I colori della Morte - Parte I


Oh I'm in pieces, it's tearing me up, but I know
A heart that's broke is a heart that's been loved
I fluffed the pillows, made the beds, stacked the chairs up
Folded your nightgowns neatly in a case
John says he'd drive then put his hand on my cheek
And wiped a tear from the side of my face
I hope that I see the world as you did cause I know
A life with love is a life that's been lived.
So I'll sing Hallelujah
You were an angel in the shape of my mum
When I fell down you'd be there holding me up
Spread your wings as you go
And when God takes you back we'll say Hallelujah
You're home.
Supermarket Flowers, Ed Sheeran

***

Il fievole incanto dorato della luce e del calore richiamò a sé la donna, la quale, con passo infermo e tremolante, andò a rifugiarsi nell’angusto cantuccio, accanto a un leggero fuoco che bruciava piano nel camino nero di cenere, in un angolo della stanza spoglia. Ombre scure adornavano il suolo e il soffitto, le proiezioni allungate dei pochi mobili presenti a causa dei raggi argentati della luna che filtravano dalla finestra, tagliando nettamente in due la coltre di oscurità in cui la stanza sembrava essere avvolta.

La sua figura bassa e sottile si stagliò per un attimo di fronte al braciere, tremolando, come in balia di una forte e fredda brezza inavvertibile sulla pelle. Le vesti consunte assecondavano ogni suo movimento, senza un suono, tanto erano usurate dal tempo. Il viso ambrato della donna era segnato da un intreccio di solchi scavati dal tempo e dalle intemperie della vita, mentre gli occhi addolorati, quasi vitrei, riflettevano inermi il riflesso delle fiamme scarlatte che si avviluppavano attorno ai pezzi di legno nel braciere. La bocca sottile era stretta in una riga, contratta dal disappunto che si affacciava sul suo viso senza essere in alcun modo celato.

Nessun suono umano faceva eco ai suoi pensieri, che le martellavano in testa, solo il battito accelerato del suo cuore dava una parvenza di realtà in quella cacofonia di silenzi prolungati e cupi, interrotti unicamente dal crepitio delle foglie fruscianti nell’oscurità, suono non dissimile da quello prodotto dalla brace scoppiettante.

Si appoggiò dolorante sullo schienale della vecchia sedia a dondolo, chiudendo gli occhi e assaporando il dolce torpore che si diffondeva tra le membra infreddolite dall’inverno che imperterrito avanzava. Le ombre si rinfrangevano sul suo volto bruciato dal sole, stanco, seguendo la ragnatela che si diramava sul viso.

La donna ripensò con distacco alla giornata piena di fatiche appena trascorsa, tra il pianto isterico del nipote ancora infante a cui doveva costantemente provvedere e lo sguardo freddo e distante delle nuore, che non esitavano un attimo a impartirle ordini su ordini, senza tener minimamente conto della sua sofferenza. Ricordò le lunghe camminate solitarie per le strade del paese con passo leggermente zoppicante, divenute ormai di ruotine, l’unico modo per allentare la tensione e rilassare i muscoli dopo un’intera giornata di lavoro, quasi forzato, mentre il peso della vecchiaia continuava ad aggravarsi e ad accumularsi sulle sue spalle sempre più ricurve. Nonostante ciò, lavorava, era costretta a lavorare, e l’unica cosa che otteneva nell’assecondare le nuore per amor dei figli, era infinita freddezza e distacco.

Non riusciva più a sopportare quell’eterno circolo vizioso, era stanca, tanto nel corpo fragile, quanto nell’anima ferita. 

Lo sguardo si fece tremolante, appannato da un velo di lacrime che riempivano i suoi occhi stanchi di vedere la miseria nel mondo, le condizioni misere di tutta quella società all’apparenza forte e all’avanguardia, ma che nel fondo nascondeva solo marciume; ma, soprattutto, era stufa dell’aridità dei cuori delle persone che la circondavano, che rendevano la Terra un posto assai peggiore di qualsiasi, infinito Inferno. Pochi erano ancora coloro che potevano vantarsi di non esser stati contaminati dalla crudeltà di quel tempo, pochi a poter camminare a testa alta, con la consapevolezza di essere realmente degni di vivere.

Un’immagine si affacciò alla sua mente, portando con sé solo pura e struggente nostalgia: il viso infantile della nipote lontana chilometri. Sorrise amaramente, nel pensare a quanto dovesse essere cresciuta nel tempo che era trascorso dall’ultima volta che l’aveva vista, l’ultima volta che le aveva parlato tenendola vicino, senza sentire la sua voce mutata al telefono, con il costante ronzio meccanico che accompagnava fedelmente ogni chiamata. Ricordava con chiarezza quando, solo quella mattina, il figlio l’aveva chiamata, di sfuggita, per sapere come stava, se tutto andasse bene. Con un dolore sordo nel petto aveva risposto che sì, stava bene, nascondendo dietro alla voce tremolante non solo a causa della vecchiaia, tutto il fardello di verità celate che si portava dietro. Ma all’ultimo, quando ormai la chiamata stava per giungere al termine, aveva perso il controllo delle sue emozioni sulla sua stessa voce, e aveva pregato, supplicato, il figlio di ritornare da lei, scoppiando in lacrime di dolore contenute solo parzialmente dalla vergogna. Rammentava di quando aveva detto, con voce rassegnata e rotta dal pianto, “Non so se vi rivedrò ancora…”.

Non aveva sentito il figlio osar pronunciare una singola parola, non un sospiro di troppo, però aveva avvertito, dentro di lei, così come solo una madre poteva fare, il suo dolore muto, inespresso. Aveva poi riattaccato, bruscamente, senza nemmeno un saluto, per non dare sfogo ai pensieri che, tumultuosi, le vorticavano nella mente, davanti agli occhi, nel suo animo, nel tentativo di sfociare un mare di parole intrise e pregne di sofferenza e solitudine. Sentiva il richiamo di quelle emozioni inespresse, ma non voleva render ancor più consistente e pressante la distanza che la divideva dal figlio, dai nipoti, dall’unica nuora che avesse mai pensato a lei, prima ancora che a se stessa. Era una distanza non solo fisica, ma anche terribilmente emotiva. Non intendeva aggravarli del peso che lei stessa era costretta a sopportare, ogni giorno, lentamente, senza poter contare su qualcuno che le offrisse anche un grammo di sollievo. Si sentiva trasportare sempre più in basso, in un vortice di tenebre da cui non riusciva a scappare, un tunnel intriso di malignità di cui non vedeva la fine.

Chiuse gli occhi, lasciando vagare la mente agli sporadici attimi di felicità, ormai lontani, ricordi di quando la sua famiglia era ancora unita e non dominata dalla crudeltà di quelle donne che tiranneggiavano su di lei senza tregua, mentre lacrime acide le scivolavano copiose sulle guance smunte, corrodendo il suo animo. Un caleidoscopio di dolore e sofferenza sembrava riversarsi tramite le sue lacrime, altrimenti inespresse.

Stette così immobile facendosi cullare dal lento ondeggiare della sedia a dondolo, dimenticando il presente, lasciando sopraggiungere il passato come unica via per andare avanti e guardare al futuro, un futuro migliore, per lei, per la sua famiglia. Sorgeva in lei una vaga speranza, fin dall’inizio disillusa, di poter riunire un giorno la sua famiglia. Era un desiderio inesaudibile, lei ormai era anziana e non sapeva se i suoi figli sarebbero mai rientrati in patria, da lei.

Nel frattempo, i secondi scorrevano, fatali, scandendo il tempo come una danza macabra che presto sarebbe giunta a termine, mentre il fuoco nel camino iniziava ad affievolirsi, così come la speranza nel cuore della donna. Nella notte, il canto di una solitaria cicala si fece sentire, non seguita dalle sue compagne, quasi a volerla sostenere nel suo dolore cieco.

I ricordi, l’uno sull’altro, si sovrapponevano, come un’unica raffigurazione della realtà confusa e frenetica, dando origine a raffigurazione ostile, cupa. In quel caos, solo un’immagine rimaneva inalterata e incontaminata dalla follia del mondo, l’unica àncora a cui aggrapparsi per non cedere alla disperata pazzia che cercava di prendere il sopravvento nella confusione dei suoi pensieri. Era lui. Era sempre stato lui, nella sofferenza e nella gioia, nella serenità così come nel tormento prolungato.

Il viso del suo amato si prefigurò nella sua mente, distintamente, come se lo avesse visto solo qualche istante prima. Eppure, erano passati anni, decenni, dall’ultima volta in cui aveva sentito la sua mano ferma sulla propria. Era l’unica costante inalterata e conosciuta in quell’insieme di equazioni e incognite.

 Si concentrò, descrivendo le linee dolci del suo viso, cercando di far passare in secondo piano tutto il resto. le rughe minuziose attorno agli occhi splendenti di vita nonostante la mezza età presero forma nella sua mente, la bocca sorridente nonostante il dolore prefissogli dal crudele destino. Un sorriso amaro le distorse le labbra, nel rivivere ogni singolo istante con lui, per la gioia di non aver ancora dimenticato nemmeno un istante del tempo passato insieme, per il dolore di non poter tornare indietro, riavvolgendo il nastro. In quel momento voleva semplicemente tornare indietro nel tempo e lasciarsi andare con lui alla morte, tra le sue stesse braccia, stretti in un ultimo, eterno abbraccio, come ultimo emblema del loro grande amore durato troppo poco.

Non si accorse del tempo che passava incessante, senza curarsi di lei, che era rannicchiata in un cantuccio senza poter far altro se non tremare per il freddo gelo che si dilagava dal suo cuore, non solo per le temperature rigide di quell’autunno. Avrebbe di certo voluto abbandonare tutto, - in fondo, cosa ancora le rimaneva in quel mondo tanto prosciugato della sua umanità? -, eppure il pensiero di procurare un dolore tanto grande all’unico figlio che ancora, nonostante la distanza, si preoccupava incessantemente per lei, le faceva dubitare di meritare riposo alle pese dell’uomo.

Pian piano, il braciere si spense criptando per un’ultima volta, gettando un’ombra spettrale su tutta la stanza, resa ancor più tetra dalle ombre della notte rischiarata dalla luna che facevano capolino dalla finestra -sbarrata in modo tale da non disperdere quel poco di calore che ancora permeava la stanza spoglia e grigia -.

Le ore della notte scorrevano veloci come acqua, gettando un velo di stanchezza sul volto assente della notte, per nulla riposato per non aver dormito affatto, l’oscurità era agli sgoccioli e ormai solo una debole ombra aleggiava ancora sulla volta celeste avvolta da nubi.

Tenui raggi di sole iniziavano a disperdere le creature della notte che ancora albergavano ne cielo, fendenti di luce tenue facevano capolino attraverso gli spumeggi delle nuvole, ma nulla poté disperdere i demoni nel pensiero dell’anziana, demoni che le consumavano l’animo e la poca speranza che si teneva ancorata alla sua essenza come ultima àncora di salvezza.

Un fiotto improvviso di luce illuminò l’unico addobbo di quella stanza sterile, un quadro ricoperto di pallida polvere fine, come un candido manto di neve sul suolo inasprito dall’autunno appena trascorso. I bordi della cornice erano scoloriti e usurati dal tempo, le crosticine di vernice dorata lasciavano intravvedere il nucleo in legno scuro, quasi in tinta con la raffigurazione ritratta al suo interno. Desolazione assidua aleggiava pure lì, quasi a voler rispecchiare l’animo sconfortato della donna, le tonalità scure della terra si confondevano, si mescolavano con il turbinio di polvere e fuliggine del cielo. Riversi a terra, una moltitudine di corpi ammassati, con gli arti tagliati sanguinanti, le teste mozzate rotolanti sui cadaveri.

La donna distolse lo sguardo da quelle immagini cruente che già animavano i suoi pensieri, anche se in modo e forma differente. Si turò su in piedi a fatica, stringendo i braccioli della sedia con talmente tanta forza da far sbiancare le nocche ricoperte da una pelle sottile e piena di rughe, attraverso la quale apparivano quasi nitide le ombre delle vene bluastre.

Una volta stabile sulle gambe, portò le mani alla base della schiena, massaggiandosi distrattamente i muscoli indolenziti per esser rimasta seduta tanto a lungo. Si preparò mentalmente ad affrontare un’altra giornata dura, sotto il sole di fine settembre, sotto ordini su ordini impartiti con freddezza.

***

Salve cari lettori >.< so che è passato veramente un sacco di tempo dall'ultima in cui ho pubblicato qualcosa o, ancora peggio, sono stata attiva su watty.

Ma ho avuto diversi problemi e dunque non ho avuto né tempo né spirito di dedicarmi all'attività sociale.
*sì, sono una balena spiaggiata che preferisce i personaggi alle persone*

Per farmi perdonare l'attesa ecco a voi la prima parte di un'altra novella, sempre molto allegra u.u

Ci tengo parecchio a questo racconto, forse perché è ispirato a una storia vera, sebbene l'abbia romanzata un pochino, come al mio solito, e l'abbia scritto quasi sei mesi fa xD
Perciò sarei curiosa di sapere anche il vostro parere, qualsiasi critica o commento sarà ben accetto!

Ci vediamo presto (spero) con la seconda e ultima parte!
Arrivederci *^*

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