Capitolo 7.3 - Costruire nuovi ricordi

Angelina
Ero intenta ad ordinare i tavoli nell'attesa che arrivassero i clienti per fare colazione davanti ad un caffè e alle specialità romane e dovevo anche fare in fretta. Posai lì alcuni vasetti che fungevano da centrotavola e qualcuno varcò l'entrata. Notai una signora avvicinarsi, portava un cappotto pesante con - addirittura - un cappello di lana. Che strano abbigliamento...
Il tempo era gradevole e sereno, non era ancora pieno inverno e anzi si squagliava dal caldo.
La salutai e aiutai a prendere posto ad un tavolo. Restai in piedi di fronte alla donna che aveva inoltre un rossetto rosso sulle labbra e un accenno di blush sulle guance.
«Salve! Cosa vuole che le porti? Qualcosa di caldo per riscaldarsi o preferisce il freddo?»
«Puoi fare la cioccolata calda?»
Che richiesta stramba.
Ma certo che potevo e mi veniva anche benissimo, non per vantarmi ma ero diventata una cioccolatiera provetta. MasterChef non poteva competere con la sottoscritta.
La Noia aveva il primato su altre miliardi caffetterie della zona.
«Ottimo, portami del tè e dei biscotti. E per il mio caro nipotino, una cioccolata calda.»
«Signora, suo nipote tarderà molto ad arrivare? Non vorrei che la cioccolata si raffreddi e non sia più buona.»
«Siamo venuti dall'ospedale. Avevamo un appuntamento dal medico» Disse e l'ascoltai, sventolando la mano per combattere la calura che mi si stava appiccicando sulla pelle. «Ma quando sono entrata qui, l'ho perso di vista!»
«Suo nipote si è perso?»
Si guardò attorno e annuì. «Già. Sparito, mia cara.»
«Suo nipote sa leggere e scrivere allora?»
«Certo. Il mio bambino è molto intelligente. Persino i calcoli matematici sono una passeggiata per lui!»
«Forse è rimasto in ospedale e la sta cercando pure lui.»
«Sì, può darsi.» Concordò. «Ma non posso tornare indietro. Ho dimenticato la strada.»
Oddio, allora doveva trovarsi in seria difficoltà e il suo caro nipote si era perso in una città tanto grande e caotica. Dovevo darle una mano e mi offrii di accompagnarla. Le chiesi di aspettarmi lì e mi defilai per prendere la borsa. L'ospedale dopotutto non era così distante, spesso molti dottori in pausa venivano a prendere il caffè a "La Noia" ed era anche quello in cui lavorava la mia Xena.
Il tragitto - per fortuna - fu breve e quando entrammo dentro, mi diressi all'ascensore. Salimmo al secondo piano e uscii, tenendola a braccetto. Non sapevo esattamente che direzione prendere e la signora non mi era d'aiuto, poiché non ricordava nulla. Le indicai un corridoio a sinistra, magari suo nipote era nei paraggi a giocare. Era meglio domandare al banco accettazioni, lì avrebbero potuto darmi informazioni. Chiesi all'anziana quale fosse il suo cognome, mi rispose "Belli" e dopodiché la lasciai per un attimo in quel punto. Mi diressi al banco dove c'era un giovane che smanettava sul pc e richiamai la sua attenzione con un colpo di tosse. «Scusi, senta, può controllare se una certa belli ha appuntamento con qualche dottore.»
«Controllo subito, aspetti» Guardò lo schermo. «Col dottor Tommaso Daliana.»
«Oh, il gentiluomo che è venuto al mio bar.» Che coincidenza. Il ragazzo mi mimò un "cosa?". «Nulla. Faccio da sola.»
Mi allontanai per tornare di nuovo dalla signora che ripresi sottobraccio, per poi uscire dalla porta scorrevole.
«Andiamo da questa parte?» chiese indicando col dito il corridoio a destra.
«No, signora. Meglio vedere da un'altra parte.» Spostai gli occhi di fronte e vidi arrivare nella mia direzione quel bel ragazzo robusto, con le spalle larghe e mi bloccai. Alzai il braccio per richiamarlo. «Dottor Tommaso!»
«Angelina?»
Risi. «Ricorda il mio nome. Penso di aver fatto colpo, non trova? Forse si è innamorato.»
Mi girai, rivolgendomi alla donna che si mise a ridere. Ci avviammo così dall'affascinante medico e mi salutò sorpreso. «Che succede? Stai cercando Federica?»
«No, ho accompagnato questa signora che è venuta al mio bar e ha perso suo nipote.»
«Che nipote?» si intromise l'anziana smemorina.
Tommaso spostò gli occhi da me a lei e poi su di me.
«Mi sto riferendo al... bambino. L'ha perso e non lo trova più.»
«Capisco. Va bene, allora. Stavo andando a vedere ad un intervento importante, ma... prima voglio darti una mano.»
«Fantastico! Lo cercheremo insieme.» Tommaso chiese il consenso anche alla signora, che gli domandò se avesse visto il nipote da qualche parte. Successivamente si accostò a lei per sussurrarle. «Lo troveremo. Forse la sta aspettando nel mio ufficio.»
«Speriamo sia nella sua stanza, dottore.»
La donna accettò e Tommaso le porse con gentilezza il suo braccio che afferrò prontamente per riprendere a camminare. Imboccammo un corridoio e intanto continuò a parlare del rapporto idilliaco con quel bambino che adorava.
Ma appena sentiva parlare di medici arroganti spariva. Alla vista di un ragazzo così non sarebbe di certo scappato a gambe levate. Guardai Tommaso scherzare come se niente fosse, mostrando un sorriso e ipotizzò che stesse giocando a nascondino. La donna però dichiarò che non lo sapeva. Il discorso proseguì. La donna era affezionata a suo nipote da quando i suoi genitori erano venuti a mancare e anche io non potei evitare di sorridere. Ci fermammo dinanzi una porta chiusa e ci invitò ad entrare. Appena la spalancò, l'anziana si bloccò ed esclamò. «Ah, ma sei qui!? Ti sto cercando da stamattina.» Puntai lo sguardo però una sedia vuota e seguendo la traiettoria dello sguardo mi resi conto che non c'era proprio nessun bambino. O se c'era... era invisibile ai miei occhi. Sbattei le ciglia e la donna ci indicò con le mani il posto, spostando lo sguardo da Tommaso a me, insistendo che suo nipote fosse in quest'ufficio. Scoprire che quella donna probabilmente non era lucida e che soffriva di allucinazioni... mi rese triste. Quella visione era soltanto sua. Noi non potevamo vedere niente. Incalzò il dottore a visitarlo prima che scappasse e cercai di mantenere la calma. Continuò a mandargli baci volanti, fare una vocina infantile... Ma quel bambino non era lì. La lasciai alle cure del medico, che sicuramente sapeva meglio della sottoscritta cosa le servisse.
Ebbi l'idea di andare a trovare - già che ero qui - Nicolò. Era uscito dalla terapia intensiva e potevo fargli visita, senza correre il rischio di essere cacciata. Ne approfittai per dare una pulita visto che c'era il tavolino sporco e anche un bel po' di polvere su quella superficie.
«Basta, Angelì. Mi sta girando la testa. Vai in giro tutto il giorno a pulire stanze come se fossimo in un hotel. Stai diventando una maniaca dell'ordine.»
«Per niente, caro. Essere puliti e ordinati è una grande virtù.» Terminai di passare lo straccio e poi mi avvicinai al letto. Enne aprì leggermente gli occhi. «Augurami buona fortuna. Ho in mente di preparare una festa a sorpresa per Federica.»
«Per Federica?»
«Proprio così! Perché? Che problema c'è?» Afferrai la cornetta del telefono per pulire anche quella. Non doveva restare nemmeno un granello di polvere.
«Non penso che le piacerà. Lei è allergica al suo compleanno. Non ha mai voluto festeggiarlo.»
«Ah, lo so, baby! Ma sono sicura che un giorno inizierà a piacerle e ci supplicherà di festeggiarlo. Fino a quel giorno, io...» Ridussi gli occhi in fessure. «Non intendo gettare la spugna.»
«In bocca al lupo!» Passai poi davanti al suo capezzale e proseguì. «Mi piacerebbe essere lì con voi, ma... è complicato.»
Sorrisi. «Tranquillo. Festeggeremo anche l'anno prossimo e quello dopo ancora... quindi avrai tutto il tempo.»
«Se fino al prossimo anno, Federica sarà ancora libera, avrò ancora una chance. Lo faremo.»
«Ecco fatto. Ho fatto brillare tutto come uno specchio. Ora andrò alla caffetteria per dare inizio a tutti i preparativi per l'emozionante festa a sorpresa!» Ruotai il dito, facendo un cerchio nell'aria e inclinai il capo. «Hai un bella cera. Abbi cura di te, ok? Non scappare di nuovo, bel vagabondo.»
«Devo potermi alzare e muovermi per scappare.»
«Presto lo farai.» dissi fiduciosa. Gli mandai un bacino volante per poi uscire di corsa.
Mi serviva un complice... per evitare che Federica scoprisse ciò e saltasse tutto, anche se aveva l'abitudine di allenarsi dopo il lavoro e difficilmente rincasava prima delle undici di sera. Ma qualcuno di coraggioso avrebbe dovuto farmi un grande favore. E avevo pensato bene a chi affidare questo arduo compito.
Bussai al suo ufficio ottenendo il permesso e mi affacciai, trovando il mio ex professore seduto alla scrivania.
«Dottor Rinaldi?»
«Angelina!»
«Ha un minuto?»
«Certo, entra pure.» Mi fece cenno alla sedia e richiusi di scatto la porta. «Siediti...» Corsi trafelata per piazzarmi di fronte alla scrivania. Il tempo era molto prezioso e non intendevo sprecarlo.
«No, no. Sono di fretta. Volevo chiederle una cosuccia.»
Assentì. «Ti ascolto.»
«Potrebbe tenere occupata Federica diciamo... fino alle otto e mezza?»
«È il lavoro più rischioso del mondo, ma allo stesso tempo il più divertente di tutti. Sarebbe un piacere!»
In effetti, Fede non era una persona facile da gestire, anzi era meno difficoltoso addomesticare un pitbull feroce.
«In bocca al lupo!» risposi incrociando le dita.
«Posso sapere perché devo correre questo rischio, Angelina?»
«È una sorpresa. Lo scoprirà quando porterà Federica alle otto e mezza a "La noia". Va bene?»
«Ok.»
Non mi restò che salutarlo velocemente e dileguarmi. Dovevo estendere ancora gli inviti al personale medico e preparare un mucchio di cose. Potevo a stento dire che avrei respirato. Dopo un pomeriggio pieno, passato a delineare ogni dettaglio di quella festa per la mia migliore amica, finalmente calò la sera e arrivarono anche i primi invitati, a cui nel frattempo iniziai a servire qualche rustico. Non si poteva aspettare a stomaco vuoto. Federica non sarebbe arrivata prima delle otto e mezza, come concordato col dottor Giovanni. Continuai a gironzolare per la sala gremita, dispensando saluti a chiunque quando la mia schiena finì per colpire qualcosa - o meglio - qualcuno. Mi girai a rallentatore, trovandomi ad osservare il rossiccio con la sua stazza imponente troneggiava su di me, che sembravo una nana. C'era anche lui qui. Non lo avevo notato finora, che sciocca...
«Sei tu?»
«Sì, sono io. Ci siamo scontrati, vero?»
«Sì, hai ragione...» Vidi che aveva una ciotola in mano. «Posso aiutarti in qualcosa?»
«No... Stai distribuendo patatine alla gente? Peccato che non sono quelle della mamma però...»
Rise a trentadue denti facendo affiorare quelle fossette che erano adorabili, gli davano un'aria gentile. «Mi sono piaciute molto quando le ho assaggiate qua. Erano così deliziose.»
«Ne sono felice. Bella la camicia.» Mi ringraziò. Aveva la stampa hawaiana, scelta stravagante: palme e noci di cocco e al piede le sue inseparabili ballerine nere.
«Sono qui se hai bisogno di aiuto.»
«Anch'io sono sempre qui.»
«Bene.»
Un'altra risata mi sfuggì dalle labbra e ripresi a servire.
«Sei molto bella!» commentò Gianmarco con tanto di occhiali da sole e lo ignorai, concentrandomi sulla ragazza che prelevò una tartina.
Poco dopo, andai a posare il vassoio e nel girarmi vidi Riccardo Gentile che stava scambiando due parole con Wax.
«Oh, dottor Riccardo! Benvenuto a "La Noia" e alla festa del fuoco dell'amore.» allungai la mano e me la strinse, scoppiando a ridere.
«Ha un nome originale!»
«Sono anni che organizzo le feste di compleanno per Federica e ogni volta esprimo un desiderio per lei. Quest'anno ho desiderato tanto ma tanto amore! Per questo il tema della festa è l'amore!»
«Dov'è finita la festeggiata?» Guardò attorno. «È scappata appena ha visto quello che hai combinato?»
Ridacchiai. «No, la porterà il dottor Giovanni, così non rovineremo la sorpresa!»
L'uomo annuì e mi allontanai un secondo, girando per il locale come una trottola impazzita.
[...]
A quel punto, diedi inizio ai festeggiamenti e Wax si appropriò del microfono iniziando a canticchiare una canzone, scritta da lui. Era molto orecchiale e sembrava raccontare un testo personale, infatti il titolo me lo suggeriva. Tutti sembravano gradire la performance, era bravo muovendosi sulla musica che si movimentava al ritornello, compresa me che cominciai a ondeggiare, allargando un sorriso. Non so se fosse più bella la canzone... o colui che la cantava. Ripeté il ritornello.
"Ma le storie che racconterò ci sarai te, la mia casa, il mio quartiere un po'... fai le storie per un livido" indicò quello che aveva sulla parte alta della guancia. "sei stata tu a farmi più male, lo sai!" Gridò per enfatizzare la frase. Aveva decido di stupire i presenti e direi che c'era riuscito. I brividi mi corsero lungo la spina dorsale e capii che era un racconto autobiografico di un ragazzo che vestiva i panni di strafottente, ma in realtà non lo era. Mi soffermai a guardarlo, come se in quella sala fosse sparito tutto. Anche lui mi guardò di rimando quando ripeté il ritornello. Ed era sicuro di sé, carismatico.
Perché non aveva fatto il cantante invece del medico?
La gente si spostò più in là aprendo un varco e la mia attenzione venne catturata da Tommaso Daliana, che aveva fatto il suo ingresso.
Lo squadrai dall'alto in basso e parve sentirsi in soggezione con quel pacco grande tra le mani.
«Ciao a tutti! Come va?»
Si rivolse ai presenti, poi avanzò verso di me e gli diedi il mio personale benvenuto. Non credevo si sarebbe reso disponibile a venire, anche se avevo distribuito gli inviti a chiunque in ospedale.
Mi ringraziò, gli feci segno alla sedia e si accomodò.
"Che stupida Nina... Dagli qualcosa da bere!"
«È offerto dalla casa.» Glielo appoggiai con un po' di imbarazzo e mi ringraziò con un cenno affermativo. «Prego.» Mi rivoltai per prendermene un altro e cercai di prestare attenzione a ciò che avevo davanti, cioè il rosso che stava aspettando di riprendere con la seconda parte del brano e poi alternai con l'altro, moro e ugualmente affascinante.
Mi sembrava di essere Elena, indecisa su quale vampiro scegliere per vivere la sua eternità. Stefan o Damon?
Ero combattuta. Passai lo sguardo sul moretto con il tatuaggio vistoso sul collo:
«La coppia Angelina-Tommaso» Vedendolo che stava per fissarmi, mi sfuggì una risata nevrotica. «No, no. La coppia Angelina-Wax, ma» Alzai gli occhi al cielo. «Non mi convince.» Stavo divagando, rimestando con la cannuccia il liquido. «Se mio marito fosse invece un medico di successo che mi compra una villa a Malibu? Be'... con Wax potrei andare in una tournée...» Risi compiaciuta per i miei voli pindarici. «Non lo so... Come faccio? Piaccio a entrambi. Forse sono così bella, non lo so... gli uomini fanno fatica a resistermi. Non avevo mica messo in conto di stare in mezzo a due uomini!» Sbuffai. «Cavolo, è molto difficile.» Intanto che i miei pensieri senza senso mi infestavano il cervello, Wax aveva finalmente smesso di cantare e partì un lungo e meritato applauso. Fece un inchino e presentò il prossimo che lo avrebbe sostituito: Gianmarco. Mi rivolse un sorriso e distolsi lo sguardo. Quest'ultimo abbassò gli occhiali sulla punta del naso, puntandomi in mezzo a quella folla.
«La prossima canzone è dedicata a una persona che mi piace. Posso avere un piccolo applauso?»
La gente lo accontentò e quando iniziò a cantare, - anzi a strimpellare - perché era più stonato di un campanello rotto, decisi di allontanarmi. Raccolsi il cellulare da sopra un mobile, rifugiandomi nelle cucine per fare una telefonata. Speravo che il dottor Giovanni avesse portato a buon fine quell'impresa.
Giovanni
Ormai le sue abitudini erano risapute. Sapevo che l'avrei trovata in palestra ad allenarsi e a sfogare tutto lo stress in una razione di pugni velocissimi.
Mi avvicinai alla piccola lottatrice, mimando anch'io di colpire l'aria con i pugni stretti. Potevo essere un segno avversario, battere i record, vincere delle medaglie d'oro...
Si bloccò per un secondo, prendendosi una pausa dall'allenamento e accennò un sorriso.
«Non ti chiederò perché sei qui. È normale che tu sia sempre qui.»
«Be', ti ci stai abituando.»
«Che succede?»
Qui veniva il bello.
«Dobbiamo essere in un posto entro un'ora. Vuoi venire con me?»
La bruna piegò la testa e strappò le fasce ai guantoni, sfilandoli dalle mani. «Ad una condizione. Vai a prepararti.» Poi me li lanciò e li presi al volo, merito dei miei riflessi rapidi. «Se mi batti, vengo.»
Mi superò lesta e decisi di accettare la scommessa. D'altronde, odiava rendermi le cose facili e volevo stare al suo gioco.
Fin dove si sarebbe spinta con quella competizione?
Ero curioso di scoprirlo.
Impaziente di fare quella sfida.
Gettai sul pavimento il borsone e la tallonai nello spogliatoio.
Successivamente, ci mettemmo l'uno di fronte all'altra e intrecciai le mani dietro la schiena.
«Molto bene. Come cominciamo?»
Mi guardò dall'alto in basso.
«Ti darò un po' di vantaggio. Fai tu la prima mossa.»
Che sportività da parte sua. Era una grande campionessa, eppure cedeva al suo rivale il testimone.
«Ottimo. Inizierò con la mia mossa preferita» sottolineai per poi avventarmi sulla giovane per afferrarle il bacino, ma mi anticipò e mi ritrovai a crollare sul pavimento. "mhm... Era così che voleva giocare?"
L'agguantai con tenacia pur di tirarla giù e rotolai su me stesso facendola finire sotto di me. Mi sollevai tenendola braccata per i polsi e la scrutai in quelle iridi marroni come castagne. Mi fissò di rimando. Ma durò un breve istante. Tentò di liberarsi, stendendo le braccia e dopo avermi assestato una marea di schiaffi, ribaltò la situazione. Mi ritrovai con la schiena sul pavimento e mi si buttò addosso per braccarmi con la stessa agilità di un felino, ma perse l'equilibrio e senza volerlo le sue labbra sfiorarono impercettibilmente le mie.
Fu un contatto fugace. Inarcò la schiena con impeto, tenendosi in equilibrio a qualche centimetro dalla mia faccia e la mano poggiata al lato della mia testa. Aveva il fiatone, il suo petto si alzò e abbassò contro il mio. Forse per lo sforzo eccessivo o per la vicinanza che si era d'un tratto ridotta... e non riuscii a non sghignazzare quando mi guardò. «Ho vinto io, campionessa. Ti dispiacerebbe toglierti ora?» Federica abbassò di scatto la testa, ma il peso non era un problema. Mi piaceva che fossimo così vicini. Quando lo rialzò, le sue guance assunsero un colorito prugna. «Lo so che ti piace questa posizione, ma così faremo tardi. Purtroppo non si può rimanere.» Fece per schiudere le labbra ma non pronunciò una sillaba. Si limitò a spostarsi immediatamente e scattò in piedi per sgaiattolare via. Restai per un po' sdraiato e mi rimisi seduto, pensando a quel momento, quando era stata sul punto di baciarmi per quel buffo scivolone. Poi mi alzai e presi il borsone per metterlo in spalla. «Aspettami, bodyguard!»
[...]
Nell'abitacolo non volò una mosca. Ero troppo impegnato a guidare e, di tanto in tanto, gettavo occhiate alla passeggera che guardava la strada. Federica sembrava intenzionata a giocare al "gioco del silenzio". Non parlai neanch'io, volli assecondarla. All'improvviso il cellulare squillò disturbando la quiete.
«Arriviamo, arriviamo...» risposi alla domanda di Angelina, spiando di sottecchi Federica che era distratta a guardare il finestrino e, visto che non poteva scoprire chi mi stesse telefonando, inventai un nome a casaccio. «Certo, Enrico, sta' tranquillo. Ci vediamo fra poco. Ciao, ciao, ciao...» Riattaccai.
«Recitare non è il tuo forte.»
«Ma quale recita?»
«È stata pietosa. Non meritava neppure la sufficienza.»
Guardai di sfuggita nella sua direzione e schioccai la lingua. «Be', non posso essere pietoso visto che non stavo recitando.»
«Conosco Angelina troppo bene. Ogni anno, per il mio compleanno, cerca di farmi una sorpresa.»
«È il tuo compleanno?» Mi voltai stupito e mi guardò a sua volta.
«Sì. Non lo sapevi?»
«Non lo sapevo.»
Federica emise un sospiro. «Mmm... Non conosci la data del compleanno della ragazza che ti piace. Hai appena perso dieci punti. Che pena, dottor Rinaldi.»
Frenai bruscamente al semaforo al punto che l'auto sobbalzò.
Probabilmente sbiancai.
Come avevo potuto non far caso a un dettaglio, come quello?
«Credevo... fosse per altro quando mi ha detto che stava organizzando una sorpresa. Comunque, non dirle niente altrimenti la ragazza si arrabbierà. Mostrati allegra.»
«Tranquillo, è quello che faccio sempre.»
Feci un sorriso sghembo e quando il semaforo passò a verde, ripartimmo. Arrivati alla caffetteria, scendemmo dalla vettura e mi seguì. Mi affacciai e dall'interno del locale tutte le luci erano spente, si erano nascosti da qualche parte per aspettare l'ingresso della festeggiata in pompa magna. Quest'ultima scese un altro gradino e mi girai.
«Hai promesso. Non rovinare la sorpresa.»
«D'accordo, mi fingerò sorpresa.» Le feci cenno col braccio di passare per prima, sperando che andasse tutto a gonfie vele perché, in caso contrario, Angelina mi avrebbe strangolato. Appena entrò, le luci si riaccesero di colpo e vennero sparati i coriandoli in aria. I presenti batterono le mani e gridarono "Sorpresa". «Non posso crederci. Sono venuti tutti!»
La castana si avvicinò travolgendola in un abbraccio e le diede un bacio sulla guancia.
«Tesoro, come l'hai saputo? Te l'ha detto il dottor Giovanni?» domandò guardandomi in tralice. In quanto a recitazione anche Fede era una mezza puppa. Angelina l'aveva sgamata in tempo zero, cercai di fare finta di niente anche se ottenni un'occhiata di rimprovero dalla castana. Federica poi si recò a salutare e ringraziare tutti con un falso sorriso stampato in faccia. Si vedeva lontano un chilometro che non si trovasse a suo agio ad essere al centro dell'attenzione, ma si apprestò a salutare Riccardo, Gianmarco, Mattia e si stupì nel vedere Tommaso Daliana, che le porse un pacco. Terminato quel momento, Angelina urlò particolarmente eccitata "torta! Portate la torta!". Il rosso marciò verso di noi portandone una, decorata con le fragoline e la posizionò con estrema cautela sul tavolino ch'era stato piazzato davanti a Federica. L'abbracciò calorosamente e indietreggiò, unendosi agli altri.
I presenti la incitarono a soffiare e la festeggiata stava per farlo.
«No, no! Aspetta!» strillò Angelina facendole quasi prendere un colpo e infatti portò la mano al petto, chiudendo gli occhi. «Esprimi il desiderio, il desiderio...»
«Sì, Nina, sì...» Per qualche secondo la ragazza pensò a cosa chiedere e, in cuor mio, sperai che fosse correllato anche a me. Dopodiché spense la fiamma con un solo soffio e l'ambiente si riempì di altri applausi. Altre persone corsero a farle gli auguri e nel frattempo il cellulare mi avvisò di una chiamata in arrivo. Guardai il mittente comparso sullo schermo: "Edoardo Cenere" e ne approfittai per distanziarmi. Forse c'erano delle importanti novità sul caso di quell'uomo.
«Sì, Edo?»
«Come sta andando? Hai detto alla ragazza dell'inchiesta del medico legale?»
«No. Non sono ancora riuscito a farlo.»
Però pensavo di farlo a breve.
«C'è altro che posso fare? Mi dispiace di non poter aiutare.»
«No, no... non devi sentirti in colpa per nulla, Edo. Parlerò prima con mio padre e poi lo dirò a Federica. Se ho bisogno di qualcosa, mi metterò in contatto con te.»
«Al tuo servizio, Gio. Buona serata.» Riagganciò. Purtroppo - secondo le indagini - nessuno aveva richiesto l'autopsia dell'uomo morto per arresto respiratorio. Sembrava che qualcuno si stesse rifiutando di farla per camuffare la reale causa del decesso, ma prima di sganciare una bomba del secolo, dovevo fare chiarezza in quel caso. L'unico in grado di fornire risposte sicure e determinanti era mio padre.
Dopo l'incidente del motociclista non avevo voluto darle preoccupazioni ulteriori e benché meno adesso che stava festeggiando il suo compleanno ed era felice, circondata dalle persone a lei care. Era meglio aspettare il momento adatto.
[...]
La festa procedeva al meglio, circa una trentina di persone erano riunite ad un lungo tavolo e si elevò un confuso chiacchiericcio fra i commensali, impegnati a mangiare. Ero indeciso se provare un rustico e Federica pose fine all'incertezza, passandomi direttamente la sua forchetta invitandomi a provarlo. Il cibo era davvero squisito.
«Angelina non molla, l'ha fatto di nuovo!» commentò Riccardo strappando una risata ai due infermieri. La fautrice di quella serata si presentò invitandoci a battere le mani. In fondo, era riuscito alla perfezione ed era merito suo. «Innanzitutto...» esordì, schiarendo la voce. «Ci tenevo moltissimo a ringraziare tutti quanti per avermi sostenuto in questa sorpresa così bella.» Seguitarono altri applausi e frasi di esclamazione. «Tra l'altro - riprese - vorrei tantissimo spendere tante belle parole per questa ragazza dalla testa dura, ma il cuore gigante e dirle che - guardò la mora emozionata e con gli occhi lucidi - sono stata molto fortunata ad aver incrociato la sua strada. Non so come avrei fatto senza di lei. Non ho solo trovato un'amica in grado di capirmi e consolarmi quando sto giù, ma ho trovato letteralmente una sorella! Abbiamo bisogno di persone così al mondo. Persone buone, coraggiose e fantastiche. E...» Federica allungò la mano per accarezzarle il braccio. «Buon compleanno, Fede!» Tra gli applausi scroscianti, la mora si alzò dalla sedia per avvolgere la più piccola in un abbraccio. Un abbraccio che valeva più di mille parole. Quando si slegarono, si guardarono negli occhi e Federica le prese il volto per lasciarle un bacio sulla guancia. Angelina asciugò in fretta le lacrime di commozione. La loro era un'amicizia vera, che poche persone potevano dire di avere davvero. Inoltre, quel discorso toccante dimostrava quanto ci tenessero l'una all'altra e fossero legate da un filo invisibile, destinato a non spezzarsi mai. «Ma ora... è arrivato il momento di pensare a divertirci... Dunque io avrei una proposta da fare: che ne dite di un karaoke?»
La proposta venne accolta con dei fischi di approvazione.
«Be', a questo proposito...» Mi feci avanti, alzando un dito. «Vorrei cogliere l'occasione per fare un piccolissimo regalo alla nostra festeggiata...» Strizzai un occhio a Federica e Angelina fece portare una chitarra. In realtà stavo per finire la stesura... non era ultimato ma visto che oggi era un'occasione tanto speciale avrei fatto un'eccezione. «È un omaggio e il tema principale è l'amore. Buon ascolto.» Sistemai gli accordi sulla chitarra sotto gli occhi di tutti, tra cui i suoi, quelli della donna a cui avevo dedicato queste frasi. Iniziai. "Ho passato tempo a dirti che... rompessimo il vetro non saresti sola. Però non è vero, non lo è. Per ora...» Alzai gli occhi fissando quelli che mi facevano letteralmente impazzire. Mi portavano a credere che potessimo vivere al di fuori di un Acquario, senza alcun timore. «Mi ami» Abbassai lo sguardo per sfiorare le corde con il plettro. «O non mi ami, non lo so. Ancora... E dai non dir così...» Tutte le volte preferiva fuggire, piuttosto che affrontare la realtà o quello che sentiva nel profondo. «Che il posto che ci aspetta non è qui.
Toccheremo terra e mare, spiaggia e sale...» Poi esclamai. «È tutto da rifare con te!» Anche se era un disastro e dovevo sempre correrle dietro, lo avrei fatto pur di sfidare le paure che ci bloccavano in questa posizione statica e convincerla che potevamo funzionare. «Noi siamo dolci nel sale.» E seppur non si potessero mescolare, in quel caso sì, potevamo esserlo. Mi concentrai esclusivamente su Federica, non distogliendo lo sguardo. Era inaspettato, ma era il bello di una coppia e l'acquario sarebbe sparito. Avrei distrutto ogni barriera che si ostinava ad erigere per tenerci separati.
La mia essenza sarebbe stata sempre lei e da lei ero tornato dopo molto tempo in questa città.
L'ultima nota della canzone venne accolta da altri urli euforici, fischi, applausi, mentre sul volto della protagonista della storia d'amore che avevo raccontato a gran voce restò un'espressione imperscrutabile. Tornai verso il tavolo, Angelina era elettrizzata e si complimentò per l'esibizione per poi fissare la sua migliore amica, ma Federica preferì ignorarla.
«Ok, è arrivato il momento del gioco a sorpresa!»
«Un gioco, eh?»
La castana annuì, rivolgendomi un occhiolino. Successivamente fece un cenno alle ragazze che aveva assoldato per il catering di andare. Riccardo le chiese quante sorprese avesse preparato e scoppiò in una risata a tratti isterica. Il ragazzo portò a quel punto un vassoio con dei bicchieri pieni di... latte?
«Nina, si può sapere che stai tramando stavolta?» la interrogò Federica.
Cercai di sbirciare, ma mi urlò di non farlo. Era una sorpresa ed era obbligatorio non scoprire il contenuto fino a tempo debito.
«Visto che il tema di questa serata è l'amore... chi non ha paura dell'amore, chi non ha paura di soffrire per amore... allora si alzi e venga vicino a me. Faccia un passo avanti!» Mi alzai per posizionarmi affianco alla castana e la gente applaudì di fronte mio atto di coraggio. Feci un inchino di ringraziamento. «Amore, non puoi assolutamente non partecipare. Sei la festeggiata!»
Angelina afferrò la mano di Federica obbligandola ad alzarsi e mettersi accanto lei. Poi invitò anche gli altri. Matteo si fece avanti, seguito a ruota dal mio vecchio amico, Riccardo, che non voleva perdersi il divertimento. Vidi Federica increspare un sorriso smagliante e il gruppo di coraggiosi si incrementò di più quando si aggiunsero anche Mattia e Gianmarco.
«Dai, ultimi posti!» avvisò Angelina roteando l'indice. Dulcis in fundo, mi sbalordì anche che Daliana avesse voluto seguire l'esempio dei colleghi e si piazzò tra me e Gianmarco.
«E invece loro hanno paura, eh?» indicai i restanti seduti ai loro posti. Risposero tutti di sì in coro e Angelina passò a svelare il contenuto misterioso che si celava sotto il tovagliolo. Lo tolse urlando: «Tadaaaa!»
Ci mostrò un piatto colmo di peperoncini e scoppiò a ridere.
«Angelì, no, te lo scordi! Non mangerò mai questa roba!» protestò Federica storcendo la bocca in una smorfia.
«Oh, tesoro, non fare storie. Purtroppo non ti puoi tirare indietro...» la rimbeccò l'altra. «Ora vi spiego le regole del gioco. Ognuno di voi ne prenderà uno dal piatto e lo mangerà. Poi un altro e dopo un altro ancora. Quelli che non vogliono continuare, prenderanno il latte e verranno automaticamente squalificati!»
«E il vincitore invece?» chiese qualcuno.
«Il vincitore… sarà quello più coraggioso... e potrà scegliere il premio che gli spetta. Avanti, prendete, forza!»
Dal mio canto avevo già tra le mani quel bocconcino, toccava farlo agli altri.
«E tu non mangi?»
«Sono l'arbitro» Ridacchiò Angelina. «Non mangio...»
Guardai il peperoncino attentamente e Angelina iniziò col conto alla rovescia, alzando il fazzoletto come a ruba bandiera. Quando lo fece cadere, iniziarono a mordicchiare tutti quanti il peperoncino e sfregai il mio sotto il naso di Federica, ricevendo un piccolo spintone con la mano da lei infastidita. I primi effetti si notarono sulle facce di Mattia e Riccardo, che diventarono rossi e tossirono.
La mia gola parve andare a fuoco dopo un morso. Mi sventolai la bocca e afferrai il bicchiere.
«Ho sofferto questo dolore per dieci anni, per stasera passo...»
E sorseggiai il latte dichiarandomi fuori dalla competizione, mentre Federica si stava sventolando con la mano e cedette anche lei. Quella sfida era troppo, si sedette per bere il latte e calmare il bruciore intenso. Angelina la schernì dicendo che sapeva quanto avesse paura di soffrire per amore e, in effetti, non aveva tutti i torti. A gareggiare restarono pochi temerari. Intanto che la vedevo tentare di riprendersi, la richiamai con un fischio. «Ehi...» Sollevò la testa, le indirizzai un occhiolino e feci un cenno col capo: «Vieni.» A quel punto mi apprestai ad uscire dal locale lasciando gli altri impegnati nella sfida al sapore di peperoncino e dopo un po' mi seguì a ruota.
Fece un cenno, come a mimarmi un "cosa c'è?" e continuai. «Sei venuta qui per me stasera, festeggiata.»
«Cosa succede? Hai iniziato con i discorsi?»
«No. Non è un discorso. Voglio portarti in un posto.»
«Dove?» chiese con espressione interrogativa. «Pensi che verrò con te senza combattere?»
Finsi di pensarci, allontanando lo sguardo. «Non mi dispiacerebbe. Questi combattimenti finiscono sempre bene. A te la scelta, Andreani.»
Abbassò lo sguardo e parve riflettere. Le porsi la mano e dopo qualche momento di esitazione in cui si limitò a osservarmi, l'afferrò. Gliela strinsi e la trascinai con me verso le scale. Mi sorpassò, balzando su ogni gradino. In fondo... sotto quella fortezza in apparenza infrangibile si nascondeva una bambina che aveva una voglia matta di divertirsi e aspettava solo di esser tirata fuori da quel guscio che si era costruita col tempo. Ed io l'avrei accontentata. Di certo, le sarebbe piaciuto. Raggiungemmo di nuovo la mia macchina e saltammo su, alla volta di quel posto misterioso.
[...]
Quando varcammo l'ingresso di quel luna park, che avevo saputo avesse riaperto i battenti da qualche giorno dopo qualche anno di chiusura per restauro, ne avevo approfittato per prendere i gettoni. Federica guardò tutte le giostre luminose che svettavano sopra di noi e mi confessò di non aver mai visitato un posto simile. Bene... avevo avuto una buona idea, anche se non era più tanto piccola, nessuno ci vietava di provare quelle attrazioni. La tirai immediatamente per un braccio, trascinandola verso la prima che avevo adocchiato e salii su una specie di tappeto interattivo, che lasciava impronte di animali ad ogni passo. Si dispose nel mezzo e mi divertii a girarle attorno, tanto che le strappai una risata. Non riuscivo a farne a meno al punto che dovette trascinarmi via lei, come una mamma col suo bambino che faceva i capricci. Passammo poi a fare i canestri con la palla da basket e notando il risultato sul tabellone luminoso gliela rubai e la tirai nel canestro, ridendo a crepapelle per la sua faccia imbronciata.
Una palla dopo l'altra... finché non mi indicò con le dita il tabellone e le strinsi la mano, accettando la mia sconfitta. Successivamente passammo alle macchine da corsa e Federica esultò con un urlo, alzando le braccia in aria, quando superò il traguardo prima di me.
«Ti piace proprio vincere, vero?»
«Ovviamente!» Mi riappoggiai allo schienale per ammirare quell'incantevole sorriso che si era formato sulle sue labbra. Avrei voluto che fosse sempre così serena. Successivamente le promisi anche un giro sugli autoscontri e mi tamponò la maggior parte delle volte, continuando a ridacchiare. Tentai di allungare il braccio e afferrai la carrozzeria della sua vettura, nonostante le numerose proteste. Il telefono non squillò neanche una volta, era quasi un miracolo. Concludemmo poi con la pesca dei pesciolini a cui dovevamo lanciare delle palline dritto in bocca e Federica mi accusò di barare perché non puntavo a quelli più vicini. Provai così con due palline contemporaneamente e andarono entrambe nella bocca aperta del pesciolino, facendola scoppiare a ridere talmente tanto che si piegò in avanti. La commessa mi consegnò il premio che avevo vinto, ovvero una bambola con le treccine e un vestitino sui toni del blu e del bianco a pois. La mostrai alla brunetta e con un sorriso smagliante me la tolse di mano per guardarla. Me l'avvicinò affermando che mi assomigliasse per il colore degli occhi e gliela presi per puntare due dita direttamente su di lei come a dire "ti tiene d'occhio.". Increspò un sorriso e ci alzammo per andarcene. Ormai erano finiti i nostri gettoni e avevamo girato tutte le giostre. Continuò a toccare la bambolina e poi alzò lo sguardo verso di me.
«È la prima volta che mi sono sentita una bambina!»
«Sono contento. Sei felice?»
«Molto felice.»
«Ti auguro buon compleanno, Federica Andreani. Sono felice che tu... sia nata. Quel giorno i tuoi genitori hanno veramente fatto la cosa più bella del mondo. Il mio regalo per te è ridarti indietro la tua infanzia.»
Mi osservò ancora, poi guardò la bambola, e le rivolsi un'espressione soddisfatta.
Si avvicinò e mi gettò le braccia al collo, abbracciandomi.
«Ti ringrazio.» bisbigliò.
Appoggiai le labbra contro la sua testa, sfiorandole il lobo dell'orecchio. «Non è finita qua» Sciolse il contatto e si separò. «C'è un'altra sorpresa»
«Ancora? Non è già abbastanza quel brano e le giostre? Hai altro in mente?»
«Ti porto in un posto.»
«Dove? Hai deciso di rapirmi? O vuoi regalarmi un viaggio sulla luna?»
«No. Ma è un posto che ti piacerà.»
Le feci cenno di precedermi verso l'uscita e non aggiunsi altro per non rovinare la suspense.
[...]
Continuai a saltellare sul posto per fare un po' di riscaldamento e intanto spostai lo sguardo su Federica intenta ad allacciare le scarpe. «La vedi quella panchina? Vince il primo che arriva lì!» gliela indicai, era un po' distante da dove eravamo.
«Ok.»
«E per tua informazione, sebbene il piede non mi faccia più male, non sono ancora guarito e non voglio sforzarlo.»
«Dai, dai. Non piangere.» mi sfottò e poi con la schiena dritta saltellò anche lei per finire di riscaldare i muscoli.
«Non smetti mai di gareggiare, eh?» Mi guardò con un sorriso che le finiva da un orecchio all'altro. Quella poteva essere una risposta più che sufficiente e risi. «Quando non trovi nessuno con cui competere, scommetto che competi con te stessa.»
«Bravo, mi hai scoperto!»
«Mmm... allora iniziamo.»
Ci mettemmo in posizione di partenza, impostando un piede avanti all'altro e dopo il conto alla rovescia, la ragazza prese la rincorsa immediatamente.
Iniziò a correre per quel sentiero del parco, lasciandomi indietro, e mi sbracciai, fingendo di essere un uccello in procinto di spiccare il volo.
Fu la prima a tagliare il traguardo ed esclamò.
«Ho vinto!»
Ci fermammo per prendere un po' di respiro.
«Sei felice di aver vinto?»
Alzò le braccia. «Sì, tanto!»
«Allora anch'io!» la imitai con la stessa enfasi.
Si piegò sulle ginocchia e poi mi propose. «Ancora?»
«Va bene!»
Quindi ci voltammo per tornare al punto di partenza camminando l'uno affianco all'altra. Mi rendeva felice poter trascorrere questi momenti con lei, lontani dal mondo intero. L'osservai mentre aveva distolto lo sguardo, guardando davanti. Avvertii la sua mano intrecciarsi alla mia e d'istinto abbassai gli occhi, incrociando i suoi. Non era mai successo.
Era la prima volta, che mi aveva preso la mano e pensai a quanto fosse insolito quel semplice gesto... oltre che speciale.
«Ti lascerò vincere stavolta.»
«Me lo permetterai?»
Annuì, distogliendo velocemente lo sguardo. In realtà, aveva già vinto la competizione più importante, conquistandomi. Il mio cuore — nel momento in cui mi aveva stretto la mano — aveva accelerato i battiti.
Stava battendo così forte che mi avrebbe distrutto la gabbia toracica per saltare fuori di lì. Senza lasciarmi la mano, mi tirò con sé e riprendemmo a correre.
~ fine settimo capitolo~

E tanta roba...
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