Capitolo 9.2 - Fuori controllo
Federica
Di cosa voleva parlare di così urgente da aver fatto irruzione in questa maniera?
«Non sono una cattiva persona.» pronunciò lasciandomi totalmente sbalordita.
Sbattei le ciglia. «Ok, capisco...»
Dove voleva arrivare con quelle affermazioni?
Si girò verso la porta chiusa.
«Mi fa molto male la testa, è un dolore insopportabile. Non riesco a dormire, mi sento male. Vomito.» Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. «Sono molto debole.»
«Signore, per favore si sieda.» Gli indicai la sedia dell'ospite e buttò il borsone della palestra sul tavolino accomodandosi. Si passò la mano fra quei ricci scomposti.
«Senta... lei è un bravo medico. Ho visto il suo nome nell'auto di mio fratello e ho pensato che fosse un segno! Se c'è qualcuno che può aiutarmi, che può curarmi, quella è lei!» esclamò puntandomi l'indice addosso con un sorriso che gli fece spuntare delle fossate.
«Senta, vorrei davvero poterla aiutare, ma i miei appuntamenti sono tutti prenotati.» Il giovane mi guardò fisso e lasciai il mouse per afferrare la cornetta del telefono. «Però non si preoccupi, l'affiderò ad un medico eccellente»
Con veemenza me la strappò di mano e la rimise a posto.
«Lasci perdere. Non è possibile!» Poi scaraventò l'apparecchio contro il muro, senza distogliere lo sguardo arcigno. Iniziò a respirare con severo affanno. «Senta» Scattò in piedi stropicciandosi la faccia mentre restai immobile. «È tutta la settimana che prendo analgesici e non servono a niente. Non riesco a dormire. Ho voglia di rompere tutto!»
«Va bene, si calmi...»
Tuffò le mani nei capelli. «È la prima volta che mi succede.» Tornò a sedersi. «Per favore, mi aiuti.» Sollevò la mano tremante alla sua tempia. «Queste voci... non sono le mie. Per favore, le faccia smettere. Io gli ho detto di andarsene, ma continuano. Ho paura che ne arrivino delle altre. Aiutatemi, vi prego!» Proferì con un filo di voce.
«Ok...» Si alzò voltandomi le spalle e allungai la mano, rimettendomi in piedi a mia volta. «Ok, venga... venga con me. Vediamo chi è disponibile.»
«Non va da nessuna parte!» tuonò facendomi bloccare sul posto. «Si sieda. È il segno. Solo lei può aiutarmi. Forza, si sieda!»
«Bene, bene. Calmo...»
«Si sieda!» Tirò un calcio alla sedia spostandola fino alla scrivania e sussultai. «Seduta! "Seduta! Ho detto "seduta"!»
Con un cenno silenzioso, feci come mi aveva ordinato per non infastidirlo ulteriormente.
Portò la mano alla testa e lasciò cadere sul divanetto, tenendola china al pavimento. Non potevo fare nulla se non limitarmi ad osservarlo con la coda dell'occhio. Iniziò ad andare avanti e indietro. Dopodiché si mise seduto con un taccuino in mano. Sentii mormorare: "controllare i proprio pensieri", come se avesse disperatamente bisogno di un freno. Lo ripeteva come un loop e il sguardo poi si spostò e cadde verso l'immagine appena comparsa tra le ultime notizie di Google. Ritraeva la faccia del giovane, l'articolo lo accusava di pluri omicidio: aveva ucciso la madre e il fratello stanotte. Mentre era totalmente assorto a scrivere, feci sparire immediatamente la schermata cliccando sul mouse. Notando il mio gesto, si alzò e avvicinò alla scrivania, gettando via il foglio: «Cosa stai facendo?!»
«Niente, niente. Non faccio niente.» Si sporse per vedere la schermata e fece scorrere la mano nella massa di capelli.
«Ok, ha ragione. Lei ha ragione. Ha ragione. Devi calmarti, calmati.» Sembrò dirsi, continuando a torturare i capelli. «Sono dentro di me. Sono dentro di me e non se andranno!» Si prostrò in ginocchio davanti alla scrivania. «Quando morirò, mi faccia un autopsia al cervello, ok? Scopra cosa cos'ho dentro.»
«Cosa ti fa pensare che stai per morire?»
«Tutto. Tutto quello che ho fatto. Io-merito-di-morire.» puntualizzò. Forse nel suo inconscio era consapevole di essersi macchiato di un crimine peggiore delle minacce che mi aveva rivolto mentre mi teneva qui dentro in trappola.
«Non pensare a una cosa simile. Senti, facciamo una cosa. Usciamo insieme e troviamo qualcuno che possa aiutarci.» Feci l'atto di alzarmi e con un gesto spasmodico buttò a terra gli oggetti balzando in piedi.
«Non andrà da nessuna parte! Si sieda!» Ordinò. «Seduta!» Appurato che il secondo tentativo era fallito, dovetti assecondarlo. Tirai un sospiro e chiusi gli occhi. Non sapevo che fare, ogni movimento azzardato poteva aizzare la sua rabbia. Il giovane si soffermò a osservare il panorama della città dalle grandi finestre. Sembrava vittima di una trance, continuando a ripetersi: "non ucciderli, non far del male". Spostai gli occhi verso l'unica via di fuga che avevo, ovvero la porta, e lentamente strisciai la sedia girevole, ritrovandomi gli occhi del ragazzo di nuovo addosso. Balzò sopra la scrivania e si arrampicò, standomi con la faccia ad un palmo dal naso. «Non voglio ferirla, dottoressa. Giuro sulla mia vita che non intendo farle alcun male.»
«Tranquillo, lo so. Allora non farlo.» L'uomo richiuse le palpebre e deglutì a fatica, ruotando il collo da un lato, i movimenti erano innaturali. Riprese il suo borsone e catapultò all'esterno. Immediatamente rimisi a posto l'apparecchio del telefono fisso, tolsi la sedia che mi ostacolava e uscii svelta, correndo nel corridoio. Incontrai Tommy, che superai cercando disperatamente di individuare dove fosse quel tipo. Non poteva essere sparito, dannazione. Tornai subito indietro. «Hai visto quell'uomo passare di qua!?»
«Che sta succedendo?»
«È un tipo pericoloso. Potrebbe aver ucciso la madre e il fratello. Bisogna avvisare la polizia!»
Tommy corse alla reception per prendere la cornetta e mettersi in contatto con la polizia locale. Dovevamo prendere precauzioni il prima possibile, altrimenti chissà cos'avrebbe combinato uno squilibrato del genere.
Poteva accadere il finimondo ed era nostro compito proteggere l'incolumità di tutti i pazienti.
Giovanni
Avevo dovuto ovviare al problema dell'auto che mi era stata rubata l'altra notte e ne avevo acquistato un'altra. Era un pezzo d'epoca e la parcheggiai nello stallo adibito al personale medico, scendendo e guardandomi attorno. Tolsi gli occhiali sole. Mentre stavo passando fischiai di avere una sportellata in pieno viso. Indietreggiai evitandola per un soffio e il moro scese i gradini.
Aspetta, perché una roulette?
«Oh, attenzione!»
«Oh! Dottore?» Chiuse la portiera a chiave. «Dottore, mi dispiace tanto! Non si è fatto nulla, vero?»
«No, Gianma. Sto benissimo. Ma quando mi hai detto ieri che questa era casa tua non pensavo intendessi letteralmente.»
«Dottore, a lei piacciono le auto d'epoca?»
Si sporse per guardare oltre le mie spalle e feci spallucce.
«Sì, mi piacciono.»
Appoggiò la mano alla carrozzeria della roulotte e continuò a gesticolare con l'altra sorridendomi. «Dottore, se devo essere sincero, non ho resistito al mio spirito avventuriero e ho fatto una pazzia.»
Inarcai un sopracciglio. «Ovvero?»
Drizzò la schiena. «Quando il padrone di casa ha aumentato così tanto l'affitto, per paura di finire sul lastrico, ho pensato che fosse la soluzione migliore.»
«Grande! E la cosa migliore è che risparmi anche la benzina.»
«Esatto, dottore! Le consiglio vivamente di acquistarne una. Potremmo essere vicini e prendere un caffè nel tempo libero. Sarebbe stupendo, dottor Rinaldi...»
«Dici?»
«Andiamo, dottore...»
«Certo, entriamo pure, Gianma...» Tornò serio e gli assestai una pacca sulla schiena incamminandoci. Ci aspettava un'altra giornata impegnativa. Arrivando sul posto, vedemmo un uomo agguantare un altro per il colletto della camicia e una ragazza mingherlina, che tentava di far da paciere. Per evitare che la lite degenerasse, Gianmarco schizzò a dividerli.
«Questo è un ospedale! Non usate la violenza qui, per favore! Volete che vi monti un ring?»
A quel punto, lo stangone riccio gli diede uno schiaffo potente.
«Guardate! Guardate cosa sta facendo. Ecco, appunto per questo!» Fece notare l'altro con una rosa tatuata sul collo.
«Perchè mi ha colpito? Eh!»
«Gianmarco, calmati...» Lo rassicurai tendendo la mano.
«Non era mia intenzione, dottore. Non riesco a controllare la mano.»
«Che intende dire» venne interrotto da un altro schiaffo. Ciò infastidì l'altro uomo che tentò di scavalcare la ragazzina, voleva dargli una lezione. Ma, a quanto pare, non aveva capito bene la gravità.
«Signore, calmo»
«Dottore!» Mi richiamò e portai l'indice alle labbra. Posai la mano sulla spalla del ragazzo, che si sentiva in colpa riguardo l'accaduto, sotto lo sguardo sbigottito dell'infermiere Pretelli.
[...]
Mentre il ragazzo cercava di tenere a freno quegli scatti involontari tenendo il polso stretto, sfogliai la cartella clinica dando un'occhiata agli esami. «Spiegami tutto, Matteo» esortai il rossiccio.
«Il paziente lamenta di non riuscire a controllare le mani.»
«Sì, abbiamo provato la mancanza di controllo sulla nostra pelle, la mia soprattutto» sottolineò Gianmarco reduce dall'effetto destabilizzante dello schiaffo e, nel frattempo, afferrò i capelli della signorina e glieli strattonò tanto che gemette.
«Che fai a mia sorella!? Dottore, ha visto, giusto? Mi dia il permesso di rompergli la mano. Non gliene crescerà un'altra e addio al problema!»
«Signor Coiro, si calmi.»
«Fratellino... lascia che i medici facciano il proprio lavoro, eh. Non interferire tu.» lo ammonì a a denti stretti la ragazza dai lunghi capelli raccolti in una coda rivolgendomi così un sorriso garbato.
«Mi dispiace moltissimo. Non riesco a controllarla. Fa quello che vuole e non posso fermarla.»
Mossi il capo e lo abbassai.
«Sì, prosegui, Matteo.»
«È una cosa risalente tempo fa. Però ora è diventata pericolosa.»
Mi porse il tablet per mostrarmi l'uomo seduto alla scrivania e le mani che si agitavano, come se avessero vita propria. In effetti, questa condizione gli impediva di lavorare tranquillamente.
«Sì.» Lo appoggiai. La situazione era decisamente insostenibile. Non poteva continuare.
«Lavoro in una banca, nel reparto contabilità.»
«Una volta, lavoravi» puntualizzò il cognato sorridendo sprezzante. «Lo hanno sbattuto fuori.»
«Per fortuna non è andato in prigione e il suo capo non ha creduto che fosse un ladro.»
«Dottore! Non è una cosa che scelgo di fare. Non lo controllo.»
Strofinai i baffi. «È stato operato di recente?»
Il rosso lo anticipò. «Ha sofferto di una grave forma di epilessia e, quando i farmaci non hanno più fatto effetto, lo hanno operato al cervello due mesi fa.»
Il giovane annuii e sbrigativo acchiappò la borsa della fidanzata colpendo inavvertitamente le parti basse del rosso, che si piegò in due. Doveva essere stato un colpo terribile, era diventato peggio della sua chioma e appoggiai la mano sulla spalla del malcapitato. Gianmarco trattenne una risata con forza.
«Dottore, visto, cos'ha fatto?» La sorella seduta tra i due portò la mano in fronte. «Come faccio ad uscirci per strada? Che devo fare con lui? È una disgrazia!»
Lo squadrò con una smorfia di puro disgusto e il giovane fu costretto a scusarsi con Matteo che annuì sorridente.
«Lo sappiamo. Non c'è bisogno di scusarsi, signor Mida. Pare proprio che il corpo calloso sia stato spostato.»
«Sarebbe questa la causa, dottore?» domandò la signorina.
«Glielo spiegherò in modo semplice, così capirete» Afferrai il modellino del cervello e roteai la penna stilografica attorno. «Vedete... il cervello ha due emisferi» Indicai con la punta. «La parte centrale che garantisce la comunicazione e coordinazione tra questi due emisferi è chiamata "corpo calloso". Quando non c'è, la mano sinistra non sa quello che fa la destra, e viceversa.» Appoggiai l'oggetto al suo posto e infilai nel taschino la penna. «Il fenomeno che ho descritto, in medicina, è comunemente definito "sindrome della mano aliena."»
«Che significa? È dovuto all'intervento?»
«Non possiamo saperlo con certezza. È un caso che può verificarsi nella chirurgia cerebrale, ma è molto raro.»
«Può curarlo? Il nostro matrimonio ci sarà tra quattro settimane.» Riprese ad afferrare i capelli della futura moglie e il cognato storse il naso, ringhiando. Poi si rimise seduto sulla sedia, cercando di calmarsi scrollando le spalle e inspirando a fondo.
«Senta, signor Coiro, dovrebbe darsi una calmata. Questo è un disturbo e dev'essere più comprensivo con suo cognato. Purtroppo non c'è una cura definitiva al problema, però ci sono alcune possibilità. Possiamo ridurre i sintomi.»
Mi aprii in un ampio sorriso.
«Allora?» mi incalzò speranzoso il paziente.
«Allora... Non è necessario posticipare il matrimonio.» La coppia si sorrise. Erano felici di non dover rinunciare al loro giorno a causa di quel difetto. Gianmarco riuscì a togliere alcuni oggetti dal tavolino prima che la mano li spazzasse via, evitando un altro incidente.
Il cognato fece altri respiri per contenere l'irritazione. Sorrisi, alzando il palmo della mano. «Signor Coiro, ora deve davvero calmarsi. La rabbia non è un bene. Senta, ho un'amica che è un'eccellente psichiatra e ha aperto uno studio a Roma. Se non ha niente in contrario, posso fissarle un appuntamento.»
«Tiziano, andiamo insieme?» Propose il riccio ottenendo un'espressione schifata. Si voltò rivolgendomi un sorriso fasullo.
«Mi dispiace. Mi dispiace...»
Tenne la mano intrappolata sotto la coscia per evitare altri danni a cose o persone e guizzò all'insù le sopracciglia.
Angelina
Con le cuffie nelle orecchie e il volume a palla continuai a spazzare il pavimento quando mi sentii sfiorare la spalla. Voltandomi e trovandomi faccia a faccia con quell'uomo, saltai in aria e lasciai cadere la mazza.
«Oh, Gesù!» Appoggiai la mano sul petto, il cuore stava per esplodermi per lo spavento. Respirai per regolarizzare i battiti e poi di nuovo puntai gli occhi verso il nuovo arrivato. Disattivai la playlist di Spotify che continuava per conto suo.
«Scusami cara, non era mia intenzione spaventarti.»
«Cosa sta facendo qui?» Domandai sbirciando l'ingresso oltre le spalle imponenti del padre della mia migliore amica, anche se quella era una parolona grossa. Guai a pronunciarla dinanzi a Federica. «Dovrebbe andarsene. Se la vede Fede, la sbatterebbe fuori a calci.»
«Sono qui perché voglio aiutarla.»
«Chi? tua figlia?» ripetei e mi alleggiò un sorriso, divertita. «Non è tardi, signor Andreani? Federica ormai è una donna. Anzi le dirò qualcosa che non le piacerà sentire, non ha mai avuto bisogno della figura di un padre completamente assente.» Quella cosa non mi era mai andata giù e dovevo sputargliela in faccia.
«Ho sentito che sta avendo problemi con un paziente. Le sta col fiato sul collo e minaccia di denunciarla.»
«Ma per favore! Non sa nulla sul conto di sua figlia, per questo ci crede. Federica è un medico leggendario. È solo un pazzo che dice un mucchio di cavolate.»
«Angelina, no, non penso che sia solo questo. La notizia è passata... nei telegiornali.»
Aggrottai la fronte. «I telegiornali?»
«Esatto.» Rispose e sbattei le ciglia più volte. Mi propose di accomodarci e tirò fuori il cellulare per farmi vedere un video amatoriale.
Era un servizio del TG5, stavano intervistando un uomo che parlava della mia amica come se gli avesse distrutto l'intera esistenza. Affermava che gli aveva trapanato la testa, senza il consenso e che la sua mano era ridotta in quello stato. Tutto ciò era incredibile, ascoltai, non credendo alle mie orecchie.
«Che stronzo!» sbottai girandomi verso Lorenzo. «La mia amica ha solo sprecato il suo tempo con quest'idiota.» Le telecamere gli fecero un primo piano ed ebbi la sensazione che quel volto non mi fosse sconosciuto. «Aspetta, aspetta un momento...» Sollevai la testa e mi tornò in mente quell'antipatico che avevo dovuto servire in caffetteria. Aveva ordinato due caffè e poi si era comportato come un arrogante borioso, trattandomi come una serva. Era stato snervante. «Quest'uomo è un truffatore.»
«In che senso?»
«È venuto oggi a la Noia. Mi ha anche chiesto di preparare un caffè con la mano» gli feci vedere il movimento rotatorio che aveva osato. «Le mani stavano benissimo.»
«Sei sicura?»
«Sicurissima!» Esclamai storcendo le labbra. «E poi avrei voluto spezzargli le mani e arrotolarle attorno al collo, per quanto fosse un antipatico!»
«Angelina, che altro?»
Mi tornò in mente anche un altro dettaglio. Era venuta una donna corvina, indossando un tubino aderente e poi gli aveva passato una busta, contenete dei soldi. Tanti soldi. Lo aveva addirittura pagato. Forse aveva un senso ora.
«È venuta una donna, gli ha passato una busta piena di soldi e poi se n'è andata.»
«Sai chi è?»
«No, ma era una che se la tirava abbastanza. Tutta perfettina e col corpo mozzafiato, una con la puzza sotto il naso.» Guardai di nuovo il video, il tizio continuava imperterrito ad accusare Federica. «Bugiardo!» Il signor Andreani intanto si accarezzò il mento, immerso nei pensieri. Ma era chiaro come la luce del sole che stessero combinando alle spalle della mia amica...
Un complotto in piena regola!
Federica
La polizia era arrivata in ospedale per fare un giro di introspezione, ma purtroppo quel folle non era saltato ancora fuori. La preoccupazione era che stesse a piede libero e col rischio di ferire qualcuno. I due poliziotti mi rassicurarono che lo avrebbero trovato, non poteva essere lontano e poi si allontanarono. Alzando gli occhi dal pavimento, vidi Tommy venire verso di me.
«Ehi, Fede stai bene?»
Era preoccupato e mi toccò con premura il braccio.
«Quando quell'uomo ha assassinato la madre non credo fosse in sé.»
«Non sto parlando di quello, ma di te.»
Annuii. «Sì, è tutto a posto, tranquillo. Mi auguro che lo trovino presto.»
Fece un cenno d'assenso.
«Lo faranno. A proposito, hanno appena chiamato dalla centrale. Hanno ritrovato la tua auto e sono di sotto che aspettano.»
«Hanno trovato anche quella di Giovanni?»
Il giovane non schiodò lo sguardo con espressione imperscrutabile. «Hanno rubato anche la sua? Lo stesso giorno?»
«Già. Ad entrambi.»
Abbassò gli occhi facendo un ulteriore passo in avanti con le mani nelle tasche. «Fammi capì...» Alzò gli occhi puntandoli nei miei. «Eravate insieme»
«Comunque, io vado.»
Lo abbandonai in mezzo al corridoio e mi incamminai nella direzione opposta per raggiungere gli ascensori. Anche se così fosse, non erano fatti che lo riguardavano. Era la mia vita e nessuno avrebbe mai messo il naso nei miei affari, compresi quelli sentimentali.
[...]
«Buongiorno. Sono Federica Andreani.»
I poliziotti erano fermi vicino alle vetture e poco più avanti c'era la mia, a prima impressione era in buono stato.
Li seguii.
«È stata fortunata, dottoressa. Difficilmente qualcuno recupera la propria auto in questo modo. Di solito non vengono più trovate, cambiano la targa e fanno perdere le loro tracce.»
Mi fermai. «Dove l'avete trovata?»
«A due isolati da qui. I ragazzi l'hanno fatta portare con un carroattrezzi. Mi serve una sua firma» Tirò fuori il fascicolo e lo aprì, indicandomi dove metterla. Mi consegnò una bustina trasparente dove c'erano la pochette, documenti e il badge. «Questo era in auto. Controlli se è suo. Se manca qualcosa dovremo redigere un rapporto...» Estrassi un foglio, lo aprii. C'erano scritte delle frasi. Mi suonavano dannatamente familiari. Pensai all'improvviso a quel ragazzo che scriveva qualcosa di simile sul taccuino.
Guardai Tommy. «È il suo!»
«Non capisco, dottoressa» intervenne il poliziotto e mi voltai verso quest'ultimo con la bocca spalancata.
«L'uomo che ha ucciso sua madre è venuto oggi in ospedale e ha voluto parlare con me.»
«È venuto da te, di proposito?» Chiese perplesso il mio collega.
Neanche io ci capivo molto, mi aveva tenuta in ostaggio e poi era scappato alla prima occasione propizia. C'era una correlazione con il tizio che stanotte mi aveva rubato la macchina in spiaggia... ed era un potenziale assassino.
«Sì, ma perché?»
Giovanni si fece largo verso di noi affiancandosi a me. «Che bello! Hanno trovato la tua auto. E della mia si sa qualcosa invece, agente?»
«Temo di no.»
Sospirai. «Gio...» Mi guardò di rimando. «Il ragazzo che ha rubato le nostre auto ieri sera ha sterminato la sua famiglia.»
«Che dici?»
«È venuto qui per farsi visitare.»
«Non può essere. Ti prego, dimmi che scherzi.»
Purtroppo, per noi, no.
«Non l'abbiamo ancora trovato. State attenti.» ci allertò il poliziotto andandosene.
Giovanni indurì la mascella senza scollarmi gli occhi di dosso e reclinai i miei sul foglio.
«Mi spieghi perché sono sempre l'ultima persona a sapere le cose, Federica?»
«Non ho avuto modo di dirtelo. Anche tu avevi dei pazienti.»
«Non cercare scuse, per favore. Lavoriamo nello stesso ospedale. O tu stai su Marte e io su Plutone?»
Chiusi gli occhi e inspirai a fondo. «Non è così.»
«Ah, veramente?»
«Ehi, non ti scaldare troppo, bro'. Anche meno.»
Il moretto ruotò a rallentatore il busto lanciando un'occhiata raggelante a colui che era intervenuto. «Ti senti troppo coinvolto. Perché non ficchi il naso da un'altra parte?»
«Ragazzi, per favore, non siate ridicoli...»
Non volevo che scoppiasse una rissa in mezzo alla testa, erano entrambi due teste calde che si comportavano da bambini piccoli, per non dire altro.
«Fede?»
Vidi Angelina arrivare in compagnia di un'altra persona e roteai gli occhi, storcendo le labbra. La castana mi fronteggiò.
«Nina, perché l'hai portato qui?» Sapeva quanto mi ripugnasse la presenza di quello schifoso.
«Dobbiamo parlare con te.»
La guardai senza togliermi il broncio dal viso e senza darle più retta cambiai rotta fiondandomi da lui direttamente. «Adesso è il turno di Angelina, no? Le stai provando tutte per girarmi attorno come un moscone, ma sappi che ti schiaccerò. Non avrò nessuna pietà per te!»
«Fede... calmati. Non voleva venire, l'ho trascinato io. La cosa che dobbiamo dirti è più-»
«Stai zitta...» la ammonì. «Non osare chiedermi di stare calma.» Poi tornai a guardare l'uomo mentre Angelina si fece minuscola. «E per quanto riguarda te» Puntai l'indice al suo petto. «Sono stufa marcia di vederti apparire ogni volta. Smettila di tormentarmi! Sta lontano da me! Scordati che esisto. Non sono più tua figlia, proprio come quel giorno!»
«Federica...»
Giovanni appoggiò la mano sulla mia scapola e il rumore di uno sparo fendette l'aria. Qualcosa mi schizzò in faccia, macchiandomi il camice.
Era sangue... e un corpo crollò a terra lasciando i presenti basiti.
Mio padre... Mio padre era stato colpito da un proiettile vagante e si stava dissanguando sopra la barella, mentre Giovanni conteneva l'emorragia nel tragitto verso il pronto soccorso tamponando con la garza pulita.
Per la prima volta lo stavo vedendo come un essere fragile, bisognoso di cure appostata accanto alla barella mentre preparavo il necessario.
Aveva gli occhi semiaperti, mi fissava intensamente da quelle piccole fessure.
«Matteo vieni! Ferita da arma da fuoco. Gli hanno sparato al collo, però le condizioni sono stabili.» spiegò Giovanni mentre sentivo una mano invisibile che mi stritolava il cuore. «Ma in ogni caso tenete pronta la sala operatoria.»
Non potei fare a meno di guardarlo negli occhi scuri, simili ai miei, perché in fondo era l'uomo che mi aveva dato la vita e poi rovinata con le sue azioni.
«Il proiettile è entrato attraverso i muscoli del collo ed è uscito dal lato del platisma. È presente un piccolo ematoma. Nessuna propagazione o frattura ossea, non preoccuparti» Volle tranquillizzarmi Giovanni.
«Non puoi dirlo senza una Tac.» lo contraddì Tommy.
Giovanni lo guardò di traverso.
«Va bene, me ne occupo io.»
Il castano si offrì di accompagnarmi in Radiologia ma Giovanni lo bloccò. Voleva venire lui. Spostammo immediatamente la barella con l'aiuto del personale sanitario.
[...]
Giovanni osservava da minuti interminabili quel monitor e le immagini apparse. Stavo in piedi ad aspettare il responso con il cuore in gola. Ciondolai.
«Se ha una lesione cervicale, deve essere esaminata al microscopio. Non si vede così.»
«Tranquilla, faremo il possibile.»
Notai un particolare e mi sporsi di più. «Cosa c'è sotto la pelle? È aria?»
Giovanni si girò e drizzai la schiena. «Fede... capisco che sei preoccupata per tuo padre, ma devi rilassarti. Il nervosismo non aiuta.» Tornò a scrutare. «Le vie respiratorie sono intatte.»
«Se il proiettile ha perforato l'arteria del collo, potrebbe rimanere paralizzato.»
«Lo escludo, non c'è danno vascolare. Tutto normale nella cavità toracica. La Tac è ok.»
«Voglio che lo veda anche un chirurgo cardiovascolare. Chiamo il dottor Gentile.» Gettai un'ultima occhiata a mio padre steso su quel lettino e poi abbandonai alla sala. Ogni angolo dell'ospedale pullulava di agenti, erano tutti armati fino ai denti e camminai scansandoli con la testa tra le nuvole ed espressione meditabonda. Percorsi i corridoi come un automa, un essere che credeva di non avere più emozioni e invece no, non era vero per nulla. Nella mente facevano eco quelle parole che avevo pronunciato, che non mi sarei mai occupata di lui o di quella viscida strega senza cuore della moglie. Lo avevo promesso a me stessa, eppure il senso di colpa prendeva il sopravvento. Non avrebbe dovuto essere un mio problema, dovevo farmelo scivolare di dosso, eppure no, in quel momento non riuscivo ad ignorarlo. Sbattei le palpebre, continuando il tragitto senza fare caso a chi mi circondava, alla gente che mi passava accanto e svoltai l'angolo.
"Cosa non andava in me?"
Mi sembrava di aver tolto un'armatura che mi ero costruita addosso per anni e anni. Rimasi con il capo incassato nelle scapole e gli occhi serrati, ormai con i vestiti puliti e quelli sporchi di sangue accanto a me. Ruotai il capo verso colui che si era palesato sulla soglia ed esalai un sospiro. Lo percepii farsi vicino e accomodarsi sulla panca.
Restammo per un po' in silenzio o per meglio dire... io lo volli.
«Tuo padre è in camera.» Esordì facendomi drizzare e guardarlo.
Non mi stava prendendo in giro.
«Come... sta?»
«Bene...» La risposta affermativa mi colmò di sollievo e portai la mano alla bocca. «Non c'è nulla di cui preoccuparsi, è tutto passato. Riccardo si sta prendendo cura di lui e ha detto che si riprenderà. Vieni, andiamo a trovarlo. Gli farà piacere.»
Tirai su con il naso, gli occhi mi bruciavano, non avevo fatto altro che piangere. «Credevo di non averlo mai amato» ammisi asciugando gli occhi con le dita.
«Oggi hai capito che ti sei sbagliata.» Annuii, tirando su con il naso un'altra volta, ero una cascata vivente, le emozioni mi avevano sconquassato. A quel punto, mi afferrò le mani e le intrecciò alle sue. «Ehi, Piccolina... sei consapevole di quante cose rifiuti nella tua vita? Eh?» assottigliai il labbro inferiore e lo inumidii. «Sbarazzati del rancore... lascialo scivolare via.»
«È che non so... come fare. Non so se riesco...» singhiozzai.
«Certo che puoi. Non continuare a portare questo fardello. Lascialo andare e vedrai che ti sentirai meglio.»
L'unica cosa che mi faceva provare sollievo in quel momento e riattaccava i pezzi rotti era la sua vicinanza, sentire che non sarei stata sola. Sembrava una medicina contro la mia tristezza. Mi gettai fra le sue braccia a capofitto e lo strinsi più forte avvolgendogli la schiena. «Fede... passerà, te lo prometto». Asciugai un altro po' gli occhi, le lacrime scendevano come un fiume in piena. Altri singhiozzi ruppero la calma. «Ci sarò sempre per te. Romperemo insieme questo vetro, prima o poi andremo nel mare.» Passò le mani sulla schiena dolcemente quando il pianto si intensificò e il respiro annaspò. Spoglia di tutto quanto, per la prima volta, ero così fragile e aggrappata all'abbraccio di un uomo che voleva proteggermi da tutto, perfino dai miei demoni interiori.
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