Capitolo 23.3 - Dove sei?
Giovanni
Sollevai a fatica le palpebre, come se fossero diventate due macigni. Alzai il capo a rallentatore, ruotai il collo a sinistra, poi abbassai il mento sentendomi stordito. Quell'aria rarefatta mi invase i polmoni e mi provocò dei severi colpi di tosse. Studiai tutte le direzioni, assottigliai gli occhi in fessure per mettere a fuoco la sala in cui ero. La vista era sfuocata, le forme degli oggetti apparivano sbiadite e sbattei le ciglia.
«Pezzo di merda.» bofonchiai e strattonai le catene che mi costringevano a stare immobile su quella sedia. Fissai un tubo di plastica. «Gas... davvero? Psicopatico... Psicopatico del cazzo.» Tossii più forte poichè l'ossigeno stava finendo e mi trovavo a corto di respiro. Alzai di nuovo la testa, la luce artificiale di un riflettore svettava su di me. «So che puoi sentirmi. Lo so, fottuto codardo! Vieni fuori e affrontami da uomo!» ringhiai. «Vieni e uccidimi con le tue stesse mani se hai un briciolo di coraggio! Ti riterrò responsabile di tutto ciò che hai fatto a me e a mia moglie... credici, coglione!» Mi voltai e il gas continuava a fluire indisturbato. «Maledizione, maledizione! Psicopatico... Qual è il tuo piano?» Quello stronzo non poteva farla franca, dovevo proteggere Federica, poteva farle del male e riservarle lo stesso trattamento. Digrignai i denti e strattonai con violenza le catene. «Lo so che mi stai sentendo, vigliacco!» La stanza però era innaturalmente vuota, ricordava un vecchio cabaret, ai tavolini non era presente alcuno spettatore. Ansimai, il gas mi aveva seccato la gola, l'aveva irritata e tossii. Dovevo trovare un modo per uscire da questa teca. Le catene cigolarono ad ogni movimento e, ad un certo punto, udii dei passi. «Chi c'è lì?» Una figura nera si addentrò nella sala e avvicinò. «Chi c'è lì?! So che mi stai sentendo! Dimmi chi sei tu!» Mi dimenai un'altra volta sulla sedia. «Uscirò... capito? Non credere di aver vinto. Te la farò pagare molto cara!» La voce si spezzò con uno stizzo di tosse. «Giuro... lo farò.»
Percepii una stretta mordace al petto e boccheggiai.
«Che ne pensi? Piaciuta la sorpresina?»
Quella voce baritonale che avevo imparato a riconoscere e che disprezzavo vibrò nel posto.
«Cosa vuoi da me?»
«Non urlare. Voglio fare un gioco.»
«Che gioco, maniaco?!» La mascella si indurì e il respiro si fece più veloce e arrancai. «Che problema hai con noi? Cosa vuoi? Cosa cerchi?»
«Non l'hai ancora capito? Sto cercando te, voglio la tua vita.»
«Perchè la vuoi? Non capisco.»
«Perchè era destinata a me, come tutto il resto che possiedi.»
«Senti... Senti... non ci capisco niente. Spegni questo gas e tirami fuori, così ne possiamo discutere.»
«Un atteggiamento conciliante è sempre ben accetto, ma ora non è il caso. È il momento della magia.»
«Quale magia? Sei un maniaco!»
«Faremo un incantesimo... e la tua vita diventerà mia. Ti ho chiamato prima di iniziare... per augurarti buona fortuna.»
«Te ne pentirai, mi hai sentito? Ti pentirai di quello che mi stai facendo, codardo!»
«Comunque, volevo dirti addio. C'è una ragazza che mi piace e non voglio farla aspettare.»
«Fottuto pazzo, fammi uscire!»
«No, non posso proprio. Se ti faccio uscire, si spezzerà l'incantesimo. Buona fortuna.»
«Te ne pentirai! Uscirò da qui e la pagherai.» Poi, mi bloccai. Forse agitarmi non mi avrebbe aiutato a trovare una soluzione, dovevo calmarmi e ragionare lucidamente. Vidi la losca sagoma girare i tacchi e allontanarsi. «Ehi, torna qui! Torna qui, non scappare.»
Guardai il led luminoso che continuava a scendere vertiginosamente: quei minuti continuavano a passare.
Federica
Uno squillo mi destò da quel sonno intenso in cui ero piombata, dopo aver guardato per ore il pesciolino azzurro che avevo pescato insieme a Giovanni dalla sua Claw Crane quella volta, e mi ritrovai a frugare nella tasca. Guardai il display e mi tirai su di scatto.
«Pronto? Sì, ispettore Cavaliere? Ha trovato qualcosa su quel giocattolo?»
«Sono prodotti su ordinazione, ma c'è una lunghissima lista di venditori specializzati su internet. Li ho fatti controllare.»
«Va bene.» Portai la mano fra i capelli per spostarli dalla faccia. «Sono in ospedale. Giovanni mi aveva parlato degli effetti personali del padre, magari troverò qualcosa. Ci risentiamo quando ho finito, ok?»
«Va bene, restiamo in contatto.» Agganciò.
Presi di nuovo il pesciolino blu fra le mani, lo accarezzai e mi persi un secondo a riflettere. Dopodiché, mi alzai dal divano e corsi alla scrivania di Giovanni per aprire i cassetti. Tra le altre cose c'erano dei libri accuratamente tenuti dalle diverse copertine. Sfogliai le pagine, nella speranza che ci fossero le informazioni che cercavo, indizi su quella donna o su un bambino non riconosciuto. Sistemai i capelli con un elastico e mi immersi in ogni documento.
«Fragolina? Tesoro, perché non mi hai avvisato che eri qui? Papà era molto preoccupato.»
«Sono occupata.» Risposi, senza alzare gli occhi o guardarla.
«Che sono questi? Di Giovanni?»
«Di Giorgio.»
«Che cerchi tra le cose di tuo suocero?»
«Qualcosa sul figlio biologico, forse sulla moglie? Non lo so...»
«Aspetta... il signor Giorgio ha avuto altri figli oltre Giovanni?»
«Già.» confermai, guardandola direttamente negli occhi mentre aveva aggrottato le sopracciglia con fare interrogativo. «Ha rapito Giovanni. Sembra folle, ma è così. Non so né chi sia né perché l'abbia fatto... ma sono sicura che sia stato lui.»
«Suo fratello?» mormorò Alessia e feci un cenno d'assenso.
La conversazione venne interrotta da dei colpi alla porta. «Dottoressa Andreani! Dottoressa!» Gianmarco si fece avanti e schiarì la voce. «Ehm, so che non è il momento più adatto, ma la figlia del ministro ha avuto un incidente in moto. Le sue condizioni sono critiche, deve essere operata.»
«E quindi?»
«È molto giovane.»
Parve girarci intorno.
Roteai gli occhi. Non mi piacevano i giri, specie nel lavoro. «E allora Gianmarco? Arriva al punto.»
«E... il signor Sergio vuole che la operi. Hanno bisogno di lei per questo intervento, dottoressa.»
«Sta scherzando? Perché?» intervenne Alessia.
«Perché ci ha chiamato e vuole espressamente la dottoressa.»
«Non capisco. Chi pensano che siamo, robot? Ma non vedi come sta? Non si è ripresa del tutto.»
«Alessia, ma io che c'entro? L'ha detto il signor Sergio, non io.»
Alzai il palmo per interromperli. «Basta. Non litigate. Arrivo.» Dissi per poi alzarmi per eseguire gli ordini e recuperai la borsa.
«Fede, non andare, non sei...»
Ignorai mia sorella e uscii dall'ufficio per andare a cambiarmi. In fondo quello era il mio lavoro e non potevo metterlo in stand bye.
Mentre attraversavo l'atrio, una folla di giornalisti venni assaltata dai giornalisti e qualcuno mi artigliò il braccio.
«Ecco l'assassina! Non scappare! Prima o poi tutto quello che hai fatto verrà alla luce!» Squittì Valentina. Mi liberai dalla presa con un brusco strattone.
«Non ho tempo per i tuoi patetici giochetti!»
La spintonai all'indietro, emise un urlo, fingendosi spaventata.
«Avete visto che razza di persona è Federica Andreani, vero?»
«Per tua informazione, qualcuno ha rapito Giovanni e non so nemmeno dove sia stato portato. Non ho tempo per le tue stronzate! Devo trovare mio marito!»
Accelerai così il passo per seminare i giornalisti che mi stavano alle calcagna. In questo momento, non mi interessava dare adito alla stampa o ai leoni di tastiera, ma liberare Giovanni dal mentecatto che l'aveva in pugno.
Mi avviai ai lavandini per disinfettare le mani e affiancai un collega.
«Ciao, leggenda Andreani...»
Alzai lo sguardo e un ragazzo di qualche spanna più alto mi stava squadrando intensamente.
«Ci conosciamo?» chiesi, confusa.
«Sfortunatamente no, non ci siamo mai incontrati prima d'ora. Sono Giovanni Cricca, piacere.» Feci un piccolo cenno e continuai a lavare le mani. «Ho appena iniziato a lavorare nel vostro ospedale però... ho sentito parlare molto di lei e delle sue gesta da eroina. Ho conosciuto anche suo marito, Giovanni, no?» Mi limitai ad annuire e distolsi lo sguardo. «Era così emozionato di sposarsi. La vita è... così crudele. In un attimo può cambiare tutto. Mi dispiace... sentite condoglianze.»
«Grazie, ma mio marito non è morto.»
«Non intendevo dire questo, mi scusi.» Non nascosi un'espressione indignata. «In ogni caso, oggi dovremo condividere insieme questo intervento. Sarà un vero onore poter operare a stretto contatto con una leggenda vivente.»
Ignorai i complimenti che mi rivolgeva, chiusi l'acqua e lo precedetti in sala operatoria. Mi annodava lo stomaco pensare che Giovanni non avrebbe partecipato e io non lo avrei affiancato nell'operazione, come facevamo ogni volta. Sistemai la mascherina sulla bocca, mi allacciarono il camice e indossai i guanti. Mi spostai leggermente quando entrò il nuovo chirurgo e, a capo chino, presi posizione.
Di tanto in tanto, alzai lo sguardo verso l'osservatorio e i medici si scambiavano strane occhiate, guardando i loro cellulari.
Tentai di concentrarmi, ma era un po' complicato. «Aspira, Gianmarco.» Il ragazzo eseguì. «La mia parte è fatta, sto per chiudere.» comunicai.
«Lei è molto veloce, dottoressa Andreani, i miei complimenti per il lavoro impeccabile.»
Puntai gli occhi verso quel chirurgo e lo ringraziai. Dopodiché, fissai l'osservatorio, i medici scossero la testa riservandomi sguardi pietosi. «Che guardano di così interessante?»
«Non lo so, non l'ho capito manco io.» rispose Gianmarco.
«É successo qualcosa... di brutto.»
«Se vuole, può pure andare.»
«Gianma, continua tu. Infermiera, può slacciare il camice?» Mi sfilai i guanti e l'infermiera mi sciolse il nodo e me lo strappai di dosso per poter uscire immensamente.
Mi imbattei nel mio mentore, che mi stava raggiungendo con lunghe falcate nel corridoio.
«Fede! Fede!» Gridò.
«Dottor Gentile...»
«Fede, vieni con me.»
«Cosa... Cosa succede?» domandai con un po' di timore quando mi afferrò il braccio.
«Devo parlarti.»
«É successo qualcosa?»
«Vieni.»
«Ric!» Alzai la voce. «Dimmi, cosa c'è? Giovanni... Giovanni sta bene? Gli è successo qualcosa?»
«Giovanni è ancora vivo!»
Bastò quella risposta, il cuore si rianimò e riprese a battere veloce, come le ali di un colibrì.
«Dove... Dov'è?»
«Vieni e ti spiegherò tutto.»
«É una cosa seria? È grave? Quanto?!» Distolse la faccia e il gesto mi portò all'esasperazione in pochi secondi. «Dì qualcosa! Sto impazzendo! Perché nessuno dice niente?»
Virai gli occhi sui presenti, ci circondavano e parlavano fra di loro di non so cosa.
«Ragazzi.» Li ammonì Riccardo.
Strappai il cellulare ad un'infermiera per capire cosa avesse creato tanto scalpore.
Non appena guardai lo schermo, la scena mi fece accapponare la pelle e si mozzò il respiro.
Un brivido di terrore mi attraversò la spina dorsale.
«Gio... Cos'è questo posto? Dove si trova?» chiesi con smania.
«Non lo sappiamo, la polizia lo sta cercando.»
Tornai a guardare il video in diretta, in basso a sinistra c'era un countdown attivo e scendeva vertiginosamente. «Guardalo... è legato e non può scappare! Sta... Sta soffocando...»
La nebbia lo stava avvolgendo fino a farlo quasi sparire all'interno di quella teca di cristallo.
I miei occhi si fecero umidi e una lacrima mi rigò la guancia. «No... No...» Il conto alla rovescia era di diciannove minuti e la testa di mio marito ciondolava da un lato. Il tempo non smetteva di scorrere e tremai visibilmente. «Ti prego... Ti prego... No...»
Giovanni
Le catene, nonostante gli sforzi, non cedettero. Quello psicopatico aveva pensato a tutto, voleva farmi morire per asfissia e ci stava per riuscire. Una luce rossa brillava in tutta quell'oscurità. Ripresi a tossire con sforzo mentre tentavo di inserire la punta del filo spinato nella fessura del lucchetto. Il mio corpo si stava rammollendo, sentivo che a breve avrei perso i sensi, ma non potevo...
«Forza, apriti... ti prego.»
Sarei uscito e tornato da lei. Mi guardai attorno, il gas ormai aveva invaso prepotentemente tutto l'ambiente stretto. Annaspai alla ricerca di ossigeno, i polmoni si comprimevano, ma quella sensazione era più schiacciante. «Io me ne andrò... non ti lascerò sola, Federica. Non ti... lascerò, amore mio. Ce la farò, non temere.»
Avrei fatto qualunque cosa affinché quel pazzoide si tenesse lontano e non le torcesse un capello. La nebbia aumentava, rendeva difficile vedere chiaro e anche respirare era un'impresa. Buttai la testa all'indietro per trarre altri sospiri e biascicai.
«Ti amo tanto, Fede. Ti amo, non dimenticarlo. Per favore...»
Se quelli erano i miei ultimi momenti, li avrei trascorsi, pensando alla donna della mia vita che mi mancava, la persona più importante, la mia famiglia. Volevo stare con lei per sempre...
Questo era il mio desiderio.
Sentii le forze venir meno, rendermi più indebolito, al punto da non riuscire a stringere più nulla fra le mani e lasciai la presa sul pezzo di metallo che cadde sul pavimento. Inclinai il capo e le palpebre mi si chiusero a forza, Morfeo mi accorse fra le braccia senza che potessi fare niente per respingerlo.
- fine capitolo ventitreesimo -
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