~Capitolo ventiquattro~
Io non credo nella gente
E la gente non crede in me.
Non sono fatto per le persone
E le persone non sono fatte per me.
Non sono capace di osservare qualcuno senza rimanere accecato dalla complicatezza umana.
ALESSANDRO
Che cazzo le sta succedendo?
Che cazzo devo fare?
Sono nel panico più totale.
«Giada, come posso aiutarti?»
Non riesce a rispondere, continua a respirare affannosamente senza aver il potere di fermarsi, sono letteralmente terrorizzato, che cazzo posso fare per aiutarla?
Con estrema fatica, mi indica lo zainetto nero che ha sulle spalle, pregandomi con gli occhi verde spento, quasi del tutto sbiaditi, di prenderlo; ed è ciò che faccio, lo apro, e velocemente, con le mani un po' tremanti cerco qualcosa che possa servirle. Trovo un libro, due penne, un evidenziatore, un pacchetto di fazzoletti, vuoto, e li ripongo in fretta sulla panchina, ci sono degli oggetti che al tatto sembrano di carta, dalla forma quadrata, avvolti da plastica sottile bianca azzurra, non ho idea di cosa siano, forse potrebbero servirle? Glieli mostro, e lei con un cenno del capo e, forse, anche una lieve risata, mi fa capire che non sono gli oggetti giusti; in fine vedo una bustina di carta bianca, una di quelle che si trovano anche in aereo dietro ai sedili, nel caso qualcuno avesse un attacco di panico...oh cazzo!
Gliela porgo immediatamente, e lei, con le dita sottili ancor più tremanti delle mie, la prende e inizia a respirarci dentro lasciando il naso fuori dalla bustina; rimetto tutto nello zaino e mi siedo accanto a lei posandole delicatamente un braccio sulle spalle, e sperando che si riprenda velocemente.
«Respira, ti prego» Sussuro con un filo di voce, senza capire se è riuscita a sentirmi oppure no.
Qualche secondo dopo inizia ad avere un respiro più regolare, e solo in quel momento mi rendo conto di essere parecchio sudato, probabilmente per lo spavento che l'accaduto mi aveva creato.
Giada deposita la bustina accanto a sé, riprendendo un attimo fiato, senza guardarmi minimamente, e capisco, che nonostante la mia grande paura, lei si senta di gran lunga in modo peggiore, di sicuro è in imbarazzo per la mia presenza, e forse è ancora un po' scossa, nonostante sembri stare molto meglio.
«Hey» Dico riuscendo ad attirare la sua attenzione, «Come ti senti?»
«Tu che dici?» Mi risponde, quasi certamente provando ad essere acida, ma con scarsi risultati, data la sua voce, ancora debole.
Mi scappa una risatina nervosa.
«Male suppongo»
«Già »
«Hai bisogno di parlarne?»
«Sinceramente no»
«Secondo me dovresti, insomma, io ero qui, e ci sono ancora, almeno spiegami ciò che è successo»
«Ho avuto un attacco di panico cazzo» Ora la sua voce sembra essere tornata alla normalità, «Non lo hai capito?»
«Si, certo che si, ma la causa...qual'è stata?» Ho un tono di voce calmo, forse troppo.
«Che ti importa?» Chiede acidamente.
«Voglio aiutarti, sei nel mio nuovo gruppo di amici, sarebbe utile per te avere qualcuno che può darti una mano, e magari capirti»
«Nessuno può» Ribatte abbassando il capo.
«Ma dai. Non essere così drammatica»
«Tu non mi conosci, non sai niente di me, okay?»
«Hai ragione, tutto ciò che so, è quello che mi hanno detto i tuoi amici» Mi lascio sfuggire, pentendomene subito.
«"Amici"?»Chiede ridendo drasticamente e mimando le virgolette, «E sentiamo, cosa ti avrebbero detto?»
«Che...che sei triste» Provo a dire con un leggero balbettio.
«Già, quella parola. "Triste". Una sola parola che viene usata per definire milioni di persone in situazioni completamente diverse, non è buffo? È una scorciatoia, un'inutile, semplice, scorciatoia, in tre parole: è una cazzata»
«Quindi non lo sei» Dico, e nonostante dovesse essere un'affermazione suona più come una domanda, ma lei non risponde, resta in silenzio.
«Giada, parla con me, voglio essere tuo amico, dimmi perché sei triste, fatti conoscere»
La sento sospirare. «Ho scelta?»
«Certo, si ha sempre una scelta, ma tu ora puoi scegliere di aprirti con me e guadagnare un amico»
«Non so se sia il caso di raccontarti davvero ciò che mi provoca questi attacchi, potresti non vedermi più allo stesso modo» Dice nervosa dopo essere stata qualche secondo in silenzio.
«Giada, ti ho conosciuto oggi, mi hanno parlato di te in un modo abbastanza strano, eppure io sono qui, alle...» Prendo il mio telefono dalla tasca, con gli auricolari ancora attaccati e controllo l'orario «Nove meno venti di sera e ti sto chiedendo il perché di un tuo attacco di panico, non ti vedo in nessun modo per adesso, ma mi piacerebbe vederti come una persona sincera, dimmi cosa ti turba così tanto»
«Io...non so se ci riesco»
«Va bene, facciamo così, io ti racconto il mio segreto, e tu mi racconti il tuo, che ne dici?»
La vedo ancora piuttosto titubante.
«Inizio io» Dico allora, e la vedo annuire.
«Mi sono dovuto trasferire qui per il lavoro di mio padre, lui è un militare, e ci dobbiamo spostare molto spesso; qualche sera prima della nostra partenza, i miei genitori stavano parlando e li ho sentiti litigare, sono andato da loro, chiedendogli spiegazioni, dato che, loro non discutono mai. Forzando un po' la mano, sono riuscito a fargli dire tutto, e forse, non avrei voluto saperlo. Il segreto che mi hanno raccontato è qualcosa che sembra poter apparire solo nei libri, o nelle serie TV americane; riassumendo molto la cosa, quando avevano circa la mia età, o forse un annetto in più, e stavano già insieme, erano amici di un'altra coppia, ed uscivano sempre con loro, erano diventati pressoché inseparabili, fino a che un giorno, mia madre e l'altra ragazza discuterono animatamente, per non so quale motivo, volendo vendicarsi l'una dell'altra, ed essendo anche parecchio ubriache, senza pensarci troppo andarono entrambe a letto con il fidanzato dell'amica. Dopo qualche giorno si chiarirono e si perdonarono ma...» Mi si blocca il fiato in gola.
«Ma?» Chiede Giada, assorta dal mio racconto.
«Ma circa due mesi dopo, l'amica di mia madre scoprì di...come dire? Di aspettare un bambino, ed esso, risultò, essere frutto proprio del rapporto che aveva avuto con il ragazzo di mia madre settimane prima, era nel panico, e non sapeva come dirlo, aveva in mentre di dire che fosse del suo ragazzo, ma poi, qualche giorno dopo, mia madre andò da lei, e -sorpresa, sorpresa- anche lei aspettava un bambino, che era stato concepito proprio la stessa sera, e non con il suo ragazzo» Sospiro di sollievo per essere riuscito a dire ciò a qualcuno, ed essermi finalmente tolto questo peso dalle spalle.
«Non sono sicura di aver capito bene...in poche parole hai una sorella di cui non sapevi nulla?»
«Non esattamente, In poche parole sono cresciuto con mia madre, ma con il padre di un'altra ragazza, e lei, è cresciuta con sua madre, ma con mio padre, dato che i nostri genitori, hanno deciso, di comune accordo, che sarebbe stato mille volte meglio così, mi hanno detto che non ho mai conosciuto questa ragazza, e che lei, proprio lei, va nella mia nuova scuola»
«Porca merda»
«Già, porca merda...»
«Sembra davvero...la storia di un film»
«Lo so...io fra poco tornerò a casa comunque, quindi se vuoi parlare...»
«Mia sorella si è suicidata quando avevo cinque anni »
«Oh cazzo Giada»
«Si beh, è una cosa che non ho mai raccontato a nessuno, ma lei, Fiamma, è sempre nella mia testa, ricordo tutto quanto di quegli anni, tutto il dolore provato; Fiamma tornava spesso a casa piangendo, e mi pregava di non dirlo a mia madre a mio padre, dicendomi che non era nulla di grave, portava sempre lunghe felpe, perfino in estate aveva sempre le maniche lunghe, non faceva il bagno a mare, non stava mai in costume, non prendeva il sole, aveva sempre le braccia coperte, così decisi di sana pianta di entrare in camera sua mentre si cambiava, ed in bagno mentre faceva si lavava, ero piccola, e non capivo ciò che vedevo sulle sue braccia, tagli su tagli, maledettissimi tagli. Chiedendogli spiegazioni la sua risposta fu che era stato il gatto, e quando gli chiesi di quale gatto si trattava, dato che noi non ne avevamo, lei non rispose, e mi mandò via, ma io le credetti, avevo cinque anni, le credetti e non dissi nulla ad i nostri genitori, quanto si può essere stupidi? Fiamma ogni giorno mi sembrava più triste, aveva sempre la musica nelle orecchie, fissava il vuoto, a volte le scendeva qualche lacrima, no, tante lacrime, ma non faceva rumore, fiamma iniziò a fumare, e a bere, a mala pena capivo cosa facesse, a quell'età non sapevo, faceva tutto di nascosto, aveva sempre lo sguardo perso e portava sempre quelle maledettissime felpe. Io non la capivo, volevo, ma non riuscivo proprio a capirla.
Fiamma smise di mangiare del tutto, no anzi, a volte mangiava, ma poi correva in bagno in fretta, e non riuscivo a capire il perché.
Poco dopo non si portava più né la merenda, né lo zaino a scuola, iniziava a prendere voti bassissimi. Un giorno non tornò da scuola, mi lasciarono con la babysitter, e da quel momento, da quella giornata invernale, non rividi mai più mia sorella Fiamma.
Si era suicidata»
«Oh cazzo Fiamma mi dispiace da morire» La abbraccio subito, delle lacrime iniziano a rigarle il viso pallido, non so come comportarmi, cosa devo fare? A mala pena la conosco.
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