Capitolo 19.1 - Nel posto giusto al momento giusto
Giovanni
La pioggia battente continuò a colpire il tettuccio dell'auto, venendo spazzata via dal tergicristallo, mentre mi fermai di fronte ad uno dei locali più rinomati della città.
Un concierge con una divisa bordeaux mi spalancò lo sportello come fossi una celebrità e aprì l'ombrello per ripararmi, finché non arrivai al coperto. Osservai l'entrata, molte persone chiacchieravano in gruppi, ma il mio cervello si perse invece in altri pensieri.
Valentina mi aveva chiesto di incontrarci per parlare di una "questione di vitale importanza" — a detta sua, e aveva prenotato in questo ristorante...
Federica però non mi aveva dato l'impressione di esserne entusiasta.
Poche ore prima
Wax, nonostante fosse uscito dall'intervento non aveva ripreso conoscenza e Federica chiese a Gianmarco di restare lì.
«È tutto ok, Fe, tranquilla.»
«Sono tranquilla, ma tu arriverai in ritardo. Qualcun altro si preoccuperà.»
Dopo avermi lanciato quella palese frecciatina, ribadì a Gianmarco lo stesso ordine e uscì.
Le corsi dietro e afferrai il braccio. «Federica » Non riuscivo a capire il suo atteggiamento scostante nei miei confronti. «Voleva solo parlarmi.»
«La tua ex. La tua ex moglie... voleva parlarti, in privato.» Precisò con gli occhi ridotti in fessure.
Abbassai lo sguardo. «Non ha detto "privato", ma importante.»
«E dal momento che non potete parlarne in ospedale, immagino che lo farete a cena. No?»
La presi per le spalle, visto che aveva distolto lo sguardo. «Non succederà niente, fidati di me.»
«Comunque...» Si scostò e lasciai scivolare le braccia contro i fianchi. «Non ho alcuna voglia di pensare a Valentina. Devo occuparmi di mia sorella.»
«Certo. Cosa farai con lei? La porti da te?»
«Almeno per qualche giorno. Adesso non le fa bene vedere mio padre o Rebecca, dopo quello che è successo. Ha bisogno di riprendersi.»
«Bella idea. Allora, ti chiamo appena ho finito.» Feci per darle un bacio, ma ruotò il viso e mi lasciò la guancia, come premio di consolazione. Dopodiché, se ne andò e restai impalato a fissare il vuoto turbato.
Un tuono squarciò il silenzio, rimbombando nel posto e mi destò dalla trance, così mi avviai. Venni accolto da un cameriere che mi scortò al tavolo. Lo ringraziai e mentre aspettavo diedi un'occhiata al cellulare, ma non trovai alcun messaggio o una telefonata della mia fidanzata. Guardai l'orologio e lo stesso cameriere accompagnò Val. Venne da me e mi alzai per accoglierla.
Non era mai stata una tipa precisa e le sue abitudini non erano cambiate.
«Sei in ritardo, come sempre.»
«E tu in anticipo, come sempre.»
«Touche'.» Feci cenno alla sedia, ma se la spostò da sola accomodandosi e la imitai. «Aspettiamo qualcuno?»
Una terza non era occupata.
«Esatto.»
«Chi?» Chiesi, incuriosito.
Esitò, come se volesse ritardare il momento fatidico. «Mio marito.» Comunicò, con gli occhi fissi nei miei.
Bevve un sorso di acqua e incrociai le braccia al petto.
«Non mi avevi detto che sarebbe venuto tuo marito.»
«Volevo farti una sorpresa.»
«Una sorpresa? Perché?»
«Mi dispiace. Ok?» Chinò il capo, imbarazzata. «In realtà, è di lui che volevo parlarti con urgenza. Mio marito ha... un tumore.»
Mentre riflettevo, un uomo dalla folta chioma bionda, le braccia ricoperte di tatuaggi e la prestanza di un atleta, si presentò al tavolo.
«Mi domando di cosa stiate parlando, cara.» Lasciò una leggera carezza a lei. «Salve.» Mi porse la mano e gliela strinsi. «Matteo Rota, il marito di Valentina.»
«Salve, Giovanni Rinaldi. Piacere di conoscerla.»
«So chi è. È l'ex marito di Valentina.» Affermò senza troppi preamboli, continuando a tenermi la mano. Purtroppo la presentazione amichevole era andata a farsi benedire. Valentina provò ad alleggerire la tensione che si iniziava a respirare e ci propose di ordinare. Il marito, a quel punto, sciolse la presa, ebbi l'impressione che mi avrebbe fatto scrocchiare tutte le ossa del corpo. Ci mettemmo seduti in totale tranquillità.
«Lei è medico.» Esordì "tutto muscoli", appoggiando con troppa foga il bicchiere.
«Sì, precisamente neurochirurgo.»
Guizzò le sopracciglia e si drizzò. «Stiamo cercando un buon medico, ma la mia amata moglie cerca nel posto sbagliato.» Le lanciò uno sguardo di muto rimprovero. «L'ex marito di mia moglie potrebbe salvarmi oppure uccidermi... Chi può saperlo?»
Il cameriere interruppe la conversazione, che stava prendendo una piega pericolosa, per portarci le pietanze.
«Matthew, per favore.» lo ammonì. Scrollò le spalle, come a dire: "che ho detto?" e si abbandonò contro lo schienale.
Immaginavo che non avesse fiducia. Mi riteneva un ostacolo per la sua felicità, ma non lo ero. Ero felice per conto mio. Il cameriere versò del vino bianco per accompagnare il pesce e non volle altro, mandandolo via.
«Ci stiamo godendo questa bella compagnia. Era ora che ci conoscessimo meglio.»
«Matthew, comportati bene. Non possiamo avere una chiacchierata tranquilla?»
«Certo, cara.» Assunse un sorrisino compiaciuto e tornò nella posizione di prima, con i gomiti puntati sul bordo del tavolo. «Cosa le piace fare nel tempo libero, dottore?»
«Non ho molto tempo libero, lavoro sempre. Quando posso però passo del tempo con la mia fidanzata.»
«Ah, è fidanzato?»
«Sì, sono fidanzato. Lei è un neurochirurgo come me.»
«Quindi si sposerà?»
«Tra qualche settimana. Non abbiamo deciso una data, ma lo faremo al più presto.» Mi spiò di sottecchi.
D'un tratto, delle grida allarmarono l'intera sala. Schizzai in piedi e scrutai il fondo della sala. Ci fu un blackout momentaneo a causa di un tuono. La luce tornò in un secondo. Notai una donna circondata dai suoi familiari, che stavano andando in panico.
«C'è un medico qui? Mia figlia sta per partorire!»
Corsi attraverso i tavoli per raggiungere quello allestito con palloncini volanti blu a forma di ciuccio. Mi inginocchiai vicino alla giovane, che ansimava, con le mani sul pancione. Doveva stare calma. Agitarsi non faceva bene né al bambino né a lei.
«L'aiuto io. Sono un dottore. Come si chiama?»
«Claudia.»
«Claudia, piacere di conoscerla. Sono Giovanni, sono un medico, la aiuterò, d'accordo?» Mi rivolsi all'uomo al suo fianco. «Chiami un'ambulanza!» La donna strillò a causa delle contrazioni.
«Fa male!»
«Faccia un bel respiro, ok?» Appoggiai la mano sulla sua spalla e digrignò i denti.
«C'è traffico! C'è stato un incidente e hanno detto che l'ambulanza arriverà in ritardo.»
«Cosa devo fare, dottore?» Si allarmò, impaurita.
«Facciamo così Claudia: respiri lunghi e profondi come le ho detto, forza. Calmiamoci, ok?»
«Ma credo che... mi si siano rotte le acque!» Avvisò.
Bisognava trasportarla in ospedale, altrimenti rischiava di partorire in questo posto, ma si rifiutava di spostarsi.
«Anch'io non voglio che abbia questo bambino in auto. La porteremo in ospedale il prima possibile, d'accordo? Respiri profondamente, forza.»
«Non posso. Fa sempre più male!»
«Cara, ascolta il medico, andiamo subito in ospedale!»
«Fuori c'è un traffico infernale! Se devo scegliere tra la macchina e il ristorante, scelgo questo posto, almeno ho il dottore. Voglio partorire qui!» affermò risoluta.
La feci stendere su un divanetto per controllare la dilatazione della cervice e cercai di tranquillizzarla, dato che singhiozzava. Mi bloccai e, di colpo, la mia espressione si fece seria. Percepivo qualcosa.
Non era la testa.
«Non va bene. C'è un problema. Sto toccando i piedi del bambino in questo momento.»
«Perchè si è fermato? È successo qualcosa al mio bambino?!»
«Il bambino si presenta con i piedi davanti. È podalico.» spiegò Valentina al futuro papà.
«Aspetti, non capisco. Come, podalico? Che vuol dire?»
«Di solito, il bambino nasce di testa.»
«Sto anche toccando il cordone ombelicale e sembra sia aggrovigliato. Dobbiamo fare urgentemente un cesareo.»
La ragazza scoppiò a piangere. Per prevenire eventuali danni, a causa della rottura del sacco amniotico, avrei dovuto intervenire chirurgicamente e tirare fuori il bambino...
Tommaso
Giungendo in pronto soccorso, trovai gli infermieri che cercavano di far ragionare un ragazzo, che non voleva stare fermo sulla sedia a rotelle.
«Ci penso io. Passatemi i guanti.»
Gianmarco mi spiegò che aveva una ferita al cuoio capelluto. Era in evidente stato di shock e diceva cose sconnesse.
«Temo di non aver fatto nulla.»
«Ehi!» Lo bloccai, poggiandogli la mano sul petto. «Ciao! Sono il dottor Daliana.» Estrassi dalla tasca la mia torcia. «Posso?»
Il giovane assentì. «Dottore, sì... Ho paura io che non venga a prendere il tassista, non fatto nulla.» Continuò con quelle frasi senza senso logico e puntai la luce nelle sue pupille.
Dai primi esami, la ferita alla testa non era gravissima, ma era prudente fare ulteriori controlli. Il giovane però buttò all'aria l'infermiera che voleva farlo sdraiare sulla lettiga e tentò di scappare via. Ci lanciammo al suo inseguimento, ma sembrava fuori controllo. Creò scompiglio, balzò da una parte all'altra e mi buttò a terra quando cercai di placcarlo. Mi alzai in tutta fretta e prese in ostaggio il povero Gianmarco, puntandogli una forbice alla giugulare.
«Per favore, la smetta e si calmi, mi ha sentito?!»
«Dottore, mi aiuti! Sono troppo giovane.» Implorò.
«Non aver paura, non farò alcun male a te. Dovete ascoltare. Nessuno ascoltarmi!»
L'agente cercò di farlo desistere.
«Ok, va bene, non si preoccupi. Stiamo solo parlando.»
«Parlando?» ripeté Gianmarco terrorizzato.
«Ho capito il suo problema. Possiamo aiutarla, ok? Possiamo, ma abbiamo bisogno che lasci andare quella forbice, capisce? La lasci!» Sussurrò "no" e scosse il capo.
«Voglio no...»
«Ok, spiegherò tutto alla polizia, non le succederà nulla. Nessuno farà niente, ma ho bisogno che mi dia l'oggetto. Capito?» Gianmarco gli suggerì lo stesso, mantenendo il sangue freddo nonostante fosse braccato dalle sue braccia. «Le prometto che non succederà nulla!» Mi consegnò l'arma di sua spontanea volontà e Gianmarco fu strappato via dalle sue grinfie. Il ragazzo crollò a terra. «Qualcuno porti una barella!»
[...]
«Dopo questi esami lo sposteremo in camera.»
«Ok, bene. Chiamerò la sicurezza.» Dichiarò Giammarco, spingendo la sedia a rotelle. Il ragazzo sembrava aver superato la crisi e se ne stava a capo chino.
«Stai ancora pensando a prima?»
«Ha cercato di aggredirmi con un paio di forbici. Chi mi salverà se cercherà di uccidermi?»
«Tranquillo, gli ho parlato e non lo farà.» Lo rassicurai, dandogli una patta sulla spalla, e studiai le immagini della tac.
«Quindi, si fida di questo tizio. Wow.»
«Sì, ma se continui a dire tutte queste sciocchezze, ti assicuro che ti ricapiterà. Non fidarti della mia opinione.» Mi rivolsi al giovane. «Andre... stai meglio?»
«Sì, meglio.»
«Anche quando scrivi lo fai al contrario?»
«Sì.»
Un'arzilla signora di mezza età rimproverò l'agente di guardia, che non voleva farla passare, ma lo ignorò ed entrò igualmente, avvicinandosi al paziente.
«Andrè!»
«Nonna, bene sto. Lo sto polizia spiegando, ma nessuno mi capisce, il dottore capisce.»
«Ok, André, andiamo. Grazie.»
Voleva tagliare la corda. «Aspetti, dove vuole andare?»
«Ho parcheggiato la macchina davanti al pronto soccorso. Devo spostarla prima che facciano storie. Forza, caro, andiamo.»
«Mi dispiace. Suo nipote non può andarsene. Ci sono alcune domande che vorrei porle.»
«Ci scommetto. Prima che me lo chieda, glielo dico io. André ha avuto un terribile incidente d'auto quando aveva tre anni, in cui abbiamo perso sua madre.»
«Sono desolato.»
«È finito in coma per una settimana e al risveglio ha cominciato a parlare al contrario. I dottori non hanno potuto fare nulla.»
«C'è stato un danno neurologico dopo l'incidente?»
Ridacchiò alla mia ipotesi.
«Lei è astuto. Andiamo.»
«Senta, quando André è arrivato qui è caduto e ha perso i sensi. Abbiamo fatto un esame, ma dobbiamo farne altri per avere un quadro completo.»
«Ne sono certa. Hanno fatto di tutto ma, purtroppo, il disturbo di mio nipote non può essere risolto.»
«Non la pensi così.» Le mostrai la lastra che avevo eseguito e le indicai un punto.
«Conosco a memoria i risultati. È lì che si è verificato il danno cerebrale permanente a seguito dell'incidente.»
«Senta, signora, quel punto può spiegare il disturbo del linguaggio di Andrè, ma-»
«Adesso basta. Andiamo, André.» Mi interruppe sgarbata.
«No!» Gridò quest'ultimo facendola trasalire. «Tu vai! No io.»
La donna spostò gli occhi su entrambi e se ne andò, portandosi dietro la sua alterigia. Il ragazzo abbassò lo sguardo.
Mi chiedevo perché era così determinata a negare al nipote una cura per quel difetto.
[...]
Spiegai al ragazzo che l'aneurisma era presente da molto tempo e andava applicata una pinza speciale per evitarne una crescita.
«Inietterete delle cellule staminali, giusto?»
Presi un bel respiro e avvicinai. «Signora Mandelli, capisco il suo timore, ma questo metodo è molto promettente. Si fidi di me.»
«Dopo l'incidente, ho portato mio nipote da molti medici e tutti gli davano speranze. Dicevano appunto che l'avrebbero curato, come afferma anche lei. Ma è ancora al punto di partenza.»
«Ha ragione.» Intervenne il dottor. Paolo Svevi. «Si occupi solo di curare l'aneurisma.»
«È il paziente a decidere.»
«Fai io voglio!»
«No!» Ribatté lei.
«Sì, la mia decisione essere questa. Non volere tua. Ora tocca a me!» ribatté il ragazzo.
La signora ricorse all'aiuto dell'altro. Svevi continuò a scuotere la testa con sufficienza.
«Decide suo nipote.»
La donna voltò immediatamente le spalle e abbandonò la stanza.
«È rimasto in ospedale e vuole mettere in subbuglio i pazienti? Cosa vuole fare? Distruggerci dall'interno?»
«Non sono come lei.» Mi recai all'uscita e bloccai la signora. «Senta, mi dispiace per quello che è successo lì dentro. Mi creda, non voglio deluderla, ma questo trattamento potrebbe rappresentare una grande opportunità per André.»
«Non la penso allo stesso modo.»
«Andrè, sì. Ha detto che non vuole vivere in quella maniera.»
«Andrè se l'è sempre cavata e continuerà a farlo.»
«E in cosa l'ha trasformato? Non vede? Quel ragazzo è infelice!»
«No, non lo vedo! È stata tutta colpa mia. In quest'incidente, in cui André restò ferito e sua madre morì, c'ero io al volante. Ho rovinato la vita di mio nipote!» Serrò gli occhi e trattenne le lacrime di dolore. Il senso di colpa esplose nelle sue parole. «E ora, è lei che vuole mettersi al volante e rovinargli la vita dandogli false speranze.»
Poi si allontanò lasciandomi in mezzo al corridoio.
Federica
Sdraiata a letto, osservai il cellulare per parecchio, aspettando una chiamata da Giovanni. Ero ferma con il dito sul contatto, premetti il tasto, poi staccai senza farlo squillare. Roteai gli occhi, sentendomi mentalmente una cretina, e lasciai stare l'aggeggio.
"No, basta. Stavo per impazzire".
Alessia si affacciò dalla soglia con i capelli avvolti in un asciugamano a mo' di turbante e accappatoio. Entrò e richiuse la porta. Si era fatta una doccia rigenerante, stava molto meglio, e occupò l'altra porzione del mio letto senza chiedermelo.
Non spiccicai una parola.
«La smetti di torturare quel povero telefono? Non penso proprio che sia quello che pensi.»
«Di cosa parli?»
«Non conosco i dettagli, ma riconosco queste situazioni. Non farti queste pare mentali.»
«Era sposato. Be', ok, in passato, prima di Bassiano, ma...»
«E allora? Vabbè! Era prima che stesse con te. Non conta niente.»
«Sì, invece. Non me l'ha detto, Alessia! Non mi ha detto niente. Pensi che sia normale?»
«Perché? Tu gli hai detto tutto?»
Feci spallucce. «Non ho segreti.»
«Sicura?»
«E... no!»
«Quindi in 11 anni, 4000 giorni e 88 ore, che hai fatto? Non credo tu ti sia chiusa in un convento di clausura in attesa di incontrare il tuo bel dottore dagli occhi azzurri.» Mi parlò come una dannata psicologa, intenta a psico analizzare un paziente.
«Lasciami in pace.»
«Dai, racconta.» mi spronò sistemandosi sul fianco e stringendo a sé l'orsacchiotto di sua figlia, come se fosse lei stessa una bambina.
«Seria?»
Sorrise diabolicamente. «Sì...»
Schioccai la lingua al palato, girando la faccia dall'altra parte. Il cellulare squillò, ma stavolta il mittente era un altro: ovvero papà. Ormai era diventato un disturbatore assiduo.
«Rispondigli.» Restò a pensarci. Non poteva ignorarlo in eterno. «Digli che stai bene, dai.»
«Non mi va di parlare con lui.»
«Dai, Ale, per quanto tempo hai intenzione di scappare?»
«Non lo so. Mi sono comportata male con lui quando ho creduto alle bugie di mia madre. Come faccio a guardarli in faccia?»
«Ok, come vuoi.» A distanza di poco, il cellulare squillò ancora. Rebecca. «Non te lo chiedo nemmeno.»
Silenziai il suono fastidioso e lanciai il cellulare sulla coperta, mettendomi a braccia conserte.
«Non potrò mai perdonarla. Se penso a quello che ha fatto a te, a papà, soprattutto a te! Perfino Leonardo ha detto alla polizia dove mi trovavo, altrimenti non sarei nemmeno qui. Anche quell'uomo ha avuto un cuore, mia madre, no. Lei è una strega!» sbottò, sfogando tutta la sua frustrazione. «Mi vergogno di essere sua figlia. Era meglio nascere senza nessuno che crescere in una famiglia disastrosa come la nostra! Che schifo!» Guardò avanti e intanto arrivò un messaggio.
Glielo mostrai. "Stiamo venendo", aveva scritto.
Alessia scostò immediatamente le coperte. «Alzati!»
«Dove vuoi andare?»
«Usciamo. Prendiamo un po' d'aria fresca, ci farà bene invece di poltrire in quel letto.»
«No, no, no. Non andrai da nessuna parte e sono ordini da medico. Hai dimenticato che devi riposare?»
«No, non ho alcuna voglia di riposare, tanto meno vedere le loro facce. Io esco.» Si diresse all'armadio e frugò all'interno tra i vestiti. Portai la mano alla fronte e scelse un abitino nero, piuttosto sfacciato con una scollatura aperta sulla schiena. «Secondo te, mi sta bene?»
La fissai a lungo, prima di sventolare bandiera bianca e sbuffare come un toro inferocito, mentre mi liberai del cumulo di coperte che mi sommergeva. «Scassa palle! E va bene!»
«Metti qualcosa di audace, il pigiamino no.» Mi urlò alle spalle, prima che le chiudessi la porta del bagno in faccia.
[...]
La pioggia aveva deciso di rovinare i piani - anzi quelli di mia sorella - e ci trovammo imbottigliate nel traffico. Non tirai giù i santi perché avevo una bambina in macchina.
Non ci eravamo mossi neanche a passo di formica, era intasata la strada e continuava a diluviare senza sosta.
«Usciremo dopo secoli. Dov'è che volevi andare?»
«Non c'è problema. Possiamo andare a cena più tardi.»
Mi strizzò l'occhio e voltai la testa verso i sedili posteriori. Mia nipote stava guardando un video così almeno non correva il rischio di annoiarsi. Il mio cellulare, in quel caso, squillò e le passai la telefonata. Mimò di no con le labbra.
«È Tommy. Guarda che attacca!»
«Pronto? No, non sono scappata, mia sorella mi ha "sequestrato".» Increspai un dolce sorriso a quell'affermazione. «Non parliamo di queste cose. Perché non mi dici qualcosa di bello?» Fece una pausa e se ne uscì con la domanda più scontata. «Dove sei adesso? In... una baita?» Guardò me con la fronte aggrottata, ascoltando con attenzione ciò che le diceva il suo amabile interlocutore. «Sul serio, dove sei?» Sorrise e abbassò il viso. «Perchè non dormi?» Schiarì la voce. Non me la contava giusta. «Certo... Matteo come sta? Bene? Sì, sta bene.» Si girò verso di me e annuii. «Penso che non dovresti riposare e continuare a pensare a quella... persona.»
Lo salutò e camuffò una risatina. Mi restituì il cellulare con le guance più rosse del colore dei capelli.
Misi un po' di musica per ingannare l'attesa e Alessia si mise a cantare qualche nota. Sorrideva ed era più serena del solito al contempo, dopo la conversazione...
«Allora?»
«Allora, che?»
«La canzone. Tommy e te.»
«Forse.» Rispose facendo spallucce.
«Forse? Non mi dici altro?» Sollevò gli occhi. «Ok, non dirmi niente.» Dopo un po', la curiosità tornò a prendere il sopravvento. «Dai, vuoi dirmelo o no?»
«E tu mi dici sempre tutto, eh? Prima tu e poi io.» Sospirai, sostenendo la testa. «Chi è l'ex moglie di mio cognato? Da dove è saltata fuori? Perché è qui?»
«Non ho la più pallida idea. So solo che è l'ex moglie. Non so altro. Forse è un'insegnante.»
«Non preoccuparti, ci penserò io. Cercherò il curriculum, il suo albero genealogico e, se serve, la pedinerò ovunque!»
«Non essere esagerata. Piantala.»
«Non esagero. Ho imparato qualcosa dalla mia esperienza. Non ti lascerò più da sola e tu non lascerai mai me.»
«Va bene.» Le rivolsi un piccolo sorriso. «Ma non cambiare argomento, quindi Tommy?»
«Oh, giusto, lui...» cantilenò e le feci cenno di proseguire. «Non è ancora successo niente.»
«Siete ancora fase di valutazione. Molto bene.»
«Ho imparato da te, fragolina.»
«Che brava.»
Annuì, con un grosso sorriso stampato sulle labbra.
Afferrai la cinta di sicurezza per rimetterla, eravamo rimaste da ore bloccate in quel cavolo di ingorgo, ma finalmente potevamo riprendere il tragitto.
[...]
Parcheggiai davanti all'Antico Arco e Alessia mi chiese perché fossimo venute proprio qui.
Era decisamente lontano.
«Perchè ha attirato la mia attenzione.»
«Ha attirato la tua attenzione?» ripeté, sbalordita. «Eravamo lontane e sicuramente non è come mangiare dal kebabbaro sotto casa. Sai quanto ci viene a costare un piatto di pesce? Quanto il tuo stipendio e il mio messi messi assieme!» Non la guardai. «Non mi dire che il tuo Giovanni è qui! Veramente lo vuoi pedinare?» Rise e spalancai lo sportello. «Oh, e poi da me dell'esagerata. Senti chi parla.»
Aspettai al coperto che lei e la piccolina arrivassero, dato che pioveva a dirotto, e ci inoltrammo all'interno. Guardammo in giro ed era pieno di gente ammassata da ambo i lati. Un uomo ci salutò educatamente e informò che il ristorante non era disponibile.
«Non ci manderà fuori con questo temporale, vero?» chiese Alessia.
«No signorina, ma c'è stata un'emergenza. Stiamo aspettando l'ambulanza.»
«Io e mia sorella siamo medici. Possiamo aiutare.» Ci lasciò andare e proseguii, Alessia mi stette alle calcagna. Mi fermai, notando Giovanni di spalle, che cercava di aiutare una donna con le doglie. Ovviamente, avrebbe fatto del suo meglio. Non si tirava indietro. E, in piedi, accanto a lui... c'era la biondina.
«Quella donna è in travaglio, aiutiamola.»
Schioccai la lingua. «Non andare. Non hanno bisogno di noi. Andiamocene.»
«Dove vuoi andare?» Mi bloccò. «Non capisco cosa vuoi fare. Sii più chiara, Federica.»
Sospirai. «Vedi la donna accanto a lui?» Gliela indicai.
Aguzzò la vista. «Sì...»
«Quella è la sua ex moglie, Valentina.»
«Sei più bella tu.»
«Comunque, anche lei è medico, quindi sono in due. Non hanno bisogno del nostro aiuto.»
«Ora capisco perché sei voluta venire fin qui, anche sotto questo tremendo temporale.»
«Be' sì, ma ora me ne pento. Usciamo da qui, forza.»
«Aspetta...» Dato che non si stava smuovendo, trattenni uno sbuffo e restai. Posizionarono la donna sul tavolo che gridava atrocemente, ma Giovanni aveva la situazione sotto controllo e non avrebbe lasciato nulla al caso. Il marito perse le staffe all'improvviso, ma la moglie non voleva che il bambino morisse e avrebbe sopportato.
I miei occhi seguirono attentamente ogni spostamento e poi li abbassai. Giovanni cercò con gentilezza di calmarla.
«Ma è ridicolo stare qui così, senza fare qualcosa! Non vedi cosa le stanno facendo?»
«Lo vedo...»
«Se ci fosse stata un'altra persona al posto di Giovanni, saremmo state lì a prestare assistenza.»
«Non è perché c'è lui, Alessia. È tutto sotto controllo. Se andiamo noi, saremo solo d'intralcio.»
Quando la sua "assistente" fu di ritorno con il kit del pronto già sterilizzato sembravano collaborare alla grande, essere una bella squadra, quasi quanto me e lui, in passato. Una donna incinta aveva segnato l'inizio del nostro rapporto di complicità.
Si fece disinfettare le braccia e la cosa mi lasciò l'amaro in bocca. Distolsi lo sguardo per un po' fissando il pavimento e Alessia mi strinse il braccio.
«Usciamo da qui. Basta» Non feci un passo. «Federica?»
La donna implorò Giovanni di salvare il bambino, ma lui era convinto che sarebbe tutto bene e presto lo avrebbe avuto fra le sue braccia. Prese il ghiaccio per intorpidire la zona. L'assistente infine gli consegnò il coltello.
A quel punto, girai le spalle facendo la strada a ritroso.
Il temporale non aveva dato tregua e salii in macchina. Non mi servì vedere altro. Quando mia sorella e la bambina entrarono, ci lasciammo il locale alle spalle.
[...]
Uscii dalla camera, quella mattina, giungendo nella cucina dove Alessia aveva già messo mano alla dispensa di Angelina.
«C'è il caffè?»
Deglutii il biscotto e scannerizzò interamente la mia figura. Avevo smontato le treccine, anche se mi ci ero affezionata e tornata al look naturale, ovvero capelli mossi che sfioravano le scapole.
«Sarà pronto in un attimo. Se esci di casa e lo gridi tutti te lo porteranno.»
«Significa sì o no, scusa?»
«Significa "wow", fragolina.»
Chiuse il frigo. «Ehi, quello non puoi mangiarlo. Se Angelina ti becca a mangiare i suoi biscotti preferiti dal barattolo, ti butta fuori di casa.»
Appoggiai la scatolina sul tavolo, non avevo avuto l'occasione di consegnarla a Giovanni...
«Fede?»
«Sì dimmi, cor mi carnal?»
Portò il caffè fumante e anche due tazze. «Oh... Il tuo modo di chiamarmi "cor mi carnal" è adorabile. Una domanda?» Mi versò il caffè e porse la tazza. «Si deve ai pazienti il tuo cambio look? Hai passato la notte ad acconciarti?»
«Perché? Dev'essere per forza per qualcuno? Non posso farlo per me stessa? Quando ti metti cinque tonnellate di trucco in faccia, ti dico mai: "ehi, ti sei truccata per Tommy?"»
«Cosa c'entra col mio amato Tommy?» Replicò. «Anche io... amo essere al naturale.» Iniziai a sorseggiare il liquido caldo. «Comunque, so perché ti sei messa tutti in ghingheri. Una tale eleganza non può essere attribuita al signor "perfetto". Dico bene?»
Mi andò di traverso e allontanai la tazza. «Ah, ok... allora mi vado a cambiare e andrò a lavorare in pigiama, come il matto dell'ospedale.»
«Lo sei già.»
«Scusa?» La fissai in tralice.
«Niente, il caffè scotta troppo...» Mentì spudoratamente. «Ti va di commentare la serata di ieri?»
«Che pazienza.»
«Ieri ti sei ingelosita, vero? Avevi un muso lungo. So che cerchi di nasconderlo, però te lo si legge in faccia, a caratteri cubitali.» Insinuò.
«Non sono gelosa di nessuno, amore mio.»
«Ah davvero? Il tuo comportamento e i tuoi gesti dicevano il contrario. Sai che ho fiuto.»
«La finisci? Sembra un interrogatorio. Non insistere. Ciao, me ne vado.»
«Tesoro?»
Mi bloccò sulla soglia della cucina e allungò la scatolina, che afferrai di scatto.
Mi recai all'ingresso e appena spalancai la porta mi trovai davanti proprio Tommaso Daliana col braccio alzato in procinto di bussare.
«Ah! Federica?»
«Ah, Tommy. Perché ti sorprende tanto? È casa mia. Ci vivo qui...» Un sorriso ammiccante si formò sulle mie labbra. «E tu, chi cercavi?»
«Sono passato perchè... devo accompagnare la bambina... e già che c'ero sono passato a prendere Alessia.»
«Bravo. Ci chiedevamo chi avrebbe potuto accompagnare mia sorella, e spunti tu.»
«Ehm, fragolina. Non dovevi andare?»
Era il chiaro segnale che suggeriva che dovevo togliermi dalle scatole e smammare...
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