Capitolo 24.3 - Questione di vita o di morte
Federica
Quando la cerimonia in chiesa si concluse, accompagnammo il feretro di mio padre fino al cimitero e, in quel momento, realizzai che niente sarebbe stato uguale a prima. Sotto il mio sguardo assente, la bara venne sollevata e trasportata da quattro uomini: mio marito, Tommy, Wax e Gianmarco. Camminai a piccoli lenti passi con Angelina da una parte e mia sorella dall'altra avvinghiata al mio braccio, che si sosteneva per non crollare. La fossa era stata già scavata. Appoggiarono la bara con delicatezza mentre i piagnistei della mia matrigna, che si fingeva una povera vedova disperata si intensificavano.
Si buttò in ginocchio. «Lorenzo! Sono qui! Sono qui con te! Non ti abbandono come hanno fatto le tue figlie. Avete fatto impazzire vostro padre. Guardate cosa avete ottenuto. Siete felici?»
Alessia stava per reagire, ma le afferrai il braccio per trattenerla in qualche modo.
«Non ne vale la pena, lascia stare.»
«L'hanno ammazzato! L'hanno fatto impazzire! Hanno ucciso il mio povero marito!» Nessuno osò proferire parola. Tommy si accovacciò al suo fianco, le mise la mano sulla spalla e le intimò di smetterla. Serrai gli occhi e copriti la bocca con una mano quando il feretro venne fatto scivolare giù in quella fossa.
«Ascoltatemi, ve la farò pagare! Non ti preoccupare caro, la tua morte non rimarrà impunita!» Scoppiò di nuovo a piangere. Incontrai lo sguardo serio di Giovanni per un istante, poi lo deviai, stringendomi nelle spalle.
Alla fine della sepoltura, i presenti mi diedero le loro condoglianze e mi limitai ad un cenno con il capo. Giovanni si posizionò accanto a me e intrecciai le nostre mani.
«Dio maledica voi e la vostra immonda discendenza. Entrambi dovrete pagare per la sua morte ingiusta!» Si alzò con impeto, pronta a sputare veleno con la sua lingua biforcuta. «Lorenzo è morto per colpa dei tuoi nemici! Non sei riuscito nemmeno a salvarlo. Sei una vergogna di medico! Torna nel tuo ospedale di lusso. Vattene!»
Stava esagerando.
Giovanni mi cinse le spalle con il suo braccio, conosceva il mio carattere di fuoco e sapeva che non sopportavo quegli insulti.
«Ascolta, non ti dirò nulla adesso, ma attenta a quello che dici.»
«Fede, calma...» Indietreggiai per ritornare accanto a lui con lo sguardo proiettato nella fossa. «Lei ha ragione, signora. Su qualunque cosa dica, non la posso biasimare.» Balzai gli occhi dalla strega a lui. «Quell'ospedale di lusso mi ha abbagliato, per questo non ci tornerò.»
«Gio... ti rendi conto di cosa stai dicendo?»
«Non è il momento giusto per parlarne, ma è tutto già deciso. Lascerò l'ospedale.»
Non poteva parlare seriamente. Stava buttando via la sua carriera per quell'incidente? Non aveva nessuna colpa nella morte di papà, eppure continuava a non darsi pace.
«Gio, cosa stai dicendo?»
Mi fissò a lungo, mi accarezzò la guancia e stampò un bacio sulla bocca. «Ti amo.» Mormorò e dopodiché se ne andò.
«Gio...»
Feci per andargli dietro, non potevo lasciarlo solo a combattere contro quei rimorsi, ma Alessia mi prese il polso.
«Ha preso la scelta più giusta. Deve starti lontano.»
«Ale, cosa dici?»
«É meglio che ti stia alla larga.»
«Ale, è il dolore a parlare per te. Non sei lucida.» fece notare Nina.
«Mio padre è morto e giace in quella bara! Non vi rendete conto di quello che stiamo attraversando?» esclamò, con gli occhi spenti.
Avanzai di un passo. «Era anche mio padre. Smettila di dire cavolate, okay?» Serrò le palpebre e le lacrime le solcarono le guance. «Giovanni è mio marito. Chi ferisce lui, ferisce me.» Me ne andai ignorando le sue ultime frasi "è comunque il responsabile, è grazie a lui se ora stiamo soffrendo". Accelerai, vedendolo incamminarsi verso l'uscita. «Gio! Gio!» Il ragazzo si bloccò e si voltò. Sapevo perché aveva detto quelle cose e quanto ci stesse male, ma non era affatto un buon motivo per mandare tutti i suoi progetti all'aria. «Per favore, smettila di incolparti.» Abbassò un secondo lo sguardo. «Soprattutto non fare quello che mi hai sempre detto di non fare.»
«Chi lo sa? Forse si scoprirà che avevi ragione tu.» Il mio sguardo si addolcì. «Noi siamo dottori, more. Possiamo sempre scegliere un nuovo percorso, oppure... continuare per la nostra strada.»
«Allora perché vuoi lasciare l'ospedale? Perché ti stai arrendendo così? Perché vuoi fare una cosa del genere?»
«Perchè...» S'interruppe distogliendo lo sguardo dal mio. «Voglio aiutare chi ha bisogno e non può permettersi di venire da noi perché non ha soldi, almeno così nessuna madre, nessun padre e nessun bambino morirà.»
«Adesso? Te ne andrai?»
«È già tardi.» sussurrò guardandomi negli occhi per un istante. Mi mordicchiai il labbro e chinai di nuovo la testa. Forse ieri avrebbe voluto dirmi di questa sua scelta, ma non se l'era sentita per non turbarmi più di quanto già non fossi, dopo non averlo trovato a letto con me. Si spinse verso di me e mi avvolse in un abbraccio colmo di affetto a cui mi aggrappai. Dopodiché, mi staccò da sé per afferrarmi il volto. Alzai lo sguardo, gli occhi malinconici incrociarono i suoi. «Ci vediamo a casa...» Mi passò la mano sulla testa, una lieve carezza ai capelli, prima di girare i tacchi e proseguire.
Mi persi a contemplarlo, rimanendo immobile con gli occhi offuscati.
Quel giorno non avevo solo dovuto dire addio a mio padre per sempre, tra me e Giovanni si stava creando una spaccatura irreversibile e nemmeno con l'amore riuscivo a ricucire lo strappo.
Quando tornai indietro, passai accanto a Matteo e Angelina, affiancando quest'ultima.
«Dov'è andato il dottor Giovanni?»
«Dove c'è bisogno di lui.»
«Non ne hai bisogno più tu, Fe?» Sussurrò Angelina.
Scrollai le spalle. «Sì. Ho bisogno di lui più che mai.» Ma non potevo fare altro se non rispettare la decisione e dargli un po' di spazio. Era già abbastanza difficile avvertire questa tensione ogni volta che avevamo una conversazione. Da quando era stato rapito, Giovanni si era come chiuso in un guscio di protezione difficile da scalfire. Angelina si appoggiò sulla mia spalla e unii la tempia alla sua. Tommy faceva del suo meglio per sostenere Alessia che, a stento, si reggeva sulle gambe.
Il dottor Gentile si fece avanti per salutarmi e si avvicinò anche il nuovo dottore.
«Mi dispiace, dottoressa. Sentite condoglianze.» Mi porse la mano e gliela strinsi, ringraziandolo.
«Guarda, guarda, non lo sapevo!Mi ha sorpreso vedervi insieme.»
«Non ho avuto modo di dirtelo. Non mi sembrava il caso.»
«Te e Anita? Bella sorpresa!»
Osservai anch'io la stramba coppia, quella ragazza fino a qualche giorno fa, prima del nostro matrimonio, faceva il filo e gli occhi dolci a Gio.
«Anche per me lo è stato, dottore. È successo tutto all'improvviso...»
«Così in fretta? Ora sono davvero curioso di sentire la storia di questo colpo di fulmine.»
«Prima o poi ti dirò tutto, Riccardo. Un giorno di questi potremo andare a cena.»
«Per me va più che bene.»
Mentre i due facevano piani per incontrarsi e fare due chiacchiere amichevoli, chiesi ad Angelina di accompagnarmi a casa. La castana mi prese sottobraccio e scortò fino alla macchina del suo ragazzo.
Ero sfinita. Quello che era capitato mi era bastato ed era stato pure troppo da sopportare.
Giovanni
Salito nella mia auto, sistemai lo specchietto, poi afferrai saldamente lo sterzo, guardando davanti con determinazione. C'era una cosa che mi ero promesso di fare e presi un respiro, recuperando il cellulare dalla tasca interna. Trovai il numero e la telefonai. Dopo un paio di squilli, la sua voce si fece strada nella cornetta.
«Salve, Angela. Sono Giovanni. Dove si trova?»
«Ehm, per strada. Le ho dato retta e non intendo più licenziarmi. Sto andando in ospedale per imparare e diventare un medico migliore. Che succede?»
«Ottimo, sto arrivando anch'io. Se è libera, le vorrei parlare...»
«D'accordo, l'aspetto. Le mando la posizione, ok?»
«Ok, a fra poco.»
Dopo poco, ricevetti un messaggio sulla chat di WhatsApp, mi aveva mandato la posizione e rimisi in moto. Quando la raggiunsi, la corvina stava aspettando sul marciapiede e osservava in ogni direzione con le braccia conserte al petto. Accostai, allineandomi a lei e, non accorgendosene, iniziò a imprecare in dialetto napoletano. «Angela?»
«Uhm, mamma mì. Dottor Rinaldi, buongiorno!»
«Come va?»
«Pensavo sarebbe venuto a piedi.»
«Salga.»
Aggirò la vettura e prese posto sul sedile. «A proposito, forse preferirei chiamarla per nome. Spero che non le dispiaccia.»
«Dopo quello che è successo ieri, non c'è alcun problema.»
«Mi dispiace.»
«Non c'è bisogno di scusarsi.»
«Bene, volevi parlarmi?»
«Già. Ho preso una decisione, Angela e volevo parlartene.»
«Dimmi, ti ascolto.»
Presi un sospiro e osservai quelle case. Quel posto era così differente rispetto alla capitale ma il destino mi aveva condotto qui per farmi rendere conto che la mia strada non era quella. «Ho deciso che... verrò a lavorare al centro medico di Anzio.»
Si lasciò sfuggire una risatina divertita e sollevò l'indice. «Aspe... fammi capì: vuoi lavorare in un semplice centro medico?»
«Esattamente.»
«Perché?»
«Cosa vuol dire "perché?"»
«Perchè un medico come te, con la tua reputazione e importanza vuole lavorare... in una discarica?»
Un lieve sorriso mi alzò gli angoli della bocca. «Discarica...» ripetei annuendo, poi tornai a guardarla. «É questo il punto. Posti così hanno necessità di bravi medici.» Evitò il mio sguardo e si schiarì la voce. «Cosa c'è? Non ci credi?»
«No... non è che non ci credo, cosa intendi con posti così?»
«Be', posti come questo.» Il mio sguardo vagò un po' ovunque, le persone non erano in grado di raggiungere gli ospedali migliori con un certo tenore di vita e se ce n'erano erano pure sprovvisti di attrezzi o di medici che sapessero intervenire, prevenendo le tragedie. «Certi quartieri sono stati abbandonati, lasciati a loro stessi... e anche le persone che devono viverci per forza.»
«Non prenderla a male, ma...»
«Non preoccuparti, dimmi quello che ti sta passando per la testa.»
«Tu non conosci proprio questa gente e non hai idea di come siano questi posti. Non sai nemmeno quale sia il vero problema! Sono troppo grandi i problemi e non si possono risolvere con il tuo bisturi magico, Giovanni Rinaldi. Ci sono cose che purtroppo non possono migliorare. È da quando sono venuta a lavorare qua che l'ho sperimentato e non sarà un dottore della capitale a cambiare le cose.»
«Mhm, chi lo sa?» Alzò gli occhi e misi in moto. Svoltai in una traversa ma dovetti frenare di colpo quando una donna con un bambino piccolo in braccio saltò davanti al muro. Dovetti frenare d'istinto. Implorò aiuto, calando il bambino a terra e tenendogli la manina. Era terrorizzata, con il volto pallido, mi urlò che stavano per ammazzare suo marito.
«Stanno per uccidere suo marito?»
«Faccia qualcosa, per favore, mi aiuti! Lo uccideranno!»
«Cosa sta dicendo?» si intromise Angela.
«Uccideranno mio marito. Lo uccideranno! Aiutatemi!»
«Si calmi. Ha avvisato la polizia?»
«Sì, ma sono convinta che lo uccideranno prima che arrivino. Quella gente è malata!»
«D'accordo, capisco. Salga in macchina e mi mostri la strada» Spalancai lo sportello e feci accomodare la donna e il figlioletto sui sedili posteriori. Angela, piena di sarcasmo commentò con un "benvenuto ad Anzio eh". Mi rimisi al volante e ripartii a tutta velocità. Giungemmo in una zona poco trafficata, più desolante, considerando com'era la situazione delle strade, piene di buche e rifiuti di ogni genere ammassati che emanavano uno sgradevole odore di marcio, i marciapiedi non esistevano. Feci attenzione a non forare la ruota e parcheggiai dinanzi ad un palazzo di tre piani. La donna me lo indicò, era quello il posto.
«Va bene, chiuda le portiere e non esca, ok?» Fece sì. «Anche tu, Angela. Non muoverti.»
«Vengo con te.»
«Sta' attenta.» le intimai e mi affiancò seguendomi verso l'entrata, da cui stavano sbucarono un gruppo di uomini dalle facce poco raccomandabili.
Mi bloccai a pochi passi e il più anziano chiese con spavalderia.
«Cosa succede, amico mio? Chi ti ha chiesto di venire?»
«Una donna mi ha detto che suo marito era nei guai e sono venuto a controllare.»
«Chi saresti?» chiese uno più giovane con i capelli a spazzola.
«Un medico.» risposi, sostenendo lo sguardo da Pitbull. «Angela, chiama un'ambulanza.»
«Ma quale ambulanza?» sbottò quello dandomi uno spinta vigorosa al petto.
Il gesto non piacque all'altro signore anzianotto, che lo rimproverò di prendere il " bastardo", farlo visitare da un medico e consegnarlo agli sbirri. Quello gesticolò con l'indice, ribattendo che non stavano facendo un bel niente e di non intromettersi. Ci fu uno scambio intenso di sguardi, poi quello che mi aveva spintonato prima mi sorpassò con una spallata energica. Seguendo gli altri due entrammo e un uomo era riverso a terra, non poteva muoversi e aveva il volto contuso e pieno di lividi. Gli sollevai le palpebre e biascicò.
«Giuro che non ho toccato quella ragazza...»
«Va bene, non si affatichi. Respiro irregolare, polso normale, scala del coma a 13. Sente dolore alle costole?» Emise dei mugolii e lo presi per un sì. «Ok... non si agiti, non sprechi energie. Sta arrivando l'ambulanza. La porteremo in ospedale.»
«Giuro... di non aver sfiorato quella... ragazza.» Un presentimento si plasmò nella mia testa e mi girai verso Angela che aveva sospirato e alzato gli occhi al cielo. Erano situazioni probabilmente che laggiù capitavano sempre, gente che voleva farsi giustizia da soli, che brandiva bastoni e coltelli...
«Cos'è successo?»
«Dottore, non è riuscito a controllarsi. Voleva approfittare di una ragazzina del nostro vicinato. Che pena...»
Angela mi fece intendere con la mimica facciale che, appunto, erano situazioni che ormai aveva visto e vissuto così tante volte da aver perso il conto.
«Capisco. L'ambulanza?»
«L'ho chiamata, stanno arrivando.»
«Mi ammazzeranno...»
«Non si preoccupi, le assicuro che nessuno le farà nulla. Ci siamo noi e non le verrà fatto alcun male. La aiuteremo.»
Nel giro di qualche minuto, i soccorritori portarono dentro la barella e ordinai di mettere un collare ortopedico e fare attenzione alle costole, la frattura premeva sul polmone e rischiavamo di bucarlo. Ripeté che quegli uomini lo avrebbero certamente ucciso e implorò il nostro aiuto. Gli feci notare di non sprecare fiato e pensare piuttosto a ristabilirsi.
«Dottore, la stanno aspettando... faccia attenzione quando esce.»
Guardai l'uscita e annuii.
Non avevo alcun timore, stavo facendo il mio lavoro e salvando una vita, il resto era superfluo. «É aperto lo sportello?» I paramedici mi confermarono di sì. Presero di peso il paziente e lo conducemmo all'esterno, cercando di raggiungere il più veloce possibile l'ambulanza. Il paziente ripeteva la solita frase "non l'ho toccata" o "non è colpa mia". I portantini caricarono la barella nel retro e i due uomini che avevano battuto ritirata prima, fecero ritorno più minacciosi, con i rinforzi.
«Le persone da queste parti sono così. Passano tutto il giorno a fare scenate in ospedale, non le conosci. È pericoloso...»
Quei musi duri, quelle facce ostili non mi spaventavano. Li squadrai, uno ad uno.
«E loro non conoscono me. Nessuno può portarmi via un paziente che ha bisogno di aiuto, capisci? Forza, sali. Avanti. Tu va con lui in ospedale ed io con sua moglie e il bambino vi seguiremo in macchina, presto!» Angela non contestò e salì assieme al giovane paramedico. Quelli fecero schioccare le mazze e i bastoni sui palmi delle mani, un invito palese che da lì non saremmo potuti passare e infrangere la barriera che avevano creato. Tutti i loro occhi erano focalizzati su di me. «Signori... so che si tratta di una questione molto delicata. Vi capisco, ma voi capite noi. Quest'uomo è grave, dobbiamo portarlo all'ospedale. Fatevi indietro e lasciateci passare.» Avanzarono di più senza togliersi dal viso le loro espressioni minacciose. Non ruppi il contatto visivo, non intendevo abbassare la cresta. «Quello che state facendo è un crimine e lo sapete. Devo portare il paziente in ospedale.»
«Non fate storie ed evacuate la zona! Lasciate che il dottore faccia il suo lavoro!» intimò l'anziano con i baffi.
«Non metterti in mezzo, vecchio!»
«Vi capisco, ma dovete capire me. Andatevene o mi costringere a chiamare la polizia.»
«Ha visto troppi film, dottore. Questo è il quartiere di Anzio, qui comandiamo noi. Noi siamo i medici e i poliziotti.»
«Le consigliamo di tenere la lingua a posto.» mi ammonì un tizio con una cicatrice gustosa dall'occhio alla guancia.
«Credo che non mi abbiate capito. Quest'uomo sta per morire e voi state ancora qui a discutere! Allontanatevi!»
«Senta, dottore.» Mi agguantò per i lembi del cappotto e si spinse verso il mio volto. «Non ci faccia più arrabbiare.»
«Lascialo!» ringhiò l'anziano e lo allontanò da me con una spinta.
Continuai a scrutare negli occhi quell'uomo, nonostante fosse un bestione che mi sovrastava con la sua altezza, non avevo paura.
«Lasci perdere quella canaglia, sappiamo esattamente come curarlo. Sparisca da qui!» Sbraitò, spingendomi e finii per sbattere contro l'ambulanza.
Mi avvicinai con rapidità e l'indice sollevato. «Lo curerò io e poi la giustizia farà il resto, ok?»
«Stia zitto!»
Fece per colpirmi, ma lo bloccai e gli tirai un pugno in faccia, facendolo cascare in braccio ai suoi scagnozzi. Visto che quel discorso non aveva sortito l'effetto desiderato, saliii nell'ambulanza e chiusi lo sportello dietro di me.
«Stai bene?» chiese Angela.
«Sì, sto bene. Dammi la torcia.» Me la porse e sentii distintamente tutti gli insulti che mi stavano rivolgendo.
Federica
Controllavo il cellulare da quando ero tornata, sperando che mi chiamasse o mi mandasse qualche messaggio, ma finora non l'aveva fatto.
Nessuna notizia, non mi aveva fatto sapere nulla e la cosa mi stava facendo innervosire.
Angelina arrivò nel salotto, guardandomi con dolcezza. «Piccolina.» Avvicinò il vassoio e mi invitò a bere il caffè caldo che aveva preparato, anche se sarebbe stato meglio una tisana, perché avevo veramente la testa sul punto di esplodere come una pignatta. Appoggiai la tazza sul tavolo. Ripresi a guardare il cellulare con insistenza, poi chinai lo sguardo sulle gambe sconfitta, sbuffando leggermente. Infine, lo posai. «Poverina, vorresti chiamarlo, però non lo fai.»
«Non è che non voglio, Engi. Giovanni ha costruito un muro invisibile... tra quello che è successo in questi giorni e il fatto dell'incidente a papà...»
«Mhm, e ti sei innervosita per quella stronza di Valentina.»
«Dopo quello che ho passato, credi mi interessino le stupidaggini di quella donna?»
«Già.» Concordò. «Che farai? Aspetterai che sia Giovanni ad abbattere questo muro?»
«Non so cosa fare, non so più niente.» Ammisi apertamente.
«La Federica che ho conosciuto io in passato avrebbe già abbattuto quel muro!»
Schioccai la lingua sotto il palato. «Stavolta no, Nina, è diverso.»
«Perché diverso? Quanto vuoi aspettare? Se fossi in te, lo avrei già tempestato di mille chiamate...» Sospirai e la vidi alzare gli occhi per pensare. Scattò in piedi e afferrò il cellulare. «Dammi retta su, chiamalo e fallo venire qui. Hai bisogno di lui. Non potete continuare così.» Osservai la mia amica dal basso. «Avanti Fe, non farti pregare. Ti sentirai meglio.»
Ascoltando i consigli di Angelina, presi il telefono, cercai il suo contatto e dopo un po' di titubanza, mi decisi a fargli una telefonata. Era strano, ero sua moglie, eppure in quel momento avevo il timore di disturbarlo. Non ricevetti risposta.
«Non risponde, te l'ho detto. È testardo...»
«In questo siete molto simili. Quando ti chiamo io, non rispondi mai nemmeno tu.» Mi rimisi seduta sulla poltrona e aggiustai qualche sfuggita dalla coda di cavallo. «Quindi, non vuole rispondere o... non può?»
«Di che parli, Angelina?»
«Quello psicopatico è ancora là fuori, dico che... può fare qualcosa. Scusa, è che questa storia... mi rende nervosa. Il solo pensiero che possa ancora giocare con le vostre vite mi manda in bestia!»
«Lo richiamo subito.»
Riprovai, mentre Angelina si era portata la mano sul petto. Tornò a squillare (come prima) ma la chiamata terminò un'altra volta a vuoto. Riprovai una terza, camminando avanti e indietro nell'attesa di sentire la sua voce rassicurante e mettere a tacere i dubbi logoranti. Niente, tutti i tentativi andarono a farsi benedire e non sapevo più a cosa pensare. Perché Giovanni avrebbe dovuto ignorarmi? Non aveva alcun senso.
«Com'è potuto accadere? Vi siete appena sposati! Doveva essere tutto meraviglioso con la luna di miele, la vostra vita insieme che stavate costruendo... e non riesco a credere davvero a quello che è successo! Credo che tra tre giorni finiremo per essere ricoverati in una clinica psichiatrica, sarà fatale.» Brontolò a braccia conserte e il muso lungo.
«Ieri sera... mi ha parlato in modo strano.»
«Strano?» ripeté, mettendosi subito seduta accanto a me.
«Mi ha detto: "Qualunque cosa accada o che ci succederà, io ti amerò per sempre".»
La mia amica roteò gli occhi e sbuffò. «Non sono discorsi da Giovanni questi...»
«... Stava dicendo addio?» ipotizzò, cercando di non scoppiare a piangere.
A quella domanda sgranò gli occhi e sventolò la mano, come per scacciare una mosca.
«Ma ti prego, Fe! Sciocchezze! Non ti azzardare nemmeno a pensarlo. Senti mi stai stressando, ho bisogno di un corso accelerato di yoga! Oh Dio!» Tirai indietro le spalle e chiuse gli occhi per fare un lungo sospiro. Poi li riaprì. «Le cose che tu e Giovanni avete affrontato, per tutti noi sono state molto complesse. È difficile elaborarle ma, credo che col tempo ne verremo fuori. Abbi fiducia.»
«Chiamerò l'ispettore Cavaliere.»
«Ottima idea! Chiamalo!»
Forse poteva aiutarmi in qualche modo a risolvere questa faccenda. Balzai in piedi e girovagai di nuovo per il salone. Mi scusai per averlo disturbato, ma la questione era importante.
«Non si preoccupi, è successo qualcosa?»
«No... Ma dopo la fine del funerale, Giovanni se n'è andato improvvisamente e non riesco più a rintracciarlo.»
«Non le ha detto dove andava?»
«Credo che abbia detto che andava da quella dottoressa della clinica... ma se fosse così non avrebbe avuto problemi a rispondere al telefono. Squilla, squilla... ma non risponde.»
Fece una breve pausa che per me durò un'eternità. «Sono passate ore. Ok, non si preoccupi.»
«Non è che sia una questione molto importante, ma voglio solo stare tranquilla.»
«Me ne occupo subito.»
«Va bene... E ha trovato qualche nuova pista o ha qualche altra informazione?»
«Ancora nulla, ma ci siamo vicini. Le do la mia parola che non mi fermerò finché non avrò catturato la persona che ha teso la trappola a Giovanni. Ha la mia parola, signora Rinaldi. Non vi farà più alcun male.»
«Lo spero.»
«Aspetti mie notizie. Troverò suo marito.»
«Ok... ci sentiamo dopo.»
Agganciai, prendendo un altro respiro e guardai la castana che stava aspettando di sapere cosa mi aveva detto.
«Non so più cosa fare, Angelina.» Avevo paura di rivivere daccapo l'incubo. Si avvicinò per attirarmi a sé e abbracciarmi. «Oh, piccolina... lo troveremo, non preoccuparti. Giovanni si farà vivo. È solo questione di tempo ed entrerà da quella porta.»
Finora niente era andato bene...
- fine capitolo ventiquattresimo-
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