DALLA PARTE DI RENUAR

POV NADINE

Appena mi lasciò andare girai di scatto su me stessa, ritrovandomi faccia a faccia con lui. 

I sogni non gli avevano reso giustizia.

Ogni dettaglio del suo volto, sebbene deturpato dalla stanchezza, conservava un chiaro ricordo che nonostante il viaggio nel tempo non si era perso nelle spire di quel maledetto sortilegio. La mascella squadrata, ricoperta da un velo di barba bionda, si tendeva verso l'alto in quello che sulle prima somigliava ad un sorriso di puro sollievo. Lo sguardo attento e febbrile era quello di un uomo che faticava nel credere a ciò che stava vedendo. Le iridi, rese più scure dai bagliori argentati della luna, confermavano il suo bisogno di accertarsi che fossi tutta intera. 

Sapevo che le varie ecchimosi sulle mie braccia non sarebbero sfuggite alla sua analisi e non tentai di nasconderle. Era giusto che sapesse a chi aveva affidato la mia protezione. Non avevo il desiderio di farlo sentire in colpa per un suo sbaglio di valutazione, ma se volevo uscire da quell'assurda situazione avrei dovuto far affidamento al lato più possessivo del suo carattere e spingerlo poi ad agire di conseguenza e portarmi via di lì. 

"Ciao", sussurrò in un sorriso.

Ma io non ricambiai. La sua voce, così bassa e calma, era riuscita a riportare a galla le ultime parole che aveva pronunciato prima di lasciarmi e la rabbia arrivò fulminea, invasiva. Prima che la razionalità subentrasse, ascoltai l'ordine impartitomi dal cervello e lasciai che la mia mano si sollevasse per colpirlo al centro della guancia.

"Ahia", borbottò, limitandosi a stiracchiare la mandibola. Patetico.

Mi massaggiai il palmo e retrocessi di un passo. "Perché sei qua?".

"Sono riuscito a svignarmela dal castello senza che nessuno... ahia!", terminò in un ringhio.

Solo a quel punto mi resi conto di averlo colpito una seconda volta. Abbassai il braccio di scatto e mossi velocemente le dita, intorpidite per la violenza con cui le avevo fatte sbattere contro di lui.

"Mi dispiace".

Le sue sopracciglia scattarono all'insù in un movimento rapido. "Sul serio?".

"No, affatto. Perché te ne sei andato? Mi hai lasciata in mano a Renuar e... e...". Deglutii, stravolta.

Per intere settimane avevo allenato la mia mente all'eventualità che ci fossimo rincontrati. Avevo messo a punto e ripetuto in silenzio per centinaia di volte le innumerevoli frasi che avrei potuto dire nel momento in cui mi sarei ritrovata di fronte a lui. Ma la realtà aveva stravolto ogni mia fantasia. Le parole si erano eclissate, portando con se la rabbia.

Non vi era poi molto spazio per il rancore dal momento che Renuar aveva fatto tabula rasa dei miei sentimenti. Fu per questo che non riuscii a terminare la frase con le parole, preferendo concluderla con una dimostrazione visiva di ciò a cui ero stata sottoposta da quando i miei occhi si erano affacciati nel 1600.

Allungai le braccia in avanti, permettendo ad un fascio di luce di riflettersi nei punti in cui la rabbia di Renuar si era scatenata. Gli ecchimosi erano la concretezza del mio terrore, la risposta del perché i miei occhi da troppo tempo avevano dimenticato come si faceva a sorridere. Ma soprattutto, erano una supplica.

Gli occhi di Alec si scurirono mentre percorrevano lentamente gli ematomi, ispezionandoli in un silenzio che non faceva presagire nulla di buono. Infine la sua mascella si serrò con talmente tanta foga che nel silenzio potei sentire chiaramente i denti cozzare l'uno contro l'altro.

"È stato Renuar?", ringhiò, basso. Lo sguardo truce.

Annuii e subito rimasi senza fiato nel vedere ogni aspetto della sua espressione tramutarsi in sollievo. La fronte increspata si rilassò e le iridi si schiarirono leggermente, esattamente nello stesso modo in cui il cielo ritorna ad essere terso dopo una tempesta. 

Sbattei le palpebre un paio di volte. Mi sentivo completamente spiazzata dalla sua reazione. Non che avessi desiderato uno scontro alla stregua de Il Gladiatore, anche se non mi sarei disperata più di tanto nel vedere Renuar contorcersi agonizzante, ma sicuramente non avevo preso in considerazione nemmeno per un istante di dover avere a che fare con un Alec  contento che a picchiarmi fosse stato l'uomo che aveva giurato di proteggermi. 

"Non mi piace la tua espressione", borbottai, ritirando le braccia.

Di colpo diventò serio. Mi afferrò il mento con ferma dolcezza, costringendomi a guardarlo. "E a me piace ancora meno scoprire che ti sei comportata in un modo così poco appropriato da dover costringere Renuar a punirti".

"Costringere...?", farfugliai, in un disperato tentativo di ritrarmi.

Ma lui non mollò la presa. Le sue dita stringevano troppo forte, in balìa probabilmente della rabbia. Mi facevano male. E poi tutto ad un tratto lessi nei suoi occhi il riflesso di ciò che aveva intenzione di fare. Provai ad oppormi tirando indietro la testa ma era troppo tardi.

Le sue labbra si posarono sulle mie e soffocarono ogni mio tentativo di protesta. Mi baciò con rabbia, bruscamente, mentre con la mano mi teneva ferma la nuca, uccidendo ogni mia possibilità di negarmi a lui. 

Quando provai a spingerlo via posando entrambe le mani contro il suo petto, quasi non se ne accorse e reagì con maggior foga. La sua bocca forzò la mia cercando di aprirla e di insinuare la lingua e il suo caldo respiro all'interno. 

D'istinto lasciai cadere le braccia contro i fianchi, smettendo di lottare e restai impassibile, in attesa semplicemente che concludesse quella sorta di attacco. 

Infine si staccò, lambendomi il labbro inferiore con la punta della lingua e diminuendo la presa contro la nuca quel tanto che bastò da concedermi lo spazio necessario per retrocedere.

"Sei soddisfatto?", domandai, atona.

Il suo sorriso fu accecante. "Molto".

"Tra un secondo sarò molto soddisfatta anche io".

Il sorriso svanì, sostituito dal sospetto. "Che intendi dire?".

Chiusi le dita in pugno e sollevai il braccio, muovendolo con foga in avanti e colpendolo al naso con tutta la forza che possedevo. Il dolore si propagò a velocità dalle nocchie al polso e mi piegai in avanti, stringendo il braccio contro il petto.

"Dannazione!", urlai, saltellando per il dolore.

Alec mi fissava scioccato. "Ti sei fatta male?".

"Merda!!!", strillai.

"Puoi parlare un po' più a bassa voce?", mi apostrofò. Non si sfregava nemmeno il naso. Assurdo. "E magari potresti anche spiegarmi perché mi hai colpito?".

"Mi hai baciata, razza di idiota".

"E' cambiata forse la legge che permette ai mariti di baciare le proprie mogli?".

"Hai perso quel diritto nel momento preciso in cui ti sei schierato dalla parte di Renuar anziché dalla mia".

"Non mi sono schierato dalla parte di nessuno".

"E a me piace ancora meno scoprire che hai costretto Renuar a punirti", lo scimmiottai.

Incrociò le braccia, calmo. "Ti ha picchiata senza una ragione?".

"Esiste una ragione valida per picchiare una donna?", sibilai.

Alec si massaggiò il mento, pensieroso. "Devo elencartele tutte? Sai, dovrei rientrare prima dell'alba". Quindi i suoi occhi si addolcirono. "Vieni qua da me".

"Non mi toccare!".

"Ci siamo svegliate nervosette oggi, eh?".

"Sei tu che mi rendi nervosa".

Spalancò le braccia, innocente. "E perché?".

Le mie braccia scattarono in avanti, automatiche. 

"Lo vedi questo?", posai l'indice su un ematoma. "E questo? Questo lo vedi?", ne indicai un altro. "Me li sono guadagnata per stronzate!". Sollevai il braccio più in alto in modo che il livido accanto al polso fosse ben visibile nella penombra: "Questo è perché non ho raccolto i capelli quando una mattina stavo stendendo il bucato dietro casa". Presi fiato e ruotai il braccio, battendo l'unghia contro il gomito sbucciato: "Questo è stato perché ho detto merda   quando mi è caduto un piatto. E questo...".

"Può bastare".

Mi rilassai un po'. "Spero ti sia bastato per capire in che razza di situazione mi hai cacciata".

"In realtà mi è bastato per comprendere in che razza di incombenza ho gettato Renuar. Vivere accanto a una donna come te è tutt'altro che facile. E le punizioni, se ci pensi bene, sono più che giustificabili".

Strabuzzai gli occhi ed Alec ghignò con quel suo riso basso e rauco che di solito mi faceva saltare i nervi.

"Prima di lasciar sfogo al tuo linguaggio scurrile e completamente anti femminile, concedimi qualche secondo per spiegarti due cosette fondamentali... ammesso che la tua testardaggine ti consenta di stare ad ascoltare un umile marito. Forse nella tua testa c'è l'arrogante presunzione di essere superiore ad un uomo ma ti converrebbe imparare ben presto che le cose non stanno così. Ho vissuto troppo poco nel futuro per comprendere come e quanto le cose siano cambiate ma lascia che ti ricordi che qua non sei nella tua epoca. Qua sei nel XVII secolo. E se non vuoi attirare l'odio di ogni uomo e il sospetto di ogni donna, dovrai comportarti come ti verrà ordinato. Sta a te la scelta".

"Grandioso", brontolai, fissando il pavimento, a occhi bassi.

"Renuar sta semplicemente comportandosi come un qualunque uomo di quest'epoca. Se ti aspetti che lui modifichi il proprio atteggiamento per soddisfare un tuo capriccio, faresti bene a rassegnarti".

Si avvicinò e cercò di guardarmi negli occhi. Evitai i suoi, rialzando la testa.

"Quel povero diavolo ha giurato a me, il suo Signore, di proteggerti. E se per farsi obbedire dovrà portarti ad avere timore di lui, lo farà senza alcun rimorso".

"Picchiandomi?".

"Non vedo segni sul tuo volto".

"Sulle braccia", gli ricordai.

"Quello non è picchiare", minimizzò con una scrollata di spalle. "Nessun giudice lo condannerebbe. Ed io nemmeno, dal momento che il suo è un chiaro tentativo di trasformarti il prima possibile in una donna retta".

Sorrisi stizzita. "Non so in che modo tu sia riuscito a rigirare la frittata".

"Non ho fatto nessuna frittata".

"E' un modo di dire". Mi passai le mani tra i capelli e ruotai su me stessa in un tentativo di recuperare la calma. "Lo odiavi", sbottai quindi, tornando di fronte a lui. "Lo hai chiamato traditore. Ha agito alle tue spalle mentre eri nel futuro con me, rischiando di mettere sotto sopra l'intera storia scozzese e mettendo in pericolo la tua vita".

"I suoi errori politici e militari non riguardano te. Ha sbagliato alcune scelte strategiche e si è messo contro i miei ordini. E stai pur certa che di questo dovrà risponderne personalmente. Ma non posso dire che sta sbagliando con te. Il suo atteggiamento duro ti salverà la vita. E se ti aspetti che lo punisca per questo, allora ti sbagli di grosso".

Ci pensai su un minuto e inclinai la testa da una parte mentre mi guardava in faccia per captare una qualunque mia reazione. Ma oramai il mio cervello si era spento, affogato nella consapevolezza che se avessi davvero voluto salvarmi da quella situazione, avrei dovuto contare solo sulle mie forze. Ero finita direttamente dentro un'epoca sconosciuta, in cui venivano ignorati i diritti basilari delle donne, e in cui mi ritrovavo da sola a combattere una guerra contro un popolo intero. 

"A cosa stai pensando?", mi chiese, innervosito dal mio silenzio.

"Che sei uguale a tutti gli altri. Maschilista fin dentro il midollo".

"Se salvarti la vita mi rende maschilista, sì, lo sono. Voglio esserlo. E non mi vergogno di questa tua accusa".

Retrocessi di un passo, in direzione della porta. "Dovresti".

"Dovrei vergognarmi di volerti difendere?".

"Dovresti vergognarti che per proteggere dalla violenza, usi la violenza". Retrocessi ancora, un po' più velocemente. "Riconosco che come uomo fisicamente sarai sempre più forte di me. Te ne do atto". Superai lo stipite e mi fermai, concedendogli un'ultima veloce occhiata aldilà della spalla. "Ma non sottovalutare la mia intelligenza. Perché ti schiaccerà. Trasformerà la tua forza nella tua stessa debolezza. E allora rimpiangerai ogni tua legge. Rimpiangerai ogni tuo diritto in quanto uomo. Perché ti ritroverai solo. Mentre io non lo sarò. Mai".

"Che intendi dire?", si allarmò, captando il mio avvertimento lasciato in sospeso.

Avanzai lungo il prato, lasciando che l'aria fresca congelasse alcune lacrime sulle mie guance. 

"Lo vedrai", minacciai in un sussurro.





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