Capitolo 26.1 - Il desiderio di Capodanno

Giovanni

Incrociai il volto di Gianmarco, paralizzato dallo shock. Avevamo visto il commissario sbattuto via, travolto da un grosso camion spuntavo da chissà dove e non lo avevamo metabolizzato affatto.

«Do... Dottore...» farfugliò Gianmarco.

Corremmo trafelati in quella direzione, il corpo martoriato era riverso sul ciglio della strada. Ordinai alla gente di allontanarsi e mi accovacciai al fianco dell'ispettore.

«Calmo, calmo...»

Quest'ultimo gemette e intanto gli sollevai delicatamente prima una palpebra e poi l'altra.

«Maledetto pirata della strada... è pure scappato!»


«Ok, calmo. Gianmarco, ho bisogno di una barella e di un collare, va bene? Chiama anche un'ambulanza.» Spostai gli verso la clinica, alzando il braccio a mezz'aria. «Forse questo ospedale non basterà per curarlo. Lo porteremo al nostro. Dai, sbrigati!» Gianmarco scattò in piedi, mentre restai a monitorare le condizioni. «Alessio, mi senti?» Si sforzò ma strascicò qualcosa di incomprensibile. «Non cercare di parlare e affaticarti.»

«Giovan...»

Gianmarco in compagnia del signor Raffaele ritornò con una barella e li incalzai. Mi feci dare il collare per posizionarlo attorno al collo con l'aiuto del primo che gli teneva sollevata un po' la testa, poi gli ordinai di non muoversi. Lo sollevammo con cautela e posizionammo sulla barella. Gianmarco mi passò la coperta e gliela misi addosso.


«D-d-d-dottore... c-c-ccrede che sopravvivrà?» tartargliò un ragazzo biondino che si era avvicinato a me.

«Dobbiamo intervenire con urgenza, ma faremo tutto il possibile. Forza, non restate qui, questa zona è pericolosa. Avanti, sparpagliatevi! Sta attento, Gianma. Fai piano!»

I due stavano raggiungendo l'ingresso, ma qualcosa andò irrimediabilmente storto e il corpo dell'ispettore si ribaltò giù dalla barella, impattando a terra con un tonfo secco. Sgranai le iridi. «Merda! No!» Corsi di nuovo e mi inginocchiai. «Alessio! Alessio!» Portai la mano contro la bocca del paziente, ma sembrava che la caduta gli avesse causato la perdita dei sensi e inoltre avesse smesso di respirare. «Si può sapere a cosa pensavi?!» Rimproverai adirato l'infermiere che abbassò la testa. In quel momento, i paramedici giunsero sul posto. «Ti avevo detto di stare attento! E voi, cosa state facendo lì? Una barella!»

Se succedeva qualcosa, era per colpa della loro incredibile disattenzione. Adesso la situazione era metta peggiorata e io non ero in grado di stabilire il danno provocato da quella caduta accidentale.

Ci mancava solo questa.

Federica

«I medici hanno perso la testa! Fuori, andatevene!»

«Valentina, dobbiamo parlarne prima.» Cercai di farla ragionare.


«Ho già detto che non voglio che ci separino, punto e basta.»

«Val, ascolta la dottoressa Andreani.» suggerì l'altra.

«Faremo quello che dico io!» Sentenziò, in risposta.

«Come se facessimo quello che dico io.» Sospirò Cristina.

«Senti, stai prendendo la decisione sbagliata.»

«Val... tu non sei forte e neanche io. L'unica cosa forte qui, in questo momento, è il cancro nel mio corpo. Non possiamo sconfiggerlo insieme. Ma se lasci che ci separino... tu potrai vivere. Avrai un'altra possibilità. Cerca di capirlo. Puoi salvarti.»

«Possiamo combattere insieme, ragazze. Ma anche voi... dovrete fare la vostra parte.» Cristina focalizzò il viso su di me, mi guardò in faccia. «Vi aiuteremo, lasciatecelo fare. Affare... fatto?»

Cristina abbassò la testa e spostò il collo a destra, chiedendo alla sorella cosa ne pensasse. «Affare fatto? Dì di sì.»

Valentina non si pronunciò, preferì rimanere in silenzio. Lo squillo del cellulare interruppe il momento ad alta tensione, lo tirai fuori dalla tasca e risposi subito. «Dimmi, Gio. Che c'è?»

«Fede, sto trasportando un paziente grave. Sto arrivando... Preparatevi tutti.»

«Dimmi, che è successo?»

«Ecco, Alessio è stato investito da un camion

Restai immobile a quella notizia e incredula. «Cosa? E... E come sta?»

«Piuttosto male. Parleremo al mio arrivo.»

«Ok, ok, mi preparo.» Non gli feci aggiungere altro e senza perdermi in futili chiacchiere, agganciai. «Devo scendere in pronto soccorso.»

«Cosa è successo?» domandò il dottor Gentile.

«L'ispettore... è stato investito da un camion.» risposi per poi oltrepassarlo.


«Cosa? Aspetta, vengo con te!»

Il dottor Cricca ci rassicurò che si sarebbe occupato delle gemelle.

Ci facemmo trovare fuori quando arrivò l'ambulanza a tutto spiano. Il dottor Gentile si affrettò ad aprire le porte e Giovanni dichiarò che il paziente era pronto per essere prelevato.

«Situazione?» chiesi io.

«Com'è successo?» si aggiunse il dottor Gentile.

«É stato investito. Livello di coma 12, arresto respiratorio, e abbiamo dovuto intubare. Livello 3 della scala di Glasgow.»

«Ha perso conoscenza durante il tragitto.» proseguì Gianmarco.

«In realtà, è peggiorato per colpa nostra.» Terminò Giovanni.

«Cosa vuol dire che è peggiorato per colpa vostra?»

«Una barella rotta ad Anzio. Il paziente è caduto e ha battuto la testa. Dai, ragazzi, sbrighiamoci.»

Calammo la barella giù e la conducemmo all'interno in un istante. Entrammo nel pronto soccorso, Giovanni chiese i guanti, il mio mentore lo stetoscopio e, dal mio canto, mi occupai di collegare la sacca di sangue per la trasfusione.

«Respirazione buona ad ambo i lati.» comunicò il dottor Gentile.

«Ha un'emorragia celebrale, dobbiamo fermarla subito. Dammi una spugna.»

Mentre collegavo un'altra sacca, Giovanni stava disinfettando e suturando la ferita alla fronte.

Notai i parametri sul monitor portatile. «Ha tachicardia e la pressione precipita. Portatemi un ecografo, svelti!»

«Dammi una garza. Dobbiamo aumentare il flusso di liquidi e anche la dose di dopamina, almeno di 10 milligrammi.»

«Sì, dottore!»

Un'infermiera portò l'ecografo e preparai la sonda. Giammarco chiese se fosse utile fare una tac, visto che aveva notato dei liquidi accumulati all'addome.

«No. Non è sufficientemente stabile per una TAC.» Obiettai.

«Che si fa?» domandò il dottor Gentile, rivolgendosi a Giovanni. «Avrà un'emorragia interna.»

«Sì. Informate il dottor Svevi. Dobbiamo operare. Chiamate la sala operatoria e fateli preparare. Forza. Serve un'altra garza!»

[...]

«Alessio aveva scoperto chi mi aveva sequestrato ma mentre stava attraversando la strada... un camion lo ha travolto in pieno.» Raccontò Giovanni tutta la dinamica, mentre eravamo alle prese con l'operazione.

«Non pensi si sia trattato di un fatale incidente?» domandai, distogliendo un secondo gli occhi.

«Sono sicuro di no, mia cara.»

«Cosa vuole questo pazzo? Sembra che abbia deciso di uccidere tutti quelli che ci stanno attorno, quindi... mi chiedo se anche l'ospedale non sia in pericolo.»

«C'è molto sangue.» Cambiai discorso, notando Giovanni restringere gli occhi e contrarre la mascella all'insinuazione di Svevi. Presi un'altra garza dal carrello per tamponare.

«Non vedo la fonte dell'emorragia.»

«Quel pazzo non si fermerà. Non si fermerà finché non avrà ottenuto ciò che vuole.»

Era evidente che distruggerci stava diventando il suo passatempo preferito, ma ignoravamo il motivo che lo spingeva a darci filo da torcere.

Il macchinario iniziò ad emettere bip sempre più irregolari.

«La pressione sta crollando.» informò Gianmarco.

«Se fossi in lei, penserei all'aorta addominale.»

«La milza è perforata. L'emorragia proviene da un'altra parte.» rispose Svevi.

«Sì, sta sanguinando dappertutto. Guardi nell'intestino.»

Gettai un'occhiata al monitor che mostrava la parete interna e guardai di sotto. «Anche l'arteria mesenterica sanguina. Guarderò l'intestino concentrandomi sui vasi.»

«Ok, sono dentro. Vedo se riesco ad entrare.»

«È sempre un passo avanti.» Affermai, ad un certo punto. «È come se si stesse prendendo gioco di noi.»

«Ecco perché dobbiamo salvare Alessio ad ogni costo.»

«È più intelligente di voi.» Sollevai di scatto la testa verso il medico più anziano. Slittò gli occhi da me a mio marito, poi tornò ad abbassarli, chiedendo le forbici chirurgiche all'infermiera. «Non fare quella faccia, Andreani, inoltre...» Guardò Giovanni. «Se quello è realmente il figlio di Giorgio...»

«Credo che avrei saputo se mio padre avesse avuto figli biologici da qualche parte, dottor Svevi. Non era il tipo di uomo che nascondeva un figlio al resto del mondo.»

«Accettiamo il fatto che non abbiamo mai conosciuto veramente i nostri padri, Giovanni Rinaldi.» Alzai a malapena gli occhi, ma la tensione si poteva tagliare con un coltello. Buttò infine la milza spappolata nella ciotola e tirò un sospiro. «La vita è come una sala operatoria. Cerchiamo la fonte dell'emorragia, la tagliamo e la scartiamo...»

«A lei questo diverte parecchio? Mhm? Non è così, eh?» Lo ammonii, stizzita.

Quella sfrontatezza era un pugno nello stomaco.

«Non puoi nemmeno immaginare quanto, Andreani.» Attorno agli occhi gli si formarono delle piccole rughe d'espressione, segno che stava sorridendo. Evitai di guardarlo.

«Bene, ha finito ora. Si concentri e faccia bene il suo lavoro.» Lo riprese Giovanni.

«Io tengo le pinze e lei ricollega tutto.»

Fece spallucce. «Per me va bene.» I battiti tornarono a stabilizzarsi. «L'emorragia si è fermata.»

«La pressione sta aumentando.»

«Finiamo questa cosa e trasferiamo il paziente in terapia intensiva.»

Girò gli occhi da una parte all'altra, ma Giovanni sembrava un po' irrequieto, qualcosa di sicuro lo preoccupava. Dovevamo solo fare la chiusura definitiva. Per fortuna l'ispettore aveva superato l'intervento, ma le condizioni erano critiche e non bisognava abbassare la guardia.

Angelina

«Alessia? Cos'è quel borsone? Stai andando da qualche parte?» domandò la signora Rebecca, alzandosi dalla tavola come una molla.

«Vado via un paio di giorni.»

«Tuo padre è morto, la nostra famiglia distrutta e tu cosa fai? Pensi a prenderti una vacanza? Ti pare un buon momento?»

Alessia non la guardò di striscio.
«Non ce la faccio a respirare. Sto soffocando, capisci?»

«E cosa ne sarà di me?»

«Sopravvivrai, tranquilla.»

«Vuoi che tua madre inizi l'anno da sola?» chiese con fare disperato, giungendo le mani in preghiera.

Alessia si voltò, frustando i capelli nell'aria e la fulminò.
«Sto cercando di scappare da te!»

Allontanai la bambina e la feci accomodare sul divano con me, avvolgendola in un abbraccio.

«Non dirò nulla. Lasciami pure qui senza il becco di un quattrino e scappa...»

Alessia si bloccò e accarezzai i capelli della piccola.

«Senza il becco di un quattrino, hai detto? Bene!» Ficcò le mani nella borsa, aprì il suo portafoglio e le diede tutte le banconote. «Tieni, prendi. Ti do tutti i soldi che ho, così non morirai di fame. Sicuramente starai un po' zitta e la smetterei di rompermi. Ah, prendi anche questi, così mi lascerai in pace! Lasciami vivere! È chiaro?»

«Ale, dove vai?»

Per la prima volta mi intromisi nel discorso e Alessia mi rivolse uno sguardo agghiacciante.

«Vedi, sta scappando! Proprio come suo padre. Appena hanno un problema, scappano...»

«Starò via solo un paio di giorni. Non devi preoccuparti. Riordinerò i pensieri e tornerò. Ho bisogno di riposare.»

«Che grande idea! Bello! Perché non chiamiamo Fede? Le farà bene. Sta passando un periodo difficile, potrei dirlo anche a Matteo. Sarebbe una bella vacanza.»

«Anche Giovanni, se ti va, e già che ci siamo possiamo parlare della morte di papà. Non è una cattiva idea.» Mi accigliai. «Parlare della morte e di malasanità.»

«Ale, ti prego, non esagerare. Sembra che tu ne stia facendo una questione di Stato solo perché ha deciso di operarlo. Credo... dovresti calmarti.»

«Come vuoi che mi calmi?» sbottò. Il cellulare le squillò e rispose. «Tommy... Certo, arrivo.» Agguantò il borsone. «Fammi un favore, occupati di mia figlia.» Si recò all'ingresso, spalancò la porta e andai io a chiuderla. Mi venne spontaneo sbuffare. «Uffa. Perché si comporta così?»

«Ah, Rebecca... Perché non ci hai pensato prima?» Sbattei le palpebre, confusa. «Sei in questa situazione perché non sei saggia.»

Sentendo quello strano soliloquio della donna, mi affacciai.

«Ha detto qualcosa?»

Si voltò. «No, no... fatti miei.»

«Ah...»

Tanto non avevo intenzione di rimanere a sorbirmi il malumore della vedova nera. Chiesi alla bambina se volesse vedere un bel film su Netflix e ci rintammo in camera mia.

Poco dopo la fine del film, chiamai Wax. Non lo avevo sentito per tutto il giorno, forse a causa del suo lavoro.

«Oh, dimmi cara fidanzata, vita mia, cuore mio, il mio tutto...»

«Wax... Non so cosa tu stia facendo in questo momento, ma devi assolutamente venire qui! Ho paura!»

«Perchè? Angelina...» Si interruppe. «Non mi dire che quel pazzo sta in casa tua?! Oh, cavolo, nasconditi e chiudi a chiave la porta

«No, non quello, scemo. È qualcos'altro!» bisbigliai.

«Qualcos'altro... Cosa

«La vedova nera: Rebecca!»

Il rosso sbuffò. «Accidenti, mi hai fatto spaventare a morte!»

«Anche io sto morendo di paura. Cosa credi? Alessia se ne è andata via, io e la bambina siamo sole, tu sei lì in ospedale e Federica non abita più qui da un pezzo! Cosa dovrei fare? Sentiamo! Sedermi a chiacchierare con la vedova nera? E se dovessi morire punta dal suo veleno! Ci pensi?!»

«Dai, amore, non è così cattiva. Potresti farcela... e anche se potessi... non posso venire

«Perché?»

«Perché sono gli ultimi giorni dell'anno e l'ospedale è incredibilmente affollato. Ora aggancio, ne parliamo più tardi, ok

«Aspetta, aspetta! Cosa vogliamo fare a Capodanno, mio caro?»

«Angelì, ne parliamo dopo, okay? Devo andare dalla dottoressa Andreani... sono già in ritardo

«Ok...» Sbuffai.

«Baci, amore.» Mi salutò.

«Baci anche a te.»

Non c'era niente che potessi fare oltre che sbuffare come un toro. Richiusi la porta provocando la risata allegra della piccola Federica.

«Siamo bloccate qui con la vedova nera e lo zio Wax non è d'aiuto. Voglio morire!»

Alzai gli occhi al cielo e mi buttai sul letto a peso morto.

Giovanni

Quel medico era ricurvo in avanti con i gomiti poggiati sulla balaustra del terrazzo e mi avvicinai a piccoli passi per studiare attentamente i suoi movimenti.

«Ha già scoperto il nostro angolo segreto?»

Alla mia domanda, si drizzò e girò di scatto, assumendo una faccia tipicamente sorpresa.

«Ah... dottor Rinaldi?» Inforcò gli occhiali e li sistemò sulla punta del naso. Lo scrutai con gli occhi ridotti. «Ha guadagnato un altro fan dopo un'operazione del genere. Complimenti!»

«È ancora troppo prematuro dire qualcosa. Il paziente, in realtà, non è fuori pericolo.»

«Sono certo che non succederà nulla. Se vuole stare da solo, io andrei...»

«No, resti pure. Ho saputo del caso delle gemelle siamesi, volevo parlarle.»


Ci pensò su. «Certo, mi dica. Spero di non essermi sbagliato.»

Lo fissai, cercando di carpire cosa si celasse dietro quella sua indole accondiscendente. Sbattei più volte le palpebre, mentre il ricordo della conversazione con Riccardo, all'uscita dell'intervento, mi si materializzò davanti agli occhi.

Lo trovai ad aspettarmi in corridoio e si congratulò per l'ottimo risultato.

«Grazie. Sembra che Alessio abbia scoperto chi è il pazzo che mi ha rapito.»

«Lo scopriremo sicuro non appena si sveglierà, non preoccuparti.»

«Lo spero.» biascicai.

«Non tornerai, vero?»

«Perché me lo chiedi?»

«Per due motivi. Il primo è che dovresti stare con tua moglie. Mi fa pena, povera ragazza. Ogni volta che la chiamano le si stringe il cuore nel petto.»

Abbassai lo sguardo, consapevole di non averle regalato un briciolo di serenità, da quando ci eravamo sposati. «Lo so. Lo so.» Presi un sospiro. «E il secondo?»

«Il secondo è Giovanni Cricca, il nuovo medico. Vorrei aggiungerlo all'équipe. Ho bisogno della tua approvazione e di quella di Federica.»

«Giovanni Cricca? Quello del caso delle gemelle siamesi?» Riccardo annuì. «È un bravo medico?»

«Sì, molto. È venuto qui per i suoi meriti. Lo conosco da quando ha fatto la specializzazione. È intelligente, arguto e ha talento.»

«Se a te piace, procedi pure. Non hai nemmeno bisogno di chiederci il permesso. Sei uguale a noi.»

«Sì, ma è un po' strano. I rapporti interpersonali non sono il suo forte. Onestamente, mi ha un po' scoraggiato. Credo sia... perché si sente fuori posto e non conosce nessuno. Ha avuto un'infanzia un po'... complicata e per questo è molto riservato.»

«Capisco. Ma non dovremmo giudicare la sua personalità quando si tratta di lavoro.»

«Te l'ho detto così non ti coglierà impreparato.»

Sorrisi. «Se per te va bene, va bene anche per me.»

Mi fidavo del suo giudizio, era un ottimo osservatore e grazie a lui... avevo ritrovato Federica.

A quel punto, la mia aria seria sparì e un sorriso si dipinse sulle labbra. Quel tipo doveva essere effettivamente... particolare.

«No, per niente. Intende fare l'operazione qua?»

Distolse lo sguardo, lo puntò poi alle sue scarpe. «É un'operazione complicata.» Poi, incatenò i nostri occhi. «Non mi dispiacerebbe farla qui. Non le dispiace, vero?»

«No. Mi piacerebbe vederla.»

«Volevo parlarle proprio di questo. Non voglio solo che la veda, voglio che partecipi. Mi piacerebbe avere un esperto come lei al mio fianco... in questa situazione.»

«Perchè? Non si fida di se stesso?»

«Non permetto all'ego di intralciare il mio lavoro, signor Rinaldi. Lei è un chirurgo eccezionale di fama internazionale, e credo che dovrebbe operare con me, per il bene di quelle ragazze.»

Increspai un sorriso e feci un cenno d'assenso.

«Sarò con lei... ma non perché ne abbia bisogno, bensì per aiutarla a pensare come un vero medico.» Allungai la mano. «A presto.» Dopo qualche minuto di incertezza, me la strinse. Girai i tacchi per ritornare dentro.

Federica

Ad attendermi quando varcai la porta della terapia intensiva, c'erano i due poliziotti della squadra del commissario.

«Come sta il capo? Il dottor Svevi non ci ha detto nulla di positivo. Si riprenderà?» chiese quello più alto e massiccio con le mani posate sui fianchi.

«Al momento... è presto per dirlo. É ancora in pericolo, le prossime 48 ore saranno cruciali. Ma... non significa nulla, non dobbiamo perdere la speranza.»

«Grazie...» rispose.

«L'ispettore vi ha detto cos'ha scoperto?»

Quello più basso fissò un secondo il collega. «Sì... ha trovato l'uomo che dava la caccia a suo marito.»


«Roba da pazzi! Ha cercato di mettere a tacere l'ispettore per sempre! Ma intendo scovarlo e pagherà per quello che ha fatto!» Si infervorò, agitando la mano in aria.

«Federica, abbi cura di lei.»

«Lo farò, ma il commissario non vi ha detto nulla? Non vi ha fatto almeno un nome?»

Fissai entrambi cercando risposte.

«Non ha detto nulla, ma se dovesse succedere qualcosa...»

«Non a me. A Giovanni. Potrebbe provare a fargli di nuovo del male, no? Credo sia stato abbastanza chiaro che sta cercando di ottenere qualcosa. Non ha detto proprio nulla?»

«Nulla. Nessuno di noi lo sa. Lo potremo catturare solo se l'ispettore si sveglia.»

Esalai un lieve sospiro. Allora le nostre speranze erano riposte nella ripresa dell'ispettore.

«Ma si sveglierà, vero?»

«È ancora troppo presto.» gli ricordò il compagno. «Hai sentito la dottoressa. Dobbiamo aspettare le 48 ore decisive.»

«Sono certa che ce la farà. Ne riparleremo.»

Me li lasciai dietro per proseguire nel corridoio. Svoltai in quello successivo, imboccai una porta e da quella del pronto soccorso spuntò Giovanni. Si fermò e gli andai incontro.

«Allora, andiamo?»

Inarcai un sopracciglio. «Dove?»

«A casa nostra.»

«Non devi tornare ad Anzio?»

Schioccò la lingua. «No. Voglio tornare a casa con mia moglie. Credo che abbiamo bisogno di un po' di tregua... e di riposo.»

Gettai la testa all'indietro e presi un respiro. «Grazie al cielo... che sollievo. Temevo che volessi andartene di nuovo.»

Giovanni si mise a ridere e mi afferrò la mano. «Ti piace tenermi d'occhio e avermi attorno a te? Eppure giurerei che una volta ti dava fastidio...»

«Gio, ti prego, qui la situazione è ben diversa. Fino a quando non trovano quel pazzo, voglio tenerti con me. Guarda cos'ha fatto a quel povero ispettore...»

«More, non pensarci più, ok?» Mi prese il viso e accarezzò le guance. «Non pensarci. Concentriamoci su di noi.»

«Sto pensando a noi! Non vedi? Ci penso sempre.»

«Sì, lo vedo... ma devi pensarci in modo diverso.» sottolineò.

«Cosa? Che vuoi dire?»

«Pensaci, forse riesci a capirlo.»

Roteai gli occhi. «Eccala... Stai diventando di nuovo misterioso? Ancora con i segreti? Guarda, i rebus non li sopporto.» Giovanni mi riservò un ghigno malizioso. «Che stai a combina stavolta?»

«Boh... Chi lo sa?»

Intrecciò le nostre mani continuando a mostrare quel sorriso enigmatico e ci incamminammo insieme.


[...]

«Mhm... sarà abbastanza per cena?» mi domandai tra me e me mentre continuavo ad affettare i pomodori con la testa inclinata da un lato e il telefono premuto all'orecchio. Alzai gli occhi al cielo quando bussò a vuoto per la terza volta di fila. Lo tolsi e staccai. «Non rispondere, sì. Fa come ti pare. Stupida!»

«Tesoro, non è mica colpa dei pomodori. Non sfogare la tua rabbia su di loro.»

«Parlavo di Alessia. Non si azzarda a rispondere...»

«Risponderà, non preoccuparti.»

Mi girai d'istinto verso Giovanni che era sempre positivo. «Come faccio a non preoccuparmi? Dopo aver distrutto mio padre, Rebecca vuole fare lo stesso con Alessia e riempirle la testa di sciocchezze per cercare di separarci. Vuole averla tutta per sé per poter fare ciò che vuole! È un reato proteggere la propria sorella?»

«Non è un reato, anzi ti capisco, è comunque tua sorella. Ma capisco anche Alessia. Mi incolpa della morte di tuo padre e...»

Mi voltai a rallentatore con espressione mordace. «Si sbaglia.» Giovanni restò poggiato al mobile con le braccia conserte. «Era anche mio padre, e so che è stato quel pazzo a ucciderlo e non tu. Guarda cos'ha fatto anche al commissario Alessio! Quel nn mentecatto di Svevi ha iper ragione.» Puntai gli occhi verso la pentola che spostai sui fornelli. «Non sappiamo chi di noi verrà a cercare e al momento Alessia è irraggiungibile! Sono nera, Gio.»

«Spero che il commissario sopravviva. Quando starà meglio potranno catturare quel pazzo e sparirà finalmente dalle nostre vite. Ti prometto che non commetterò lo stesso errore che ho fatto con tuo padre. Vi proteggerò tutti, okay?»

Infilai gli spaghetti nella pentola, iniziai a girarli e poi incrociai il suo sguardo. «Lo so. Ma starei più tranquilla se Alessia fosse qui con noi.»

«Be', Alessia è con Tommy in questo momento, quindi puoi rilassarti.» Arricciai la fronte. «Avevano bisogno di allontanarsi dalla città per un paio di giorni.»

«Quindi, è scappata?» Giovanni inclinò la testa e l'abbassai, inumidendo le labbra. «Fantastico.»

«Dovremmo farlo anche noi. Andare da qualche parte e prenderci del tempo per rilassarci. Magari qualche meta all'estero...» Mi serviva il forchettone così spalancai il secondo cassetto, rovistando fra i canovacci. «Vedrai che loro staranno bene.» Alla vista dall'arma nascosta, mi pietrificai, il sangue mi si gelò nelle vene. Giovanni si era voltato e stava sgranocchiando qualcosa. Quella. Perché la teneva nascosta lì? Che diamine voleva farci? Mi sollevai a rallentatore e lo fissai di sbieco. «Cos'è questo?» Si girò totalmente e smise di masticare. «Cosa ci fa questo in casa nostra?»

«È un'arma...»

Lo sapevo cos'era. Eccome, se lo sapevo. Ma non mi capacitavo di dove l'avesse presa, di certo non era un oggetto di decoro.

Ridussi gli occhi. «Da quando in qua hai una pistola, Gio? Cosa ci devi fare?»

«È solo... per la nostra sicurezza, more.»

«La nostra sicurezza?» Con un calcio, richiusi di colpo il cassetto e lo incenerii. «Che vuoi farci, eh? Abbassarti allo stesso livello di quello psicopatico?»

«Fede, la userò solo in casi estremi.»

«Certo. "Casi estremi".» Giovanni  scosse il capo. «Con questa robaccia qui in casa non mi sento affatto al sicuro.» Troncai lì la discussione e lo sorpassai svelta, uscendo dalla cucina. Mi chiamò da dietro, ma proseguii dritta verso le scale e salii di sopra.

[...]

Entrai in camera e mi fiondai a sedermi sul letto. Feci un respiro profondo e scostai una ciocca di capelli dietro l'orecchio sfuggita dallo chignon improvvisato e distolsi lo sguardo, non appena lo vidi sulla soglia.

Quale parte di "devi lasciarmi in pace" non gli era chiara?


«Fede, credo che la tua reazione sia esagerata.» Mi costrinsi a guardare da un'altra parte e tenere il broncio. Giovanni allora si accomodò. «Cerca di capire. Sei l'unica cosa di valore che possiede in questa vita. Sei il mio tutto. Voglio che tu sia al sicuro. Non voglio che nessuno ti torci un solo capello.»


«Mi proteggerai con una pistola?» lo sfidai a replicare e lui tenne gli occhi fissi nei miei. «Non è assolutamente necessario.»

«Spero...»

Mi accigliai. «Speri?»

Distolse lo sguardo sbuffando e roteai gli occhi al soffitto. «Non è il caso di parlarne ora.» riprese dopo un po'. «Non è importante... e oltretutto sto morendo di fame. Che dici? Andiamo a mangiare?»

«Non è cotta la pasta.»

«E che si fa? Hai tagliato molti pomodori. Possiamo sbattere un paio di uovo e voilà... il gioco è fatto.» Allungò la mano per prendere la mia, ma la ritrassi. Torturai il bordo del mio maglioncino e Giovanni appoggiò la mano sulla mia gamba, facendomi sollevare la testa. «Perchè non ti fai toccare? Perché continui a scappare?»

«Non lo so. Non sei onesto con me.»

«Tesoro...» sussurrò. «Sono sempre onesto con te e ho un solo obiettivo nella vita.» Lo guardai. Mi specchiai nelle sue iridi azzurre con un pizzico di verde. «Voglio vederti sorridere.» Schiusi le labbra. «Voglio solo che tu sia felice. Voglio che siamo una grande famiglia felice.»

«Lo voglio anch'io, Gio.»

«Ottimo.» Un sorriso smagliante si plasmò. «Fai quello che mi piace di più: abbracciami.» Divaricò le braccia, mi strappò una leggera risata e mi buttai su di lui, venendo subito stretta a sua volta. Il calore dei nostri corpi incollati mi fece chiudere gli occhi e affondare il viso nella sua spalla, mentre con le mani mi accarezzava i capelli. Sentivo di essere protetta in quella maniera... e non con una pistola pronta a fare fuoco. Non desideravo altro: vivere una vita serena con l'uomo che amavo. Lui era tutto ciò che avevo sognato. Mi mossi leggermente e gli lasciai un piccolo bacio sul collo. «Ehi... Ehm...» Mi allontanai e tornai a guardarlo a pochi millimetri di distanza. «Dimmi una cosa. Come ci immagini?»

Ridussi gli occhi. Era oggi che faceva strane domande, aveva quest'aura di mistero attorno, ma adesso di più.

«Noi?» Scrollai le spalle. «Be', non lo so. È una domanda a trabocchetto, Giovanni? Dimmi... cosa stai pensando te?»

Schioccò la lingua. «Non te lo dirò» Inclinò la testa. «Te lo dirò... quando inizierà il nuovo anno. È il mio desiderio di capodanno, Federica.»

Guizzai le sopracciglia. Era incredibile come delle volte non riuscissi a decifrarlo. Il suo ghigno malizioso, i suoi silenzi.
Distolsi lo sguardo. Per colpa sua, sarei impazzita. Mi limitai ad annuire. «Bravo. Ce l'hai fatta. Hai cambiato argomento...»

«Sono bravissimo.»

«Un po' troppo.» Gli sfiorai la punta del naso col dito, il suo sguardo indugiò sulle mie labbra e mi baciò. Strizzò l'occhio, sorridendo e si abbassò lentamente per adagiare la testa sul mio grembo. «Che fai?»

Non rispose. Preferì restare in quella posizione a farmi coccole sulla gamba, sperando di farmi cedere e ad inspirare l'odore.




Alessia

Ci voleva questa gita fuori porta! Tommy aveva avuto una bella idea, ma il problema era che non si poteva evadere, per sempre. Mandai un messaggio ad Angelina per ringraziarla dell'aiuto con mia figlia e ne approfittai per chiederle come se la stessero cavando. Dopodiché, fissai il panorama notturno.

«A volte, non so chi sia peggio: se mia madre o mia sorella. Mia madre mi fa uscire di testa! Passa tutto il santo giorno a dirmi che devo fare questo o quello... e mia sorella è come una meteora. Non riesco a starle dietro! Mia madre deve comprarsi una casa, ma nessuno mi dà retta. Sembra che parlo col muro. Certo, perché dovrebbero fare quello che dico? Comunque, cosa ne so io della vita? Niente! Dopo la morte di papà, sono io a sobbarcarmela. Che posso fare? Sono l'unica persona che l'è rimasta!» I miei sproloqui continuavano ad oltranza e Tommy si lasciò scappare una risata. «Che ridi?»

Si voltò. «Eh?»

«Perchè ridi?»

«Niente.» Tornò a guardare avanti a sé. Ma non me la contava giusta, infatti scoppiò a ridere.

«Di che stai a ridere?!»

Alzò il palmo. «Mi dispiace.» Si tappò la bocca e scosse la testa. Gli tirai uno schiaffetto sul braccio muscoloso, mettendo il broncio come una bambina.

«Dai, scemo!»

«Sai cosa mi ha ricordato? Mi fa molto ridere... perché nella vita: "mai dire mai."»

«Ma di che stai parlando?»

«Una volta, avevo una ragazza che poteva parlare per diversi minuti senza riprendere fiato. Non voleva stare zitta, era incredibile e mi sono ripromesso che non avrei mai frequentato una persona del genere. Ma guarda in cosa sono capitato.»

«Aspe, fammi capire bene. Mi hai appena paragonata a una tua ex che ti ha reso la vita impossibile?»

«No, un momento. Cosa c'entra? Non fraintendere.»

«Allora, cosa faccio? Ci rido su? Mi hai dato della rompiscatole, Tommaso Daliana!»

«Ok... calma...» Mormorò e incrociai le braccia, ruotando la faccia contro il finestrino. «Meglio lasciar stare. Mettiamo un po' di musica?»

«Non cambiare discorso. Stiamo parlando di una cosa seria.»

«Ale, ti prego, smettila. Non credo sia il caso di litigare.»

«D'accordo! Se proprio insisti, mi sto stufando. Meglio accendere lo stereo e far finta di nulla.»

«Certo. Bravo...»

Abbassai la testa contro il display quando squillò e lessi il nome di Federica che lampeggiava.
Era già la quarta chiamata e io puntualmente rifiutavo.

«Parli del diavolo e spuntano le corna. È quello che mancava...»

«Chi ti chiama?» domandò Tommy.

«Nessuno.»

«Come sarebbe "nessuno?"»
Mi fece il verso e poggiai il gomito contro la portiera, prendendo un lungo sospiro.

Non mi voleva lasciare in pace e io ne avevo fin sopra i capelli. Tommy mi sfiorò il naso, ma mi ritrassi.

«Scassa palle...»

[...]

Un fischiettio mi fece aprire placidamente le palpebre e mi ritrovai Tommy Dalì ad un palmo dal viso. Era già vestito. Dormire mi aveva fatto bene e mi sentivo più riposata. Il dito scivolò sulla mia guancia.

«Forza, sveglia, bella addormentata.»

«Buongiorno...»

«Buongiorno a te, signorina. È tardi. Stasera abbiamo una cena molto importante e domani ti presenterò a un amico. Come puoi ben vedere, c'è un mucchio da fare. Su, su...» Mi scosse per le spalle, invitandomi ad alzarmi.

Posai la mano sul suo torace.
«Mi spaventa molto che tu voglia presentarmi alla tua ex ragazza... dopo la conversazione che ieri abbiamo avuto in auto.»

Serrò le palpebre e sbuffò. «Non può essere.»

«A proposito.» Mi tirai su con i gomiti. «Ecco che arriva anche questo viaggio inaspettato. È una tecnica che usi spesso per rimorchiare?»

«Oddio!» Alzò gli occhi al cielo. «Ci risiamo, di nuovo...»

«Lo hai fatto con tutte le tue ex fidanzate?»

Lo volevo sapere.

«Ehi, Ale, credo che tu sia troppo ossessionata da questa storia delle ex. Inoltre, l'idea della fuga per tirarti su di morale è stata un'idea di Cricca.»

Stranita, sbattei le ciglia.
«Cricca, hai detto? Perché?»

«Mentre parlavamo dell'organizzazione della cena per Capodanno, gli è venuto in mente che sarebbe stata una buona idea e non ha sbagliato.»

«Che pensiero gentile ha avuto...»

«Stavamo chiacchierando e ci è venuto in mente e anche la cena di stasera è stata una sua idea.»

«Di Cricca? Mi sorprende.»

«Non mi dispiace, i cambiamenti sono positivi, anche se... Giovanni non sa che Cricca ha organizzato la cena. Pensa l'abbia fatto io, anche lui avrà una bella sorpresa...» Mi abbandonai sul cuscino e il mio ragazzo mi prese le mani. «Muoviti, Alessia, andiamo!»

«Non possiamo scappare anche dai coniugi Rinaldi?» Sollevai le braccia al cielo e stiracchiai. Poi, posai le mani sulla pancia. «E poi... ho una fame da lupi. Non ho ancora fatto colazione!»

«Ok, va bene...» Si mise in piedi, mi sottrasse un cuscino e me lo lanciò in faccia. Gli feci una linguaccia e arricciai il naso. «Ma sbrigati.»

«Preparami la colazione.»

«Certo, mia signora. Quello che vuole.» Sorrisi per la sua galanteria e mi tirai di nuovo su, mettendomi dritta e tuffai le mani nei capelli. Guardai verso la finestra e mordicchiai il pollice con fare pensieroso. Il pensiero appunto di dover stare a tavola con mia sorella e suo marito mi toglieva l'appetito da adesso.

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