Capitolo 10
Il bic impolverato, pescato fuori a fatica tra sedili impolverati e binari di sedile incrostati e ingrassati di briciole, lubrificante e terreno, scattò con la sua fiammella al terzo o quarto tentativo.
Portò l'ugello accanto alle labbra.
Soffio due colpi forti e intensi per liberarlo da un batuffolino di lanugine incastrato lì chissà come.
Le case andrebbero tenute pulite. Anche le case estive. Anche le case su ruota. Vincenzo considerò questo guardando i ciuffetti azzurrini sparsi sull'ampio cruscotto nella luce del tramonto. L'idea di una casa mobile, che non fosse una necessità ma un'abitudine, però, gli restava densa proprio dietro il pomo d'Adamo, senza voler scendere.
Si sentiva soffocare all'idea di una esistenza così zingara.
Le precauzioni, cazzo, le precauzioni.
Cercò il bigliettino negli scomparti vuoti delle carte di credito. L'aveva piegato ed infilato lì dentro. Lo aprì: il numero di telefono di Valeria. Dal borsello appeso al poggiatesta del sedile anteriore del passeggero tirò fuori un vecchio Nokia modello badante. Un GSM da museo, di quelli con la cover verde acido intercambiabile.
"Cazzo è cambiato da allora? Eh? Cos'è cambiato? Prima ti vendevano la scocca, ora il guscio della scocca... a conti fatti i finlandesi stavano più avanti di Steve Jobs e cominciarono vendendo carta da culo..."
La batteria del telefonino finiva sempre troppo infondo alla tasca del marsupio, per essere presa con facilità. Si rigirò il fogliettino tra le dita della sinistra, indeciso se montare il telefono e chiamare la ragazza oppure no.
Una sprovveduta strafatta come lei, di sicuro, era una di quelle persone da chiamare per non più di trenta secondi, il tempo minimo perché chiunque all'ascolto potesse intercettare la chiamata ed agganciare la cella.
Le precauzioni, cazzo, le precauzioni.
Poggiò tutto sul tappetino sotto il sedile, ci avrebbe pensato dopo. Aprì il portaoggetti del cruscotto, vinse la resistenza del giornale spiegazzato e lo tirò fuori riportandolo a grandezza naturale. Aprì e tirò fuori la busta da lettera bianca.
"Facciamo un po' di compiti..."
C'erano deficienti, nel suo ambiente, tra i ragazzacci napoletani vissuti a pane, morte e camorra, che i contratti li accettavano via Whatsapp, si facevano spedire foto ed indirizzi dell'obiettivo condividendo file su Telegram, convinti che "questa conversazione si autodistruggerà dopo trenta secondi dalla tua lettura..."
Peccato che i coglioni non avessero ancora capito che nei server i loro messaggi transitavano e si fermavano, registrati ad uso e consumo degli sbirri all'ascolto. Applicazioni che andavano bene al massimo per scaricarsi pacchi di corna tra mogli e mariti... niente di più.
Nella busta da lettere c'era un indirizzo con la dicitura casa, uno con la dicitura ufficio, la foto di una palazzina nobiliare coi fiori al balcone e un portone di quelli antichi, in legno, tutto intagliato e la foto di un ufficio postale soffocato da un casermone residenziale da sessanta appartamenti.
Un altro foglio aveva sopra l'immagine di quello stesso condominio ripresa dal retro – come recitava la didascalia scritta in uno stampatello da lettering da fumetto o da analfabeta di ritorno – con la dicitura "Ingresso secondario direttore".
Seguivano due foto sicuramente ricavate dal profilo Facebook dell'obiettivo. Giacca e cravatta, foto da ufficio, di quelle da incorniciare se diventi Presidente della Repubblica.
Poggiò il plico su una gamba e tirò fuori con la sinistra, libera, il pacchetto di sigarette dal marsupio. Lo fece cadere sul tappetino dopo aver sfilato una Chesterfield a doppia capsula, menta e mora. Schiacciò tra i denti i due ovuli di plastica stretti nella spugna del filtro. Un profumo dolciastro da Arbre-Magique gli dilavò le dita e riempì il naso.
Continuando a tenere tra i denti il filtro, girò con la destra la rotella dell'accendino e fece fuoco al primo colpo. Tirò una boccata generosa rinfrescandosi il palato col sapore chimico della menta addizionata.
"Guarda che quella merda uccide più del catrame..."
Come si chiamava il vecchio saggio che gli aveva regalato quella massima irrinunciabile? Va a ricordarlo, ora...
L'occhio gli cadde sul tappetino, quasi a cercare la scritta "Il fumo uccide" listata a lutto. Riconsiderò gli ultimi trent'anni e tornò a ripetersi, come faceva ogni volta che si chiedeva se non fosse arrivato il momento di smettere, che di certo le sei o sette sigarette al giorno che fumava erano un dettaglio negli ultimi trent'anni di esperienze solo un po' più chimiche ed elettrizzanti.
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