Capitolo 2

Abbassò la testa e percorse rapidamente la strada, lungo il marciapiede destro, quasi aderendo al muro.

Il tufo sbrecciato della facciata sfarinava al contatto della spalliera inguainata dalla felpa.

Girò l'angolo tenendosi a destra, veloce.

Venticinque passi: era sempre molto preciso nel fare i sopralluoghi. Venticinque passi ed avrebbe svoltato imboccando l'ultimo tratto, quello sorvegliato in ambo le direzioni dal circuito chiuso di due telecamere di sicurezza.

Contò il ventiduesimo passo ed abbassò lo sguardo forzando il mento contro la plastica dura che sporgeva sotto la felpa. Il cappuccio chiudeva la visuale frontale lasciando spazio solo ai piedi che mulinavano veloci.

Svoltò, sempre a destra, riportando a mente le istruzioni che si era dato il pomeriggio di due giorni prima, una volta identificato l'obiettivo ed effettuata la prima passeggiata di ricognizione: settanta passi ed hai la porta alla tua destra, le videocamere inquadrano tanto l'ingresso quanto i dieci, quindici metri nelle due direzioni laterali.

Testa bassa, sempre, mani nelle tasche, per forza, di modo da renderle invisibili.

Passo svelto, deciso, due colpi di tacco ogni secondo.

L'accesso era di quelli non protetto da lettori di carta o pulsanti, né da piastre di riconoscimento varie: "...spalla e ginocchio e si entra senza colpo ferire".

Quaranta passi e "Ricordati, apri la porta, scarta a sinistra, sempre spalle al muro di destra..."

Cinquanta passi e "Una volta di fronte, sporgiti con la testa a coprire la telecamera superiore che inquadra tastiera e blocco della cassa continua..."

Sessanta passi e "Ci siamo, dai!"

Il ritmo crebbe.

Quello del passo e quello del cuore.

Non per fatica; adrenalina.

Rotazione accennata sul piede sinistro, colpo di spalla leggero e la porta si aprì di botto, senza rallentatori a controllarne la corsa. Saettò lasciandola richiudersi alle sue spalle. Mai, nemmeno per un attimo, il viso a favore del muro che ora lo fissava ad altezza di spalle. Testa nella nicchia ad accecare l'occhio indiscreto che inquadrava la postazione dall'alto.

Entrambe le mani, dalle tasche, veloci, si spostarono alla piastra in lega speciale che proteggeva il ventre molle della macchina.

"Benvenuti nella filiale del Credito Cooperativo Salentino" recitò la voce femminile, digitale e disturbante

"Vi ricordiamo che nei nostri locali è severamente vietato fumare".

Rilevatori antifumo, però, non ce n'erano, nel locale. Vuoto. Buio.

Chiudendo gli occhi riusciva a concentrarsi e fare il buio.

Chiuse gli occhi che già i palmi aderivano perfettamente alla spalla metallica. Trattenne il fiato per un attimo. Mille modi, aveva mille modi per recuperare le energie e convogliarle nella direzione corretta.

In anni si era reso conto che era uno che lavorava e ragionava meglio visualizzando.

Aveva bisogno di immaginarle le cose, mettersele di fronte agli occhi come fotografie da guardare. Nel buio della tela vuota, una figura verde, fosforescente. Uomo vitruviano senza geometrie... aveva imparato a chiamarlo così.

Lo vedeva, perfetto, identico all'originale.

Quando la figura s'era ormai composta ed i contorni irradiavano il buio circostante, cominciava la fase due, con il nascere, da punti splendenti che correvano ad unirsi, di tutto un reticolo di linee che correva dallo stomaco fino alle mani.

Entrambe le coppie di mani.

Fosse stato rosso, sarebbe apparso come l'atlante della circolazione. Così verde disegnava più il flusso della bile... o più semplicemente del suo dono, che alla bile c'assomigliava, superandola di infinite gradazioni d'acidità.

Un paio di secondi furono sufficienti a far cominciare a salire fino alle narici il puzzo insopportabile della vernice anticorrosiva che friggeva. Tenne gli occhi chiusi; non per mantenere viva la concentrazione, ma perché quella nebbiolina grigiastra e densa che saliva si fissava sulle cornee e non bastavano minuti interi di risciacquo a mandarla via.   



**Note dell'autore:

Questo romanzo è stato scritto per gioco nel 2015. Non ha nulla a che fare con la splendida pellicola "Lo chiamavano Jeeg Robot", anche se alcuni dettagli potrebbero far pensare a questo. Semplicemente, è la storia di uno che eroe non lo è mai voluto essere. Uno che nella sua vita si è trovato catapultato in vicende e storie davvero troppo più grandi e scomode di quanto non avesse davvero meritato. E giorno dopo giorno prova a vedere se può esserci un domani. E quanto, questo domani, possa essere migliore. Per sé stesso e per le - rare - persone a cui vuole bene.

Al solito, se credete che quel che avete letto meriti, premiate il capitolo con una stellina o un commento per lasciarci il vostro parere. Se poi pensate se lo meriti davvero... potreste anche pensare di condividerla sulla vostra bacheca o nella lista delle storie che seguite.

In ogni caso, grazie di cuore per essere passati e aver dedicato un po' del vostro tempo a questo romanzo.

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