Capitolo 5.2 - Vicini alla verità?

Giovanni

«Rilassati...» provò a rassicurarmi Riccardo accanto a me, ma senza alcun risultato. «Sembra che tu voglia sfondare il vetro e saltare giù

Sì. Lo volevo. Ma non potevo venir meno alla promessa che avevo fatto a Federica. Mi fidavo di lei e delle sue capacità ad occhi chiusi, anche se c'era comunque un po' di timore.
Mi urtava non poter aiutare in prima persona anziché essere confinato ad assistere da qui.

«Faccio molta fatica a non entrare in sala operatoria.»

L'uomo pose la mano sulla mia spalla. «Capisco. Hai fatto una cosa estremamente difficile. Ti ho apprezzato. Chiunque lo avrebbe fatto. Ora lascia che siano loro ad occuparsene.»

«Come sta andando? Al...» mi interruppi per buttare giù un fiotto di saliva. «All'uomo che gli ha sparato?»

«È in sala operatoria.»

Feci un cenno d'assenso, continuando a monitorare la situazione del piano inferiore. Però non mi risultava chiaro la dinamica. Avevo il presentimento che non fosse stato semplicemente frutto del caso, ma che quell'uomo avesse sparato a mio padre per un motivo. Stavo tralasciando qualcosa. Perché avrebbe dovuto ucciderlo a sangue freddo? Quale conto in sospeso c'era tra di loro? Mio padre non mi aveva mai parlato di lui in tutti questi anni. Era tutto strano e con pochi elementi era difficile delineare un movente. Mantenni una presa salda sulla stampella e adagiai il palmo contro il vetro, guardando l'operazione che Federica stava eseguendo con massima concentrazione e silenzio.
Al momento non sorsero problemi, era tutto sotto controllo, ma non bisognava darlo per scontato.

Riccardo mi spronò ad aspettare fuori, per non farmi sopraffare dall'ansia e pensieri negativi. Aspettai nel corridoio del blocco operatorio, seduto sulla sedia, con la mano sotto il mento e l'angoscia che mi stava mangiando dall'interno. Un'infermiera mi passò davanti e non la considerai, finché le porte scorrevoli si aprirono. Alla vista di Federica, mi alzai con scatto e rischiai di incespicare ad ogni passo. Per fortuna riuscì a prendermi le braccia. Notai l'espressione serena che aveva ma volevo avere la certezza.

«L'operazione ha avuto successo. Il paziente sta bene.»

Non poté darmi una notizia migliore. Mi restituì la stabilità e anche il sorriso sulle labbra. Mio padre non era più in pericolo... ed era stato grazie a lei.

«Fede... Grazie mille.» Mi fiondai fra le sue braccia e la strinsi forte, come se da un momento all'altro potesse svanire. Circondai le sue spalle e appoggiai il mento sulla sua spalla. «Grazie.» Mi lasciò fare senza tirarsi indietro e chiusi gli occhi beandomi di quel contatto. Dopo la terribile esperienza vissuta pochi istanti prima... quel gesto aveva disintegrato le mie incertezze in una volta. Restai in quella posizione per abbastanza tempo da isolare il mondo.

«Ci stanno guardando tutti.»

«Lasciali guardare.»

Fortificai la presa e seppellii la testa nell'incavo tra la clavicola e il collo. Volevo solo perdermi dentro di lei.

«Lasciami andare...»

«Un altro secondo.»

«Non è il luogo adatto, Gio.»

«Pensi che mi interessi?»

Era superfluo, tutto il resto. Stare con lei non era affatto una cosa scontata. Mi stava dando una grande e unica possibilità.

«Quanto sei ostinato!» sbottò.

«No.» Si staccò leggermente per guardarmi negli occhi. «È amore. Io ti amo

A quella dichiarazione così sfacciata ma totalmente spontanea, non le uscì un suono dalla bocca. Quando si trattava di scavare nei suoi sentimenti o mettersi a nudo, trovava sempre il modo di fuggire. Infatti mi liquidò con un frettoloso 'devo andare' e sparì in un attimo.

«Dimentichi di essere in un ospedale.» intervenne Riccardo avvicinandosi e rivolgendomi un tono di velato rimprovero.

«Quando si tratta di Federica, dimentico tutto il mondo. Col tempo ci faranno l'abitudine anche gli altri.» Lo squadrai e mi diede l'impressione che fosse infastidito dalle mie parole.

Gli dava fastidio che parlassi apertamente dell'amore che provavo per la sua allieva? Lo sapeva da anni che avevo sperato di rivederla più volte. Ora che l'avevo incontrata qui ed era diventata una collega di lavoro, non avrei lasciato correre e mi sarei buttato a capofitto in una relazione. Le nostre strade erano strettamente intrecciate.

«Spero che tuo padre si riprenda.» cambiò discorso.

«Grazie, Riccardo.»

Poi mi mollò in quel corridoio, con un bel po' di pensieri che mi ronzavano nel cervello.











Federica

Aveva avuto una splendida idea portandomi i cupcakes, oltre al fatto che a seguito di tante ore passate in corsia tra un'emergenza all'altra, non avessi ancora messo niente sotto i denti. A detta di Angelina, dovevo mangiare più... E questa mattina aveva voluto portarmi una sostanziosa colazione. Menomale che esisteva, la mia coinquilina e pazza migliore amica dai tempi della scuola.
Porca miseria, erano buoni... e li addentai, pulendo la bocca con la mano dalle briciole. Cioccolato e panna montata. Stava diventando una pasticcera provetta, avrebbero potuto chiamarla a Masterchef.

«Per questa prelibatezza, potrei discutere con te per altre volte di fila, lo giuro!» affermai alzando tre dita della mano.

«Menomale che sono una persona pacifica e non riesco a tenerti il broncio, altrimenti... Beh, lascia stare. Ci sono cose più importanti.»

«Del tipo? Ti sei innamorata?»

«Sì.» rispose schietta e mi lasciò perplessa tanto che smisi di masticare. Avevo tirato ad indovinare, conoscendola quegli occhi a cuoricino non potevamo trarmi in inganno. Ogni volta che si era presa una cotta per qualcuno la sua espressione era sempre sognante e aveva la testa tra le nuvole. Come dimenticare, quel flirt con Antonio, che aveva conosciuto durante il periodo estivo a Maratea. Diceva che voleva addirittura portarla all'altare, ma alla fine si erano mollati perché voleva suonare con la sua band e raggiungere un certo livello di popolarità.
«Ma ho una notizia migliore... che ti dirò più tardi.»

«Uh... Allora dev'essere una notizia bomba.»

Annuì. «Tieniti forte, Fe...» Si sporse in avanti. «La strega malvagia... Ha beccato... Il piccione.» disse in modalità 0,5.

La fissai interrogativa, senza aver capito il nesso della frase.
Alzai un sopracciglio. «Che stai dicendo, Angi? Non parlare in codice. C'ho già mal di testa.» Sbuffai mordicchiando il dolce.

«Uffa, va bene. Che guastafeste! L'hai voluto tu. Maddalena... » intervallò altre pause come alla serata degli Oscar. «Ha baciato...» Addentai un altro pezzo. «Giovanni!» Sentendo ciò, mi andò di traverso e mi curvai in avanti tossendo violentemente. Angelina mi assestò qualche pacca sulla schiena e riuscii a mandarlo finalmente giù. «Te l’ho detto che ti avrebbe sconvolto! Bene...» Mi sollevai a rallentatore dopo aver sfiorato la morte per soffocamento. «Se questo ti ha scioccato, adesso arriva la parte peggiore.»

«È da mezza giornata che non ci vediamo, Angelina. Come cavolo hai fatto a scoprire tutte queste cose?»

«Aspetta, aspetta.» mi interruppe di corsa. «Sembra anche che il povero Giovanni la sposerà.»

«Eh? Che cosa?»

«Proprio così. Quando l’ho scoperto, le ho detto testuali parole buttandola per terra: “Ehi, tu, brutta strega, come osi dire che sposerai il professor perfetto!?» esclamò con tanto di gesti compulsivi della mano.

«Chi dovrei sposare?» intervenne il diretto interessato raggiungendoci a piccoli passetti e lo guardai di sfuggita, prima di distogliere la faccia.

«Oh, dottore, spero che suo padre si riprenda presto per poter organizzare la proposta.»

«Come?» fece, cascando dal pero.

Possibile che non ne fosse a conoscenza o la sua era tutta una farsa? In ogni caso, aveva una grandissima faccia di bronzo, per non dire altro di volgare. Pertanto anziché fissarlo, scrollai il pantalone dalle briciole.

«La strega. Grimilde. Ho saputo che vi sposerete.»

Rise. «Con Maddalena?»

Che razza di ipocrita. Mi voltai, vedendo un sorrisetto patetico e con un pizzico di fastidio, ridussi gli occhi in fessure. «Ti diverte?»

«Sì... Molto.» Guardai altrove. «Senti, io voglio sposarmi, ma con un’altra ragazza. La ragazza che mi piace è più scura, più bella… con molto più carattere.» Angelina ghignò, lanciandomi un’occhiata eloquente per farmi intendere che la candidata a quel posto ero presumibilmente io.

«Vado a controllare il signor Giorgio.»

Con impeto, mi alzai dalla panchina e Giovanni mi bloccò il passaggio, mettendosi in mezzo.

«Sta bene. Sono appena andato a trovarlo e ha ripreso i sensi, tranquilla.»

Mi limitai ad un cenno affermativo con la testa e fissai la mia amica che aspettava il momento per lasciarci soli. «Angelina?» Gli riservò un sorriso gigante. «Posso rubartela per un po'?»

«Certamente. Faccia come vuole, anche tutta la vita se le serve!» esclamò balzando in piedi per raccogliere il cestino e, a quel punto, il piccoletto acciuffò un cupcake. Dopo la ringraziò, strizzandole l'occhio e Angelina lo salutò con fare complice.
Ci superò e non mi restò che mettermi seduta, osservandola e indirizzandole un'occhiata omicida. Tanto a casa io e lei avremmo fatto i conti.
Mi guardò ammiccante, guizzando su e giù le sopracciglia, e le mimai di smetterla con un gesto del braccio.

Qualcuno appoggiò la testa sulle mie gambe e abbassando la testa vidi Giovanni che, fregandosene, stava mangiando di gusto.

«Che stai facendo?»

«Stai zitta per un po'.»

«Non posso credere che tu sia comodo così, ti giuro.»

«Parlando di comodità…» Tornai a fissare il giovane che aveva le palpebre chiuse. «Non sono mai stato in un posto così confortevole, sai? Adoro.»

Scrutai i dintorni preoccupata di quello che potessero pensare i nostri colleghi passando di lì e vedendoci in quella posizione. Era talmente imbarazzante che le guance si arrossirono.

«Ci stanno guardando tutti, Gio.»

«Mhm… e guardali anche tu. Però sorridi. Non fare la scontrosa come sempre. Non voglio che pensino che non sei felice.»

«Tu sei pazzo. Non sei normale.»

Accennò un sorriso. «Da che pulpito. Boh, chi lo sa? Dai, rilassiamoci un po', Fede.»

Aveva fatto tutto da sé e si era rimesso perfino a dormire, chiudendo gli occhi e scambiando le mie cosce per un morbido cuscino. Dopo un po', non si mosse più, cadendo in un sonno letargico. Purtroppo doveva svegliarsi e iniziai fischiare. «Ehi! ‘bella addormentata’. Alzati, forza.»

Mosse impercettibilmente il capo e increspò un sorriso.
«Scendo alla prossima fermata.»

Scoppiai in una risata divertita, notando la sua faccia sporca di glassa. Era peggio di un bambino.

«Pulisciti, hai fatto un macello.»

«Ora lo faccio... » mugugnò con gli occhi ancora serrati.

Non credo l'avrebbe fatto e visto che non poteva andarsene in giro in quella maniera, gli strofinai leggermente la mascella liscia per scrollare via le briciole e prima che allontanassi la mano, mi afferrò il polso, baciando le punte dei polpastrelli. Vi appoggiò a lungo le labbra per poi spalancare le sue iridi verdine e osservarmi dal basso, conducendo la mano proprio al centro del petto, dove quel muscolo cardiaco batteva forte.

«Perchè hai così paura, Fede?»

Feci spallucce. «A che ti riferisci?»

«Scappi sempre.»

«No.» Mentii.

Alzò la mano per raggiungere il braccio che accarezzò seguendo un percorso invisibile, facendomi salire un brivido. «Federica. Senti, Federica… io ho bisogno di te, lo sai? E anche tu di me.»

«Forza, alzati. Andiamo!» lo esortai a spostarsi, ma non si azzardò a mollarmi la mano.

Si rimise dritto e si schiarì la gola. Mi tenne la mano e proseguì. «Lo sai, vero? Quando arriverà quel giorno saremo entrambi molto felici.»

«Io sono già felice. E non ho bisogno di nessuno.» Obiettai.

Ruotò la testa altrove. «Davvero?»

«Sono seria. Parla per te, se sei insoddisfatto della tua vita. Devo andare.»

Lasciai la presa, infilando le mani nelle tasche e mi allontanai spedita come una gazzella.

Mentre mi dirigevo all'entrata, la mia attenzione venne catturata da una famiglia, seduta ai tavoli del bar. Mi soffermai a guardare la bambina sulle gambe della madre mentre il padre giocava a farle il solletico. Non era una cosa strana, i bambini a quell’età dovevano solo sognare e non farsi carico di responsabilità più grandi di Loro. Tornai a pensare alle parole di Giovanni sulla candidata che avrebbe voluto sposare e all'improvviso il ricordo di quel bacio sotto la pioggia mi saettò nel cervello.
Mi aveva stravolto più di quanto volessi e adesso era un pensiero troppo ricorrente che non riuscivo a scacciare.
Abbassai la testa fissando la mano destra, che mi aveva tenuto, mentre osservava intensamente la mia faccia. La bella famigliola mi passò accanto e solo quando il suono delle sirene in avvicinamento echeggiarono nel posto mi ridestai da quella trance.
Attesi che arrivasse il resto del personale sanitario e mi avvicinai mentre scaricavano la barella a terra.

La paziente era una donna, ma era impossibile distinguerne i tratti somatici, dato che il volto era ricoperto di bende.

«Che abbiamo?»

«È stata attaccata dal paziente che stava trasportando in ospedale. Ci sono altri tre feriti in un’altra ambulanza. Non sono in pericolo di vita.» spiegò il paramedico mentre portavamo la paziente direttamente in pronto soccorso. Chiamai anche i due tirocinanti per aiutarmi.

«Potrebbe avere una commozione cerebrale, causata dalla ferita alla testa.» Wax tagliò la maglietta per controllare il resto del corpo. «Ho bisogno urgente di fare una Tac!» Indossai lo stetoscopio e mi rivolsi al rosso dall'altra parte. «Facciamo anche le analisi del sangue. Lo stomaco sembra morbido. Non ci sono danni interni.»

«Ha un ematoma sul petto.» aggiunse quest'ultimo mentre, nel frattempo, ascoltavo com'era la respirazione.

«Nell’emitorace sinistro sta diminuendo la respirazione.»

«Ho aperto un accesso vascolare.»

«Va bene, cambiate il bendaggio della testa.»

Mattia prese il mio posto.

«L’ossigeno si è abbassato a ottantotto!» mi informò Wax.

«Non perdere di vista questi valori!» Intanto Mattia quando tolse il bendaggio, si era d'un tratto immobilizzato a guardare.
Guardai a mia volta e riconobbi una faccia familiare. La paziente non era una sconosciuta qualunque.

Porca troia.

«Maddalena…» Come aveva fatto a finire in questo stato? «Va bene, ragazzi, non perdiamo tempo! Chiama il dottor Giovanni.» Mi rivolsi a Wax che scappò via. Continuai con la visita, muovendole un piede e mugolò leggermente. Aveva riaperto gli occhi, era tornata in sé. «Avvisate immediatamente l'ortopedico, potrebbe avere fratture ad entrambe le gambe. Forza, Mattia! Mattia, muoviti!» Il giovane era imbambolato e dovetti alzare il tono, per farlo smuovere. Una volta rimasta in compagnia delle infermiere di turno, controllai con la torcia le pupille. Sapevo che mi poteva ascoltare, nonostante fosse in evidente stato confusionale. «Maddalena… so che stai soffrendo, ma sei in buone mani. Andrà tutto bene, okay?»
Mi guardò solamente, impossibilitata a rispondermi.

L’ortopedico dell’ospedale ci raggiunse il prima possibile, facendole un controllo. «Nessuna deformazione alle gambe. Ecchimosi positiva

Voleva dire che c’era uno stravaso di sangue e questa poteva essere la causa principale del basso livello di ossigeno. Tolsi lo stetoscopio per rivolgermi direttamente alla ragazza.

«Maddalena… ti farò una torocostomia, hai i polmoni chiusi. Ti farà male, ok?» La ragazza non poté battere ciglio e chiesi a Mattia di portare il tubo toracico. Preparai tutto l’occorrente con l'aiuto di Emanuela e intanto gettai un altro sguardo alla giovane, che aveva paura ed era tesa perché quella pratica era invasiva e dolorosa. Purtroppo non avevo chance. La situazione rischiava di peggiorare, se non si interveniva.
















Giovanni

Vidi uscire da una porta Tommaso Daliana, colui che aveva assistito Federica nell’intervento di mio padre, e mi diressi nella sua direzione.

Mi fece un cenno e mi bloccai di fronte all'imponente ragazzo.
«Se sei venuto per tuo padre, sta bene.»

Annuii, ricambiando il gesto.
«Lo so. Volevo solo ringraziarti, Tommy.»

«Non serve.»

«Sei un buon medico. Meriti gli elogi.»

Il nostro rapporto non era cominciato con buoni presupposti, soprattutto dopo quanto accaduto con il paziente della mafia giorni fa. Mi ero infuriato e l’avevo trattato male, etichettandolo come un codardo.

«Non l’ho fatto per i complimenti. È il mio dovere.»

«Grazie ancora.»

Un'infermiera si avvicinò a noi, porgendomi il cellulare, che stava squillando con insistenza. Mi scusai per averlo stupidamente dimenticato in mensa e risposi. Wax, della parte opposta, mi spiegò brevemente la situazione e, quando nominò Maddalena che aveva avuto un aggressione, la mia espressione si irrigidì e diventò seria. Anche Tommy decise di seguirmi e arrivammo nel momento in cui Fede stava disinfettando, per poi chiedere il bisturi per l'incisione. Tommy si avvicinò alla barella per poggiare la mano sulla spalla di Maddalena e sostenerla nella fase acuta.

«Tranquilla... »

«Tu, respira, andiamo. Respira, respira.» la istruì la bruna. Procedette a fare un'incisione, per poi inserire il tubo del drenaggio. Cominciò a spingerlo in basso, Maddalena strinse più forte i denti e quando finì, il monitor iniziò a mostrare segni di miglioramento.

«Il tubo è dentro. Il polso e l’ossigeno stanno salendo… ottantasei, ottantotto, novanta…» Federica annuì ad ogni parola.

«Potrebbe avere una frattura cervicale.» ipotizzai. «Madda, ascolta. Per favore, cerca di muovere le dita...» La ragazza si sforzò, ma invano. «Voglio la sua TAC sulla scrivania.»

«Ha il braccio destro dislocato.» affermò l’ortopedico raccogliendo il braccio destro. «Questo ti farà un po' male, Maddalena. Devo farlo. Ma anche tu fa’ uno sforzo e resisti più che puoi. Molto bene, iniziamo.»

Le tremò la mano e gliela strinsi per incoraggiarla. Con un sinistro scricchiolio, l'arto tornò a posto, ma la ragazza gridò a squarciagola, invadendo di urla l’intera sala. Ma almeno era tutto passato. Le sue condizioni a breve si sarebbero stabilizzate.

[...]

«All’inizio ho controllato molto bene la situazione e non ho tralasciato nulla. Tutto ciò che stava accadendo era normale. Poi…».

«Non pensare a questo.» la interruppe il padre, presente in camera alle mie spalle mentre Maddalena stava raccontando gli istanti di terrore vissuti.

«In questa occasione non ho commesso nessun errore. Ho fatto quello che avrebbe fatto un medico, e il paziente…» si bloccò per strizzare le palpebre con una smorfia in viso. «Ha avuto una crisi e io sono intervenuta. Ma poi… poi…»

Continuare a parlare di quella vicenda le avrebbe causato ancora più dolore.

«Maddalena, calmati. Ormai è finita. Non pensarci ora, per favore.»

«Non riesco a togliermelo dalla testa. Improvvisamente quell'uomo è diventato un violento. È diventato davvero un uomo diverso e ha perso il controllo, attaccando chiunque.»

«Non è stata colpa tua.» la rassicurai per l’ennesima volta. «Dopo le convulsioni, essere iper aggressivi è normalissimo.»

I suoi occhi si persero nel vuoto mentre quei ricordi probabilmente la stavano tormentando.

«È stato terribile... Non riesco a togliermi dalla mente la faccia di quell’uomo.» ammise, trattenendo a malapena le lacrime. Richiuse gli occhi. Tutto ciò non le faceva bene, doveva pensare a rimettersi in sesto.

Misi la mano sulla sua spalla.
«Tu non puoi dimenticare, ma di certo lui non ricorderà nulla di tutto ciò che ha fatto.» Le feci un sorriso e anche lei mi guardò con dolcezza. A quel punto però allontanai la mano e appoggiai il gomito sulla sbarra. «Comunque io… vado a vedere mio padre. Tornerò più tardi. Guarisci presto.» Recuperai le stampelle appoggiate al mobile e salutai educatamente il signor Paolo, prima di dirigermi alla porta. Una volta fuori, la chiusi dietro di me e Federica si bloccò in mezzo al corridoio.

«Come sta?»

«Beh, si riprenderà presto. È fuori pericolo. Entra, se vuoi.»

«No. Non ce n'è bisogno. E il poliziotto? Cosa gli succederà?»

«Rivedranno il provvedimento, anche se non è giusto che venga punito. È stato un attacco involontario.»

«Già. Il rimorso che proverà sarà peggiore di qualsiasi altra punizione che riceverà.»

Aveva ragione.
Quel poliziotto non sarebbe più stato lo stesso quando avrebbe scoperto di aver quasi provocato la morte di una persona.

[...]

«Se Giovanni mi ha messo nelle tue mani, allora deve fidarsi molto di te.» ipotizzò mio padre, squadrando la bruna. Era stato lui a chiedere la presenza del medico, che aveva eseguito il suo intervento. «Ho sentito grandi cose su di te in questo ospedale, Federica Andreani.»

«Diciamo che la tenacia è servita. Non è stato semplice convincerlo.»

«Ma l’hai fatto. Bisogna fidarsi di qualcuno per convincerlo. Un’ottima abilità per un chirurgo.»

Federica scosse il capo, accettando umilmente i complimenti. «La lascio in pace, ok? Gli ho impedito di fare l’operazione, almeno lasciamogli fare la visita di controllo. Puoi occupartene tu?» mi punzecchiò.

«Oggi è molto generosa, dottore.»

Increspò un sorriso smagliante e guardò un'altra volta mio padre. «Ora devo andare. Spero che si rimetta presto, dottore.»

«Grazie mille, per tutto.»

«È il mio dovere.»

Dopo un ultimo cenno, si recò fuori e finché non attraversò la soglia, continuai a guardare in quella direzione con aria sognante. Non riuscii a farne a meno e mi lasciai sfuggire un lieve sospiro.

«Giovanni…» Immediatamente drizzai la schiena. «Adesso capisco perché non vuoi sposare Maddalena.»

Caspita, era così evidente?

Sghignazzai. «Papà, sono passate meno di ventiquattro ore da quando sei tornato in vita e già stai parlando di matrimonio.»

«Figliolo, non sono mica cieco. Ho visto come guardavi la ragazza. Devo dire che è molto bella e simpatica. E se ha gestito così bene l’operazione, senza dubbio è un eccellente chirurgo.»

Annuii. «Lo è.»

Mio padre fece affiorare delle fossette ai lati della bocca e sogghignò. «Per essere venuto a lavorare da poco tempo nel mio ospedale, ha conquistato rapidamente la tua fiducia.»

«Papà, te l’avevo già detto. La conoscevo dapprima di venire.»

Il mio vecchio fece un verso di sorpresa. «Oh.» Tentò di sollevare la testa dal cuscino poi la riabbassò. «Ora sono curioso, raccontami tutto.»

«Lunga storia. Prima ristabilisciti e poi te la racconto.»

Non volevo inoltre che si stancasse, aveva bisogno di molto riposo e quindi del gossip ne avremmo parlato più avanti. Distolse lo sguardo e chiuse le palpebre per prendere un respiro. Poi le riaprì di getto.

«Giovanni.»

«Dimmi, papà.»

«Figliolo, voglio chiederti una cosa.»

«Qualunque cosa.»

«Non voglio sporgere denuncia contro Nicola, l’uomo che mi ha sparato.»

Quella sua affermazione fu una doccia gelida. Il mio entusiasmo di prima sparì, scivolò via.

«Cosa vuol dire che non lo denuncerai, papà? Sei quasi morto!»

«Ha appena perso sua figlia. Non voleva farlo sul serio.»

«Ma avrei potuto perdere...»

«Giovanni, non interrompermi.»

«Papà…» Tentai di dire.

«Giovanni! Non voglio presentare denuncia contro di lui e tu farai tutto il possibile affinché questo uomo guarisca.»

Era una pazzia. Dovevo curare il suo quasi assassino e trassi uno sbuffo. Per quale motivo, anziché punirlo, lo voleva proteggere? Cosa c'era dietro quella decisione senza senso?

Purtroppo potevo fare ben poco contro la testardaggine del mio vecchio e dopo essere uscito dalla camera, mi avviai nell'ascensore, in compagnia di Federica. Pigiò il pulsante e intanto appoggiai le stampelle alla parete.

Gettai un'occhiata verso di lei che osservò in alto il led illuminarsi. «Hai scoperto perché hanno sparato a tuo padre?»

Avrei voluto anche io una spiegazione coerente per quella faccenda, ma finora non ero a conoscenza di alcun dettaglio...

«No. L’uomo non ha rilasciato dichiarazioni. Stanno aspettando che il suo stato di salute migliori.»

«Se vuoi, posso occuparmi di lui.» propose.

«Se ne sta occupando già Tommy. Non preoccuparti.»

Assentì, abbassando gli occhi e dal mio canto osservai quella cabina con poco spazio. Poteva essere quello il posto giusto e mi allungai per premere il bottone rosso. Il meccanismo si arrestò e la bruna mi osservò, sconcerta.

«Che succede? Perché ci siamo fermati?»

«È incredibile... Ti occupi di tutti i pazienti dell'ospedale. Corri da una parte all’altra ad ogni chiamata. Hai urgenze tutti i giorni. Non c'è una sola ora che non passi in pronto soccorso.» Si limitò a sospirare e mi spinsi contro di lei, facendole aderire la schiena alla parete, mentre ponevo le mani ai lati del suo corpo. La osservai di sottecchi, scorrendo dalle labbra ai suoi occhi grandi. «Quando pensa di occuparsi di me, dottore?»

«Ti pare un buon momento per parlare?»

«Assolutamente, si. È il momento perfetto. Ed è il luogo perfetto. Non puoi scappare, a meno che tu non lo faccia dai condotti dell’aria.» La ragazza si inumidì il labbro inferiore, restando immobile nella sua conforte zone e alla mia merce. Non avevo alcuna intenzione di staccare i polpastrelli dalla parete, se prima non mi dava una risposta. Abbassai e rialzai il capo. «Federica. Ieri ho quasi perso mio padre.» Deglutii. «È il momento perfetto.»

«Cos’ha a che vedere questo, Gio?»

«Sai che il tempo non è mai stato così prezioso per me... finora.» Mi guardò e portai la mano al di sotto del mento per alzarglielo leggermente. «Non voglio passare più un solo secondo della mia vita senza di te.»

«Stiamo tenendo l’ascensore occupato.» disse per sviare quella questione e sorrisi sornione.

«Per Nicolò?»

«Nicolò?» ripeté lei aggrottando la fronte.

«Sì. Ti ha confuso di nuovo?»

«Pensi? "Chissà?"»

«Non burlarti di me. È una cosa seria.»

«Ok, anch’io ti sto dicendo una cosa seria.» Fece spallucce. «”Chi lo sa?” “Chi lo sa” ha sempre un significato serio, ovunque lo utilizzi.»

Staccò le spalle dalla parete rivoltandosi e premette il pulsante d'emergenza. Sembrava intenzionata a tagliar corto e mi allontanai leggermente, per poi metterle la mano sulla testa per scherzare un po'. Restò imperscrutabile con quella sua espressione seriosa, mentre un sorrisetto mi spuntò sulle labbra.














Federica


Per quella giornata avevo finito. Mi diressi verso il parcheggio per recuperare la mia macchina, ma mi fermai su due piedi quando notai una persona seduta sul marciapiede che tracannava birra. Sospirai, alzando gli occhi al cielo pensando che non fosse la prima di quella giornata. Credevo che si fosse ripulito da quel vizio, ma non era così.
Mi avvicinai al ragazzo che mi guardò dal basso, tenendo saldamente la bottiglia.

«Non fai che apparire e scomparire...»

Alzò le spalle. «Io sono fatto così. Unico Nicolò.»

«È quello che dici quando ti fa più comodo.»

«Può darsi, dolcezza.» concordò, facendo un altro lungo sorso.

«Che hai lì?»

Si alzò barcollante e mi fronteggiò. «Si chiama: “Classico Nicolò”. Ti piace o no?»

«Se mi piace? Sì, sì. Lo adoro.»

«Non prendermi per il culo.»

«Non hai ancora smesso di fare la parte del perdente.»

Schioccò la lingua sotto il palato e si guardò i vestiti trasandati. «Ti sembro un vincente? Non penso proprio.»

«Che significa vincere, per te, Enne! È il denaro? Sei stato con me nei momenti più difficili. Grazie a te, ho salvato la memoria di mia nonna.»

«Esagerata, andiamo. Avevi bisogno di soldi e io te li ho trovati. Qualunque cosa io faccia, non andrò mai bene per te.»

«Lascia perdere queste cavolate e arriviamo al punto. Che cerchi?»

Increspò un sorriso malizioso. «Te.»

Schioccai la lingua sotto il palato, facendo un verso di esasperazione e roteai gli occhi. «Parleremo quando sarai sobrio.»

Feci l'atto di passargli accanto, ma mi bloccò per il braccio, e mi fece rivoltare. La sua stazza era più imponente della mia.

«Ogni volta che ti dicono qualcosa che non vuoi ascoltare, te ne vai.»

«Mi hai già fatto questa domanda e ti dissi di non toccare l’argomento anni fa. E non voglio che tu lo riapra, intesi?»

«C’è qualcun altro, vero?» chiese con sfrontatezza, ignorando la mia lamentela.

«Enne. Te lo ripeto: non c'è posto per nessuno nella mia vita, né per te, né per nessun altro. Capisci?»

«Anche per quel professore, dottor Giovanni Rinaldi, non hai posto?»

«Sei così estremamente stupido da non capire quanto sei importante per me. Ed io non sono un trofeo.» Mi fissò. «Se non ti rendi conto di quanto vali» Lo additai con l'indice spingendolo contro il suo petto. «Non incrociare più la mia strada.» Girai i tacchi per raggiungere la vettura e salii. Abbassai automaticamente il finestrino dal lato guida e dopodiché mi soffermai a guardare il ragazzo rimasto sul marciapiede.

Eravamo cambiati. Nemmeno lui era più la stessa persona.

[...]

Camminai avanti e indietro perdendo il conto, ma l’ansia mi stava divorando. Avevo una sola possibilità ed era quella di trovare un mucchio di soldi, prima che la pensione di mia nonna venisse messa all’asta. Non potevo perdere il ricordo che avevo di lei e mandare al diavolo i suoi sforzi.

A quel punto, una moto si fermò nel piazzale e gli chiesi senza troppi giri di parole.

«Sai chi può darci il denaro che serve?»

«Calmati...»

«Non posso! Se non vado in banca con i soldi domani, perderò l’unico ricordo che mi resta di mia nonna!» sbottai incrociando le mani dietro la testa, coperta da un cappello grigio.

Enne smontò dalla moto e mi mostrò quello che stava nascondendo dietro la schiena. «Ho il denaro.»

Osservai la busta giallognola che mi porgeva. «Che cosa?»

«È la quantità che ti serve. Effettua domani il pagamento e conserva la casa di tua nonna» Insistè, a giudicare dalla somma era abbastanza denaro.

«Come hai fatto a ottenere tanti soldi?»

«Che importanza ha?»

«Perchè non me lo dici?»

Allargò il sorriso da sbruffone. «Nessun problema. Avevo un terreno da vendere e l’ho fatto.»

Posizionai le mani ai fianchi e lo guardai come una mamma che era sul punto di fare un rimprovero al figlio. «Davvero? Avevi un terreno? Che hai fatto? Sul serio. Dimmi la verità.»

«Mio padre è coltivatore.»

«Certo, certo, tuo padre coltiva.» cantilenai e intanto il giovane mi consegnò quella busta che raccolsi. Non sapendo cosa dire per ringraziarlo dell'aiuto e prima di scoppiare a piangere, mi alzai sulle punte delle scarpe e gli buttai le braccia al collo.
Lo abbracciai forte e dopo un momento di incertezza, mi strinse forte a sé. «Grazie… Ti prometto che te li restituirò al più presto, okay?»

«Resta, mi basta questo.»

Per un po', restammo appiccicati l'uno contro l’altra e intrecciò le sue braccia attorno al mio corpo.

[...]

Tornai di colpo al presente, con lo sguardo focalizzato su di lui che a stento adesso riconoscevo per i suoi modi e l'aspetto, decidendo di premere sull’acceleratore e ripartire. A quel punto, mentre stavo per abbandonare il parcheggio come un razzo, il ricciolino mi venne dietro, correndo a perdifiato.
Lo vidi dallo specchietto centrale ma continuai senza retrocedere. Nonostante lo sforzo, non riuscì più a inseguirmi e…

ormai era troppo tardi per aggiustare le cose.

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