Capitolo 23.2 - Dove sei?

Alessia

Era una situazione ridicola...

La polizia era completamente fuori strada, accusavano mia sorella di un crimine indicibile. Non avrebbe mai potuto uccidere a sangue freddo una persona e, in questo caso, si trattava addirittura di colui che aveva sposato, per amore. I miei pensieri erano ingarbugliati tanto da non riuscire ad ordinarli nella mente. Angelina arrivò e poggiò sul tavolo tre bicchieri.

«Non ho voglia di bere niente.»

«Nemmeno io, però dobbiamo farci forza, altrimenti non reggeremo tutto questo stress.»

«La nostra vita si è trasformata in un incubo ad occhi aperti.» reputò Tommy.

«Quell'ispettore è convinto che mia sorella l'abbia ucciso. Capisci che non sta né in cielo e né in terra? È da folli!»

«Convinto? E dove l'avrebbe visto?»

Spostai lo sguardo sofferente su Angelina. «Non lo so, dice di avere delle prove.»

«Fede non farebbe mai e poi mai una cosa del genere.»

«Lo so anch'io perfettamente.» Un silenzio innaturale calò su di noi e mi mordicchiai il labbro. «Perché la polizia è così ossessionata da mia sorella? Dovrebbero trovare Giovanni. Perché non indagano su chi gli ha fatto quel misterioso regalo?»

«Ehi, la polizia sta facendo tutto il possibile. Ci stanno provando.»

Ma non abbastanza...

Il vero colpevole era ancora a piede libero e il solo pensiero mi generava dentro un moto di nervosismo misto a rabbia.

Chinai lo sguardo abbattuto e il cellulare squillò. Guardai lo schermo. Angelina mi domandò se fosse l'avvocato. Schioccai la lingua sotto il palato.

«No. È mio padre. Cosa gli dico?»

«Rispondi.» mi incalzò il ragazzo.

«P...Pronto? Sì, papà.»

«Alessia, cosa succede? In tv... dicono tante sciocchezze, vero?»

«Sì... è così.»

«Come possono... accusare la mia Federica di aver ucciso il marito

«Federica è innocente e lo sai anche te, papà. Sono solo schiocchezze.»

«Lo so. Lo so, cara. La mia piccola Federica non l'avrebbe mai fatto. Dove la stanno portando adesso?»

«In tribunale. Stiamo aspettando notizie dall'avvocato.» Anche il cellulare di Tommy squillò, come una strana coincidenza. «Papà! Papà! L'avvocato sta chiamando, ti devo lasciare.» Lo rassicurai per poi riagganciare.

Per qualche minuto, io e Angelina restammo su un filo del rasoio in attesa di sapere il responso... e che fosse una cosa buona.


«C... Come? Aspetti, dove sta?»

«Cosa dice?»

Coprì così il microfono. «Il furgoncino che ha portato via Federica... ha avuto un incidente.»

«Che cosa?! E... Fede sta bene?» Trillò Angelina, scattando in piedi come una molla.

Mi sollevai anch'io dalla sedia.

«Sa se sono diretti al nostro ospedale? D'accordo, stiamo arrivando. Okay...» Chiuse la conversazione senza troppi giri di parole. Raccolsi la borsa e mi fece cenno di andare a cambiarci nello spogliatoio, ma insistei per sapere se Federica fosse ferita.

Con la divisa messa, mi apprestai ad uscire, passando per l'ala del pronto soccorso e urtai intenzionalmente una ragazza mora che diceva "peste e corna" su Federica, facendole volare a terra i fogli. Mi ammonì di "stare attenta" ma era lei a dover stare attenta a ciò che diceva del nostro "capo." Fino a prova contraria, Federica era socia e amministratrice. Seguii gli altri e, in quel momento, arrivò la tanto attesa ambulanza sul posto.
Il resto della squadra si riversò come un fiume in piena e Tommy aprì lo sportello posteriore.

«Fragolina!»

«Dottoressa... Andreani?» Tutti la fissarono allibiti mentre era piegata sulla barella. «Cosa sta facendo al paziente?» chiese Gianmarco per tutti.

«Sto clampando l'aorta! Su, non state lì impalati. Dobbiamo operarlo con urgenza.»

Venne calata giù sotto le sue precise istruzioni che, in queste condizioni, non perdeva mai la calma. Tommy l'aiutò a posizionarsi sopra il corpo di quell'uomo e attraversammo l'atrio e i vari corridoi sotto gli occhi sbalorditi del personale, tra medici, infermieri e tirocinanti. Tommy li esortò ad aprire la strada. Quell'uomo era stato veramente fortunato. Federica non si arrendeva facilmente di fronte alle sfide ardue. Una volta che venne fatta scivolare in sala operatoria, potemmo tirare un sospiro.

«L'ha visto con i suoi occhi!» Sbottai rivolgendomi a quell'ispettore che ci aveva accompagnato fin lì. «Crede che una donna con questo potenziale possa essere una spietata assassina?»

Non rispose e si limitò a darmi le spalle. Mia sorella non era un'assassina e si ostinava a negarlo. Ora doveva farsene una ragione e smetterla con questo stupido accanimento.

Poco dopo, quest'ultima oltrepassò le porte con aria sfinita, io e Angelina ci fiondammo immediatamente fra le sue braccia. Era così bello poterla abbracciare...

Quando la lasciammo andare increspò un lieve sorriso e prese il viso di Angelina, che non aveva smesso di piagnucolare.

«Fe... mi sei mancata tanto!»

«Anche voi, tantissimo.» Ci superò e andò poi verso l'ispettore. «Posso andare a lavare le mani e cambiarmi?»

«Certo...»

Mia sorella non meritava quel trattamento, stava già attraversando un inferno senza sapere che fine avesse fatto suo marito e ora questo tipo la voleva processare da innocente.

Fece per andarsene a testa bassa.

«Dottoressa! Dottoressa Andreani!» la fermò e si piazzò di fronte. «Le devo delle scuse...»

Scosse il capo. «Non serve.»

«Non soltanto per oggi. Ho visto cos'è capace di fare per salvare la vita ad una persona.»

«Avrei fatto lo stesso anche quel giorno...»

«E le credo. Avrebbe salvato il nostro ragazzo sul tetto, se avesse potuto.» Abbassò la testa. «Le prometto che farò tutto il possibile per trovare suo marito. Vada a cambiarsi, poi usciremo insieme. Parlerò io con il giudice di turno.»

Io e Tommy ci guardammo all'unisono.

Era incredibile fosse rinsavito.

«La ringrazio.» Bisbigliò mia sorella e riprese ad allontanarsi, con il cuore più leggero.

«Finalmente abbiamo sentito qualcosa di positivo.» mi bisbigliò lui all'orecchio e feci un cenno affermativo. Mia sorella aveva bisogno di tanto supporto, in assenza di Giovanni ci avrei pensato io e tutte le persone a cui voleva bene e che la stimavano, come persona e come medico.






Federica

«La ringrazio...» Bisbigliai, l'ispettore mi rivolse un cenno col capo e mi lasciò andare verso l'uscita. Alla vista di papà che era appena spuntata dalla porta, rallentai il passo e mi fermai.
Ci studiammo: era in pigiama, con il collare ortopedico, non molto in forma, eppure mi aveva raggiunto e si era messo in piedi. Focalizzò lo sguardo nel mio, occhi negli occhi, aspettando che fossi io ad annullare la distanza. Il risentimento si affievolì e iniziai ad avanzare, cercando quel contatto che non avevo avuto per troppi anni. Quante volte avevo desiderato un suo abbraccio o una sua carezza. Sentendo gli occhi colmi di lacrime, mi buttai a capofitto fra le braccia dell'uomo che mi aveva dato la vita... e mi sentii al sicuro per la prima volta mentre mi accarezzava i capelli.

Per la prima volta, con affetto.

«Andrà tutto bene, tesoro. Non piangere. Si rivolverà tutto.» Altre lacrime mi corsero sulle guance e tuffai il viso contro la sua spalla. «La polizia troverà Giovanni. Tu non sei sola, piccola, io sarò con te. Sono stato un pessimo esempio... ma adesso ci riuscirà. Ora so che posso farlo.» Alessia si unì e ci fortificò la presa. «Non ci siamo riusciti fino ad oggi... ma noi quattro saremo una famiglia bellissima. Siete la cosa più bella e più preziosa. Vostro padre vi ama e vi amerà sempre.»

Una famiglia...

Sembrava che si stesse realizzando un sogno che, per troppo tempo, avevo custodito.

Indossai una maglia pulita nello spogliatoio semi buio e adocchiai quella foto spuntare dall'agenda sul ripiano del mio armadietto. La sfilai e osservai me e la nonna, il suo tocco delicato alla mia guancia e il sorriso genuino. Avrei voluto averla al mio fianco, qui e ora, e sentirmi dire "tu sei una guerriera, combatti e non avere paura". Mi avrebbe detto che non potevo arrendermi. Rimisi la foto a posto e girai, notando la macchia di sangue di quel poliziotto sul cappotto, poi le frasi dell'ispettore echeggiarono: "Dove ha nascosto il corpo?" "Dov'è Giovanni Rinaldi?", "Ha agito da sola?". Poggiai la schiena all'armadietto e inspirai lentamente, ricordando tutti i momenti, quelli passati e i recenti in ospedale o fuori. Il nostro ballo, il primo bacio sotto la pioggia, il momento in cui gli avevo fatto la proposta in ascensore al compleanno e lui mi aveva giurato che mi avrebbe amato per tutta la sua vita.
Mi lasciai scivolare verso il pavimento e mi inginocchiai.


La mattina seguente, ci fu l'udienza al tribunale. Il giudice decise di farmi attendere il processo senza detenzione, ritenendo che non ci fosse pericolo di fuga visto che avevo un domicilio ben preciso. Quando udii i colpi del martello sentenziare la libertà, tirai un grosso sospiro di sollievo. L'ispettore aveva fatto ciò che mi aveva detto. Mi riservò un cenno affermativo e le guardie mi scortarono via. Ad attendermi c'erano solo Tommy e le ragazze. Loro due ovviamente si fiondarono da me. «Ale...» Si staccarono e mia sorell mi accarezzò i capelli. «Hai tu le chiavi della mia macchina?»

«Le ha Tommy. A cosa ti servono?»

«Mi servono.» Mi limitai a dire allungando il palmo per farmele consegnare dal giovane.

«Non puoi guidare in queste condizioni, lascia che ti accompagni.»

Socchiusi le palpebre trattenendo uno sbuffo.

«Dove stai andando, Fe? Non ti sei ripresa, devi riposarti.»

«Non vado a casa e non ho bisogno di dormire. Devo trovare Giovanni.»

«Bene, dicci dove cercare e lo faremo insieme come una squadra.» insistè Tommy.

«Sì, possiamo cercarlo insieme.» Concordò mia sorella.

«Dopo tutto quello che è successo l'ultima cosa che farò è lasciarti sola, Federica.»

Anche Angelina si era messa d'accordo con loro per darmi il tormento e ciò mi fece implodere.

«Non ho bisogno del vostro aiuto! Lasciatemi in pace!» Capii di aver esagerato dalla perplessità sulle loro facce, ma dovevano smetterla di trattarmi come una bambina fragile. «Le chiavi.»

Tommy le tirò fuori dalla tasca e me le consegnò. «Sta' attenta.»

Li oltrepassai senza guardarmi alle spalle. Fuori pioveva, ma neanche il diluvio universale mi avrebbe impedito di trovare qualche indizio. Tirai su il cappuccio quando una voce a me familiare mi bloccò alle spalle.

«Federica Andreani!» Mi voltai. «Mi dica, dove va così di fretta?»

«Non sono libera?»

«Non è quello che intendevo. Glielo sto domandando nel caso in cui... qualcosa le frulli in mente, perché conoscendola...»

Sospirai. «Devo cercare la macchina di Giovanni, ispettore Cavaliere.»

«L'abbiamo già fatto. Cosa si aspetta di trovare lì? Abbiamo analizzato ogni minimo dettaglio, oltre alla scena del crimine.»

«C'era una foto in bianco e nero.»

Sollevò un sopracciglio. «Una foto di suo marito da piccolo?»

«No. Non è mio marito.»

«Chi, allora?» chiese, alzando leggermente il tono.

Forse era la spiegazione per risolvere l'arcano, chi lo aveva rapito era collegato a quello. Non poteva essere una coincidenza...

L'ispettore mi offrì un passaggio in commissariato per far luce sulle ultime scoperte. Si rigirò nelle mani il giocattolo che Giovanni aveva ricevuto durante la nostra festa di fidanzamento. Lo scrutò. «È stata inviata in forma anonima a suo marito. Sotto ci sta uno specchio. Ha qualche significato per lei?»

Dissentii, schioccando la lingua. Però ricordai la nostra conversazione dove Giovanni mi aveva raccontato alcuni aneddoti sulla sua infanzia con Giorgio Rinaldi.

«Quando Giovanni era piccolo... amava queste macchine e suo padre gliene portava sempre una al ritorno dai suoi viaggi.»

«Questo è stato aggiunto dopo, è un messaggio in codice. Deve esserci un punto in comune tra il mittente e Giovanni.»

«Il bambino in quella foto...» Afferrai la vecchia fotografia per mostrarla. «Giovanni ha un fratello che non conosce.»

«Un fratello che si nasconde a tutti.»

«Un altro segreto di Giorgio.» Mio suocero, a quante pare, aveva parecchi scheletri nell'armadio che non aveva mai rivelato in vita. «Potrebbe essere stata opera sua?»

«Indagheremo. Farò analizzare la macchina.»

[...]

Le ruote stridettero contro l'asfalto mentre fermavo la vettura che sobbalzò, proprio davanti ad un'altra nel parcheggio sotterraneo.

«Federica!» esordì Paolo Svevi, avvicinandosi con il padre. «Federica...» Assunse una faccia dispiaciuta, ma forse il dispiacere era solo una patetica facciata. «Federica, mi dispiace tanto per quello che stai passando. Posso fare qualcosa per te?»

«No, grazie mille.»

Tirò un sospiro, guardò prima il padre e poi di nuovo. «Se stai cercando un indizio su Giovanni... sei venuta nel posto giusto. Con quello che ha fatto al suo stesso figlio, immagina cosa può aver fatto a Giovanni.»

Dopo la terribile affermazione, i miei occhi si fecero affilati e duri contro Sergio, che deglutì.


«Paolo! Torna in te!»

«I pazzi non rinsaviscono, papà. Dovrai abituarti. Dirò cose che non ti piaceranno.» Tra i due la tensione era palpabile, poteva fendersi con un coltello. «Ci vediamo... papà.» Concluse prima di darci le spalle e allontanarsi.

Lo guardò andar via e poi si girò.

«Ve l'ho detto, ma non mi avete dato retta: le condizioni di Paolo sono nettamente peggiorate.»

«Non sono qui per parlare di suo figlio o di lei. Voglio farle una sola domanda.» Feci un attimo di silenzio per creare la giusta suspence e Sergio annuì. «Che lei sappia, Giorgio ha avuto altri figli oltre Giovanni?»

«No. Perché questa domanda?»

«Ne è sicuro? Provi a scavare nella memoria.»

«Mi stai chiedendo di storie di molti anni fa.»

«Voglio una risposta.»

«C'è stata... una donna. Ha cercato di ingannare Giorgio diverse volte. Gli aveva detto di essere rimasta incinta, ma lui... non le ha creduto.»

«E dopo... cos'è successo?»

«Giorgio sposò con Martina Castellani. Non hanno avuto figli e hanno cresciuto insieme Giovanni. Questa è la storia.»

«E quell'altra donna... dov'è?»

«Sono passati molti anni da allora. Non abbiamo più avuto sue notizie. Giorgio non ha più riaperto quell'argomento.»

«Ricorda il suo nome?»

«Sono passati trent'anni. Come faccio a ricordarlo?» Non mi era di alcun aiuto, dovevo pensarci da sola a fare chiarezza su quella faccenda e voltai le spalle. «Perchè mi chiede questo, eh?» Rallentai il passo con lo sguardo perso. «Cosa c'entra con la morte di Giovanni?» Sentendo ciò, mi riavvicinai e piantai direttamente gli occhi nei suoi come se gli stessi piantando un palo di frassino nel petto. «Giovanni. non. è. morto. E se prova un'altra volta a pronunciare una cosa simile... giuro sulla mia stessa vita che non risponderò delle mie azioni.»  Arrivai alla porta tagliafuoco e la spinsi violentemente per rientrare in ospedale, passando nei corridoi con lo sguardo sempre più determinato. Avevo fatto una promessa a me stessa.

Non lo avrei lasciato solo e soprattutto nelle grinfie del suo schifoso rapitore. Anche lui mi aveva fatto quella promessa...

«Voglio essere medico.» Giovanni si girò e mi fissò sbalordito. La studente che non aveva mai voluto studiare o rispettare le regole. «Va bene, non fare quella faccia, so che devo lavorare sodo.»

«Sì. Ma il duro lavoro non garantisce il successo. Sei stata fortunata questa volta. Anche se il tuo carattere è un po' scorbutico... io sarò sempre al tuo fianco

Ovunque, in qualsiasi parte del mondo o a qualunque costo, lo avrei ritrovato e riportato a casa. Spalancai la porta del suo ufficio e mi introdussi dentro.







Giovanni

Questo tizio ci teneva a farmi perdere il lume della ragione, ma non sarebbe accaduto quello che si aspettava. Afferrai la lampada, strappandola via dalla presa e un ghigno diabolico mi si formò. «Se non posso vederti.» Colpii la prima telecamera mandandola fuori uso. Scoppiai a ridere. Raccolsi il libro di letteratura ai miei piedi e lo scagliai contro la seconda. «Ah, peccato...» Tirai una tazzina, centrando la seconda. «Nemmeno tu mi vedrai.» Eravamo pari così. Mi misi seduto sulla poltrona come un pascià sul suo trono. «Comincia a piacermi. Riesci a sentirmi? Sì che mi senti, lo so. Mi vedi, ma non mi senti. Se ci tieni, devi venire qui e incontrarmi faccia a faccia, ok? Ora inizia il bello. Non sei più tu ad avere il controllo, sono io
Attesi trepidante che il lestofante si rifacesse vivo dall'altoparlante. Ma non sembrava più avere il coraggio di parlare. «Il gatto ti ha mangiato la lingua, mhmm? Non mi senti? Te ne farò pentire e pagherai per ogni lacrima che hai fatto versare a mia moglie. Non ti libererai di me. So che puoi sentirmi! Ti farò implorare, ti farò pagare per tutto quello che stai facendo, bastardo!»


«Ti sento, ti sento, tranquillo. Non me ne sono andato

«Che gioia. Ben tornato! Pensavo che mi avessi lasciato qui da solo e fossi andato a piangere in un angolino per la sconfitta.»

«Non mi hai sconfitto, Giovanni. È tutto sotto controllo. Avrò la risposta prima che tu scopra qual è la domanda

«Tu credi? Be', non puoi vedermi o sbaglio? Non potermi vedere ti fa impazzire. Anche questo avevi pianificato?» Lo sfidai a replicare, alzando gli occhi.

«Sì... Sì... Chi lo sa

«Ti ho detto che continueremo a giocare secondo le mie regole, in condizioni di parità. Tu mi senti e io ti sento. È giusto così.»

Silenzio assoluto. Forse era andato a piangere... Che pena provavo per quel farabutto. Continuai ad armeggiare con il filo spinato nella serratura. L'avrei aperta ad ogni costo e poi sarei scappato. Era come avere tra le mani un bisturi.

«Smetti di fare quello che stai facendo e ascoltami

«Ti fa impazzire non potermi vedere, eh?»

«Ascoltami: ti farò la domanda più cliché del mondo. Se oggi... fosse il tuo ultimo giorno della tua vita, cosa faresti?»

Sghignazzai. «Che succede? Sei così annoiato che vuoi giocare ai quiz? Poi mi chiederai del mio segno zodiacale? Anche se scommetto che tu lo sappia già, codardo.»

«Ah, ah... Non sapevo fossi così spiritoso, ma io sono serio. Oggi è l'ultimo giorno della tua vita. Che cosa faresti?» Ripeté e mi bloccai, passando la mano sulla fronte madida di sudore. «Per esempio, chi vorresti vedere?»

«Ascolta, non dire stronzate!» Spostai gli occhi in ogni minima direzione, infuriato. «Mi hai sentito? Basta!»

«Non so. Chi vorresti toccare per l'ultima volta? Con chi ti piacerebbe stare

«Sta zitto! Chiudi il becco!» Non volevo ascoltare quelle ridicole farneticazioni e mi fiondai vicino al letto per armeggiare di nuovo con la catena. «Taci!»

«Chi vorresti poter guardare negli occhi per l'ultima volta? Aspetta, aspetta, non dirmelo, so già la risposta. Ti farò un favore. Oggi è il tuo ultimo giorno in questo mondo. Quindi... esaudirò il tuo desiderio. Vedrai la donna che ami per l'ultima volta.» Lo schermo si riaccese. «Una grande storia. Che tragedia...» Mi rimisi in piedi cercando di imprimermi nella testa ogni dettaglio. «Che cosa romantica e stucchevole

Gli occhi mi si inumidirono, vedendola aggirare la scrivania nel mio ufficio. Era proprio lei! Caddi in ginocchio, ma la catena mi stava frenando così spostai il letto più avanti con forza sovrumana. «Fede... Fede...» Sussurrai, in preda all'emozione. Prese qualcosa dal cassetto e restò immobile. Dopodiché si andò ad accomodare sul divano. «Non piangere. Non piangere...» Tirai su con il naso, ricacciando indietro i singhiozzi. Non doveva disperarsi, doveva solo ridare ed essere felice e invece. «Mi sei mancata da morire. Ti amo tanto, lo sai? Non dimenticarlo mai. Io ci sarò sempre, amore mio. Mi dispiace... Mi dispiace per tutto quello che ti ho fatto passare!»

«Che amore da favola, no? Un po' quello di... Romeo e Giulietta! Sì... Peccato che... siano morti. Come dici sempre tu... "questa barca continua a viaggiare..."»

«Dove sei... Gio?» La sua tristezza mi scavò nelle viscere e mandai giù un groppo in gola. «Ti prego... torna. Ti prego... Gio, ascolta la mia voce.» Sentirla distrutta, era come ricevere una stoccata a tradimento. Si sdraiò sul divano e raggomitolò come un cucciolo.

«Ti sento. Prometto che tornerò da te, amore mio.»

Lo schermo si spense.

«"Ma la barca si fermerà qua". Non aver paura della morte, Giovanni. Ti faccio un ultimo favore, ok?» Mi drizzai sentendo quella voce baritonale che ormai detestavo. «Non morirai da solo. Tutti coloro che ami saranno presenti nei tuoi ultimi minuti. Ti vedranno morire...»

«Ti consiglio di non sprecare il tuo tempo.» Mi alzai barcollando per poi mettermi seduto sulla poltrona. «Niente andrà come tu speri, mi hai sentito? Niente andrà come vuoi tu, figlio di puttana.» Ringhiai tirando fuori il pezzo di metallo per riprovare a spezzare le catene. Una lacrima mi scivolò sulla guancia. «Poveretto. Sei solo un patetico perdente! Sei un povero vigliacco che si nasconde dietro queste fottute mura!»


«Hai ragione, prima ero così. Ma... dopo la tua morte tutto ciò che è tuo, diventerà mio. Tutto quello che mi hai rubato

Mi fermai. «Che ti ho rubato? Che  diavolo avrei rubato? Chi sei? Chi sei tu? Cosa c'entro con te?!»

«Prova a pensare! Chi sono, eh? Spremi le meningi. Chi sono? Sono la persona più vicina a te. Pensaci, se ti rimane del tempo.»

Avvertii un distinto rumore di passi dietro di me e l'ombra minacciosa di una figura si stagliò sul muro. Qualcuno stava arrivando. Mi girai, vedendo una figura massiccia e alta.

«Tu!» Balzai in piedi e digrignai i denti. «Ti finirò, bastardo!» Corsi per scagliarmi addosso, ma mi spruzzò qualcosa in faccia che annebbiò i miei sensi. Indietreggiai, la vista si adombrò e tossii, sentendo un macigno schiacciarmi sul torace e impedirmi di respirare. Quella figura si fece via via più nitida, ma erano visibili delle iridi color marrone. Mi accasciai sul pavimento gelido, quella figura troneggiò su di me. Si tolse il passamontagna, ma i suoi tratti somatici sbiadirono, finché il buio non fece sparire ogni cosa.

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