~capitolo ventitré~

Amo guardarti
Come amo le parole
Sussurrate sotto voce,
In una notte
Ricolma
Di rumori più forti,
Ma dove la tua voce
Mi arriva dritta al cuore
E non solo alle orecchie,
Restando sempre
Più udibile di tutto il resto.

ALESSANDRO

Integrarsi in un gruppo è tutto fuorché semplice.
Loro hanno i loro discorsi tipo, le loro parole, la loro intesa, si conoscono, sanno molto gli uni degli altri.
Mi sento spaesato, un paio di volte mi sono ritrovato a ridere con loro senza capirne il motivo.

«Ragazzi inizia ad essere
tardi forse dovremo tornare a casa» Dice Giada.

«Ma Giada lo sai che...» La ragazza che, se non erro, si chiama Beatrice, viene immediatamente interrotta da Marco:

«Giada ha ragione...» Con questa frase, all'apparenza del tutto falsa, per qualche strano motivo, guadagna gli sguardi di approvazione di tutti, poi continua a parlare, «È tardi. Tu intanto avviati verso casa Giada, penso che ora si avvieranno anche Bea e Sara, invece io e Claudio faremo integrare del tutto Alessandro, giusto?»

Stavo capendo più meno quanto nell'ora di chimica della mia vecchia scuola: nulla. Tutti annuiscono, me compreso, nonostante sono sicuro di aver lo sguardo più spaesato del solito.

«Va bene dai, allora io vado, ci vediamo domani» Dice Giada prendendo lo zainetto nero, che fino a quel momento non avevo notato, iniziando a camminare, indossando la giacca di pelle, del medesimo colore, e tirandone fuori dalla tasca un pacchetto rettangolare ed un accendino scolorito; mette una sigaretta in bocca, la accende, e lentamente la sua immagine sparisce davanti a noi.

Il resto del gruppo si guarda intorno, c'è un attimo di silenzio e poi iniziano a fare qualche gridolino di approvazione accompagnato da dei: "finalmente", sono felici che se ne sia andata? Io resto fermo ed immobile, senza proferire parola. Poco dopo Marco mi guarda incapace di comprendere il mio evidente disprezzo nei loro confronti.

«Che hai Ale? Qualcosa non va? Dai che fra poco si va ad una festa! È solo lunedì»

«Marco ma perché avete mandato via Giada?» Chiedo guadagnandomi un sospiro di disapprovazione.

«Alessandro...noi vogliamo bene a Giada, ma lei è davvero troppo...diversa»

«Che intendi per diversa?»

Abbassa lo sguardo, non mi risponde, Sara interviene velocemente, dicendomi ciò che pensa, che tutti loro pensano: «Intende dire che lei, è continuamente triste, vuole sempre tornare a casa presto, se usciamo non mangia mai, alle feste non vuole venire, molto spesso non esce nemmeno con noi dopo scuola, non ricordo l'ultima volta in cui la ho vista sorridere. Ti rendi conto? La conosco da quando avevamo 6 anni capito? È sempre stata così, e le voglio bene, tutti le vogliamo bene, ma sinceramente quando lei non c'è ci divertiamo di più» Queste parole mi spiazzano, solo così gelide, così amare, eppure son pronunciate da una vocina flebile e gentile, come possono pensare questo?

«È terribile che lei stia così... Non la possiamo aiutare?» Chiedo speranzoso che mi rispondano qualcosa del tipo: "È una buona idea, facciamolo!" ma al contempo consapevole che ovviamente non succederà.

«È depressa, cazzo, lasciala stare» Interviene Claudio alzando la voce, e scombussolando il modo il cui lo avevo inquadrato, fino ad un minuto fa mi sembrava un ragazzo gentile e premuroso.

Annuisco e non rispondo, e mentre Marco, Bea e Claudio si accendono frettolosi una sigaretta seduti sulle panchinette di marmo, Sara guarda nel vuoto, osserva un punto indefinito nel mezzo del parco, spostandosi di tanto in tanto i capelli rosso fuoco, identici a quelli del fratello, Marco, dietro un orecchio; questo gruppo non è male, ed io ho bisogno di averli come amici, ma non mi va proprio giù che trattino così Giada, è vero che non sorride, lo ho notato, ma è anche vero che potrebbe farlo, se solo qualcuno si sforzasse di farla stare bene.
Sara si muove leggermente, incrocia le gambe, iniziando a tremare visibilmente per il freddo, in effetti qui non fa troppo caldo, nella mia vecchia cittadina invece, il vento non tirava mai, c'era sempre molta afa, la osservo agitarsi un pochino per cercare una posizione comoda, strizza gli occhi per un po' d'aria che l'è arrivata sul viso, portandosi con sé dei piccoli sassolini, quando li riapre sono un po' lucidi di un colore azzurro cristallino, ha dei bei occhi se ci si fa caso, sono piccoli, incorniciati da alcune lentiggini qua e là e dai capelli rossi ed ondulati, è davvero identica al fratello, sono due gocce d'acqua, sarebbe impossibile non accorgersi della loro parentela, ma ciò che vedo io, è anche un legame indissolubile, ed è quello che ho sempre voluto anch'io, fin da bambino, una sorella, che ora volendo, potrei chiamare Anna, se solo la conoscessi.

Finite le sigarette Marco e Claudio mi chiedono se voglio andare alla festa con loro, avevano già organizzato tutto, ma io non ne ho proprio voglia, così reclino velocemente l'invito, dicendogli che ci saremmo visti il giorno dopo in classe, o alla pausa.

Prendo le cuffie e le attacco al telefono avviando velocemente la playlist che inizia subito con "Fix you" dei Coldplay.
Corro per non so quanto, girando un po' a vuoto, fin quando non decido di tornare a casa, magari per fare qualche compito per domani e mettere qualcosa sotto i denti, considerando che non mangio da questa mattina, ma proprio quando sono ormai sotto casa, vedo una figura esile, vestita di nero e dai capelli scuri seduta su una panchina di legno, respirare affannosamente; mi avvicino a lei più in fretta possibile, e nonostante il buio riconosco subito il viso di questa ragazza piangente che sembra star avendo un attacco di panico.

«Giada» Dico in un sussurro.

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