capitolo tredici
Tutti noi
soffriamo.
Ognuno di noi
Combatte
Fai in modo
Di non diventare
La battaglia di qualcuno.
MARY
Luca ed io non parliamo da molto tempo, ed io essendomi assentata per due settimane non ho potuto chiedergli il motivo.
Il nostro gruppo ormai si sta vedendo meno, e sento che ci stiamo separando, lentamente le nostre amicizie si stanno allentando, mi rendo conto che qualcosa va fatto, forse dovrei organizzare qualcosa per farci diventare più uniti.
Oggi andando a scuola ho visto Francesco, con tanto di livido sul mento e taglio sotto lo zigomo, baciarsi con Nicole...peggio non poteva andare: Nicole è odiosa, e se non sarà lei a far soffrire lui, sarà lui a far soffrire lei; luca è corso via appena mi ha visto...è ancora arrabbiato con me per non so cosa; di Giacomo e Anna non ce n'è traccia, e qualcosa mi fa intuire che è da giorni ormai che non si presentano a scuola...no okay, è stata Alessia all'ora ora di musica a dirmelo, ha anche detto che spesso li vede insieme e che sembrano molto affiatati...stanno insieme?
Nello stesso momento....
ANNA
«Quindi fate sesso da quanto ormai?» mi chiede Giacomo all'improvviso.
La nostra situazione è un po buffa: mentre il nostro gruppo di amici si sta separando sempre di più, noi ogni giorno siamo più uniti del giorno prima, ad occhi altrui, potremmo sembrare una coppia, dato che nessuno ci guarda realmente, perché se lo facessero capirebbero che lui non è minimamente interessato a me, né a qualcuno del mio stesso sesso.
«Cinque mesi» dico seria osservandolo intento ad arrotolarsi una ciocca dei miei capelli biondissimi intorno al dito.
«Uaaau, e riesci a non fartelo piacere nemmeno un po?»
Lui mi piace?
«Beh sì, ovvio, altrimenti non faremmo quello che facciamo, ma è una cosa solo fisica, non mi importa molto di lui, non so nemmeno se possiamo considerarci amici»
«Certo che è complicato fra voi eh...a proposito di rapporti complicati...quello che mi dicevi su tua madre...è vero? Ti ha fatto del male?»
È davvero difficile parlarne.
Le lacrime mi arrivano velocemente agli occhi come un onda del mare che aggredisce gli scogli. Fa male pensare a lei, e fa male ricordare che non era tutto brutto, prima non faceva tutto male, ma dopo tutto quello che ha fatto, i momenti belli sono stati portati via da tante di quelle onde, che ora sono quasi incapace di ricordare il suo volto, ma ricordo i suoi occhi, simili a quelli di Mary, verdi e spenti, vecchi e stanchi, impotenti di fronte alla realtà, falsi.
Ricordo che un giorno mi chiuse in una stanza della nostra casa, tanto piccola da poter contenere al massimo 4 persone in piedi, era una specie di sgabuzzino in realtà, e tra i respiri affannosi e i singhiozzi causati dal pianto, non la sentii camminare quando all'improvviso tornò a casa, dopo essere uscita per andare chissà dove, aprì la porta, e si mostrò ai miei occhi, così infuriata, che quando mi prese per il collo mi attacco il muro, quasi non me ne resi conto.
Ma il male fisico che mi procurò in quel momento non poteva nemmeno essere lontanamente paragonabile a quello emotivo che sentivo dentro, quel dolore pian piano imparava a nutrirsi della mia gioia e della mia innocenza.
«Si. Mi faceva del male» inizio a raccontargli quella storia all'improvviso, non so se sia giusto farlo ma lo faccio, gli racconto con precisione come è stato sentire le sue mani ruvide sul mio collo, e come non ho avuto il coraggio di guardarla, di come sono morta dentro quel giorno e lui mi ascolta.
A qualche secondo dal mio intenso racconto, e dopo lunghi abbracci e "mi dispiace" sussurati dice: «Ho capito».
«Cosa?» chiedo mentre sento le sue dita ascigarmi qualche lacrima...poi, si alza immediatamente, gli occhi gli si illuminano e finalmente dice:«Francesco. Qualcuno gli fa del male»
È assurdo ma...penso abbia fottutamente ragione.
10 minuti dopo siamo a scuola, e arrivare è stato abbastanza complicato ed imbarazzante: ci siamo alzati dall'erba umida e siamo entrambi saliti sulla bici di G, inutile dire che la bici è stata progettata per una sola persona, e che per il mio amico guidarla con me in sella è stato complicato, ma a piedi ci avremmo messo troppo e di certo il suo unico mezzo di trasporto non poteva restare incustodito in quel modo.
«Che ora ha Francesco a quest'ora?» chiedo quando siamo ormai di fronte al cancello.
«Letteratura inglese» dice senza bisogno di pensarci nemmeno un secondo.
«Conosci tutti i suoi spostamenti a memoria eh?» chiedo con tono divertito, ma con un velo di tristezza nella voce, che può essere colta velocemente con un pò d'attenzione
«Già» Dice lui con lo sguardo perso, è come se stesse guardando un ricordo così profondo da essere capace di catturarlo, uccidendolo, ma forse di salvarlo allo stesso tempo.
«A che pensi?»
«A lui ovviamente... Penso a quando eravamo bambini e io mi lamentavo fosse più veloce di me poi finalmente lo raggiungevo e lo picchiavo, per finta ovviamente...una volta urlò dal dolore quando lo colpii scherzosamente sulla spalla, e lì trovai un livido viola enorme, pensai di essere stato io e mi scusai ripetutamente, la sua unica risposta fu: "non fa niente", io ebbi sensi di colpa per settimane, e questo successe più volte» sospira mentre camminiamo lentamente verso l'aula, poi dice ancora: «Ora so che non era colpa mia, non gli ho mai fatto del male» dire che sembra distrutto è un eufemismo, ha gli occhi trasparenti, colmi di dolore, vorrei aiutarlo, ed entrare in questa aula rovinando probabilmente il nostro voto in condotta quest'anno è l'unica cosa che posso fare adesso.
«Apro io?» Mi chiede danfomi comunque modo di leggere nei suoi occhi e nei movimenti del suo viso la speranza che io risponda il contrario.
«Apro io» Dico decisa, consapevole che il professore di questo corso, che in giorni differenti da Francesco frequento anch'io per una cosa del genere potrebbe sospendervi e sicuramente coinvolgerebbe i miei genitori.
MIA MADRE.
Stavo davvero rischiando molto.
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