Capitolo 9.3 - Fuori controllo

Federica

Alla fine dei conti, Gio mi aveva convinto a fare una prova ed uscimmo dallo spogliatoio per far visita a mio padre.
Dovevamo comunque controllare le condizioni dopo il colpo ma, a detta del dottor Riccardo, non era stato così grave. Si sarebbe ripreso al più presto e la cosa mi risollevò il morale. La paura che potesse morire mi aveva fatto mancare la terra sotto i piedi e stringere il cuore in una morsa. Fu dura varcare la soglia e trovarlo in compagnia della moglie, impegnata a mangiare lo yogurt, seduta al capezzale.

«Figlia mia. Federica» Si issò su facendo forza con le braccia. Mi infastidì il modo carino con cui si ostinava ad approcciarsi a me — una figlia di cui si era disfatto anni fa, lasciandole pochi spiccioli — e mi venne spontaneo alzare gli occhi, rilasciando un lieve sospiro.

«Spero che si riprenda, è stato fortunato.» Esordì il moretto prendendo posto al mio fianco.

«È vero. Sono stato molto fortunato, dottore.» Guardai di sfuggita Giovanni, che con un cenno del capo mi esortò ad aggiungere qualcosa.

«Guarisci.» Mi limitai a dire con gli occhi altrove.

«Signorina Federica...» La voce sprezzante di quella donna acuminata come cento spilli mi giunse alle orecchie. «Pensavo che si vergognasse di noi e non volesse vederci.»

«Becky!»

Si alzò diminuendo la distanza tra me e lei e non mossi un muscolo sostenendo i suoi occhi. «Pensavo che non ti saresti presa cura di noi. E invece eccoti qui, mia cara. Ti darò un consiglio da madre: "non fare promesse che non sei in grado di mantenere."»

«Vattene da qui!»

Fece una faccia soddisfatta disegnandosi sulle labbra un sorriso serafico. «Vieni tesoruccio, ti accompagno io.»

«Becky, chiudi il becco! Prendi la borsa ed esci.» ordinò alzando il tono di voce e, a quel punto, la strega girò la faccia. Non si aspettava una simile richiesta.

Gli lanciò un'occhiata interrogativa, puntò gli occhi nei miei e poi tornò sul marito.

«Che stai dicendo?»

«Esci di qui. Vattene!» ribadì a denti stretti, sollevando il busto.

Ruotò il collo un paio di volte, poi afferrò la borsa mostrandosi oltraggiata e agitò l'indice.
«Non finisce qui! Non riuscirai a diventare una brava figlia in soli due giorni. Non mi obbligherai ad andarmene e lasciarti campo libero!» Dopo aver vomitato il solito veleno, mi diede una spallata sperando di avermi intimidito con le sue minacce e sbatté con irruenza la porta. Il silenzio si impadronì della camera e continuai a fissare mio padre con impassibilità.

Continuai senza ulteriori impedimenti a visitarlo, controllai gli occhi e la ferita. Sembrava tutto nella norma, era in via di guarigione, e mi allontanai leggermente con le mani in tasca, aspettando la conferma di Giovanni.

«Perfetto. Si rimetta presto. Una volta riposato, si sentirà meglio, signor Andreani.»

«Grazie, giovanotto»

«La ferita sta guarendo bene. Potrà andarsene domani.» aggiunsi mantenendo il mio atteggiamento intereggerrimo da medico. Non staccò lo sguardo per un solo minuto e sollevò la testa dal cuscino.

«Come preferisci.» Prima che gli venisse in mente di riprendere con discorsi ipocriti, volsi immediatamente le spalle compiendo qualche passo. «Fede...» Mi bloccai e girai. «Ascolta, quell'uomo che ti ha citato in giudizio è un truffatore. Ero venuto in ospedale per dirtelo, ecco tutto. Spero che questo ti serva d'aiuto.»

«Vivi ancora nel tuo mondo onirico, vero?»

«Federica, ti prego, ascoltami per una volta.»

«Federica, un corno! Tu ascolta me.» Sbottai, avanzando di un passo verso il letto e alzai l'indice. «Non torneremo più ad essere padre e figlia. Non perdonerò né mia madre né te, per ciò che avete fatto. Nessuno nella mia vita, nemmeno l'uomo che tu chiami "truffatore", può farmi più male di quanto tu ne abbia fatto. Tienilo ben in mente e non dimenticarlo.» Era già stato abbastanza essere rimasta in quella stanza, sopportando la sfuriata della moglie e i suoi sguardi languidi di falso dispiacere. Uscii, senza guardarmi indietro e accelerai il passo. Era stato un errore pensare di cancellare tutti quegli anni di sofferenza con un colpo di spugna e non serbare rancore.

«Fede, aspetta...» Mi sentii chiamare e fui costretta malgrado ad assecondarlo. Giovanni si piazzò di fronte, mi afferrò saldamente il braccio per trattenermi. Non avevo alcuna voglia di sentire la sua predica o recriminazione del mio comportamento sbagliato nei confronto di quell'uomo. «Non puoi incolpare tuo padre per tutto quello che ti succede e poi scappare via.»

«Non posso perdonarlo.»

«Nemmeno ci provi.»

«Quando lo guardo, mi ricordo di come mi ha buttato in mezzo alla strada e dell'inferno che ho passato!» Gridai senza curarmi di chi passava nel corridoio. Ero solo una ragazzina di sedici anni, mi aveva picchiato e poi abbandonato, chiedendomi di dimenticare il suo numero per sempre.

«Fede, per poterlo perdonare dovresti ascoltare...»

«Te lo scordi. Non succederà. E la tua convinzione che le persone cambiano è solo una fottuta stronzata, Giovanni! Le persone non cambiano. Tu non puoi cambiare e nemmeno io. Nessuno può. Smettila di alimentare quest'assurda fantasia nel tuo cervello e torna coi piedi per terra. Cresci!» Esclamai, liberandomi dalla presa leggera che stava esercitando per continuare il tragitto senza dovergli spiegare la realtà dei fatti. Però era pronto a non demordere e mi raggiunse vicino all'ascensore, entrando con me e premendo il pulsante.
«Senti, non ho proprio la forza per discutere. Lasciami in pace»

Annuì. «È quello il tuo problema»

Inarcai un sopracciglio. «Come, scusa?»

«Hai capito bene quello che intendo dire. Cerchi di scappare da tutto, proprio come cerchi di scappare da tuo padre.»

«Non è vero.» Obiettai.

«Ah, sì? L'hai fatto con me ieri sera.»

Scrollai le spalle. «Che vuoi dire?»

Guardò un attimo in basso, inumidendosi le labbra.
«Fe... Tu vuoi tenermi la mano, ma ogni volta che provo a fare un passo in avanti, baciarti o abbracciarti, scappi via. Torniamo alla casella di partenza...» asserì, guardandomi dritto negli occhi.

«Non è assolutamente vero, io...»

«Tu, cosa? L'hai fatto ora con tuo padre. Hai fatto il possibile per aiutarlo a rimettersi in sesto. Poi quando ha fatto un passo per avvicinarsi a te, sei tornata fredda e gli hai voltato le spalle.»

I miei occhi divennero lucidi, lacrima di rabbia mi spuntarono. «Quell'uomo, il mio cosiddetto caro padre, ha avuto il barbaro coraggio di coprire l'omicidio della sua stessa madre! Né tu, né nessun altro può costringermi a perdonarlo. Ha venduto la sua stessa madre, capisci? Per 4 centesimi di merda, ha fatto finta di niente ed è rimasto zitto!»

Mi osservò, i suoi occhi si inumidirono alla stessa maniera e deglutii. «Lo so, hai ragione... ma tutta questa rabbia ti sta consumando, Federica.»

«Non importa!» Sbottai con voce malferma e restò immobile. «Ieri notte... mi hai chiesto se sono innamorata di te, giusto?» Non aspettai un suo cenno affermativo. «Vuoi la verità? Sì, sono innamorata di te. È possibile che ti ami più di chiunque altro al mondo, persino più di me stessa.» Non aprì bocca, limitandosi a fissare la mia faccia a pochi centimetri dalla sua. «Ma se farai una cosa di questo tipo, non perdonerò neanche te. Perciò, non dirmi di perdonare quel mostro...» Tagliai corto per chiudere quel discorso una volta per tutte, prima di premere un'altra volta il bottone con stizza e sfrecciare fuori, quando si aprirono le porte.

Intenzionata a far ritorno nel mio studio, venni raggiunta dalla piccola castana.

«Federica! Ti... Ti stavo cercando. Ho bisogno di parlarti...» Distogliendo lo sguardo, entrai per prima e mi seguì all'interno. Mi misi seduta sul lettino delle visite e Angelina prese posto vicino a me. Restò in silenzio giusto per qualche minuto mentre fissai un punto dritto davanti a me. «È successo qualcosa? Tuo padre sta bene?»

«L'ultima cosa di cui mi va di parlare in questo momento è mio padre, Nina. Sta bene! È ancora vivo, non preoccuparti.» Parlai con tono contrariato alzando il palmo della mano al livello della sua faccia. Non doveva rincarare la dose, mi era bastata la lite con Giovanni di prima.

«Certo, certo... sto' zitta.» Presi un respiro e serrai le palpebre. «Ma... c'è una cosa di cui devo assolutamente parlarti.»

«Di cosa?» domandai e abbassò gli occhi verso le gambe, torturandosi i pollici. «Nina, non sono ancora veggente per nostra sfortuna. Spiegami, che succede?»

Mi girai totalmente e alzò la testa fondendo i nostri occhi. «Non credo di poter dire "padre" quindi...»

Sbuffai. «Angelì, ora basta.»

«D'accordo. Io e tuo padre abbiamo scoperto una cosa di vitale importanza. È venuto a cercarmi e mi ha mostrato il servizio del telegiornale dove parlava quel tizio che ti ha fatto causa e... mi sono ricordata che era venuto a La Noia questo pomeriggio.»

«E allora?»

Dove voleva arrivare?

«E allora la sua mano era a posto. Non c'era niente che non andasse.»

Sbattei le ciglia. «Ne sei sicura?»

«Sicurissima!» affermò con lampante certezza. «Mi ha perfino fatto incazzare, chiedendomi di preparargli due caffè di fila. Poi l'ha raggiunto una donna dai capelli corvini, alta, piuttosto altezzosa» Distolsi lo sguardo per riflettere. «Gli ha dato addirittura una busta contenete molti soldi!» Le parole di Angelina instillarono in me parecchi dubbi. Perché quell'uomo avrebbe ricevuto del denaro, e da chi, soprattutto?

«Nina, perché avrebbe dovuto dargli dei soldi? Non ha senso.»

Schioccò la lingua, facendo un cenno di dissenso. «No. Ha senso, Fede! So per certo che stanno complottando qualcosa alle tue spalle per rovinarti la carriera e la lista dei sospettati non è lunga...» Strabuzzai gli occhi. Quel nome era sulla punta della lingua ma preferì non nominarlo ad alta voce. Il suo sguardo si accese di una luce di determinazione. «L'unico che pagherebbe milioni a chiunque per cacciarti da questo posto è solo quel pallone gonfiato.»

«Svevi?» Ipotizzai.

Annuì. Smontai dal lettino delle visite per prendere una cartella dal cassetto e decidemmo di uscire insieme. Doveva andare al locale visto che - come al solito- era corsa qua, lasciandolo incustodito e io riprendere a lavorare. Nel corridoio girovagavano pattuglie di carabinieri armati per controllare che la situazione seguisse il suo regolare corso, dato che un potenziale criminale era a piede libero e chissà dove si fosse nascosto.

Continuammo a camminare l'una accanto all'altra facendo scena muta, finché Angelina non riprese. «Se scoprissimo chi gli ha dato quei soldi, risolveremmo il problema.»

«Sì, ma come facciamo? È come trovare un ago in un pagliaio in una città grande come questa...» dissi schiacciando il pulsante richiamando l'ascensore.

«Be', non lo so.»

Le porte all'improvviso si spalancarono rivelandoci un ragazzo riverso sul pavimento, con una ferita al lato destro dell'addome che sanguinava. Ci guardammo a vicenda con facce scandalizzate e, a quel punto, corsi dentro la cabina accovacciandomi all'altezza del ragazzo. «Cos'è successo?»

Un velo di sudore gli imperlava il viso pallido, riuscì a proferire con un filo di voce.
«Hanno sparato ad un poliziotto è... sul t-tetto, dottore.»

Osservai Nina rimasta impalata. La paura le si leggeva chiaramente in faccia.

«Ok, andrà tutto bene. Premi sulla ferita. Nina! Nina, presto!» allungai la mano verso la castana. «Devi fare pressione sulla ferita e accompagnarlo al pronto soccorso. Coraggio, vieni qui!» Si fece forza ed entrò, accovacciandosi al mio fianco. Le mostrai dove posizionare le mani e feci l'atto di alzarmi, ma mi tirò con la sua, bloccandomi. «Fede! Dove vuoi anda'? Ti prego, è pericoloso! Ho paura.» I suoi grandi occhioni mi guardarono intensamente, atterriti da una prospettiva nefasta.

«Nina, per favore, fa' come ti ho detto, ha bisogno di cure immediate lui. Ti prometto che non succederà nulla.»

Dei lacrimoni le solcarono gli occhi da cerbiatto. «No, e... se non ti rivedo più?»

«Ma che sei scema? Certo che mi vedrai, ti raggiungerò...» Mi lasciò andare, indebolendo la presa fino a che non staccò intrecciate alle mie e la guardai per l'ultima volta da fuori. «Tu vai, ok?» Mi spostai per premere il bottone e tastai le tasche realizzando di non avere il cellulare. «Ah, il telefono! Cavolo!» Pigiai sul pulsante più volte e roteai gli occhi, emettendo uno sbuffo di esasperazione. "E ora?" Dovevo farmi venire un'altra idea e partii a razzo per il corridoio, schivando per un soffio il carrello dei medicinali, che stavo per investire. Se l'ascensore era occupato, non avevo altra chance che prendere le scale antincendio, così avrei raggiunto velocemente il tetto. Cominciai a salire agilmente gli scalini, guardando su attraverso la tromba delle scale e mancava qualche piano. Inspirai a fondo e fissai le scarpe col tacco alto, belle ma scomode per correre... così le levai. Ricominciai a salire agilmente, balzando sopra ogni gradino e aggrappandomi al corrimano. Quegli allenamenti estenuanti per gli incontri di boxe mi erano serviti in qualche modo.

Mi bloccai, udendo chiaramente uno sparo rimbombare da sopra...













Giovanni

Rientrato nel mio ufficio per isolarmi da tutto il resto, quelle sue parole che mi aveva sbattuto in faccia al pari di uno schiaffo tornarono ad essere vivide, presenti nel mio cervello.
Mi avvicinai alla scrivania, piantandoci i palmi e ingobbendo la schiena, tirai un lunghissimo sospiro. Drizzai la schiena e mi lasciai cadere sulla sedia girevole, cercando di mettere ordine. I pensieri che mi vorticavano in quel momento erano troppi... confusi e non aiutavano affatto a chiarire la questione. Da un lato, una missione che non portava da nessuna parte, un'autopsia che non era stata richiesta (e di cui Federica non era a conoscenza) e mio padre che l'ultima volta mi aveva esplicitamente consigliato di restarne fuori se realmente amavo quella ragazza. Non sarebbe servito a nessuno scavare nel passato se non a riaprire delle vecchie ferite. Gli avevo chiesto della giustizia e mi aveva risposto che i dubbi laceravano le persone, le uccidevano senza mezzi termini. Come se non bastasse, Federica mi aveva dato quel colpo di grazia, confessando che mi amava più di sé stessa e che se l'avessi obbligata a far la pace con il padre di nuovo, non mi avrebbe mai perdonato...

E io ero estremamente combattuto tra il bisogno di essere sincero e non nasconderle le indagini, e la paura di mandare in frantumi il nostro rapporto. Ero troppo impegnato a rimuginare sulle stesse cose. Pensare fino a farmi andare a fuoco le sinapsi, quando la porta si aprì. La figura di Mattia si palesò alla soglia.

«Dottore, abbiamo bisogno di lei. È urgente.»

Mi alzai in piedi per seguirlo e chiusi la porta dell'ufficio. Il lavoro aveva la priorità sulle mie preoccupazioni.

«Qual è la situazione?» domandai all'infermiere, mentre chiamava in fretta l'ascensore.

«Uno scuolabus è stato coinvolto in un incidente e tre bambini sono rimasti feriti»

«D'accordo»

«Di sotto, ci sono già il dottor Daliana e la dottoressa Svevi.»

«Perfetto...»

Il rumore secco di uno sparo immobilizzò entrambi e guardai nella direzione da cui proveniva. Qualcuno stava sparando.
«Corri, Mattia!» ordinai con tono fermo, non c'era tempo per prendere l'ascensore e iniziammo a correre. La questione non mi piaceva affatto. Ci precipitammo all'esterno e altri proiettili si schiantarono al suolo nel bel mezzo di una città in pieno movimento, alla luce del giorno. Riuscimmo a metterci al riparo dietro una volante della polizia e osservai l'ambulanza ferma in trasversale in mezzo alla carreggiata, che stava bloccando il passaggio alle altre vetture e il conducente acquattato vicino ad essa.

«Ci stanno sparano addosso, resti giù!» Gridò Tommy con tutto il fiato in corpo al paramedico.

«Le condizioni del bambino sono critiche, deve entrare. Ci sono anche tre bambini, uno di loro ha quattordici anni e una ferita al petto. Respira ma è incosciente.»

Spararono di nuovo e abbassai la testa, il colpo rimbalzò contro il paraurti. Maddalena, Tommaso e Matteo erano bloccati all'ingresso, avevano le mani legate e non potevano nemmeno agire. I colpi continuavano ormai da diversi minuti, costringendomi ad abbassare più volte il capo. Poi la biondina scattò in direzione dell'ambulanza.

«Madda! Cazzo! Dove vai?!»

Tommaso per poco non inciampò sui suoi stessi piedi per andare dietro alla ragazza, ch'era riuscita a saltare sopra l'ambulanza. Dovettero però riportare dentro la barella quando venne sparato un altro colpo e Tommy si fece indietro.

«Madda! Tommy! Merda!» proferii a denti stretti con la mascella contratta. Non potevano lavorare in sicurezza, quell'uomo sparava a chiunque fosse nel suo mirino. Rischiava di compiere una strage e colpire persone innocenti. «Agente senta, dobbiamo portare i bambini fuori dall'ambulanza il il prima possibile.»

«È troppo pericoloso! Non può andare da nessuna parte.»

«Capisco...» sussurrai a me stesso. Ma, in vita mia, non mi ero mai tirato indietro, né ero mai scappato dal pericolo. «Mattia, sta' attento!» dissi al riccio e mi allontanai dalla vettura, prendendo a correre a perdifiato per raggiungere il mezzo. Riuscii a schivare un colpo per un soffio e Tommaso mi tese la mano aiutandomi a balzare rapidamente sopra l'ambulanza. «Non vi preoccupati bambini, vi porteremo fuori da qui!» Diedi altre istruzioni al personale presente, non potevamo fare passi falsi o rischiavamo di essere colpiti da quella pioggia di proiettili. Bisognava essere cauti.

Scendemmo la prima barella mentre i colpi esplodevano uno dietro l'altro, senza lasciarci un attimo di tregua, e mi piegai sul corpo del bambino per fargli da scudo umano. Riuscimmo a portarlo in salvo e corsi a prelevare un altro ragazzino che tremava come una foglia, conducendo anche lui al sicuro. Quando stavo per uscire, venni braccato dalle braccia muscolose di un poliziotto più alto e cozzai contro il suo petto marmoreo. Voleva impedirmi di raggiungere i miei colleghi, ripetendo che era pericoloso, e tentai di smarcarmi. Protestai, dovevo fare il mio lavoro e stare con i miei colleghi. Maddalena aveva appena consegnato la bambina nelle braccia sicure di Tommaso, si scambiarono poche battute, poi... una pallottola la trafisse. Osservai la scena, impietrito. Il respiro si mozzò in gola. «Madda...» biascicai. La ragazza si guardò il petto, dove una chiazza di sangue si stava espandendo di più, impregnandole il camice. Poi, nel silenzio generale, si accasciò sull'asfalto.

«Maddalena!» Urlò, rompendo il silenzio, Mattia. La ragazza aveva gli occhi orrendamente spalancati, a stento muoveva le labbra. Quest'ultimo la raggiunse e crollò in ginocchio. «Madda... Madda. Per favore, non morire.» Le poggiò la mano sulla fronte, spostandole i capelli che le erano finiti sulla faccia. «Madda, resisti. Non andartene, ti prego!» Deglutii un altro fiotto di saliva, mandando giù il groppo formato in gola. Non poteva finire così. «Madda.» La voce del riccio tremò a causa dei singhiozzi. «Madda, no...» Non reagì e richiuse le palpebre...













Federica

Arrivata sul tetto, quegli spari infernali erano più nitidi di prima e il ragazzo che si era presentato nel mio ufficio quest'oggi, impugnava un fucile puntandolo il basso e continuava a spargere proiettili, come fossero caramelle. Cercai di non dare troppo nell'occhio e mi abbassai strisciando sino al corpo di un giovane poliziotto dai capelli mori. Anche lui era ferito all'addome, ma il proiettile era rimasto bloccato dentro ed era in corso un'emorragia. Il killer carica e sparava con freddezza allucinante, non dando peso alle conseguenze del gesto. Era come se non gli importasse. Provai a trascinare lentamente il poliziotto fino alla porta, ma rantolò per il dolore. Lo so che gli faceva un male assurdo, ma restare qui alla merce di un criminale senza scrupoli, non era la soluzione migliore. Necessitava di un intervento chirurgico, bloccare l'emorragia prima che morisse dissanguato qua a terra. Quando il ragazzino si accorse della mia presenza, smise di sparare e si alzò barcollante, facendo gemere il poliziotto. Venne verso di me imbracciando l'arma e mi puntò addosso l'indice. «È stata tutta colpa sua!» Lo guardai raggelata dai suoi occhi annebbiati dalla pura follia. «Ora un'altra persona è morta per colpa sua!»

Alzò il fucile e portò il dito sul grilletto scrutandomi con un ghigno di piacere stampato sulla bocca e allungai di slancio la mano. Per la prima volta, nella mia vita, avevo paura che potesse essere davvero la fine.

Tutto sarebbe potuto finire, inclusa la vita di un essere umano, in un battito di ciglia.

~ fine nono capitolo ~

La faccia dei lettori...

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