Capitolo 25.3 - Una pista da seguire
Giovanni
«Sì, Alessio?»
«Ciao Giovanni, ho appena fatto delle scoperte interessanti.»
«Cos'hai scoperto?» chiesi immediatamente senza molti giri di parole.
«Te lo dico... è solo un indizio, ma vorrei parlarne faccia a faccia con te, se possibile.»
«Certo, parliamone pure. Adesso mi trovo alla clinica, devo operare. Puoi venire qui? Ci vedremo quando esco. Devo anch'io parlare con te della questione dell'uomo indagato per stupro.»
«I ragazzi mi hanno detto che la donna l'ha ferito con una forbice. Gli faranno un interrogatorio e la questione si chiarirà presto.»
«D'accordo. Ci vediamo dopo.»
Agganciai la telefonata, pensando a quali altri sviluppi avrei scoperto sulla questione del fantomatico figlio biologico di mio padre. Sembrava una questione assurda, ma se ci fosse stato un fondo di verità, significava che mio padre aveva fin troppo scheletri nell'armadio. Però, al momento, la mia priorità era l'intervento. Inserito il cellulare nella tasca della casacca verde, andai verso la sala operatoria per prepararmi.
Quando entrai, era quasi tutto pronto e Gianmarco confermò che l'anestesia era stata iniettata, come da protocollo. Gli avevo chiesto di venire qui per assistermi, il personale era poco e una mano in più non sarebbe stata male.
«Vi siete già conosciuti?» chiesi ai due. Angela si limitò ad annuire. «Datemi una mascherina.» Un'infermiera me la passò, mi feci spazio per controllare la posizione della forbice. Fissai poi il monitor. Dopodiché, mi allontanai e tolsi la mascherina. «Prima di iniziare vorrei dire due parole» Nessuno parlò. Un silenzio religioso invase la sala operatoria spezzato solo dai bip costanti. «Angela.» Incrociai le braccia dietro la schiena e la corvina mi guardò. «Oggi è il primo giorno della tua vita professionale. Considera tutto ciò che farai ora come un nuovo apprendistato.»
Angela annuì. «Lo so, dottore.»
«Sarò sempre qui al tuo fianco. Ma un giorno, indipendentemente dal luogo o dal tipo di ospedale in cui ti troverai, ti capiterà di trovarti in una situazione difficile e sarai tu a prendere il controllo e, proprio in quel momento, diventerai un medico in gamba.»
«Questo è il mio medico!»
Esalai un profondo sospiro. Era quello che avevo insegnato a chiunque: la caparbietà di sfidare i propri limiti e di non arrendersi di fronte alle difficoltà.
«Il fallimento è il miglior insegnamento. Non dimenticarlo, va bene?» Angela confermò di aver capito con un altro cenno. «Neanche tu, Giammarco.»
«Eh? Sì, dottore! Non lo dimenticherò.»
«Bene. Vediamo quanto hai imparato finora dal tuo medico, Gianma.» Mi osservò, deglutendo un fiotto di saliva. «Mi fido molto di te. Mostraci le tue abilità, coraggio.»
Spostò gli occhi da una parte all'altra. Abbassò la testa, inspirando a fondo e si preparò ad estrarre le forbici. Le sue dita erano tremanti, mentre guardava prima Angela e poi me.
«Sono pronto, dottore. Cominciamo.»
«Cominci, dottor Pretelli.» Mentre stava per tirarle via, allontanò un istante la mano. Tentennò. «Cosa stai aspettando? Inizia.» lo incoraggiai con calma.
«No, dottore. Non sto aspettando nulla. Stavo solo facendo dei calcoli per... non far succedere nulla.»
«Cosa deve succedere? Non preoccuparti, le forbici non danneggeranno importanti funzioni celebrali.»
L'infermiere annuì. «Sì, dottore.»
«Il rischio di danni permanenti è molto basso.»
«Lo so, dottore.»
«Allora vai. Non c'è nessun pericolo.» Gli diedi il consenso a procedere. Gianmarco lasciò scorrere gli occhi su ogni viso presente, tutti aspettavano, e afferrò la forbice con più sicurezza di prima.
«Dottor Rinaldi, prima di tutto la voglio ringraziare per questo gesto encomiabile e...»
«Gianmarco.» lo interruppi. «Tira subito fuori le forbici. Andiamo.» Fece per estrarle, ma un trillo anomalo mi insospettì. «Aspetta.» Si bloccò. «Aspetta un attimo.» I valori sul monitor si stavano abbassando, poi si regolarizzarono pian piano. «Ok, tutto bene. Continua.» Gianmarco buttò fuori un altro sospirone, mi guardò e gli feci cenno di procedere. Con un colpo secco, tirò via le forbici.
«Ce l'ho fatta... Ce l'ho fatta!» biascicò, in preda all'emozione. «Dottore, è una sensazione incredibile! Non mi dispiacerebbe rifarlo.»
«Non esagerare, non esagerare. Pulite la ferita e chiudete. Ben fatto, ottimo lavoro.»
«Grazie, dottore.» rispose Gianmarco con ancora la forbice intrisa di sangue in mano. Era come se stesse stringendo un trofeo che aveva conquistato.
Salutai l'équipe con un "buona giornata" e uscii. Lì ormai la mia presenza non era più necessaria.
Federica
Avevo fatto un errore di valutazione e agito troppo di impulso, quell'uomo non era una spia o un malintenzionato...
«Se le fa male, prenda una compressa al mattino e una alla sera a stomaco pieno e non dimentichi di applicare la pomata due volte al giorno.» Scrissi sulla ricetta e gliela porsi.
«Certo.» Rispose, raccogliendola con il braccio sano, all'altro aveva un tutore con una fascia che gli circondava il collo. «Mi ha picchiato e mi curerà, dottoressa.» Sospirai.
Ero decisamente imbarazzata per il disguido avvenuto e non sapevo come giustificarmi. «Tra l'altro... ha la mano pesante.» Rise.
«Be', ho fatto pugilato per anni. Come facevo a sapere che era la mia guardia del corpo? Non voglio altre sciocchezze. Posso benissimo proteggermi da sola.»
«Su quello non ci sono dubbi, dottoressa Andreani, l'ho visto con i miei stessi occhi. Non si preoccupi, ma sa... che è un ordine dell'ispettore.»
«Bene, parlerò io con l'ispettore.»
«D'accordo, come vuole.»
«Sono desolata. Guarisca presto.»
Mi alzai dalla sedia girevole e abbandonai lo studio per tornare in pronto soccorso ad occuparmi dei nuovi casi arrivati.
Quando però vidi mia sorella pietrificarsi sulla soglia per poi girare i tacchi e fuggire via, la rincorsi immediatamente. Non poteva ancora ignorarmi. Questo non glielo avrei consentito.
«Alessia, ti fermi?» Mi avviai verso gli ascensori, dove stava attendendo con Tommy Dalì. «Alessia!» Non proferì una parola e incazzata dal suo comportamento immaturo, proseguii. «Voglio parlare con te.»
«Io non voglio parlare.»
«Senti, voglio pensare che quello che hai detto ieri non fosse intenzionale, quindi ti propongo di dimenticare tutto, okay?»
«Cosa? Dimenticare che papà è morto?»
«La pianti! Non ho detto questo!» Sbottai, alzando la voce abbastanza per farmi sentire da tutto l'ospedale e da chi ci stava attorno. «Sai come mi sento e cosa sto passando? Ti rendi conto di come la mia vita sia stata capovolta all'improvviso? Ma se vuoi continuare ad incolparmi, se vuoi mettere altro carico sulle mie spalle, fa' pure! Se questo ti fa sentire meglio, continua! Almeno una di noi si sentirà meglio.» Piegò la testa guardandosi le scarpe. Poi rialzò gli occhi. «Per me è già abbastanza dura sopportare tutta questa situazione! Sono davvero stanca. Credi di essere l'unica a stare male e a soffrire qui, ma... anche mio padre era in quella bara! Mi sono svegliata con il sangue di mio marito nel letto il giorno dopo il matrimonio. Temevo di averlo perso per sempre!» La mia voce era spezzata dal nervosismo, stavo implodendo. «Lo capisci o no?»
«Ragazze, smettetela.» Tommy Dalì tentò di calmare le acque.
Lo guardammo in cagnesco. «Resta fuori da questa storia!» Urlammo all'unisono e il moro si azzittì. Quella questione era strettamente personale e non volevamo altri di mezzo, né mariti, né fidanzati.
Il signor Cricca poi si avvicinò al nostro gruppo. «Dottoressa Andreani, sono appena arrivati i risultati degli esami.» Mi porse la cartellina e dopo aver lanciato un'ultima occhiataccia ad Alessia, mi concentrai sui fogli. Alzai la testa un istante, presi un respiro. «Cristina ha il cancro.» Constatai. L'ecografia era evidente. «Valentina è in buona salute.»
«Sì. Se non le dispiace, vorrei mostrarlo anche al dottor Svevi. Che ne pensa? Be', in caso contrario, non vorrei, ecco... infastidirla. Credo che ci fosse stato un problema con sua nonna... in passato.»
Fissai il dottore con un cipiglio alzato. Chiusi di scatto quella cartella e gliela consegnai.
«Le pazienti sono sue, il caso è suo. Se vuole il parere del dottor Svevi, non sarò contraria.»
«Perfetto! Immaginavo che avrebbe risposto così, quindi vi ho convocati tutti.»
Tommy lo squadrò con fare stupito mentre si allontanava nella direzione opposta e Alessia restò a braccia conserte.
Non si poteva affermare non avesse le idee chiare. Anzi, era decisamente un tipo scrupoloso.
[...]
Ci riunimmo nella sala riunioni dopo una mezz'oretta, lì avremmo deciso che soluzione adottare per quel caso. Ognuno avrebbe espresso la propria opinione in base alle sue conoscenze.
«Cristina ha un sarcoma di Ewing al terzo stadio nel retro del peritoneo.» Esordì il dottor Svevi che aveva il referto fra le mani e studiai ancora una volta i risultati della TAC.
«Non sembrano esserci segni di metastasi, ma dobbiamo asportare il tumore. È cresciuto e preme sulla vena cava inferiore.»
«Questo rallenta il ritorno del sangue al cuore.»
«Ma la rimozione del tumore può causare alcune complicanze.» replicò Tommy.
«Sì, purtroppo. Dopo l'intervento dovrà sottoporsi a radioterapia e chemioterapia.»
«Quali saranno le conseguenze per l'altra gemella?» riprese poi.
«Valentina ha un'insufficienza cardiaca. Ha difficoltà a respirare. La chemioterapia è un supporto cardiotonico e potrebbe portare l'insufficienza cardiaca allo stadio finale. In questo caso...»
«Alla morte.» terminò Tommy per il cardiochirurgo. «E se non effettuiamo l'intervento...»
«Cristina morirà di cancro... il che significa che anche sua sorella morirà.»
«La dottoressa Andreani ha perfettamente ragione.» s'intromise il dottor Cricca e inumidii le labbra, abbassando gli occhi. «Quando uno dei due fratelli muore, l'altro sopravvive solo per pochi giorni. Quando la sorella comincia a decomporsi, l'altra muore di sepsi.»
Non c'era una via alternativa...
«Se curiamo una morirà anche l'altra e se curiamo l'altra succederà la stessa cosa. È impossibile curarle entrambe.» Dichiarai, spostando lo sguardo a destra e a manca e congiunsi le mani.
Il dottor Cricca adagiò gli occhiali da vista sulla scrivania e si alzò. «Vedete, quando ho deciso di portare le mie pazienti in questo ospedale è stato perché è... un caso che può portarci benefici. Una buona pubblicità per l'ospedale sarebbe...» Fece una pausa, utile a creare suspence e generare curiosità. «Separarle.»
Sospirai e guardai i miei colleghi, tutti erano confusi.
«É possibile?» chiese Svevi.
«Lo è.» rispose, dopo un po'. «Purché la dottoressa Andreani mi faccia l'onore di accompagnarmi.»
L'affermazione mi fece alzare di scatto la testa. Gli occhi degli altri si focalizzarono sulla sottoscritta. Tornai a guardare il nuovo medico che aspettava comunque una risposta e aggrottai la fronte. Mi sorse spontanea nel cervello: Perché voleva me?
Giovanni
Alla mia uscita, il commissario si fece trovare seduto sulla panchina, fuori dalla clinica. Il signor Raffaele arrivò a portarci un paio di caffè bollenti. Lo ringraziai per il disturbo, anche se non doveva.
«É il minimo, dottore! Si dice che oggi abbia fatto cose mai viste in sala operatoria.» Abbassai la testa a disagio per tutti quei complimenti. «Buona serata!» Varcò l'entrata di nuovo e mi lasciò in compagnia di Alessio.
«Celia lo ha ammesso. Suo marito pagherà per questo.»
«Ci ha quasi convinto tutti della sua innocenza.»
«Per fortuna, ha parlato. È stata molto coraggiosa.»
Scrollai la testa. «Già.» Sospirai e decisi di affrontare un altro argomento. «E il nostro caso?»
«Credo che la persona che stiamo cercando sia un medico, perché ha dato informazioni mediche quando hai trovato Lorenzo.»
Ripensandoci, quando avevo trovato mio suocero nel cofano posteriore, mi aveva parlato dettagliatamente della sua diagnosi. Feci un tuffo nel passato. Lo aveva spiegato così bene tanto da indurmi a credere di star parlando con un dottore. Quando avevo detto di voler fare una TAC, aveva risposto che non c'era tempo e che dovevo aprire direttamente lo sterno.
«Sì, senza dubbio, è un medico.» risposi, facendo un sorso di caffè.
«Be' ti dirò... la cosa più strana di questa storia, a mio parere.» Ruotai il viso. «Quell'uomo sta usando il tuo nome.»
«Usando il mio nome? Perché?»
«Non lo so, ma lo scopriremo.»
«Perché qualcuno dovrebbe fare una cosa del genere?»
«Credo che si tratti di un uomo estremamente intelligente che, senza dubbio, ha pianificato tutto nei minimi dettagli.» Sentenziò.
«Non c'è dubbio, abbiamo a che fare con un sociopatico. È senza scrupoli. Come ha fatto del male a mio suocero, potrebbe puntare qualcun altro. Comunque... è stata una buona idea quella di proteggere Federica.»
«Temo di no.»
«No?» ripetei, guardandolo dritto negli occhi. Dalla sua espressione, immaginai a cosa si riferisse e roteai gli occhi. «Federica, giusto?»
«Tua moglie si è accorta del poliziotto che la pedinava e gli ha dato una bella lezione. Se per caso litigate, non chiamatemi.» ironizzò scoppiando a ridere e, alla fine, coinvolse anche me.
La mia Federica era una persona estremamente astuta oltre che forte.
«Mia moglie è stata pugile a livello agonistico. Nessuno potrebbe competere con lei. Direi... che avremmo dovuto prevedere questo intoppo.»
«Mhmm, può darsi. Cosa ci facevi qui? Un medico come te, del tuo calibro, in un ospedale... di periferia.»
«Una mera coincidenza.» Feci spallucce. «Stavo cercando un ospedale dove portare il signor Lorenzo e mi sono imbattuto in questo posto. Non c'era nessun altro sull'itinerario.» Ripensando a mio suocero, gli occhi si inumidirono riempiendosi di qualche lacrima. La ferita era ancora aperta...
«Si dice sempre: "le coincidenze non esistono", vero?»
Annuii, con lo sguardo puntato nel vuoto. «Già.»
Gianmarco uscì e si avvicinò alla panchina. «Dottor Rinaldi, posso chiederle il permesso di andare via? In questo momento, nel nostro ospedale c'è un caso sensazionale!»
«Come? Qual è questo caso?»
Non capivo tutto quell'entusiasmo ed energia di voler tornare presto in città. L'ispettore si congedò con una possente stretta di mano e andò via.
«Si tenga forte! Stanno per separare due gemelli siamesi!»
«Gemelli siamesi?»
«Sì!» Esclamò, elettrizzato.
«Oh, grande!» Mi rimisi in piedi. «C'è un caso di gemelli siamesi e tu me lo dici soltanto adesso?» Finsi di essermela presa.
«No, insomma... Anche il suo caso era molto interessante, me ne sono dimenticato. Mi scusi.»
«Va bene, va bene.» Posai la mano sulla sua spalla. «Aspettami sulla porta. Vado a prendere le mie cose e torno.»
«Va bene!»
«Vediamo questo caso sensazionale...»
Ero curioso di sapere cosa stesse accadendo fra le pareti del mio ex ospedale. Il castano mi seguì a ruota e ci dirigemmo dentro.
Federica
«So cosa stanno per dire. Cri ha il cancro e io no?» ipotizzò la ragazza dai capelli lunghi.
Feci un cenno d'assenso. «Esatto...»
«Ma c'è una cura, giusto?» domandò. I miei due colleghi restarono in silenzio e toccò a me quella sentenza.
«Purtroppo, è in una fase terminale.»
«Cosa ne sarà di Val quando morirò?» chiese la gemella malata, con le lacrime che le solcarono le guance nivee. A questa domanda, alzai gli occhi contro Giovanni Cricca, era il loro medico. «Voglio sapere la verità. Lei ci ha portate qui, ci siamo fidate di lei. Avete parlato così tanto. Perché tacere ora?»
«Cristina... Se uno dei due fratelli muore, l'altro può vivere solo pochi giorni. Quando un corpo muore e si decompone, l'altro muore comunque di sepsi.»
«Non mi parli come un medico!» lo sgridò. «Mi parli come una persona! Cosa sta dicendo? Mia sorella morirà per colpa mia?»
«Calmati, Cri.»
«È vero...» confermò lui.
La diretta interessata strizzò gli occhi e iniziò a singhiozzare. «Separateci, fatelo. Non voglio causare la morte di mia sorella.»
«No. Non voglio! Non ricordi, Cri? Perché volevamo essere separate? Desideravamo fare una passeggiata insieme e guardarci negli occhi, volevamo fare un viaggio e andare in bicicletta...»
«Puoi fare tutto senza di me.»
«Perché?» biascicò. «Se non sei qui, che senso ha? Se lei muore, voglio morire anch'io...»
«Non ricominciare a dire sciocchezze.» la ammonì.
«Cri... sono seria. Sei una parte di me. Siamo nate insieme e... moriremo insieme. Non ti permetterò di operarci.»
Cristiana continuò a fare cenni di diniego, non era d'accordo con l'opinione della gemella, ma tutti sapevamo che non era difficile da quel punto di vista.
«Basta! Ho detto che lo faremo!»
Il dottor Cricca era concentrato a guardare il telefono che alla disperazione delle due ragazze e dovette assentarsi un istante. Io e Riccardo lo fissammo mentre usciva dalla stanza. Sembrava insolita quella uscita di scena. Valentina era convinta di voler morire e seguire la stessa sorte della gemella. Non voleva che continuasse ad insistere, nessuno. Dovevamo rispettare la scelta e non insistere, ma era come uccidere due persone contemporaneamente. Riccardo non riusciva a schiodare gli occhi dalla porta e mi chiese di rimanere lì con le ragazze.
Qualcosa non andava.
Giovanni
«Ehi, Gianmarco, scusami se ti ho fatto aspettare, andiamo.» Doveva tornare a Roma e minimo ci sarebbe voluta un'ora, sperando di non incontrare qualche ingorgo. Scrollò le spalle e mi disse di non preoccuparmi. Iniziammo a incamminarci verso la mia auto non molto distante.
«Gio!» Esclamò l'ispettore, dall'altra parte del marciapiede. Mi bloccai e sventolò il braccio. «Ho appena trovato il nostro uomo!»
Un sorriso mi si formò sulle labbra. «L'hai trovato?!» Mi scambiai un'occhiata con Gianmarco.
«Aspetta, vengo lì e te lo spiego.»
Finalmente l'incubo era finito, avrei dato un volto e un'identità al farabutto che aveva giocato con noi e che mi aveva fatto vivere un'esperienza infernale dopo le mie nozze. Non potevo crederci. Ma successe tutto in una frazione di pochissimi secondi. Mentre stava attraversando la strada per raggiungerci, un camion lanciato alla massima velocità finì per travolgerlo in pieno e lo scaraventò via, come fosse stato un semplice birillo. Restai impalato a guardare il corpo del giovane ruzzolare qualche metro più avanti e fermarsi sul ciglio della strada. Il respiro mi si mozzò in gola e il cuore mi saltò nel petto. Sgranai le iridi, riportandole su Gianmarco che era sbiancato e non riuscii a muovere un muscolo. L'ispettore era sull'asfalto, esanime...
Sbattei le ciglia, sconvolto.
Eravamo di nuovo caduti nell'ennesima trappola di quella mente diabolica e instabile.
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