capitolo ventisette
Sto facendo a pugni
Con me stessa
Ho le nocche sporche di sangue,
Gli occhi sbiaditi dal pianto,
E il cuore che batte tanto.
ANNA
«Ma che cavolo...?» Spaesata non capisco cosa stia succedendo, poco fa Giacomo mi aveva detto che Alessia era tornanta a casa, e adesso la vedo qui distesa nel letto dinnanzi a me; mi avvicino a lei, pongo il bicchiere sul comodino e mi avvio verso l'uscita velocemente, ma vengo bloccata da una mano che stringe il lembo del vestito che indosso, costringendomi a voltarmi.
«Anna...che ci fai qui?» Chiede Alessia con gli occhi verdi un po' lucidi e visibilmente spalancati.
«Sono...Un ragazzo mi ha chiesto di portarti dell'acqua, adesso devo andare. Bevi per favore» Rispondo frettolosa.
«No aspetta!» Esclama alzando la voce e stringendo ancor di più la stoffa ricoprente il mio corpo, che non si era decisa a lasciare, «Dobbiamo parlare»
Le prendo la mano per spostargliela ma prima che possa farlo lei sobbalza e un brivido si impossessa di lei, questa storia deve finire.
«Alessia» Dico con un tono d'avvertenza, e finalmente le prendo il polso facendole lasciare il vestito, «Sei ubriaca, non è il momento»
Corro via prima che possa ribattere, inizio a camminare per i corridoi senza rendermi conto di quali direzioni io stia prendendo, ci sono molte stanze, ne scelgo una e decido di entrare per schuarirmi le idee, aprendo lentamente la maniglia entro in una camera mai vista prima, dalle pareti di un giallo antico completamente vuota fuorché una poltrona blu cobalto rivolta verso di me, con su seduto un ragazzo dalla pelle nera e dai capelli riccissimi e spettinati, che seduto in un modo abbastanza buffo, è intento ad osservare un punto indefinito della stanza.
«Tu chi sei?» Gli chiedo.
Aspetto qualche secondo, ma non ricevendo né un qualsiasi segno che mi avesse sentita, né tanto meno una risposta, mi avvicino a lui di qualche passo.
«Allora? Chi sei?» Provai di nuovo, invano.
«Ma sei sordo o solo incredibilmente maleducato?» Chiedo alzando di poco la voce.
Lui alza gli occhi al cielo -un segno di vita! Uauuu- e poi apre la bocca per parlare «Sono solo incredibilmente scocciato dalla superficialità della gente»
«Allora parli» Dico acida «Me lo dici come ti chiami oppure chiedendotelo sono troppo "Superficiale"?» Ribatto miamando le virgolette.
«Come mi chiamo te lo dico con piacere, Jacopo, e no, non sei superficiale se mi chiedi il mio nome, lo sei se mi chiedi chi sono con la pretesa che io ti risponda nel medesimo modo; se mi chiedi: "Chi sei?" io sono tentato dal disponderti con chi sono, e con questo intendo rivelarti la mia persona, il mio essere, cosa che trovo un po' personale da dire ad una ragazza che non ho mai incontrato prima d'ora»
«Sei davvero...»
«Egocentrico?»
«Incredibilmente»
«Ah grazie, lo reputo un complimento»
«No, non vederlo come tale»
«Vederlo? Non esageriamo sarebbe impossibile vedere un complimento»
«Ma...»
«Come ti chiami tu?»
«Sono Anna »
«Ti chiami Anna »
«Non ti conosco nemmeno da cinque minuti e ho già capito quanto tu sia snervante» Borbotto sbuffando.
«Allora, punto primo, diciamo che mi hai incontrato da cinque minuti, non mi conosci ancora, punto secondo me lo dicono in molti» Mi risponde ridacchiando.
«Allora..che ci fa uno come te ad una festa?»
«Io qui ci vivo» Risponde con non curanza.
«Vivi alla festa?» Dico ridendo, e cogliendo l'occasione per provare a fargli capire quanto possa far innervosire il suo comportamento.
«Provi a somigliarmi? Non ti viene bene. Comunque questa casa è mia»
«Veramente mi è stato detto che il ragazzo che vive qui si chiama Riccardo»
«È uno dei nomi che uso sì, preferisco che le persone non sappiano che le feste sono organizzate da me»
« E perché mai?» Domando guardandolo negli occhi.
«Perché io a queste feste non partecipo»
«E per quale motivo le organizzi allora?» Ridacchio.
«Beh...mi piace il chiasso che fa la gente, mi aiuta a concentrarmi»
«Sei un soggetto alquanto buffo»
«Non sono un soggetto, sono una persona sai? Comunque te l'ho appena detto mi aiuta a concentrarmi, mi si schiariscono le idee e poi riesco a scrivere e disegnare meglio»
«Scrivi e disegni?»
«A volte, per lo più disegno, ma sono dell'idea che scrivere mi venga comunque meglio»
«Mi fai leggere qualcosa?»
«No» Risponde secco.
«Perché?» Cerco di nascondere un pizzico di delusione.
«Ho buttato tutto ciò che ho scritto fino ad ora»
«Per quale motivo?»
Aspetto una sua risposta ma non arriva, «Posso sedermi?» Chiedo indicandolo.
«Accomodati»
Mi sistemo sulla gamba della poltrona, lui resta impassibile senza preoccuparsi di farmi stare più comoda dandomi spazio, è un po' strano, ma per lo meno sembra simpatico.
«E tu che ci fai qui? Non sembri un tipo da festa» Afferma sicuro.
«E chi te lo dice?»
«Istinto» Conclude sorridendo.
«A quanto pare sbagli no? Sono qui, allora sono un tipo da festa»
«Beh tecnicamente» Inizia a parlare fermandosi un secondo a riflettere, «il fatto stesso che tu sia qui, in questa stanza, dimostra l'opposto»
Sospiro stressata dal duo comportamento. «Ma tu sei nato per stressare le persone?»
«Si può dire che quello non sia stato lo scopo principale della mia nascita madame, ma probabilmente, successivamente è stato uno dei fattori che ora mi rende chi sono» Sorride ancora, mostrando la dentatura perfetta, che ricorda un po' quella di Luca.
«Quindi di che scuola sei?»
«Della tua» Risponde tranquillamente.
«Come lo sai scusa?!» Chiedo non capendo.
«Ti ho visto più volte sul muretto a fumare, non penso tu mi abbia mai notato, sono un anno avanti a te, quindi non abbiamo nessuna materia in comune, e a ricreazione ci troviamo in settori diversi»
Spalancò gli occhi. «Ma che fai mi tieni sott'occhio? »
«Ma no, però passo molto tempo ad osservare le persone»
Dovrei trovarlo strano, inquietante, eppure cosa potrei dirgli? Lo faccio anch'io.
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