'avvertii.

In preda all'eccitazione inarcò la schiena e il suo procace corpo tremò nella tenue luce delle candele. Durante questi ultimi mesi questa puttana mi aveva confortato sovente, accorrendo al mio bisogno con celere passione, anche quando le mie chiamate erano diventate fin troppo frequenti. Avevo bisogno di lei perchè era un ottimo diversivo al dolore. Quando mi rotolavo nelle lenzuola con il suo corpo, il pensiero di Nadine si attutiva. Restava sempre lì ma almeno non faceva così male. Meritava quanto meno una ricompensa.  

Nell'udire dei passi veloci e sempre più vicini lungo il corridoio fermai le dita dentro di lei, lasciando che la sua erotica carne umida le inghiottisse. 

Sgranò gli occhi, irrigidendosi. "No! Non potete smettere, mio Signore... non ora". 

Accennai un sorriso di scuse e lasciai che le dita scivolassero lentamente fuori di lei. "Presto avrai ciò che brami. Te lo prometto".  

Trascorsero pochi secondi prima che si udisse bussare alla porta. Appena ordinai di entrare, Stuart fece capolino, registrando frettolosamente la presenza delle due puttane. 

"Scusate l'interruzione, mio Signore, ma ho le notizie che attendevate".

 Con un colpetto sul fianco invitai la puttana a coprirsi con un lenzuolo e mi misi a sedere sul bordo del letto, ravvivandomi i capelli. "Ditemi, dunque. Che notizie portate?".

"I conti e i baroni che si sono schierati a favore dei Campbell hanno intrapreso una guerra privata per guadagnare terre e uomini. Tuttavia il nostro esercito in quest'ultima battaglia è riuscito a marginare gli attacchi, facendo ritirare gran parte delle truppe parlamentari. Re Carlo ha quindi denunciato l'anarchia che impera nel regno, denunciando di illegalità i conti e i baroni ribelli".

Mi avviai nudo al piccolo tavolo posto sotto la finestra sul quale vi era una brocca di birra. La versai in due coppe di feltro e ne porsi una a Stuart. Quindi sollevai la mia. 

"Alla Scozia monarchica!"

"Brindiamo!", gongolò, facendo tintinnare il bordo della propria coppa contro la mia. "Tuttavia, mai come ora c'è bisogno di mantenere questo traguardo. La vostra presenza nell'esercito si comincia a sentire".

"Era ciò che speravo di sentirvi dire", Trangugiai un sorso. "Perciò Alec O'Braam vi ha inviato la richiesta di mandarmi al fronte? Mi chiedevo quanto ci avrebbe impiegato".

"Non è stato lui a dire il vero. Ma lord Geneviev".

Mi accigliai. "Quel cavaliere fa le veci del nostro Signore?".

"Più che le veci, è divenuto il suo più grande confidente e non di rado riesce a farlo ragionare. Se vi ha mandato a chiamare, lord Renuar, ho ragione di credere che anche Alec O'Braam senta la vostra mancanza".

"Non l'ha fatto di persona per il semplice fatto che, chiamandomi in battaglia, lascerebbe Nadine senza protezione", annuii, sovra pensiero. Era logico e prevedibile. 

"Su questo spero che troverete un'ottima e sicura soluzione".

"Oh, statene certo che la troverò", schioccai la lingua, già impaziente di partire per il fronte.  

Pregustavo la battaglia imminente. Non solo per sdebitarmi e riabilitarmi agli occhi del mio Signore per i disaccordi incontrati in passato, ma anche perchè ero impaziente di prendere le armi a fianco del mio Re. Ero rimasto inattivo per troppo tempo. La mia spada e la mia lancia si stavano arrugginendo per lo scarso utilizzo. 

"Vi auguro di trovare un ingente numero di ribelli su cui sfogare la vostra frustrazione, prima che il vostro caratteraccio vi renda ancora più detestabile".

"Detestabile io?", protestai divertito. "Ma se sono così docile da andare d'accordo persino con una donna come Nadine?".

Stuart scoppiò a ridere. "Ve lo concedo: stare accanto a Nadine Low è per lo più stancante. Ma che mi dite delle cinque quintane che avete distrutto durante il vostro ultimo allenamento? Se i fantocci fossero stati ribelli, ora vi sarebbe impossibile sotterrarne i corpi" 

Svuotai la coppa e la riempii nuovamente. "Sono stato troppo a lungo confinato in queste terre e il mio carattere ne ha risentito, gettandomi nello sconforto".

"Ad ogni modo noto che avete trovato un modo per ingannare il vostro tempo", con un sorriso malizioso indicò le due puttane che giacevano ancora nel letto. "Due prostitute contemporaneamente, mio Signore? Mi chiedo se le avete cavalcate così tanto da non riuscire più a salire sul vostro stallone".

"Ho montato due puledrine, riuscirò a saltare in sella senza difficoltà", sorrisi ironico. "Ma non è che sotto sotto mi state rimproverando solo per avere con voi una delle mie puttane?".

Stuart fece una smorfia divertita quando la puttana irlandese abbassò il lenzuolo, mostrando le sue procaci forme. "Voglio la mora. Quanto mi costa?".

"Prendetevela". Sollevai la coppa in un silenzioso brindisi. "Offro io".

POV NADINE

Lady Clark entrò nel salotto, trasportando un piccolo vassoio vuoto. Suo figlio gattonava accanto alla sua lunga gonna, sforzandosi di non scivolare sulle ginocchia. La cercava sempre con i suoi occhietti neri e vispi, come se un legame invisibile lo portasse a gravitare attorno alle espressioni della madre. Bastava che Clark fosse leggermente più stanca o irritata del solito ed ecco che lui piangeva per ore. Erano in totale simbiosi. 

"La cena è servita, mia Signora", soffiò. Era stanca. Molto più di quanto volesse dare a vedere.

"Mi spieghi perchè non posso mai aiutarti a cucinare?", la sgridai, avvicinandomi per esaminare le occhiaie profonde.

L'ittaro era bianco e non c'erano presagi di un mal funzionamento del fegato. Mi tranquillizzai all'istante.

"Perchè voi siete la Signora", ripetè per la centesima volta, retrocedendo per scampare alla mia esaminazione.

"Nel futuro le donne non avranno bisogno di cuoche personali".

"E voi che ne sapete del futuro?", brontolò, staccando la manina del piccolo Joseph da una piega della gonna. "Ohh, dovrai diventare cavaliere prima o poi, piccolo mio. Così forse potrò camminare nuovamente senza paura di calpestarti".

"Ne so quanto te sul futuro", mentii con disinvoltura. "Ma sono certa che sarà così".

"Mi auguro di no, altrimenti quelle come me si ritroveranno tutte senza un lavoro". Si inchinò per prendere Joseph in braccio. "Sei tutto sporco, guardati. Quando imparerai a camminare?".

"L'inizio della deambulazione autonoma è una caratteristica familiare: se uno dei genitori ha iniziato a camminare presto è possibile che anche il piccolo inizi presto. In ogni caso la media per i primi passi è dodici mesi", risposi automatica e professionale, scostandomi dalla finestra.

Le ombre della sera erano calate rapidamente e il gelo si intrufolava da ogni spiffero. Chiusi l'anta di legno, fermandola con il pomello ormai arrugginito.

"E voi come sapete tutte queste cose?", si stupì.

"Ho avuto tanti nipoti", mentii di getto. Ero diventata così abile che di tanto in tanto le mie bugie convincevano anche me.

"Bene! La cena è pronta, se volete accomodarvi. Renuar vi sta già aspettando".

Sistemai la crocchia e attraversai il salone dopo aver lanciato un bacio volante al piccolo. Come aveva indicato Clark, Renuar era già seduto a tavola, davanti a un boccale di birra. La mano stretta attorno al bordo evidenziava un tremore dei polpastrelli. Mi misi sul chi va là e osservai attentamente le sue dita, così grosse, forti, solo parzialmente coperte dalle maniche della tunica... erano capaci di grande violenza e allo stesso di tenera compassione. Anche se non temevo più il suo carattere, poichè negli ultimi mesi era riuscito a smussarlo rendendolo addirittura gradevole, non mi sentivo mai completamente a mio agio quando gli stavo accanto. Guardinga ne fissai i lineamenti fieri e nettamente cesellati, cercando di intuire quale fosse il suo stato d'animo. Ma purtroppo gli occhi erano nascosti da alcune lunghe ciocche di capelli. Perciò spostai lo sguardo sul suo corpo, sforzandomi di interpretare ogni piccolo movimento. Dotato di un fisico superbo e di un'incredibile potenza muscolare, Renuar possedeva un aspetto imponente che allarmava e intimidiva i nemici e che suscitava rispetto e fiducia negli alleati.  

"Per esperienza so che quando le donne pensano troppo significa che stanno tramando qualcosa di losco", interruppe il silenzio quasi subito.

"Sono solo stanca", tagliai corto, fingendomi distratta da un pezzo di pane nero. 

"Permettetemi di ripagare i vostri sforzi quotidiani con un piccolo omaggio". Si sollevò da tavola, allungandosi sopra i taglieri vuoti per porgermi un fiore.

Disorientata sollevai lo sguardo sul suo duro volto: gli occhi color dell'ambra, acuti e furbi come quelli di un falco, mi fissavano divertiti sotto un paio di sopracciglia scure e spesse, nascondendo a mala pena la domanda che ardeva nel fondo di quelle pupille dorate. 

Il fiore vibrò tra le sue forti dita, apparendo fin troppo delicato tra la mano di un uomo abituato più che altro a stringere una spada per dispensare morte. Lo afferrai e lo avvicinai al naso per captarne il profumo ma, come temevo, il gelo ne aveva catturato tutta la fragranza.

"Ti ringrazio".

"Insisti a darmi del tu, pur consapevole che un tale grado di intimità potremo raggiungerla solo dividendo lo stesso letto", mi fece notare, rimettendosi seduto.

"L'usanza del voi mi è ancora difficile da rispettare".

"Se qualcuno vi sentisse potrebbe insinuare che sia vostra consuetudine scaldarmi il letto".

"Non per mettere in dubbio la tua virilità ma dubito che riusciresti a reggere tre amanti", lo punzecchiai, facendogli capire che avevo sentito benissimo le grida delle due prostitute che aveva condotto in questa casa.

La sua risata mi spiazzò. "Ne siete gelosa?".

"Non diciamo assurdità".

Lui sembrò esitare prima di lanciarmi una breve, enigmatica occhiata. "A tal proposito ho una domanda da porgervi: è un matrimonio tra noi due ciò che desiderate per il vostro futuro e quello della piccola Zoe?".

Sgranai gli occhi, allucinata. Avevo sentito bene? In base alla mia scarsa esperienza in questo luogo, sapevo che nessun uomo avrebbe mai chiesto il consenso di una ragazza, essendo la sua unica preoccupazione quella di guadagnare terre e combattere. Di certo le terre contavano molto e il consenso di una donna molto poco, a dispetto dei tentativi della Chiesa di assicurare una maggiore protezione alle spose dissenzienti. 

"Sì, Renuar. E' ciò che voglio. Conosco la mia posizione e riconosco purtroppo che in quest'epoca ho bisogno di un cavaliere che possa conservare il mio titolo e i possedimenti che un giorno erediterò. Una donna ha bisogno di un marito capace di mantenere l'autorità e proteggere le terre", recitai a memoria una frase che mi aveva detto Clark.

Nel vedere il volto di Renuar adombrarsi intuii che la risposta che avevo dato non era quella che lui voleva sentire. "Una filosofia giudiziosa che purtroppo non vi si addice per nulla".

Trascorse un momento prima che lui riprendesse a parlare, e quando lo fece la sua voce aveva un tono forzato, quasi teso. "Non desidero affatto costringere una donna riluttante ad unirsi a me in matrimonio. Soprattutto se le sue vere intenzioni sono quelle di punire l'orgoglio e risvegliare la gelosia di un ex marito".

"Se sai tutte queste cose perchè mi hai rivolto quella domanda?".

Per un attimo incrociò i miei occhi e mi sembrò di scorgere un'ombra di desolazione, un balenio di qualcosa molto simile alla tristezza. Ma fu solo un attimo. "Voglio essere certo che non abbiate alcuna obiezione nel sentirmi dire che non è voi che voglio come mia moglie".

Socchiusi gli occhi, guardinga. "Non ti credo".

"Dubitate della mia parola?", si offese, posando le spalle sullo schienale della sedia quando Clark si avvicinò silenziosa per porgere al centro del tavolo un vassoio colmo di fagiani e carote.

"Serve dell'altro, miei Signori?", chiese, la testa china in segno di leale sottomissione.

"Potete andare", la liquidò Renuar, accompagnando le parole con un gesto frettoloso della mano. Attese che si allontanasse prima di posare entrambi i gomiti sul tavolo, in una posa fin troppo rilassata. "Quindi? Su che basi insinuate che vi stia mentendo?".

"Il fatto che per mesi mi hai minacciata per farmi entrare nel tuo letto. Hai persino costretto Alec a inviarmi una lettera in cui mi imponeva di diventare la tua amante. Ecco perchè mi è difficile credere che getti la spugna così di punto in bianco".

"Non so cosa significhi gettare la spugna ma vi garantisco che le mie parole sono veritiere, come lo sono le mie intenzioni".

"E allora perchè darti tanto da fare per mesi quando in realtà non mi vuoi?".

"Oh, ma io vi voglio", sorrise malizioso, sfilando il proprio coltello dalla cintola. 

Lo conficcò nel petto del fagiano, dividendolo in due metà pressoché perfette e me ne porse un pezzo prima di servire sè stesso.

"Vi voglio eccome, Nadine Low. E se foste abbastanza audace da volerlo constatare di persona, vi basterebbe venire qui da me e toccarmi la patta dei pantaloni".

Gli lanciai un'occhiataccia. "Ti credo sulla parola".

"Codarda", sussurrò in un sorriso che tardò a svanire.

Era il primo che mi rivolgeva da quando avevo partorito ed ebbe il potere di fargli brillare quegli occhi dorati, duri ma non crudeli, così limpidi di fronte alle sue emozioni che era impossibile non riuscire a leggerli come un libro aperto. Li fissai a lungo, scavando nello sguardo ironico. Era lo stesso con cui mi aveva esaminata la prima volta che l'avevo incontrato; a cavallo di un imponente destriero, con indosso l'usbergo, la sua figura mi era apparsa minacciosa con lo stendardo e lo scudo sui quali era disegnato l'emblema degli O'Braam. Sulle prime i suoi modi mi erano parsi freddi, scostanti e pericolosi. Ma poi quello sguardo sbarazzino e ironico aveva fatto capolino sul suo volto altrimenti troppo severo, mettendo in evidenza forza di carattere e uno spiccato senso dell'umorismo. All'improvviso mi resi conto che avevo imparato a fidarmi di quegli occhi.

"Io vi amo", buttò lì, franco, senza giri di parole. "Per questo voglio lasciarvi libera".

"Credo di non seguirti", balbettai, maledicendo la mia scarsa capacità di non lasciarmi sopraffare dalle emozioni.

"Eppure ciò che vi sto dicendo è molto semplice, fin troppo elementare per non essere compreso dalla vostra mente eccelsa", c'era una punta di derisione nel suo tono ma cercai di non darvi peso.

Addentai un pezzo di fagiano per guadagnare tempo. Sentivo che la situazione mi stava sfuggendo di mano. La sua logica vacillava nei cavilli della razionalità.

"Dici di amarmi ma non hai esitato a reclamarmi come tua amante, usando persino l'inganno e le minacce per raggiungere il tuo scopo", lo accusai dopo aver inghiottito.

Sul suo volto balenò di nuovo quel truce sogghigno, appena visibile dietro il boccale di birra. "Dovreste sentirvi lusingata".

"Mi sento offesa".

Restai a guardare il complesso tumulto delle emozioni che giocavano nei suoi espressivi occhi, tutte inaspettate. Sembrava addirittura dispiaciuto. Possibile che la sua mentalità gli impedisse di comprendere quanto umiliante fosse stata la condizione in cui avevo dovuto vivere negli ultimi mesi? Pensava forse che le donne fossero utili solo a letto? Inarcai un sopracciglio, sopra pensiero. Trattandosi del XVII secolo probabilmente sì.

La sua replica impiegò molto tempo. "Eppure le mie strategie per portarvi a letto avrebbero dovuto farvi capire quanto disperatamente vi volessi".

"Ti assicuro che queste tue strategie sono state offensive, nel posto da cui provengo le donne non vengono trattate come prostitute".

"Ma voi non siete nel posto in cui la vostra mente ha vissuto. Inoltre, se posso permettermi,  consentirvi di girare per strada mezze nude é  trattarvi come prostitute. Una donna dovrebbe mostrarsi solo al proprio marito e non mettersi in mostra per quello di un'altra".

La sua replica mi zittì, perciò cambiai tattica. "Non è forse la stessa cosa che hai fatto tu? Volevi trasformarmi nella tua prostituta".

"Ciò che volevo era sposarvi ma la Chiesa non ha concesso a voi l'annullamento", replicò freddamente. "Mi dolgo per gli errori commessi in passato, la mia pretesa di portarvi a letto è stata forse troppo meschina. Tuttavia mi piacerebbe chiarirvi il concetto che voi siete stata solo una pedina in una lotta tra me e Alec O'Braam".

"Una pedina?", mormorai senza fiato.

"Ero arrabbiato con Alec O'Braam. Non tolleravo la sua decisione di allontanarmi dalla battaglia per fare da balìa a voi, mia cara Nadine. Siete la donna che amo e che non potrò mai avere, tuttavia lui mi ha incaricato di proteggervi, obbligandomi ad una stretta vicinanza con voi pur consapevole che ne sarei uscito col cuore sanguinante".

"Eri l'unico di cui si poteva fidare".

Schioccò la lingua un paio di volte, scrollando lentamente la testa. "La sua decisione di mandarmi qui non è stata altro che una punizione per aver disertato i suoi ordini nel mentre che voi due ve la spassavate nel futuro. Vi volevo come amante, questo sì, e vi vorrei anche ora, in questo preciso istante. Dio solo sa come io possa resistere alla tentazione di sdraiarvi su questo tavolo e allargarvi le gambe".

Sollevai il boccale fingendo di bere e usandolo come una sorta di scudo tra il mio sguardo e il suo. Ero consapevole di essere arrossita ma Renuar non sembrò voler infierire.

"Ma più di ogni altra cosa volevo vendicarmi".

"Usando me?".

"Ero arrabbiato anche con voi", chiarì, cercando di giustificarsi. "Ho impiegato molto ad accettare che il vostro cuore non mi sarebbe mai appartenuto. Lo tenevate al riparo da ogni mio tentativo di corteggiamento, congelato e immutato in attesa solo che vostro marito tornasse... vi ho odiata, persino".

"Se è un perdono che stai cercando non lo troverai da me. Sei stato tu a cacciarti in questa situazione e non puoi biasimare Alec per aver punito un tuo tradimento".

"Tradimento?", alzò la voce, scettico. 

"Hai usato le mie informazioni storiche per agire alle sue spalle, fomentando una rivolta nelle nostre terre e lasciandole senza difese".

"Non potevo sapere le conseguenze del mio gesto".

"Ma potevi immaginarle. Cambiare la storia comporta disastri. E' morta gente per colpa tua".

Un moto di rabbia fece scintillare i suoi occhi, portandolo a mettersi sulla difensiva. "Quale uomo non userebbe delle informazioni preziose come le vostre per arrivare ad una vittoria? Non prendetela per un affronto personale ma la vostra stessa vita non vale nulla se paragonata alla monarchia. Re Carlo ha bisogno di un valido sostegno e se per averlo degli innocenti dovranno perire, allora moriranno come eroi e non certo come martiri".

Scrollai la testa, in netto disaccordo. "Non arriverete comunque ad una vittoria".

"Questo lo dite voi".

"Lo dicono i libri di storia".

"Attualmente le truppe parlamentari sono in ritirata", mi informò. Dava per scontato che mi stessi sbagliando, basando l'intera sorte della guerra su una singola e momentanea battaglia vinta.

"I libri parlano anche di questo, lo so. Ma quella che state affrontando è una lotta che non vi vedrà mai vincitori. Tra breve le sorti si ribalteranno e con l'intervento di Oliver Cromwell l'esercito parlamentare tornerà in vantaggio. Il prossimo 18 giugno a Chalgrove e a Lansdowne combatterete ancora, e ancora vincerete. Ma il 2 luglio le sorti della guerra vireranno a favore del Parlamento. Con la battaglia di Marstone Moor, l'esercito parlamentare guidato da Oliver Cromwell sbaraglierà le truppe del re e con la battaglia di Naseby le annienterà definitivamente". 

La sua espressione si congelò in una smorfia. "Cosa accadrà in seguito?".

"Grazie alla vittoria, il Parlamento estenderà il suo controllo per buona parte della Scozia. La disfatta di Carlo nella gestione militare degli affari scozzesi comporterà una crisi finanziaria tale da mettere fine al periodo in cui il sovrano aveva potuto imporre il suo governo assoluto. Oxford verrà messa sotto assedio e quando re Carlo rifiuterà ogni proposta del Parlamento verrà decapitato".

Renuar sbattè le ciglia, deglutendo rumorosamente. "Motivo in più per raggiungere Alec O'Braam e cercare di modificare gli eventi".

"Vuoi tornare a combattere?".

"Dolente di informarvi con così poco preavviso, mia Signora, ma non vedo alternative. Con lord Geneviev, Alec O'Braam ed io, Cromwell non avrà scampo. Ditemi: anche questo era scritto nei libri che avete studiato?".

La sua calma dichiarazione conteneva un minaccioso desiderio di combattere, ma fu soprattutto il suo sguardo pericoloso a turbarmi. Al suo contegno si era sostituito uno sguardo freddo e febbrile. 

"No", mormorai, spaventata. "Il tuo nome non appare nelle ultime battaglie". Quindi lo freddai col peggiore dei miei sguardi. "E disertando nuovamente ad un ordine di Alec non farai altro che sottovalutare un destino già scritto, rischiando di gettarlo nel caos".

Scostò il tagliere ormai vuoto e controllò quanto avessi mangiato. Non avevo quasi toccato cibo e nell'accorgersene si accigliò.

"Così è deciso", decretò infine.

I nostri sguardi guerreggiarono ma Renuar si rifiutò di cedere. 

"Che ne sarà di me?", chiesi.

"Tornerete al castello di Alec O'Braam".

Rimasi immobile a guardarlo, chiedendomi se fosse impazzito. "E' fuori discussione".

"Non era nelle mie intenzioni darvi la possibilità di scegliere. Andrete lì, che voi lo vogliate o no. So per certo che la gente non pensa a voi come ad una strega e ogni cavaliere dei Campbell è impegnato in questa nuova battaglia. Nessuno vi minaccerà".

Mi alzai di scatto, furiosa. "Non è questo il punto".

"Rimettetevi seduta". La sua voce fredda e falsamente vellutata non ammetteva repliche.

Eppure l'unica cosa che riuscii a fare fu restare immobile a guardarlo, cercando di reprimere un urlo. Quando esitai, gli occhi di Renuar si socchiusero fino a diventare due fessure. 

"Ora , donna. Non costringetemi a venirvi a prendere".

Mi chinai lentamente, con la gola chiusa dalla paura, stringendomi al bordo del tavolo per vincere le vertigini.

"Ora spiegatemi cosa vi preoccupa".

Voltai la testa di lato, decisa a tapparmi la bocca. Ero consapevole di essere regredita a quindicenne ma non smaniavo di rivelare ad alta voce il motivo che mi portava a non voler mettere piede in quel castello. Non riuscivo a parlare. Il respiro era imprigionato nei polmoni e il cuore stretto in una morsa.

"Non amo aspettare una risposta".

"Non ho risposte da darti".

Il volto di Renuar divenne pietra mentre i suoi occhi penetranti si stavano trasformando in due pezzi di ghiaccio. "Devo minacciarvi per farvi parlare?".

Deglutii, ripensando alle volte che mi aveva punita. "No".

"E allora dannazione a voi, aprite la bocca".

Chinai il capo. "Non voglio che Alec, tornando dalla guerra, mi trovi al suo castello".

La sua espressione glaciale non vacillò. "Per quale ragione?".

"Mi ha abbandonata. E' tornato per...", esitai, mangiucchiandomi un'unghia.

"Per possedervi?", mi aiutò.

Alzai la testa di scatto. "Come lo sai?".

"So ogni cosa che vi riguarda. Proseguite...".

Mi guardai attorno, nervosamente. Volevo fuggire ma avevo troppa paura di Renuar per farlo. 

"Non pensateci nemmeno", intuì le mie intenzioni. "Vi riprenderei prima ancora che possiate fare due passi".

Afflosciai le spalle. Dio, quanto era irritante quell'uomo!

"Non voglio che possa pensare che io stia aspettando il suo ritorno", ammisi.

La sua risata secca fece vibrare la candela posata accanto al suo braccio destro. "Mi state dicendo, forse, che non lo amate più?".

"Lo amo. Ma non posso perdonare la sua scelta di abbandonare me e Zoe".

"Bene. Ora è tutto chiaro".

Si alzò pigramente, strofinandosi le mani sporche di sugo sui pantaloni, avviandosi poi verso la porta che dava sulle scale. 

"Potrò quindi restare qui?", lo fermai, speranzosa.

"No. Andrete comunque al castello", mi contraddisse senza nemmeno voltarsi.

"Renuar...".

"Non sperate di scendere a patti con me", borbottò.

Quindi posò la spalla sullo stipite, insistendo a darmi le spalle. Quando parlò la sua voce rimbombò calma nel vuoto del corridoio:

"Ammiro il coraggio di Alec O'Braam. Pochi uomini avrebbero trovato la forza di abbandonare una donna come voi".

Strinsi le mani in pugno, recependo quelle parole come un affronto. Avrei voluto che fossero accompagnate da un'espressione ma da come si era posizionato, sembrava volermi nascondere il propri volto.

"Ogni giorno che Alec O'Braam è stato lontano da voi, è un giorno che voi avete potuto vivere", continuò, il tono quasi sconfitto, come se invidiasse ciò che il suo Signore aveva fatto a me. "Siete così cieca, donna, da non capire che con ogni suo addio, una parte di lui è morta per far vivere voi?".











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