Capitolo 22.3 - Il giorno più bello

Giovanni

«Vorrei che tuo padre potesse vederti. Sarebbe stato contento di sapere che il suo ragazzo alla fine si sposava.»

Mio padre aveva trascorso l'ultimo periodo a chiedermelo tutte le volte che ci trovavamo a mangiare un boccone insieme. L'ultima volta era stato quando mi aveva proposto di sposare Maddalena. Ma io avevo respinto quella possibilità.

«Magari potesse.»

«Possa riposare in pace. Appoggia qui la testa ragazzo e riposati.» mi propose l'anziano barbiere.

«Non ho il tempo per riposare. La mia dolce sposa mi aspetta. Se la faccio aspettare, si arrabbierà.»

«Oh, le donne lo fanno con noi da sempre, Giovanni. Per una volta, non possono farlo anche loro?»

Sghignazzai. «Abbiamo aspettato abbastanza. È stato... complicato.»

Tutti i nostri tiri e molla ce li saremmo potuti risparmiare, ma conquistare Federica... era stato come vincere una medaglia. Avrei rifatto tutto esattamente come adesso.

«Allora, cominciamo.»

«Cominciamo, ho fretta.»

«Oh, no, le forbici non tagliano.»

Lo guardai dal vetro con un cipiglio sollevato. «In che senso?»

«Non funzionano, Giovanni.»

Mi rifilò un'occhiata eloquente. «Oh, ho capito. Vuole che aspetti qui.»

Annuì con fare sornione.

«Perchè non tagliano quelle forbici, Alfredo?»

«Tu...» Interruppi la frase, quando Riccardo Gentile si palesò dietro di me e gli allungò dei soldi.

«Adesso funzionano!»

Si intascò quel denaro, era evidente che adesso avrebbero tagliato peggio di un tosaerba.

«Aspetti.» Sganciai la mantellina, alzandomi dalla poltrona e mi girai completamente. «Che sorpresa!»

Sorrise compiaciuto e mi diede un abbraccio caloroso.
«Volevo essere diverso dagli altri, perciò sono venuto.»

«Che dici? Sei già diverso. Sei sempre stato importante per me e continuerai ad esserlo. E poi... sei anche il mio testimone.»

«Mhmm, su questo hai ragione. Ma mi hai mandato l'invito come ad un perfetto sconosciuto.»

«É stato tutto così improvviso. Oggi abbiamo distribuito gli inviti a tutto il personale.»

Addolcì i tratti del viso, togliendosi il broncio, e divaricò le braccia per accogliermi. «Permettimi di abbracciarti e di congratularmi di nuovo, caro sposo. Auguri e figli maschi!»

Risi. «Grazie!»

Lo squillo di un clacson catalizzò l'attenzione e notai attraverso il vetro la mia macchina parcheggiata dall'altro lato. Afferrai la giacca e tallonai Riccardo all'esterno del negozio. I ragazzi l'avevano abbellita con un fiocco bianco sulla parte anteriore e organizzato una specie di addio al celibato, portando addirittura una banda musicale. Raggiunsi Tommaso e lo abbracciai, dopodiché salutai Matteo e Gianmarco. Quest'oggi avrei sposato la donna della mia vita e non potevo esprimere a parole la felicità che sentivo. I quattro batterono le mani e Tommy mi riconsegnò le chiavi. Era tutto pronto e non restava che prepararci a quell'evento che avevo atteso per... undici lunghissimi anni.

[...]

«Ladies e gentlemen! Signori e signore! Ecco a voi... l'unico, inimitabile e meraviglioso sposo: il dottor Giovanni Rinaldi!» Gianmarco fece una presentazione degna di una star internazionale e venni accolto dagli applausi dei presenti. Purtroppo, essendo stato già sposato, ci eravamo dovuti accontentare di celebrare il rito civile. Non me ne fregava... 

«Caspita, che eleganza!» mi fece notare Tommy e stirai le pieghe della giacca, impeccabile.

«Bellissimo lo smoking! Davvero ottima scelta!»

«Grazie, Gianma.»

«È lo sposo più elegante che abbia mai visto, dottore.»

«Grazie, figliolo...» Mi rivolsi a Wax, poi spostai gli occhi sulla giovane al suo fianco. «Angelina...» Fece un passo avanti e le baciai la mano. «Come sei bella.» Arrossì sulle guance e imitai il gesto con mia cognata. «Quanta eleganza...»

«Parli di me?» Intervenne Tommaso e tutti scoppiarono a ridere. Venne ad abbracciarmi. Nonostante gli attriti, avevamo costruito un bel rapporto di fiducia e complicità. Guardai il suo smoking che sfociava nel blu. All'appello mancava una persona.

Mi sporsi. «Uhm, la mia sposa non è ancora pronta? Devo venire a prenderla?» Alzai la voce. Udendo un delicato ticchettio dietro di me, mi girai e la vidi. Con quell'abito addosso, che le avevo visto la prima volta nel suo appartamento, era una visione celestiale. La sua entrata in scena scatenò altri gridolini, fischi e urla. Imbarazzata, si guardò le scarpe e mi affiancò.

Gianmarco emise un fischio. «Whoa! Dottoressa Andreani, com'è bella! Ma è davvero lei?» Tradì un certo imbarazzo, le sue guance si imporporarono, le sue labbra erano pitturate con una tinta rosea e i suoi capelli raccolti in uno chignon, con qualche ciocca a boccolo che le scendeva ai lati del volto. L'avvolsi nelle mie braccia, inspirai a fondo il suo profumo, e non potei credere che a breve avremmo legato le nostre vite per sempre.

Tommy Dalì infranse il momento romantico. «Ehm... Che si fa?»

«Vi lasciamo un momento soli. Ci vediamo dopo.»

Annuii. Alessia passò accanto a sua sorella, le carezzò il braccio,  mentre Angelina le inviò un bacio volante che Federica ricambiò. Finalmente restammo soli, prima del grande passo. Osservai la sua figura così perfetta, facendole chinare gli occhi. Increspai un sorriso e mi allontanai leggermente per poggiare la schiena alla parete.

«Sono un uomo fortunato. Questo vestito è bellissimo. Sei la cosa più bella che mi sia capitata, sai? Sei uno splendore.» Mi riavvicinai, le presi il viso per depositarle un bacio delicato sulla fronte. Niente e nessuno avrebbe spezzato il nostro legame. Mi sarei svegliato ogni mattina trovandola al mio fianco e sarebbe stato il più bel risveglio in assoluto. Il suo sorriso, pieno di gioia, i suoi occhioni da cerbiatta, i suoi baci, mi avrebbero fatto sentire entusiasta come un bambino il giorno di Natale anche fra cinquant'anni. «Allora...» Sfregai le mani. «Vogliamo andare?»

«Uhm, uhm... sì... sono pronta.» biascicò per poi raccogliere lo strascico dell'abito. Le feci cenno di uscire per prima, poi la seguii e richiusi la porta subito.

Gli altri sicuramente stavano aspettando di sotto nella sala.

Fremevo già dall'emozione di arrivare all'altare con la ragazza di cui ero da sempre stato innamorato. Non credevo che questo momento idilliaco sarebbe giunto...

Federica

Raggiungemmo la sala del ricevimento dove si sarebbe tenuto il rito civile e Ange esclamò dall'altare.

«Arrivano! Arrivano! La coppia dell'anno!»

Riuscì a catalizzare tutta l'attenzione e gli invitati si voltarono in contemporanea verso di noi. Si alzarono, applaudendo. Ovunque guardassi, vidi sorrisi smaglianti, medici, infermieri, quasi tutto il personale dell'ospedale era lì. Spostai gli occhi su Giovanni.

«É un sogno o ci sposiamo davvero?» gli chiesi.

Scosse il capo. «Sì, è tutto un sogno. Non roviniamolo, okay?»

Proseguimmo, mi tenni aggrovigliata al suo braccio, sfilammo sotto gli occhi di tutti e mi sentii agitata in ogni fibra del mio corpo. Ad ogni passo in avanti, quel sogno diventava tangibile. Tra boati e fischi arrivammo all'altare. I nostri occhi parlavano, senza bisogno di parlare. Il funzionario comunale era in posizione e gli applausi si placarono. Un silenzio religioso si impadronì della sala e strinsi il bouquet.

Inspirai a fondo.

«Siamo qui riuniti per unire quest'uomo e questa donna in matrimonio.» Seguirono altri applausi, anche Giovanni batté le mani come gli invitati e le mie labbra si incresparono in un sorriso divertito. Un rumore d'istinto di passi mi distolse. Mi voltai, incrociando il volto di mia sorella che, a sua volta, si voltò per incrociare quello di...

nostro padre.

Papà...

Era in compagnia di un dipendente dell'hotel e continuò a fissarmi. Alessia probabilmente ne sapeva qualcosa... e mi riservò un'occhiata colpevole.

Tornai sull'uomo, a stento si reggeva sulle gambe e aveva un collare ortopedico al collo.

Contro ogni pronostico, la tensione si sciolse. Fissai il mio futuro marito rimasto accanto a me, anche lui temeva una mia reazione spropositata... ma il sorriso tornò a far capolino sulla mia faccia.

Gli feci un cenno d'assenso e gli occhi di mio padre brillarono. Alessia si rialzò. Ringraziò il giovane e lo aiutò a mettersi seduto vicino alla bambina.

Mentre il funzionario continuava, Giovanni mi fissò con la coda dell'occhio per capire se fossi turbata, ma gli feci cenno di non preoccuparsi. Ero serena. Presto avremmo pronunciato quel sì fatidico.

Niente poteva andare storto.

«Se qualcuno ha qualcosa da dire per impedire che questo matrimonio venga celebrato, parli ora o taccia per sempre.»

Tommaso

Quando poggiò la mano su quella maniglia per accedere alla sala le agguantai il polso per bloccarla.

«Cosa fai?! Sei pazzo? Lasciami!» Mi trucidò, come un gatto a cui era stata pestata la coda.

«Cosa pensavi di fare, eh?» Ridussi gli occhi in fessure. Aveva intenzione di entrare lì e rovinare la cerimonia, inventandosi la balla che Giovanni fosse innamorato di lei. Girò un secondo gli occhi.

«Non toccarmi! Lasciami entrare!»

«Tu non entrerai lì fin quando ci sarò io.»

«La cosa non ti riguarda. Non metterti in mezzo altrimenti te ne pentirai.»

Inclinai il capo e la schernii. «Guarda, sto tremando di paura.»

Le staccai brutalmente la mano e la trascinai più lontana, verso l'ascensore. Continuò a dimenarsi e a minacciarmi.

«La pagherai.»

«Con carta o con bancomat? Non renderti ridicola andando dietro ad un uomo che non ti ama, Valentina. Sparisci!» ordinai, spingendola dentro la cabina. «Ciao...» Mi riservò altre occhiate velenose prima che le porte metalliche si chiudessero.

Non avrebbe distrutto il giorno più felice dei miei amici...

Quando ritornai seduto accanto ad Alessia, notai che non era più sola, c'era anche il signor Andreani. Mi sussurrò che mi stavo per perdere il bello, ma le risposi un "lascia perdere", scoccandole un bacio sulla guancia. Per fortuna, avevo impedito a quella vipera di fare una sceneggiata solo per ferire Giovanni e Federica.

Finalmente potevo rilassarmi e godermi il matrimonio senza ulteriori seccature.

Federica

Nessuno dei presenti parlò o proferì qualcosa a quella domanda e l'officiante andò avanti. Oddio, sembrava non finire più o ero io troppo impaziente. «Federica, vuoi prendere Giovanni Rinaldi come tuo legittimo sposo per amarlo e rispettarlo finché morte non vi separi

Increspai un sorriso. Giovanni stava per andare in iperventilazione al mio silenzio. Dopo qualche secondo, urlai con tanto di risata. «Lo voglio!»

In risposta, i presenti applaudirono.

«Giovanni, vuoi tu prendere Federica Andreani come tua legittima sposa, per amarla e rispettarla, finché morte non vi separi?» Lo osservai di rimando. Ora era il suo turno. Ruotò il collo nella mia direzione e corrugai la fronte, anche lui temporeggiò. Si prese due o tre minuti.

«Ovviamente, sì lo voglio!» Urlò.

Giovanni tirò un profondo sospiro. Chiese conferma anche ai nostri rispettivi testimoni: Angelina e Riccardo.

Angelina mi guardò sull'orlo del pianto, tirando su con il naso. «Sì.» sibilò. Ric la seguì a ruota. 

Gli applausi scroscianti ripresero.

«Per l'autorità concessami dalla legge e dal sindaco di Roma, vi dichiaro marito e moglie. Lo sposo può baciare la sposa.»

Le persone balzarono in piedi.  Eravamo finalmente marito e moglie, dopo tante sofferenze, patimenti, dubbi... che avevano rischiato di separarci. Ma quello era davvero successo...

Mi girai per sorridergli e afferrò il viso per stamparmi un lungo bacio sulle labbra, sancendo quella promessa che, — qualunque fosse successa, — d'ora in avanti avremmo continuato ad essere complici.

Ora io ero sua e lui era mio.

[...]

La festa, tutto sommato, proseguì in modo tranquilla. Avevamo festeggiato con i nostri amici e i colleghi di lavoro. Gianmarco e Wax avevano allietato i presenti sbizzarrendosi nel karaoke, anche se il primo aveva stonato ogni brano. Io e Giovanni ballammo anche un lento, non più come fidanzati e mi aveva stretto a sé, guardandomi intensamente negli occhi. Quando la serata giunse al termine, mio padre si avvicinò per stringere la mano a Giovanni, chiedendogli di prendersi cura di me, come lui a suo tempo non aveva fatto. Essendo debole, chiesi ad Alessia e Tommaso di riportarlo in ospedale. Come promesso, ad Angelina le regalai il bouquet. Le sarebbe mancato vivere insieme nel nostro appartamento e anche a me, mi abbracciò fin quasi a non lasciarmi andare più. Anche lei però, prima o poi, sarebbe toccato fare il grande passo.

Nonostante la stanchezza, ero al settimo cielo. Ero sposata con un uomo meraviglioso e che mi amava. La vita, a volte, prendeva una piega diversa. Osservai mio marito che stava guidando da mezz'ora, senza dire niente.

«Dove stiamo andando?» domandai e ottenni un'alzata di spalle.

«Aspetta e vedrai, tesoro.»

«L'uomo dalle mille sorprese, Giovanni Rinaldi. Cos'hai in mente?» Non aveva fatto altro che sorprendermi. Aveva sempre un asso nella manica. Scendemmo giù per la scarpata e davanti a noi si stagliò il vuoto. Ebbi quasi l'impressione di essere finita in un buco nero e la saliva mi finì di traverso. «Gio... non è la direzione giusta.»

Spense il motore e scese dalla vettura. Osservai il finestrino con aria incerta, guardai a destra e a sinistra. Mi aprì lo sportello e mi fece cenno di prendere la sua mano. Mi lasciai trascinare fuori e ispezionai il luogo. Mi strinsi nelle spalle, il venticello mi stava intirizzendo le braccia nude.

«Ricordi la prima volta? Abbiamo avuto uno pseudo appuntamento e fatto una cena proprio lì.» Indicò un punto della spiaggia più avanti e distolsi lo sguardo un attimo per ridacchiare.

«Perché siamo qui?»

«Chiudi gli occhi, Fe.» Aggrottai la fronte con espressione palesemente incerta, ma Giovanni insisté. «Dai, avanti.» Serrai le palpebre e mi strinse le mani per guidarmi, dicendomi dove mettere i piedi e dove stare attenta facendomi sfuggire altre risate. Udii il rumoreggio delle onde che risalivano sul bagnasciuga e inalai il profumo salmastro. Poi ci bloccammo. «Aprili.» Riaprii e sgranai gli occhi notando un tavolino con due sedie, simili a quelle dell'altra volta. Faceva freschetto per i miei gusti, non era la temperatura ideale per la spiaggia, a dicembre, e Giovanni si tolse la giacca per posarmela sulle spalle. Venni avvolta nel suo calore e nel suo profumo. «É iniziato tutto proprio qui. Ti ho chiesto di diventare la mia fidanzata, ricordi? E poi, vabbè, hai preferito rispondere al tuo amico motociclista.»

«Lo so bene, Gio. Non c'è bisogno che me lo ricordi.»

Mi invitò a sedere e fece lo stesso. «Quello stesso giorno... ho capito una cosa. Ho capito che non avrei rinunciato a te, nemmeno se mi avessi rifiutato un milione di volte. Ho continuato a combattere senza mai perdere la grinta e direi che ho fatto proprio bene. Ora siamo sposati. Ci credi? Mi sembra un bellissimo sogno. Non ti lascerò più andare, Fe...» Si avvicinò lentamente e iniziò ad accarezzarmi la guancia con fare seducente senza rompere il contatto visivo. «Mi hai reso l'uomo più felice del mondo. Abbiamo rotto l'acquario, ora possiamo tuffarci nel mare.» bisbigliò, con lo sguardo puntato sulla mia bocca. Il suo respiro si mescolò al mio. «E visto che mi hai fatto questo magnifico regalo, stanotte ne voglio fare uno a te indimenticabile. Sei pronta?»

«D... Di che stai parlando?»

«Hai detto che volevi che cantassi per te.»

«L'ho detto per scherzare, Gio. Non ero seria.»

«Ma io lo sono, dottoressa. O non sarei l'uomo perfetto dei suoi sogni. Aspetta.» Si alzò per dirigersi alla macchina. Ritornò con una custodia nera fra le mani. Sussultai. Tirò fuori la chitarra, si sedette e iniziò a muovere delicatamente le corde. Suonò una melodia. Battisti. La canzone del sole. D'altronde, era il suo artista preferito, gli avevo regalato perfino il suo vinile.

«La tua frangetta, gli occhi marroni e poi... Un rossetto ancor più rosso. L'ascensore in cui... respiravamo piano.» continuò, facendomi avvertire uno sciame di farfalle nello stomaco. «Dove sei stata? Cos'hai fatto mai? Mi stai facendo paura...» Risi per la sua espressione finto spaventata e sostenni il mento sul palmo della mano. «Oh mare nero, oh mare nero, tu eri chiara e trasparente come me...» Mi lasciai trasportare da quella melodia, dalla sua voce soave e iniziai a canticchiare anch'io per accompagnarlo, senza smettere di fissarlo. Finì le ultime note e mi scappò un'altra risata.

«Sei veramente pazzo...»

«Sono pazzo di te. È tutta colpa tua.» Mi accarezzò la guancia, incastrando i nostri sguardi. «E ora non potrai più scappare da me.»

«No, non voglio scappare.» ammisi. Sorrise e si allungò per impossessarsi delle mie labbra e, dal mio canto, affondai la mano nei suoi capelli scuri.

Lì, in mezzo al nulla, sembravamo essere gli ultimi sopravvissuti.

Ritornammo verso casa e parcheggiò la macchina di fronte all'abitazione e venne ad aprire lo sportello un'altra volta, come un gentiluomo. Oltrepassammo il cancello e feci attenzione a dove mettevo i piedi per non ruzzolare sugli scalini. Per quanto belle, quelle scarpe erano una vera tortura e mi dolevano i piedi.

Giovanni inserì la chiave nella toppa, la spalancò e si girò trionfante.

«Andiamo, mogliettina.»

«Non posso.»

«Perché?»

«Non posso entrare così. Non... non stai dimenticando qualcosa?»

Di tutte le tradizioni che avevamo infranto, non potevamo infrangere anche questa...

«Tipo cosa?»

«Che lo sposo porta in braccio la sposa oltre la soglia.»

«Ah, lo sposo porta in braccio la sposa.» ripeté e annuii. «Molto bene.» Mi afferrò di peso e gli allacciai di riflesso le braccia attorno al collo. «La vita è molto più bella da quando ci sei tu.»

«Non riesco ad immaginare di viverla senza di te.»

Fece scontrare le nostre fronti con un ampio sorriso stampato in faccia. Con il piede, l'aprì del tutto e ci introducemmo all'interno. Prima di arrivare in camera da letto lo fermai. Mi servivano cinque minuti. Giovanni annuì e mi rimise a terra. Tenni l'orlo sollevato e uscii, per dirigermi in bagno.

Tolsi l'abito da sposa con cura e infilai la vestaglia di lino... per la prima notte. Feci capolino nella stanza e mio marito si bloccò alla mia vista con le mani occupate.

«Eccomi...» Mi schiarii la voce, stringendomi nelle spalle.

Il mio adorabile marito mi raggiunse all'istante, porgendomi il calice di champagne. Fece scorrere lo sguardo su di me, sulle mie gambe poco coperte e sulla scollatura accentuata della vestaglia. Piegai lo sguardo in basso. Mi toccò la guancia per farmi sollevare gli occhi.

«A cosa vuoi brindare, signora Rinaldi?»

Era una sensazione strana...

«Ok... allora, all'amore.»

«Al nostro amore.» mi corresse e facemmo un piccolo brindisi. Bevvi qualche sorso. Poi, mi tolse il bicchiere per adagiarlo su un mobile qualsiasi. Mi prese le mani fra le sue e le strinse. Il suo sguardo si fece più intenso e indugiò di più. Mi invitò silenziosamente a sederci sul ciglio del letto matrimoniale. «Potrei rimanere a fissarti così per il resto della vita. Ti ho amato dal primo momento. Ti amo. Ti amerò per sempre.» Annuii e inumidii le labbra, lui le stava studiando. «L'ho capito dal primo istante quando ho posato gli occhi su quella ragazzina ribelle... dal primo momento in cui ti ho conosciuta.» Portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e poggiai la mano sul suo petto, il suo cuore batteva all'impazzata sotto i miei polpastrelli. Scese con il pollice a tracciare la mascella, poi il contorno della bocca. «Sei la cosa più preziosa che possiedo. L'unica cosa che conta per me in questa vita. Baby, tu mi hai sconvolto i piani, sai?» Diminuì considerevolmente la distanza e poggiò la fronte alla mia. Sentii la mano sfiorarmi un fianco e un brivido si inerpicò lungo la spina dorsale. Mi diede un bacio sulla fronte, si abbassò per solleticarmi la punta del naso con la mia e calò la testa sul mio collo, spostando il lembo della vestaglia per lasciarmi svariati baci sulla pelle. Quelle carezze mi stavano torturando lo stomaco e infiammando ogni parte del mio essere. 

Mi intrappolò il viso e si fiondò con dolcezza sulle mie labbra.

Iniziò a giocare con le asole dei bottoncini della vestaglia e lo attirai contro di me d'istinto, per annullare quella distanza che ancora si interponeva fra i nostri corpi. Le mie mani vagarono lungo risalirono lungo le sue braccia e gli sfilai la giacca e poi la camicia. Un altro fremito mi colpì nel momento in cui si inarcò su di me e mi fece stendere su quel materasso morbido. Percorse ogni angolo, mi toccò il viso, il collo e quell'irrefrenabile voglia di fare di più prese il sopravvento. Stavolta non era come durante l'episodio della macchina coi pupazzi, al suo compleanno, avevamo la consapevolezza di appartenerci in tutto, in anima e carne letteralmente. Si assicurò di non farmi male, ci sbarazzammo dei vestiti come se li trovassimo solo d'intralcio e dopo aver raggiunto quel livello, le nostre dita si intrecciarono. Alla fine, si accoccolò di fianco a me, mi cinse il corpo con il braccio per tenermi avvinghiata al suo torace e cademmo in un sonno dolce e profondo.


[...]

Aprii le palpebre, con quella sensazione di pace e benessere addosso e quelle immagini vivide nella mente che si riproposero come un bellissimo film...

Era stata una notte meravigliosa, mi ero lasciata andare, fra le sue mani mi ero sentita un cristallo che aveva protetto. Allungai la mano dalla sua parte per stiracchiarmi e poterlo sfiorare. Spalancai del tutto gli occhi quando realizzai di aver toccato qualcosa di viscoso. Rigirai il collo sul cuscino e strabuzzai gli occhi. Mi fissai la mano, poi il letto, era imbrattato di... sangue.

Come se qualcuno mi avesse schiaffeggiato, mi misi seduta di scatto. Volsi lo sguardo per tutta la camera e notai sulle pareti le stesse tracce.

Il mio intorpidimento scivolò via. Non riuscii a capire...

Giovanni...

I nostri bicchieri erano posati sul comò, laddove erano rimasti. Di Giovanni, neanche l'ombra.
Al suo posto, una macchia estesa di sangue.

Non era possibile...

Ero orribilmente confusa. Ricordavo solo il momento prima di addormentarmi, poi il nulla. La nebbia aleggiava nel mio cervello, avevo dimenticato tutto. Com'era potuto succedere?

Arruffai i capelli e li strattonai all'indietro. Dovevo pensare. Strizzai le palpebre nella speranza di far svanire quell'incubo. Doveva essere quello, solo un incubo.

Sul pavimento, individui un bisturi... era intriso di sangue, lo stesso del letto e delle pareti.

Dalla finestra penetrò un fascio di luce diurno, mi venne un dolore martellante alle tempie, mi stava per scoppiare la mente. Avvolsi le mani attorno alle gambe tremanti e dondolai avanti e indietro, ripetendomi mentalmente che non era vero.

Lo aspetterò.

Lui farebbe lo stesso per me...

Bussarono energicamente. «Signora Federica, signor Giovanni, siete lì? Polizia!» 

Era tutto così insolito. Minacciarono di forzare la porta ed entrare lo stesso, ma non ebbi la forza di muovermi dalla posizione fetale che avevo assunto. Mi limitai a tenere gli occhi chiusi. Un gruppo di poliziotti irruppe all'improvviso, perlustrarono ovunque sotto il mio sguardo assente e poi mi puntarono addosso le pistole. Mi fu ordinato di seguirli. Non sapevo cosa volevano da me. Mi vestii con le prime cose nell'armadio e venni scortata fuori, in manette.

Alessia sgomitò per passare, urlò, ma il poliziotto la trattenne. Le voci dei miei amici erano solo un ronzio nelle mie orecchie. Senza opporre resistenza, salii nella volante della polizia e li fissai come un'automa. Li ignorai per distogliere lo sguardo e puntarlo avanti. La vedetta ripartì, mi lasciai dietro i miei amici, ma avevo solo un unico pensiero nel cervello.

«Ti prego, Giovanni, torna.»

- fine capitolo ventiduesimo -

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top