Capitolo 2.3 - Mi sconvolgi i piani
Mi intrattenni a parlare con un’infermiera, che mi aveva fermato per congratularsi, riguardo alla conferenza che avevo tenuto a Seattle. Era stata un successo per lei e saperlo mi rendeva felice. Mentre eravamo impegnati a chiacchierare, la biondina sopraggiunse in quel momento. Congedai la donna dai capelli rossicci che andò via con un cenno del capo e restai in compagnia di Maddalena.
«Ciao, dottore.»
«Ciao anche a te.»
«Non ho avuto la possibilità di dirtelo ieri, ma ho letto la tesi e ne sono rimasta davvero colpita.»
«Grazie.» risposi educatamente.
«Volevo ricordarti, se per te ovviamente, va bene, mi piacerebbe essere la tua assistente e lavorare con te.»
Ed ecco il punto focale della discussione a cui voleva arrivare. Avrebbe fatto carte false pur di guadagnare quel fantomatico posto, ma purtroppo per lei avevo già deciso a chi assegnarlo.
«Non credo.» rigettai la proposta facendo affievolire il sorriso sulle labbra della ragazza.
«In che senso?» chiese confusa.
«Non trovo opportuna questa richiesta.» Puntualizzai.
Maddalena deglutì e poi alzò gli occhi fissandomi. «E il motivo?»
«Quello che hai fatto ieri è stato molto sbagliato, Madda.» E mi riferivo — specialmente — al bacio che mi aveva rubato in ufficio, era stato sconveniente da parte sua. «Per essere sicuro che tu non commetta lo stesso errore del passato, non ti voglio come mia assistente.»
Per colpa della sua inutile sete di gelosia aveva rischiato di mettere a repentaglio la mia reputazione e quella di Federica. Non potevo consentire che accadesse anche ora. La mia scelta a questo proposito era ricaduta su un'altra persona.
«Non pensi che sia un errore mescolare le due cose?»
«Sfortunatamente tu l'hai fatto. Vorrei che avessi letto realmente la mia tesi.»
Avanzò di un passo, ritrovandoci a pochi centimetri, e si specchiò nei miei occhi, come io nei suoi. «Era qualcosa che desideravo da anni. Non ho rimpianti.»
«Tutto questo coraggio mi spaventa.»
«Non bisogna essere codardi in amore. Questo ce l'ha insegnato un professore carismatico tanto tempo fa.» alluse alle mie lezioni di anatomia, su quello dei sentimenti, cuore e cervello.
«Anche in passato ti sbagliavi.» Increspai un sorrisetto e mossi la testa. «Non sei cambiata nemmeno tu.»
La biondina fece un profondo sospiro prima di sollevare il capo. «Ti dimostrerò che sono io la persona più adatta per questo ruolo, Giovanni. Lo vedrai.»
Fece l'atto di allontanarsi dal corridoio con le mani nelle tasche del camice.
«Sei in ritardo, Madda.» Si bloccò e voltò udendo quella frase, poi aggiunsi. «Ho scelto Federica.» sottolineai con la stessa freddezza di un iceberg.
Si limitò a osservarmi, serrando la mano in un pugno stretto e lo sguardo le si spostò fulmineo dal pavimento alla mia faccia.
In seguito, girò i tacchi e sparì in un attimo dietro l'angolo del muro. Rimasi immobile nel corridoio, non pentendomi minimamente di averla informata, dato che prima o poi l'avrebbe scoperto. E nemmeno io avevo rimpianti.
[...]
L'infermiera mi scortò fino alla camera di Valeria Mancini, la paziente dell’areoporto a cui avevo salvato la vita per il rotto della cuffia. Prima che andasse, le ordinai di portarmi le due TAC effettuate prima e dopo l'intervento e quest'ultima annuì, lasciandomi entrare per controllare come stesse. Il suo aspetto era migliore di quel che mi aspettassi, considerando la gravità dell'operazione e aveva oltretutto un filo di rossetto sulle labbra. Appena mi vide arrivare si mise seduta e sorrise.
«Oh... è tornato il mio affascinante cavaliere!»
«Vedo che sei di buon umore, benissimo. Sono contento.»
«Sono di malumore solo quando dormo, ma non ne sono sicura nemmeno io. Dovresti dormire con me per poterlo constatare.»
«Be', ecco...» Roteai la testa. «Non riesco a dormire con qualcuno accanto. Immagino di essermi abituato alla solitudine.»
«Mhm...» La ragazza rimuginò, alzando gli occhi al cielo. «Dato che mi hai curato, posso aiutarti e così saremo pari.»
Sorrisi e iniziai a sfogliare la sua cartella. «Vediamo i risultati.» I valori sembravano nella norma, non era più in pericolo di vita e stava migliorando a vista d'occhio. «Considerando l'entità dell'intervento che hai subìto, direi che sei stata fortunata perché probabilmente sei una ragazza molto forte e combattiva. Ti ammiro, Valeria.» ammisi.
«Tutto quello che dai alla vita poi ti ritorna indietro. Se sorridi, anche lei ti sorriderà. Se scappi, anche lei scapperà da te. Questo è il segreto.»
«Interessante.»
Avrei dovuto mettere in pratica nelle situazioni quel suo consiglio, magari con un po' di fortuna avrei trionfato su alcune cose.
«Stavo cercando ispirazione per scrivere una storia d'amore...» continuò gesticolando con le mani per poi fare stretching con le braccia. «E poi... sei apparso tu. Sto cercando di capire se voglio essere la protagonista o solo la sceneggiatrice.»
«Mhm... L'amore è passato poche volte nelle mie mani, quindi non ci siamo mai incrociati. Non potremmo mai stare nello stesso posto perché ogni volta che lo notavo è sempre scappato via da me. È questa la situazione.»
Ma il riferimento non era casuale. Sapevo a chi stavo rivolgendo quella frase e anche se il nome era sulla punta della lingua non lo rivelai a Valeria.
«Vediamo. Questo è il trailer del film. Dopo che avrò elaborato una trama, ti dirò il ruolo.»
Acconsentii con un cenno d'assenso. «Va bene. Riposati. Ci vediamo più tardi.»
Mi diressi così alla porta per uscire dato che avevo altri impegni da portare a terminare prima di andare a pranzo con mio padre. Aveva in serbo per me qualcosa di speciale, magari voleva solo trascorrere un po' di tempo con me, dato che ero appena tornato da un lungo periodo all'estero. La cosa stava stuzzicando la mia curiosità.
Federica
«Maschio, di 32 anni...» Alcune slide di una TAC al cervello molto familiare vennero proiettate sulla lim mentre era Gianmarco ad aver avuto il compito di illustrare alla schiera di medici il caso a cui avevo lavorato personalmente. Di solito, quelle riunioni venivano indette per consentire a tutti di studiare nuove tecniche e di perfezionare quello che già si conosceva. Si faceva il punto della situazione in vista dei prossimi casi e ci si preparava. «È arrivato qui con profondi tagli sul cuoio capelluto dovuti ad un'aggressione. È stato portato immediatamente al pronto soccorso e sottoposto ad una TAC, da cui si è evinto un ematoma epidurale. Secondo gli accertamenti, ha avuto bisogno di un intervento chirurgico d'urgenza. Il nostro nuovo chirurgo, Federica Andreani, ha eseguito la procedura.» indicò me seduta in seconda fila e qualcuno sgarbatamente lo interruppe.
«Secondo le dimensioni dell'ematoma, non c'era bisogno di fare un intervento d'urgenza. Come siete giunti alla conclusione che servisse?»
«Commozione cerebrale?» obiettai all'arrogante Daliana.
«Hai detto che il paziente era giovane e stabile.» Quest'ultimo si ruotò verso di me sulla sedia. «Non sarebbe stato meglio prima tenerlo sotto osservazione?»
«Il paziente perdeva coscienza ad intervalli irregolari.» precisai.
"Cosa ne sapeva lui, che non aveva avuto nemmeno la decenza di presentarsi quando Gianmarco l'aveva chiamato?"
Alzò il foglio e insistè. «Secondo questo risultato, le dimensioni dell'ematoma non richiedevano un intervento. C'è stato un errore nel tuo criterio di valutazione.»
«Non credo.»
«Poteva esserci un'altra ragione alla perdita di coscienza. Quando è peggiorato, avresti potuto degnarti di chiedere un secondo parere a qualcuno più esperto.»
«Quando ho operato il paziente, si è verificata un'emorragia nella seconda arteria meningea. Abbiamo aspirato molto liquido.» Spostai lo sguardo da un lato all'altro della sala per cercare consensi da parte dei miei colleghi. «Questo ha dimostrato che l'intuizione era corretta. Inoltre, non è a discrezione del chirurgo fare o meno l'intervento?»
Daliana tentò di aprir bocca, ma il dottor Riccardo lo precedette alzandosi in piedi.
«Certo. È sempre una decisione del chirurgo.» Salì sul palco ponendo fine al nostro diverbio. «Se non ci rispettiamo a vicenda, non possiamo aspettarci rispetto da nessun altro. Vi consiglio di tenerlo a mente e restare entro quel limite.» Il silenzio calò fra i presenti e il fatto che quel medico arrogante continuasse a darmi contro sul lavoro mi stava letteralmente dando ai nervi. «Cambiamo argomento. C'è una persona che vorrei farvi conoscere, anche se presumo che un po' tutti qui dentro lo conosciate.» Guardò verso il fondo. «Giovanni? Ti unisci a noi?»
Sentendo quel nome, girai di scatto la testa verso l'uscita vedendo l'uomo bassino appoggiato allo stipite della porta a braccia conserte al petto.
Era rimasto lì per tutto il tempo e non me ne ero nemmeno accorta, ma alla sua vista il cuore mi balzò nel petto. Quando fu tirato in causa, si staccò e raggiunse il palco, scatenando un brusio intenso tra i miei colleghi. La sua entrata - come si poteva immaginare - aveva creato scalpore e si mise accanto al dottor Gentile, che gli fece posto. Seguii attentamente ogni suo movimento con gli occhi, tanto che avrei rischiato di fare la figura della guardona.
«Salve a tutti, sono il dottor Giovanni Rinaldi. È un grande piacere conoscervi.»
«D'ora in avanti, il dottor Giovanni lavorerà con noi. Maddalena, in che squadra sei?» rivolse la domanda alla bionda che, per un istante, lo guardò confusa indicandosi. Poi rispose nella squadra di Daliana. Certo, tra antipatici ci si capiva alla grande. «Vuoi Maddalena o Federica nella tua squadra? Hai una settimana di tempo, poi faremo le opportune modifiche.»
«Ho già preso la mia decisione.» annunciò il piccoletto con gli occhi puntati sulla sottoscritta e trattenni il respiro. No... No... Non stava per farlo sul serio. Non stava per dire quello che pensavo. «Non c'è bisogno di cambiare nulla. Voglio lavorare con Federica.»
"Eccala..." Pensai.
Me lo sarei aspettata, perché starmi tra i piedi tutte le volte era diventato il suo passatempo preferito oltre a salvare vite umane.
Il brusìo ripartì, stavolta ero io l'argomento al centro dell'attenzione di medici, infermieri e tirocinanti. Incapace di guardare Giovanni negli occhi li abbassai. Era peggio di una punizione che ricevevo a scuola quando mi capitava di trasgredire le regole.
Finita la riunione, seguendo l'esempio degli altri mi allontanai per tornare a lavoro. Ero per conto mio, quando venni affiancata dal rossiccio.
«Dottoressa! Dottoressa!» Urlò ai quattro venti, riprendendo fiato. «Adesso lei è nella squadra del dottor Giovanni?»
«Già...»
Ma avrei preferito di no.
«Mi prenda con lei! Guardi, sarò il suo schiavo, le porterò il caffè caldo sulla scrivania tutte le volte e farò quello che mi dirà, senza fare domande!» mi pregò ancora e ancora. Ormai era un vizio. Avevo scoperto che si faceva chiamare Wax da un po' di gente lì dentro e che se ne andava in giro senza scarpe perché si sentiva scomodo. Che tipo strambo, il ragazzino.
«Non correre coi pedalini, altrimenti rischi di scivolare.» lo ammoniii e si scusò a bassa voce dicendo che lo avrebbe tenuto a mente.
Nel frattempo dalla parte opposta arrivò Gianmarco in compagnia di Tommaso Daliana. Quando intercettai il suo sguardo di sbieco, anch'io feci altrettanto. A momenti ci saremmo sparati a vicenda tirando fuori le pistole. Mancava solo un'ambientazione degna del vecchio far west. Il giovane si avvicinò e la tensione crebbe a dismisura. Gianmarco capendo l'andazzo, tirò Wax per farsi seguire e si allontanarono. La nostra lotta di sguardi proseguì finché non fui la prima a rompere il ghiaccio.
«Allora pensi ancora che abbia sbagliato con quel paziente?»
«Non l'ho visto di persona. Non mi scuserò se non conosco bene la situazione.»
«Dopotutto non sei così difficile.»
«Prego?» Inarcò il sopracciglio.
«Pensavo fossi una persona complicata, invece no, sei solo testardo e questo ti rende immaturo. Per qualcuno, può essere anche carino.»
«Sono immaturo?» Domandò.
«Non volevi scusarti. I bambini di tre anni si comportano così.» gli feci notare per poi riprendere a camminare.
«Chi diavolo sei?» sbottò alle mie spalle e si parò dinanzi a me, cercando di impormi la sua prestanza fisica, dato che era più robusto e mi superava in altezza. Ma quell'atteggiamento da spaccone non mi spaventava, avevo affrontato di peggio. «Una psicologa o un chirurgo? Ti sei montata la testa perché hai dato una lezione a quelle merde dei mafiosi? Oppure perché il prof Gentile ti ha giustificato?»
«Nessuna delle due.»
«Allora perché sei così scontrosa?»
«Sarei io la scontrosa?!» esclamai, sbalordita. Mi stava facendo la morale quando era stato peggio di me. In quella stanza non aveva fatto altro che ribattere ad ogni mia parola, probabilmente soffriva di perdita di memoria a breve termine o non si spiegava. Credevo inizialmente che saremmo potuti andare d'accordo, ma mi aveva dato prova che gli ero antipatica, e il sentimento era reciproco. «Quello sei tu. Io do sempre quello ricevo in cambio.»
Feci per andarmene di nuovo, ma la sua voce mi fermò. «Signorina Andreani?» Lo guardai avvicinarsi lentamente, rivolgendo un momento gli occhi al pavimento, e aspettai. «Mi dispiace di essermi sfogato su di te, riguardo il paziente.» Sbattei le ciglia inebetita. Da leone che ruggiva a fauci spalancate a gattino affettuoso... mi sarei aspettata che tenesse di più il punto. «Anch'io restituisco sempre quello che ricevo. Siamo pari.» E stavolta fu lui a defilarsi dal discorso.
Di cosa soffriva quest'uomo, se non di una spaventosa doppia personalità? Pazzesco. Tornai al mio lavoro definitivamente accantonando quei pensieri.
Giovanni
Impegnato nella correzione della bozza di una tesi, non avevo messo in conto che qualcuno avrebbe attirato la mia attenzione e si trattava di un ragazzo dai capelli ricci rossicci, che civettava con un'infermiera seduta all'altro tavolo, fuori all'ospedale. Doveva avere più o meno una ventina d'anni. Chinai così tanto il capo che gli occhiali da sole mi cascarono sulla punta del naso e lo vidi riprendere a bere il suo caffè durante la pausa. Decisi di chiamarlo a gran voce.
«Ehi, assistente!» Allontanò il bicchiere di plastica dalla bocca e poi si guardò in giro, indicando sé stesso con il dito.
«Parla con me?»
Annuii. «Sì, vieni.» Non se lo fece ripetere una seconda volta e poggiando il bicchiere sull'altro tavolo si fiondò da me. Restò all'impiedi aspettando un consenso che gli diedi. «Siediti pure.» Prese posto e sfoggiò un sorriso a trentadue denti, evidenziando anche delle fossette. «Sei l'assistente della dottoressa Andreani?»
«Non è ancora ufficiale, signore, ma in genere lavoriamo insieme.» rispose schietto.
«Posso farti due domande? Ma che rimanga tra noi.»
«Ovviamente, dottore.»
«Per prima cosa, hai il numero? E secondo, quanto la conosci?».
«Innanzitutto, sono Wax. E non vedevo l'ora di incontrarla. Ho seguito ogni sua conferenza fatta nelle Americhe ed è una vera leggenda!» Feci un cenno col mento per ringraziarlo. «Ce l'ho il numero della dottoressa. E la conosco meglio di chiunque altro lì dentro. So cosa le piace, cosa no e cosa la fa incazzare. So tutto!» La sua disarmante scaltrezza mi colpì. Era un ragazzo con le idee molto chiare. «In sintesi, dottore, sono il candidato giusto che fa’ per lei. Ovvero, io.»
Rivolgendomi un altro super sorrisone mi convinse che avevo avuto una bella idea a chiedere a lui, perché se avessi fatto quella richiesta alla bruna mi avrebbe snobbato, dandomi dello stalker. Dovevo andare per vie traverse.
«Perfetto...»
[...]
Il sapore invitante della carne arrostita mi entrò nelle narici e mi sollazzò il palato. Quel profumo mi suggeriva che ero finalmente tornato in Italia. Senza anticiparmi alcunché, Giorgio Rinaldi mi aveva condotto a piazza di Spagna e ci eravamo fermati a prendere un bel panino con la porchetta.
Era un locale piccolino ma confortevole e anche la scelta del menù era ottima. Andai ad ordinare i nostri due panini al bancone, mentre mio padre era rimasto ad aspettare al tavolo.
«Oh, che buon profumo... farebbe resuscitare un morto!» esclamai inalandolo a pieni polmoni.
«Non ne fanno buoni, come quelli di qua in America?»
«Ma scherziamo! Il cibo italiano è tutt'altra cosa!» esclamai sorridendo all'uomo dietro al bancone che era impegnato a prepararli. Mio padre protestò che aveva molto appetito.
«Non facciamo aspettare suo padre.» Mi porse entrambi in un involucro e lo ringraziai.
Il servizio inoltre era efficiente, se avessi trovato un'occasione propizia ci sarei tornato. Per accompagnare il pasto, chiesi anche una birra chiara.
Nel camminare però tornò a tormentarmi un dolore lancinante alla gamba che mi destabilizzò e lasciai cadere il panino a terra. Me la toccai affondando i denti nel labbro inferiore.
"Accidenti... non di nuovo. Non avevo voluto nemmeno sottopormi a un controllo per non dare soddisfazioni alla brunetta. Federica mi ci avrebbe voluto portare di corsa per farmi una radiografia."
«Dottore, si sente bene?» chiese l'uomo vedendomi curvo.
«Sì, non è nulla. L'ho fatto cadere a terra. Mi dispiace tanto.»
«Gliene faccio subito un altro.»
Lo ringraziai un'altra volta e dopo quella defaince, tornai da mio padre al tavolo con i nostri due ricchi panini.
Panino e porchetta una specialità romana intramontabile, che mi era mancata molto.
«Com’è possibile che questo cibo sia sempre più buono?»
«È buono sì, ma...»
Sollevai la mano per interromperlo. «Ecco qui... c'è sempre un 'ma'. Ti frulla qualcosa in testa. Dimmi, cosa c'è?»
«Il cibo è squisito, ma mangeremo sempre solo io e te?»
Buttai giù un sorso di birra e strofinai delicatamente i baffi per togliere quel velo di schiuma.
«Vuoi che chiami un esercito di uomini? Che succede, eh? Ti sei stufato di tuo figlio, papà? Così ferisci i miei sentimenti.»
Giorgio roteò gli occhi rassegnato. Andò dritto al punto sporgendosi con il busto.
«Voglio un nipote, Giovanni.»
Lo osservai con il panino stretto fra le mani. «Come siamo passati dal parlare di cibo al nipote?»
«Ho sempre parlato dell'argomento ma tu ogni volta fai orecchie da mercante e scappi via. È ora che metti la testa a posto e che ti crei una famiglia! Hai una certa età ormai.» Diedi un ulteriore morso al panino per tenere la bocca un po' occupata. «Se ti guardassi attorno, troveresti una buona ragazza adatta a te.»
«Adatta a me?» ripetei con le idee sempre più confuse. «Posso immaginare chi sarà.»
«Ho parlato con suo padre e suo nonno. Sono d'accordo.» Lo guardai di rimando ed iniziai a masticare il boccone più lentamente mentre un dubbio mi si insinuò nel cervello. «Sono molto felici di fare questo accordo per il futuro dell'ospedale. Mi riferisco alla figlia di Paolo, Maddalena.»
L'incubo peggiore che avessi era esploso come una granata. Questo non solo era una tragedia, era una maledizione. Io e Maddalena? Neanche per sogno.
«Assolutamente no, papá. Non puoi parlare sul serio.»
«Perchè no? Che c'è che non va?»
«Non c'è nulla che non vada, papà. Ma quello che stai facendo è sbagliato. Non puoi prendere le decisioni al posto mio e non puoi vendermi come se fossi una proprietà!» A volte, mi dava da pensare che fossi solamente un oggetto e non un essere umano. La cosa mi intristì e chinai il capo.
«Potrebbe essere... che ti sei innamorato di qualcun altro?»
Lo rialzai e scrollai le spalle.
«Chi lo sa?» In realtà mio padre non sapeva nemmeno dell'esistenza di Federica, dato che quando ero partito per l'estero lui era impegnato nel progetto che poi sarebbe stato quello che è attualmente.
Quel matrimonio avrebbe fruttato molte cose, tra cui mettere al sicuro la fortuna e riunire le nostre famiglie, ma io non volevo sposare la bionda.
Quella sera, impegnato a guidare per le strade di Roma, gettai qualche occhiata sporadica al cellulare buttato sull'altro sedile. Wax mi era stato d'aiuto, girandomi il contatto di Federica. Tenendo gli auricolari alle orecchie, portai il cellulare al livello del volto e tentennai nel premere sul contatto per far partire quella chiamata. Lo feci ma dopo un paio di squilli mi rimandò alla segreteria. Probabilmente non era lì con lei e lei non lo sentiva.
W
ax mi aveva avvisato che alla fine del turno si recava spesso in palestra a fare pugilato. Magari era lì anche adesso...
Federica
Avevo bisogno di sfogarmi dopo tutto lo stress accumulato in questi giorni e il faccia a faccia con l'assassino di mia nonna aveva messo la ciliegina sulla torta. Se non avessi preso a pugni il sacco da boxe, non so a cosa sarei andata a finire. Le immagini nitide delle ultime ore di mia nonna tornavano sempre, mentre con un pugno dopo l'altro scaricavo rabbia e frustrazione. Le sue parole, il suo ultimissimo sorriso prima che le porte metalliche si chiudessero... tutto ciò gettava il sale sulle ferite.
Mia nonna aveva significato molto per me, lui me l'aveva portata via, lui aveva cercato di compensare con il denaro sporco di sangue e di un miserabile accordo con mio padre e quella stronza della sua compagna. Tornò tutto a galla, marchiato in maniera indelebile nel mio cervello... la scarica di colpi che avevo inferto al sacco mi fece rimanere senza respiro e appoggiai la fronte contro il sacco, abbracciandolo. "Nonna, quello che ti ha fatto non l'avrei mai e poi mai perdonato a Svevi. Me l'avrebbe pagata. Avrei avuto dopo tanti anni la vendetta che avevo preparato."
Solo per quello ero finita a lavorare in quest'ospedale, avrei avuto più possibilità dall'interno di indagare sul caso della sua morte e racimolato prove. Decisi di salire sul ring - a quell'orario inusuale la palestra era vuota e non c'era nessuno - così mi apprestai a ripassare di nuovo le tecniche di attacco e difesa, che da piccolina avevo imparato.
Mentre tiravo pugni contro un avversario che non c'era, qualcuno stava avanzando dal fondo della sala e quella piccola sagoma diventò riconoscibile finché non si svelò del tutto.
Mi bloccai sulla prossima mossa. Ormai quel piccoletto era ovunque, con quel cappuccio sulla testa somigliava a un Jawa della saga di Star Wars.
"Si può sapere che faceva qui?"
Zoppicava con il piede destro e misi le mani ai fianchi guardandolo mentre si liberava del cappuccio.
«Non sarai venuto ad allenarti con quel piede in quello stato.»
«Quanto insisti! Non ho nulla al piede. Sto benissimo.» Tolse anche la felpa dato che lì dentro faceva un caldo infernale. Poi, passò sotto le corde ed entrò nel ring per mettersi di fronte a me. «Ho sentito dire che picchi ancora la gente. Sei una leggenda in ospedale.»
«Sei venuto per chiedermi come ho fatto?» risposi con un'altra domanda.
Giovanni ridacchiò poi diventò di botto serissimo. «NO. Sono venuto per un'altra cosa e devo togliermi un peso dal petto.»
«Cioè?»
«Perchè continui a considerarmi un uomo sposato?»
Feci spallucce. Questa era bella. «È stata una tua scelta, non mia.»
Il piccoletto continuò a sorridermi e poi mi puntò il dito addosso. «Sì, questa risposta mi induce a pensarlo: sei cambiata.»
«Perchè?» chiesi scrollando le spalle.
«Prima non ascoltavi nessuno e adesso credi a qualunque cosa ti dicano.» Fece una breve pausa per increspare lo stesso sorriso. «Non sono sposato. Non ho nemmeno la ragazza.»
«Bene...»
«Bene? È tutto?» mi incalzò.
«Che vuoi che dica? Bene. Be', ora devo andare.» Angelina mi avrebbe dato per dispersa e sarebbe andata nel panico se non fossi rincasata a un'ora decente.
Non volevo che si prendesse uno spavento. Mi voltai ma Giovanni appoggiò la mano su una mia spalla. «Non così in fretta. Non ti lascerò andare via.»
Altrettanto bruscamente ruotai su me stessa e gli bloccai il braccio dietro la schiena, provocandogli una risatina. Sapeva di cosa fossi capace quando scherzava, quindi era un avvertimento a non sfidare la mia pazienza. Con una mossa inaspettata, mi intrappolò, cingendomi senza stringere il collo e scoppiò a ridere.
«Sai che ho fatto una promessa a me stesso?»
«Che promessa?»
«Se dovessi andartene ancora, ti stringerei così e non ti lascerei andare.» affermò e, in un certo senso, smisi di opporre resistenza avvertendo la sua pancia adagiarsi contro la mia schiena e la sua presa farsi meno pressante. «Non mi farò battere di nuovo da te stavolta.»
Sembrava determinato e molto sicuro di sé, ma aveva ignorato un particolare: che non ero una preda facile da catturare e così lo rivoltai in aria come un calzino nel cassetto, facendolo atterrare pesantemente sul ring. Corsi poi a mettere le gambe sul suo busto per impedirgli di muoversi e gli tirai nel frattempo il braccio.
«Ti arrendi?»
Giovanni scoppiò a ridere e poi gemette per il dolore.«Ahia, mi hai fatto male...»
«Così fa male adesso? Arrenditi e ti lascio!»
«Non voglio arrendermi così presto.» ammise.
«Sicuro?» Senza preavviso si rivoltò e mi fece cadere all'indietro sul pavimento, tenendo bloccati i miei polsi a terra. Si tenne in equilibrio su di me e mi guardò negli occhi.
Solo per un breve momento, poi lo respinsi via e tornai a riavere il controllo del duello. Gli bloccai le braccia. «Arrenditi.» affermai.
«Quanto vuoi farmi desistere. Ma non lo farò, Andreani.»
Fortificai la presa, strappandogli un altro gemito di dolore. «Arrenditi.» gli ripetei digrignando i denti. Il ragazzo, a quel punto, appoggiò la mano sulla mia spalla per firmare una tregua e accettare la sconfitta. Quando credevo di averlo in pugno, mi colse di sorpresa e si liberò, facendomi finire sotto di sé. Tornò in equilibrio sul mio corpo, guardandomi intensamente con la stessa intensità di un martello contro un muro. La gabbia toracica si alzò e abbassò più veloce di prima, accompagnando i miei sospiri. Quell'organo nel petto iniziò a battere così forte che sembrava lo avessi in gola. Mi strizzò l'occhio e le mie mani guantate scivolarono via. Una strana energia fluì tra di noi, i nostri occhi si trovarono alla stessa altezza, le iridi si fusero a vicenda come i respiri. Notai il suo sguardo scorrere fino a fermarsi alle mie labbra, la distanza era solo di due centimetri e se mi fossi alzata leggermente avrei toccato le sue.
Ma la domanda era un'altra: io... Lo volevo sul serio?
~ fine secondo capitolo~
E no... Un colpo di scena ci vuole! Ora sta al prossimo capitolo decidere le sorti del momento. Alla prossima!
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