Capitolo 20.1 - Vendetta esplosiva
Angelina
Ero arrabbiata. Sì!
Decisamente.
Perché avrei dovuto ascoltare le sue scuse patetiche?
«Nina, puoi aspettare un secondo? Tu non capisci.»
«Ho capito perfettamente cosa fanno gli altri per i loro fidanzati! Cuori ornamentali, grandi sorprese.»
Mi afferrò per un braccio. «Angelina! Ti assicuro che non è così.»
Aveva la faccia tosta di mentire? Avevo appena assistito ad una scena romantica quando mi aveva tolto le mani dagli occhi.
«E, per di più, mi porti in quel bellissimo ascensore a vedere la felicità di altri. Si può essere così insensibili e scemi?»
Alzò gli occhi al cielo, mise le mani ai fianchi e imprecò sottovoce. «Sto per perdere la testa!» Mi fissò, ma non cancellai il broncio. «Puoi mai trattare in questo modo un neo operato?»
«Di nuovo la stessa storia. Neo operato un corno, Wax!»
«Cosa dici?» ripeté interdetto, con le braccia conserte.
«Apri bene quelle orecchie, Matteo Lucido. Com'è vero che mi chiamo "Angelina" chiederò a Federica di levarmi il cervello, così potrai andare a piangere perché penserò che il mio ragazzo sia Gianmarco!» Gli diedi le spalle, facendo danzare i capelli in aria, ma sbattei addosso a due ragazzi. «Scusate...» Mi girai indietro, lanciando un'occhiataccia. «È quel cretino lì, mi sta facendo impazzire.»
Cercai di farmi spazio, ma venni spinta all'indietro.
«Non puoi passare.» mi informò il giovane, guardando la bionda rimasta al suo fianco.
«Perchè?»
«Non possiamo dividerci.»
Spostai simultaneamente gli occhi sui due. «Non capisco.»
Si scambiarono uno sguardo per poi rispondere all'unisono. «Siamo incollati insieme.»
Eh?
«Cosa?» Domandò Matteo. Fissò poi me e io distolsi lo sguardo.
«Dai, lasciami! Vediamo come fai.» Lo spronò la tipa che, a quanto avevamo capito, era la sua "ragazza" con cui cercava di rompere ad ogni costo.
«Sei malata! È per questo che volevo lasciarti. Tu sei pazza.»
«É solo colpa tua se sono pazza. Non ti meriti altro. E non sei tu, sono io. Non voglio rompere. Assolutamente no!»
«Non vuoi?! Pazzesco! Per favore!» Sollevò il braccio insieme a quello di lei. «Salvatemi da questa maniaca.»
Gianmarco aveva osservato e ascoltato con meticolosa attenzione e accarezzò il mento privo di barba. Abbassò la testa, spiandoli di sottecchi.
«E com'è successo, esattamente?»
«Sono stata io, volevo punirlo. Ho usato una super colla. Gli ho preso la mano e siamo rimasti incollati. Molto facile.»
«Brava! Non avrei mai pensato ad una cosa del genere. È geniale.» Esclamai, battendo le mani.
«Stai scherzando?» Chiese Wax, allibito dal mio smisurato entusiasmo.
Lo guardai con la coda dell'occhio e feci spallucce. «Niente affatto, sono seria.»
«Come gliel'hai permesso? Non te ne sei accorto? Dice di aver applicato una super colla.»
«Non mi ha detto nulla. Mi ha costretto e ingannato.»
«Vero.» Concordò la biondina.
«Le ho detto di restare amici. Siamo andati al cinema. Abbiamo visto un film e ha fatto in modo che fosse al buio.»
«Te lo sei meritato!» sbottò e si rivolse a noi. «Stava abbracciando l'uomo che gli stava seduto accanto pur di allontanarsi da me. Non gli piaceva che ci tenessimo per mano. Avanti! Lasciami!»
Roteò gli occhi. «Ho bisogno di aiuto, dottore. Questa è pazza.»
«Se devo essere completamente onesto con te giovanotto... non so come fare, ma cercherò di trovare il modo.»
«Visto? Guarda cosa fa la gente per evitare di rompere con i propri fidanzati.»
«Anche questo sarebbe colpa mia, Angelì?» Si alterò. «La mia ragazza è gelosa del fatto che siano attaccati con la colla.»
«Ascolta, Wax!» tentai di dire, girandomi completamente.
«Wax!» Mi bloccò Gianmarco. «Che ci fai qui con la testa fasciata? Fila di corsa in camera tua. Mi metterai nei casini. Dai!» Schioccò le dita e Wax gesticolò col braccio nella sua direzione. Lo seguii verso l'uscita del pronto soccorso. Ma non sarebbe finita...
Federica
«Eccoci arrivati.» Annunciai, fermando l'auto davanti alla villetta indipendente dei Rinaldi. Slacciò la cintura e scese. Feci un mezzo giro della vettura e mi posizionai di fronte. Era arrivato il momento di salutarci.
«Ti va di entrare?»
«No, andrò a casa. Si è fatto tardi. Ho bisogno di riposare. Magari un altro giorno.»
«Bene, come desideri. Allora, facciamo la prossima volta. A domani, principessa.» Mi diede un bacio sulla guancia a mo' di saluto finale e schiusi le labbra.
«Tutto qui?»
«Tutto qui, cosa?» chiesi e si riavvicinò.
«Non hai insistito. Peccato.»
Un sorriso furbetto gli increspò le labbra. «Hai detto un altro giorno e ti ho rispettato.»
«Quando dirò che non voglio qualcosa, mi darai subito ragione, Gio?» M'imbronciai. «Sei cambiato. Non eri così poco fa. Un'ora fa, per intenderci...»
«Oh, gli uomini sono fatti così, cara. Appena mettono l'anello al dito cambiano subito.» Alzò la mano per mostrare la fede luccicante. Roteai la testa e ridacchiò. «Fe... Questa è anche casa tua. Ti aspetti che insista quando non dovrei farlo.»
«Diciamo che è un'abitudine.»
«Non importa. Ti amo lo stesso, con tutti i tuoi difetti. E poi.» Portò le mani sui miei fianchi, spingendomi contro il bacino. «Ho un compleanno da festeggiare, ricordi? E c'è il caffè.»
«Mhmm... dimmi altro.»
«Altro? La cucina è aperta.»
«In effetti, lo stomaco mi brontola. E poi?» Inclinai la testa da un lato, fingendo un'aria civettuola e gli accarezzai le braccia.
«Federica, vuoi o non vuoi entrare? Preferisci rimanere qui a discuterne?»
«Ok, more. Se insisti tanto, non posso far altro che accettare il tuo gentile invito.»
«Ottimo!»
Sospirò sollevato e bloccai le portiere prima di dirigerci al cancello e introdurmi dentro. Delle scale ci condussero verso un grosso portone e Giovanni estrasse le chiavi dalla tasca del cappotto.
[...]
Il crepitio del fuoco, che aveva acceso, conferiva a riscaldare l'ambiente. Mi preoccupai di cosa mettere sotto i denti, non ero una cuoca malvagia, anzi i dolci mi venivano buoni. Vista l'occasione — e non gli avevo regalato nulla — preparai la ricetta di mia madre, ovvero la sua ciambella con il ripieno di marmellata d'arancia. Quando ero bambina, la mangiavo in tante occasioni e lei... era molto brava ai fornelli. Avrei voluto trascorrere dei momenti più felici al suo fianco invece che passare la maggior parte delle volte a consolarla a causa delle percosse che riceveva da mio padre. Scacciai via quel ricordo amaro quando Giovanni mi richiamò dall'altra ala della casa. Tornai nel salone. Aveva versato due bicchieri di vino e me ne allungò uno.
«Che buon profumo.» Inalò l'aria con un respiro.
«Non ti ho fatto nulla, quindi ho pensato di rimediare. Sai, mia madre mi ha sempre fatto questo dolce per rendermi felice.»
«Dev'essere squisito. Non vedo l'ora di provarlo! È tutto il giorno che non ho messo nulla nello stomaco»
Feci di sì e bevvi. «Lo spero anche se mia madre era più brava. Ti sarebbe piaciuto conoscerla.»
«Sicuramente. Sua figlia è straordinaria e devo ringraziarla per averti messa al mondo.»
«Sei diventato poetico.» Dissi per poi abbassare lo sguardo percependo il suo su di me. «Vado a controllare se è pronto.» Ne approfittai per far ritorno in cucina. Controllai la cottura, ci volevano trentacinque minuti e controllai con lo stecchino.
«Dottoressa, allora, c'è speranza per il dolce? Pensa che ce la farà?» chiese Giovanni dall'uscio.
«Spiritoso, dottore!» Esclamai, prendendolo a sberle con lo strofinaccio.
«Vuoi una mano, chef Andreani?» Tirai dal forno lo stampo e adagiai sul tavolo, emanava un buon profumo di arancia.
Giovanni allungò la mano per rubare una fetta e lo schiaffeggiai. Ingoiò il pezzo in un batter d'occhio: «Che ingordo, mamma mia.»
«Te l'ho detto, non ho mangiato nulla. Questo dolce è la fine del mondo. Era una dote nascosta?»
«Non hai ancora visto niente delle mie qualità.» L'avvisai, ottenendo un sorriso soddisfatto. Afferrai un altro pezzo e lo portai alle labbra. Lo zucchero a velo si depositò come un contorno sui baffi e leccai il mio dito. Risi, era buffo. Parlammo un po' del più e del meno, di solito eravamo troppo impegnati con il lavoro e i pazienti. Non avevamo davvero tempo da dedicare a noi. Adesso però con questa promessa il nostro legame si era consolidato. Potevamo dire di essere allo step successivo e di un'altra casella...
Tra un sorso di vino e un pezzo di ciambella, mi indicò la craw crane e mi esortò a provarci.
«Ma è la prima volta, quindi non ridere, ti prego.»
«Ok. Lasciati andare, ci penso io.» Mi tese la mano e l'afferrai, alzandomi dal morbido divano.
Mi avvicinai alla macchinetta e chiesi. «Come funziona?»
«Di solito, con i soldi, ma per te è gratis.»
Lo guardai un secondo, mal celando un sorriso compiaciuto. «Devo premere qui?»
«Esatto.»
La gru meccanica iniziò a muoversi mentre manovravo il joystick. «Devo dire che una cosa così in casa tua era prevedibile.»
«Ah, sì? Per me è un gioco di chirurgia. Giocando si impara a non far tremare il polso quando si è sotto pressione.»
«Sei diventato fantasioso.»
«Io? Sono nato così. "G" sta per Genio.» Replicò. Sorrisi. «E ti dirò di più, sono stato in sala operatoria tutto il giorno e sono cotto, ma se perderai ancora contro di me, ti prenderò in giro.»
«Ah ok, grazie per il tuo pensiero. Ma sta pur certo che ti batterò. Sono state solo tredici ore di chirurgia spinale. Neanche tanto. Non esagerare.»
«Non esagerare?» ripeté. «Va bene, d'accordo. Allora gioca e vediamo cosa sai fare.» Le sfide erano decisamente il mio pane quotidiano, quindi era su un terreno scosceso. «Su, meno chiacchiere, più lavoro.»
«Guarda, guarda, guarda!»
«Oh... non sta funzionando.» Scivolò dietro di me, ad estremo contatto con la mia schiena, e sovrappose le mani sulle mie. «Fammi stare qui e collaboriamo. Da sola, non potrai farcela.»
Accostò la testa alla mia, sentii il suo fiato caldo depositarsi sul collo, e lo spiai di sottecchi con la coda dell'occhio. Il braccio meccanico calò lentamente.
«Gio, non tirare!»
«Lo faremo come in sala operatoria.» sussurrò all'orecchio.
«Ma stavolta resterai all'angolo del ring.» Lo apostrofai.
«Vedremo.» rispose. «Voglio il pesciolino blu.»
«Io voglio questa tigre.»
«Eh no, voglio quello blu.»
«E perché? Lo devi mettere nel tuo acquario assieme ad altri pesci?»
«Sì, ne ho altri, come questo. Che ci fa una tigre in un acquario?»
Roteai gli occhi e mi spronò a continuare. Il braccio meccanico agguantò il pupazzo scelto e lo trasportai verso l'angolo della cabina, facendolo cascare nell'uscita. Mi scoccò un bacio veloce sulla guancia e sussultai. Lo fissai in tralice, sbuffando. «Gio, guarda che hai fatto?» Mi girai totalmente guardandolo nelle pozze azzurre. «Adesso non voglio più giocare.»
«Ah, non vuoi giocare? Non vuoi nemmeno parlarmi? Ti ho fatto arrabbiare?»Chinai la testa per poi sollevarlo e sostenere intensamente il suo. «Che peccato. È solo che... ti ho visto così bella, mentre eri concentrata a prendere il pupazzo e non ho resistito.» Fece spallucce. «Sai cosa? Lo farei di nuovo.»
Osservai le sue pupille, lui si specchiò nelle mie. Mi rivolse un sorriso impertinente, schiudendo le labbra per poi farle combaciare con le mie, tirandomi a sé.
Ricambiai, circondando le braccia attorno alla sua nuca e adagiò la mano fra i miei capelli.
Quel bacio sapeva tantissimo di arancia... e anche di passione sfrenata. Una passione che difficilmente si sarebbe spenta. C'era un'energia particolare che stava fluendo nelle vene. Ci travolse mentre continuammo a baciarci, ad assaporare a vicenda quella sensazione, non temendo di rimanere a corto di respiro.
[...]
Essere lì, con lui, dopo tutto quello che avevamo trascorso, era assurdo. Ma anche una cosa bella e destabilizzante. Giovanni era stato come un faro nella mia oscurità. Aveva messo a tacere ogni dubbio e immaginare una vita senza di lui era impossibile.
Dopo aver consumato fin troppo baci, era piombato in un sonno profondo causato dalla stanchezza e scrutai il suo volto nel buio della camera da letto.
Abbozzai un piccolo sorriso.
"Chi l'avrebbe mai detto che sarebbe finita così."
Mesi fa, sembrava che non potessi tenere in piedi una relazione... buttando giù ogni muro, specialmente io. Il tempo però mi aveva dato torto. Poggiai la mano sulla guancia del piccolo moro e la sfiorai piano per non svegliarlo. Ma la vibrazione del cellulare mi fece virare direzione. Dovetti tirarmi su di malavoglia, districandomi dalle sue braccia. Mugugnò qualcosa in risposta, poi tornò tranquillo. Illuminai la schermata che mi colpì la vista. Il mittente era Rebecca.
Roteai gli occhi.
"Santo cielo, quella donna non la smetteva mai. Alessia era fermamente decisa a non volerle parlare."
«Perchè insisti a chiamarci? Alessia non vuole parlare con te e figurati io.»
«Federica... ho tanta paura. Per l'amor del cielo, aiutami!» Gridò dalla cornetta.
«Cosa succede?» Battei le palpebre. «Cos'hai fatto?»
Mi arrivò la voce furiosa di papà che le ordinava di aprire la porta.
«Non ho fatto niente. Tuo padre
... è impazzito un'altra volta. Federica!»
«Mio padre? Che diavolo hai combinato? Non capisco nulla.»
Non potevo alzare di troppo la voce, avrei svegliato Giovanni.
«Federica, se entra mi ammazza. Per favore, fa' presto! È ubriaco, ha bevuto! Salvami da lui, ti prego. Mi ucciderà!»
Gli imprechi erano sempre più forti in sottofondo. Era fuori di sé.
"Mi sono rovinato la vita quando ti ho sposato! Hai rovinato le mie figlie! Apri questa porta! Come posso non ucciderti? È quello che meriti! Apri questa porta!"
«Arrivo, tieni duro.»
Scostai velocemente le coperte di dosso e recuperai in fretta i vestiti. Uscii di casa e mi infilai nella macchina. Misi in moto e partii a tutto gas. La strada era deserta.
Alessia
Con i gomiti puntellati sul tavolo, le mani sotto il mento e l'espressione imbambolata, mi ero persa a contemplare il mio affascinante mentore.
«Che perfezione.» Disse guardandomi negli occhi.
«Sì, lo è...»
«Una macchina perfetta non creata dall'uomo.» aggiunse, mostrandomi l'organo come fosse un trofeo. Lo adagiò poi sul tavolo.
«Giusto. Ma quando mi hai chiesto di fare qualcosa di divertente, intendevi stare in laboratorio?»
«Alessia...» Ruotò il capo. «È difficile trovare questo posto completamente vuoto e ora che lo è voglio sfruttarlo al massimo, capisci cosa intendo?» Sorrisi e con attenzione lo tagliò in due. «È perfetto. Ma, come puoi vedere, è facile da tagliare.» Tornò a fissarmi rendendo la voce più roca e sensuale. «Appena arriva a temperatura ambiente si scioglie come il burro.»
«Che schifo.»
«"Che schifo?" Questa palla gelatinosa ti rende te stessa.» Sollevò il pezzo a livello della sua faccia. «Siamo così all'interno.»
«Sono io... quello?» Glielo indicai. «Un cervello di agnello?»
«No, cara. Era solo per farti capire il concetto.» Roteai la mano in aria. «Ma la verità è che il tuo cervello è molto simile.» Riprese in mano il coltello. «Ale?» Continuai a scrutare i suoi gesti, con la mano posata sotto il mento. «Posso confessarti un'altra cosa?»
«Dimmi...» bisbigliai, sottovoce.
Mi squadrò. «Avvicinati.» A quel punto, mi feci a un palmo di distanza dalle sue pupille scure e dalle labbra carnose. «Quando il cervello marcisce, si liquefa completamente.»
Sorrise e inclinai la testa. «Credo... che sto... per vomitare.» Mi allontanai e passai dall'altro lato. «Dico sul serio. Piantala.»
«Non vomitare, dobbiamo mangiare un boccone insieme. Non voglio vederti vomitare.»
«Ah...» Digrignai i denti. «Che c'è? Ti spaventa un po' di bile?» Rise sommessamente e scoppiai a ridere più forte. Un gruppo di specializzandi entrò in quel momento per assistere alla lezione di "bisezione" e li salutò con spirito allegro. Poi, il cellulare all'improvviso mi squillò. «Dimmi, fragolina.» risposi di buon umore.
«Alessia, credo che nostro padre stia per diventare un assassino. Vieni subito al ristorante!»
«Ma cosa dici?»
«Sto andando lì. Devi venire subito!»
Tommy mi lanciò un'occhiata eloquente e allarmata da quelle parole schizzai via dal laboratorio.
Federica
Fermai l'auto e mi precipitai di corsa verso il locale aperto. Mi trovai davanti allo scenario orribile di un saccheggio. I tavoli esterni erano stati rovesciati, frammenti di vetro sparsi ovunque su ogni centimetro e mi bloccai sull'uscio della porta.
«Papà! Papà!» Lo vidi seduto a terra e scansando le schegge di vetro mi accovacciai accanto alla sua figura. Le mani erano imbrattate di sangue. «Cosa hai fatto? Dov'è Rebecca?!»
Poggiò la testa al mobile. «Perdonami, tesoro. Perdonami... Federica.»
«Non hai fatto niente di male, vero?»
«Ho rovinato la tua infanzia.» proseguì con voce flebile, ignorando la domanda. «Ti ho ferito. Perdonami, ti prego. Ti ho trattato così male.»
«Smetti di piangere e fasciati la mano.»
«Non ho potuto farlo. Non ti ho protetto come avrei dovuto. Ti ho lasciato sola. Io ho rovinato la vita alla mia bambina?!»
«Smettila, ok?» Gli medicai la mano con della carta e afferrai il suo viso, bagnato di lacrime.
«Non voglio più vivere...» confessò con voce rotta.
«Federica... Grazie per essere venuta, cara.» Sollevai lo sguardo udendo la voce della donna e roteai gli occhi. «Se non fossi venuta avrei chiamato la polizia, ma non potevo. Non potevo fargli questo. In fondo, è mio marito.»
«Rebecca... Rebecca...»
«Amore mio...»
Mi distanziai, ascoltando le frasi stucchevoli che gli rivolse mentre lo convinceva a tirarsi su.
Mi scrutò con la coda dell'occhio e poi tornò a fissare mio padre.
«Come hai potuto farmi questo? Non ti ho amato abbastanza? Cosa volevi di più? Come hai potuto tradirmi e andartene con quell'uomo?»
Lo abbracciò di slancio. «Non l'ho fatto, Lorenzo. Sono solo menzogne.» Dal mio canto, esalai un sospiro. «Sembra che tu non mi conosca. Non lascerò che le bugie di quel Leonardo ci separino.»
«Non l'hai fatto, vero? Dimmi di no.» la supplicò, senza ritegno.
«Giuro di no, caro...»
Restai in disparte ad osservare la coppia e sopraggiunse Alessia, che restò interdetta. Si aspettava che quei due stessero litigando.
«Cos'è successo qui?»
I due si staccarono per guardarci.
«Alessia, bambina mia.»
«Non avvicinarti.» ordinò facendo un passo indietro. Spostò gli occhi su entrambi. «Non siamo mai stata una famiglia felice! MA VAFFANCULO.»
«Alessia, aspetta!» Le andai dietro e Tommy Dalì fece lo stesso.
«Non voglio finire quasi morta per colpa loro! Non ce la faccio più!» I due uscirono. «E adesso cosa?! Apri bene le orecchie, papà, la tua amata moglie ha un amante: Leonardo. E ha più scrupoli di mia madre!»
«Alessia, cosa stai dicendo?»
«Sta' zitta!» Si divincolò dalla presa della madre. «È una bugia? Non è il tuo amante?»
«Cara...»
«Se non fosse stato per lui, ora sarei morta.»
«Pensavamo che avessi superato la cosa.»
«Non l'ho superata! Come hai potuto permettere una cosa del genere? Sei patetico!»
«Alessia...»
«Uno che permette una cosa del genere non può essere né mio padre, né tantomeno il nonno di mia figlia. Non lo meriti.»
«Alessia, cosa stai dicendo?»
«Ti ho detto di non toccarmi!» Tuonò rivolgendosi alla madre. «Non siete più i miei genitori. Vi odio entrambi.» Guardai la disperazione sulle loro facce e Rebecca si tappò la bocca. «E non chiamatemi mai più.»
«Alessia!» Tommy provò a raggiungerla, ma non riuscì. «Tu perché non le dici niente? La lasci andare e basta?»
«Lasciala andare! È un bene per lei.» risposi guardando schifata i due esseri.
«Cavolo!»
E se ne andò.
«Non dirò niente a nessuno dei due.» Lo avevano fatto per attirarci qui con l'inganno e impietosire con le loro lacrime. «Vi meritate l'un l'altro.» Detto ciò, mi incamminai a passo svelto verso l'auto.
Ed io che pensavo stupidamente ad una tragedia e loro avevano finto per i loro scopi ignobili.
[...]
«Da quanto il paziente è in queste condizioni?» Esordii entrando in pronto soccorso.
«Quattro.» rispose Alessia.
«Quattro minuti al livello più basso.» specificò il prof. Gentile.
Indossai i guanti. «Provo con il broncoscopio.» Guardai degli addetti che riprendevano l'evolversi della situazione e mi sentii quasi a disagio.
Avevamo convertito l'ospedale in una serie televisiva con tutte quelle telecamere in giro...
«Se non riesce a respirare entro due minuti, sono convinto che morirà. Dobbiamo fare in fretta.» spiegò loro Riccardo.
Osservai le luci puntate in alto e introdussi il broncoscopio. «Qualcosa ostruisce le vie aeree. Quanti minuti?»
«Cinque...» Mi limitai a sbuffare. «Eseguiamo una tracheotomia percutanea?»
«Dammi la garza.» La rossa me la passò e disinfettai. «Bisturi.» Dovevo incidere e quindi per privacy chiesi di non riprendere da qui. «Potete spegnerle, per favore?» Loro annuirono.
Dopo, iniziai il giro delle visite ed entrai nella camera di una ragazzino che era stato appena ricoverato.
«Raccontavo a Gianmarco di come ho vinto a Fortnite!» Lo feci appoggiare allo schienale e feci la prova della luce. «E di come ho battuto il record.» Strabuzzai gli occhi. «Ho eliminato parecchi avversari con la mia pistola. Ne ho colpiti più di cento!»
«Cento? Veramente?»
«Sì!»
«Com'è possibile?»
«Lei è un medico, me lo spieghi. Come ho fatto?»
«Un giorno lo scoprirai da solo, ok?» intervenni, chinandomi in avanti.
«Un giorno andrò in Africa, diventerò come quei soldati che non hanno paura di nulla.»
«Buon per te.» gli scompigliai leggermente i capelli.
Gianmarco gli diede un cinque.
«Quando avremo finito ci andrò con la mamma. Me lo ha promesso.» dichiarò, con ferma convinzione e sorrisi.
Era un ragazzo pieno di sogni, sicuramente li avrebbe realizzati.
Giovanni
«Hanno già consultato otto medici diversi. Tutti concordano sulla risposta: non è possibile operare.» Tommy girò la lastra nelle sue mani più volte per studiarla da ogni angolazione. «Mi interessa la tua opinione. Che ne pensi?»
«Comprendo il perché della scelta. È uno dei neuroblastomi più complicati che abbia mai visto.»
«Sì. Molto vicino al centro respiratorio.»
«Il paziente è un bambino.»
Annuii, tamburellando la penna. «Esatto. Per questo tutte le idee sono le benvenute. Ho chiesto anche a Federica di esaminarlo.»
«Vediamo, Giovanni. É diffuso su gran parte del cranio e del collo. Direi, rischioso.»
«E anche se riuscissi a raggiungere il tumore, l'operazione sarebbe pericolosa. Potrebbe restare paralizzato dal collo in giù.»
«Altamente probabile.» Concordò, seduto sulla parte opposta.
«E mio figlio potrebbe morire, giusto?» Fummo interrotti e ci girammo in direzione di una voce femminile. Aveva sentito il discorso. «Non guardatemi così. Se alla fine deciderete di non operarlo, mio figlio morirà comunque entro tre mesi.»
Abbassai lo sguardo, facendole cenno all'altra sedia. «Si sieda.»
Prese posto e continuò.
«Dottore, vede... ho visto al telegiornale che ha eseguito un'operazione impossibile simile a questa. La prego, lei è l'unica opzione che mi resta. Mi fido di lei. Può aiutare mio figlio?» Lanciai un'occhiata di sfuggita a Tommy, che alzò il sopracciglio. Quella donna voleva solo salvare il figlio da una morte inevitabile.
«Non conosciamo nemmeno la percentuale di successo. È molto rischiosa. Mi creda, suo figlio è molto piccolo. Potrebbe non essere in grado di gestirlo. Anche se rimuoviamo il tumore, c'è il serio rischio di una paralisi completa. Potrebbe passare il resto della vita attaccato ad un respiratore.»
«Tuttavia, se c'è una possibilità, voglio fare un tentativo.»
Io e Tommy ci scambiammo un ulteriore sguardo. Poi lo riportai sulla donna, che sembrava irremovibile sulla sua decisione. Presi un respiro. «Senta, capisco come si sente, ma lei non...»
«No, è lei a non capirmi, dottore. Dicono che bisogna viverle certe cose sulla propria pelle.»
«Senta, la stiamo capendo molto bene. Il medico intende dirle che dev'essere preparata a tutto ciò che può accadere.»
«Sono pronta a tutto, dottore.» rispose a Tommaso. Poi guardò me. «Mi creda.»
Feci un cenno affermativo. «Bene. Se è pronta e insiste tanto, faremo l'intervento.»
La donna chiuse le palpebre ed esalò un lungo sospiro.
«Grazie mille! Apprezzo i vostri sforzi. È quello che volevo sentire. C'è ancora speranza. Grazie.» Gli occhi le si illuminarono e ci alzammo in contemporanea.
«Bene, allora informiamo suo figlio.»
«No, non sa nulla. Non ho potuto dirglielo. È ancora piccolo.» Chinai gli occhi. «Non volevo che sapesse che sarebbe morto tra tre mesi. Non glielo dica.»
«E sa per cosa è stato ricoverato?»
«Per un forte dolore alla schiena.» rispose.
[...]
«La risposta è l'adrenalina! Avrei dovuto saperlo. È logico.» rispose il giovincello e mi fece increspare un sorriso smagliante.
«Un libro molto bello. Quindi anche a te piace la storia, vero?»
«Non gli piace, n'è appassionato.»
«Be', lasciamo da parte la lezione di storia, per un po'.» Federica mise via il libro. «Il dottore deve visitarti, ok?»
«Ok!»
Iniziai a colpirgli leggermente il ginocchio per testare se avesse dolore e il ragazzino assentì.
«Fa un po' male...»
Gli strinsi anche le caviglie.
«Anche qui, vero?»
«In realtà, mi interessano più i campi di battaglia. È una cosa che ho ereditato da mio padre, vero, mamma?»
«Mio marito è morto quando Flavio aveva appena due anni.»
«Era un soldato. Ecco perché voglio andare in Africa.» Sembrava avere le idee piuttosto chiare. «E la mamma si riposerà.»
«In realtà, tesoro, dovremmo posticipare il viaggio. I medici dicono che riusciranno a sistemare la tua schiena.»
«Davvero?!» esclamò drizzandosi. «Non mi farà più male?»
«Ci proveremo.» rispose Federica.
«In questo momento mi sento forte come un soldato!» Balzò giù dal lettino e abbracciò il busto della mora. «Posso addirittura sollevarla!»
«Dai, prima guarisci. Ok?» Lo afferrai da sotto le ascelle per metterlo sul letto.
«Guarirò presto, evviva!»
«Flavio... guarisci e poi potrai saltare quanto vuoi.» Dissi scostandogli i capelli dalla fronte.
«Dottore, il signor Rota vuole parlarle.» comunicò Emanuela, che era appena entrata.
«Arrivo subito. Ci vediamo dopo.» asserii dopo qualche istante e feci l'occhiolino al bambino prima di uscire.
[...]
Entrai nella stanza del biondo e avvicinai al capezzale. «Volevi parlarmi. Qual è il problema?» chiesi, intrecciando le mani dietro la schiena.
«Tu.»
«Io?»
«Sì, tu.» Sottolineò con sguardo torvo. «Il mio problema più grande sei tu, Giovanni Rinaldi. Non solo oggi, ma per tutto il mio matrimonio. Anzi... dal giorno in cui ho conosciuto Valentina.»
Feci un cenno affermativo. «Bene. Matthew... te lo chiedo per favore, non disturbare né l'infermiera né me con queste stupidaggini. Preoccupati per te. Sei appena uscito da un'operazione seria.»
Girai totalmente le spalle. «Giovanni.» Non mossi un muscolo. «L'hai saputo, no?» Ruotai il busto. «Valentina è di nuovo un medico.» Mi voltai completamente. «Ha avuto un colloquio di lavoro. E posso immaginare di cosa si tratta.» Ghignò. «Così come posso immaginare perché una donna che amava i bambini e l'insegnamento.... abbia deciso, di punto in bianco, di... smettere.» Sembrava insinuare e aggrottai la fronte. «Ascolta, sta succedendo qualcosa e tu lo sai.» La sua espressione si fece arcigna. «O forse lo avete pianificato insieme?» Scossi il capo per dissentire. «Io sono la pedina di cui sbarazzarsi non appena mi rimetto in piedi, giusto?»
Feci qualche passo in avanti e tirai un sospiro. «Matthew, sei un mio paziente e io il tuo dottore. Non c'è altro. Non ho nulla a che fare con tua moglie. Te l'ho detto, ma non mi hai creduto, perciò te lo ripeto un'ultima volta e che ti sia chiaro. Sono felicemente fidanzato e mi sposerò presto. Capito? Non coinvolgermi nella tua relazione con tua moglie.»
Non aggiunsi altro e abbandonai la camera.
Ogni cosa fosse successa fra lui e Valentina, a me non interessava e non avevo responsabilità...
Non avevo il minimo dubbio...
Io ero innamorato di Federica. E lei era l'unica donna per me e niente lo avrebbe cambiato.
Però, appena svoltai nel corridoio, quest'ultima mi stava aspettando. Mi fermai di fronte a Valentina che mi salutò. «Ho ottime notizie per te.» La mia faccia restò impassibile. Sollevò il mento. «Tornerò a fare il medico! Lavoreremo insieme... come ai vecchi tempi. Cos'è quella faccia? Non sembri molto felice.»
Alzai gli occhi in alto, per riportarli nei suoi. «È a causa mia?»
«No. Non ti capisco.»
«Il motivo per cui hai fatto la scelta di tornare...»
«No, scherzi, certo che no. Perché me lo chiedi?»
«Perchè? Senti, Valentina, siamo colleghi. Ti rispetto. Ma insegni da molto tempo, vero?» Lei annuì. «Ci siamo rivisti dopo anni. Opero tuo marito, da cui stai per divorziare e ora... all'improvviso decidi di tornare a fare il medico e dici che non ha niente a che fare con me. Non è così?»
«È così.» Fece un passo avanti, trovandosi a pochi centimetri dal mio petto. «Perchè il fatto che torni a fare il medico ti disturba tanto, Giovanni?» Mi guardò per un po' negli occhi, come se volesse leggermi nel pensiero. «Hai paura di confonderti?»
«Credi davvero a quello che sostieni?»
Chiuse le palpebre, apparendo quasi divertita, e indietreggiò. «Certo che ci credo.»
«Certo. È quello che pensavo.»
Credeva di avere una minima speranza... Purtroppo, per lei, io ero impegnato e non avrei messo in discussione i miei sentimenti. Me la lasciai indietro, continuando per la mia strada...
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