Capitolo 18.1 - Il volto spaventoso dell'amore

Federica

Quando provavo ad essere felice, quando sembrava non ci fossero ostacoli sul mio cammino, una infelicità bussava alla mia porta e ritornava l'incubo. Stavolta però non era semplicemente un brutto sogno dal quale svegliarsi al più presto, no, era peggio.

Questo avrebbe portato un risultato catastrofico.

«Se rendiamo la gonna vaporosa come quella di una principessa, sarai la sposa più bella del mondo, fragolina!» Ipotizzò, dopo aver avuto la folle idea di recuperare il vestito della madre e farmelo mettere. Avevo tentato di convincerla che la madre si sarebbe arrabbiata se toccavamo le sue cose, ma senza risultati...

«Mettimi anche una corona!» suggerii indicando la testa.

«Prima sistemo il punto vita!»

Afferrò la sciarpa da sopra il letto e me la legò attorno al busto.

«Sì, ma fai in fretta. Se tua madre viene e mi vede così, si arrabbierà.»

«Non si arrabbierà. È quasi pronto.» Annunciò, finendo di stringere il nodo.

«Ti sembra bello?» Chiesi, guardando il vestito, non era delle misure di una bambina...

«Girati e guarda tu stessa.»

Mi voltai totalmente, facendo riflettere la mia figura minuta nello specchio. «Tua madre verrà e ci sgriderà. Devo toglierlo.»

«Non succederà nulla.»

La matrigna cattiva era già apparsa sulla soglia. Si avvicinò indignata nel vedere il suo abito. Si sporse verso il mio viso e mi spinse il dito sulla tempia.

«Che fai?! Chi ti ha dato il permesso di toccare le mie cose! E guarda, hai pure macchiato il mio vestito da sposa con le tue mani sporche!»

«Mia sorella non ha fatto nulla.»

«Sta zitta tu!» Sbottò.

«Stavamo solo giocando.»

«Sta zitta!» Si avvicinò di più alla mia faccia e la distolsi. «Tu!» ringhiò esasperata. «Sono veramente stanca di te! Spero che faccia le valigie e te ne vada da questa casa!» Mi spinse, facendomi cadere e la guardai in cagnesco. «Tua madre non ti ha insegnato le buone maniere. Perchè hai quell'espressione, eh? Alzati!» Mi tirò su con la forza per il braccio. «Dove l'hai trovato? Toglitelo! Ci penserai mille volte prima di rovistare nella roba altrui!» Me lo slacciò dal collo strattonando, mentre rimuginava sulla punizione esemplare che mi avrebbe inflitto.

«Perché ho pensato che stavolta sarebbe stato diverso?»

Osservai il panorama, dalla terrazza del mio balcone, con il Colosseo sullo sfondo e gli altri palazzi attorno, quando una mano, che si andò a posare sulla mia spalla, mi destò dai pensieri.

«Tutto bene, tesoro?»

Voltandomi, incontrai il volto dell'uomo che mi aveva creato.

«Starò ancora meglio quando avrò trovato Alessia.»

Mia sorella era la mia assoluta priorità e il fatto che fosse sparita da molto non mi faceva presagire nulla di buono...

Feci per tornare dentro casa, ma mi bloccò per le spalle.

«Dove stai andando? Lasciami venire con te.»

«Nessuno andrà da nessuna parte. Dov'è Rebecca? Devo assolutamente parlare con lei.»

«Figlia mia, ha già raccontato tutto alla polizia. Non ti dirà nulla di nuovo.»

Come poteva esserne convinto?

«Come fai a saperlo?»

«Ho sentito tutto.»

«Ma va! Ti senti quando parli? Ti fidi ancora di quella donna. Non importa quello che fa, se ti calunnia, ti umilia, o ti manda in prigione da innocente, sei sempre dalla sua parte!» Restò in silenzio e distolse lo sguardo per ponderare le parole. «Dove si trova? Dimmelo. Quella donna mi dirà tutto quello che sa.» Sentenziai, rimanendo ferma nella mia posizione. Doveva smettere di proteggere quella viscida serpe. Questa situazione era già disperata e di mezzo c'era la vita di una persona innocente.

Alessia non era colpevole.
Non doveva pagare il prezzo delle nefandezze di sua madre.

[...]

Guardai avanti, senza prestare la minima attenzione alla domanda che mi aveva rivolto Tommy, mentre era alla guida.
La mia testa era decisamente altrove da quando eravamo partiti. Alla fine, mio padre si era arreso alla mia determinazione e confessato il luogo dove si era rintanata quella schifosa.

«Stai pensando a tuo padre?»

«Non riesco a credere che stia proteggendo quella donna!» sbottai, perdendo di colpo la calma.

«Trovo sia uno sfogo superfluo. Lui è preoccupato per Alessia quanto lo sei tu.»

«Lo so, ma lasciamo perdere. Da dove viene quest'assurdità di lasciare il lavoro in ospedale? Hai davvero dato le dimissioni?» Sviai, guardando il giovane, che fissava attentamente la strada.

«Non importa. Ne parleremo più tardi.»

Abbassai gli occhi per un momento. «Svevi ti ha detto qualcosa su di me?»

«Che importanza ha?»

«Ce l'ha eccome.» insistei, voltandomi nella sua direzione.

«La nostra priorità è Alessia.»

«Troveremo Alessia e risolveremo anche questo problema.» Puntualizzai.

«Ti sei ormai abituata, no?»

«A far che, scusa?»

Mi lanciò un’occhiata sbrigativa, per poi tornare a concentrarsi sulla macchina.

«A dettare legge come un capo.»

Era un tasto dolente, già una persona mi aveva fatto notare che — a detta sua — non ero più la stessa, ero venuta totalmente meno ai miei principi.
Guardai di nuovo davanti e poi chinai il capo, chiedendomi se davvero ci fosse un margine di verità nelle parole di Riccardo.

[...]

Sbattei energicamente il pugno contro la porta e, dopo pochi istanti, la donna l'aprì senza aspettarsi minimamente la mia visita. La spintonai all’indietro con una certa irruenza.

«Mi dirai tutto quello che non hai detto alla polizia! Forza!» Tuonai.

«Che devo dirti?!» Si dimenò dalla presa. «Mi stai minacciando o cosa? Ho già detto tutto quello che so. Non avrei taciuto se avessi saputo qualcos'altro.»

Le andai dietro nel corridoio con la mascella contratta, la rabbia pronta ad esplodere da ogni poro della faccia, e giungemmo nel salotto striminzito.

«Sei capace di tutto. Dov'è il fruttivendolo Leonardo, o come cavolo si chiama? Non ha amici da queste parti?»

Guardò un punto oltre le mie spalle. «No, se li avesse avuti, li avrei conosciuti.»

«Ci pensi. Forse aveva parenti da queste parti.» la spronò Tommy.

«Vi ho detto che non lo so, e voi andate a cercarla, se proprio volete. Lasciatemi in pace. Ne ho avuto abbastanza!»

Avanzai trovandomi ad un palmo di distanza e le puntai il dito. «Qualsiasi cosa tu stia nascondendo verrà fuori presto.»

«Cosa… cosa stai dicendo? Che maleducata.»

«Non parlarmi di buona educazione! Sputa il rospo una buona volta! Se l'ha presa e l'ha abbandonata in chissà quale dannato posto?!»

«Non trattarmi in questo modo! Sono ancora la moglie di tuo padre.» apostrofò, credendo che me ne fregasse qualcosa.

«Alessia sta morendo! Non me ne frega un cazzo di chi sei moglie!»

Tommy mi circondò le spalle, facendomi fare un passo indietro, altrimenti non so cosa avrei combinato a questa stronza.

«Fede, calmati. Signora, per favore, parli. Ci sta facendo innervosire.»

Parve tentennare e poi spostò gli occhi su di me.

«Dai, parla! Non abbiamo tempo da perdere!»

«C’era un posto.» Iniziò. «In un'industria abbandonata...»

Era evidente che aveva omesso quel particolare… e feci una smorfia di disgusto. Che bugiarda. La spintonai costringendola a camminare e tornammo in corridoio. Spalancai all'istante la porta d’ingresso, Tommy aspettò che indossasse un cappotto, visto che faceva freddo quella notte.







Angelina

Federica aveva ragione!
Non potevo scappare o ignorare quella situazione. Matteo aveva bisogno del mio sostegno in quel percorso difficile ed ero intenzionata a superare le mie paure.

Afferrai la maniglia, traendo un forte respiro per tranquillizzare il battito folle del cuore e feci il mio ingresso nella camera.

Wax si sporse in avanti e dopodiché si alzò dal lettino.

«Nina…»

Che bello vederlo e sentire la sua voce.

Avanzai a piccoli passi. Restai a guardarlo con gli occhi lucidi, mi ero ripromessa di non piangere, ma il labbro inferiore tremò.
Mi gettai su di lui, che mi avvolse fra le sue braccia. Mi diede un piccolo bacio sulla testa e fortificò la stretta, schiacciandomi contro il suo torace. Non volevo separarmi da lui, neanche per un istante. Avevo bisogno del suo calore quanto l'aria nei polmoni per vivere. Se gli fosse accaduto qualcosa, non so se ce l'avrei fatta a sopportare la sua assenza.

Il nostro abbraccio durò infatti molto.

Si staccò da me. «Vi presento, lei è Ella.» Una donna era lì davanti a me, capelli lunghi e ricci, similmente uguali a Wax. Fece un passo avanti e intanto la guardai a bocca aperta tutto il tempo. «Angelina, mia madre.»

«Tua madre?»

«Vivrà con noi d'ora in poi.»

Asciugai prontamente quelle stupide lacrime, tornando in me.
«È un grande piacere, signora.» Mi presentai, un po' impacciata. Non credevo che avrei mai incontrato mia suocera...

«Grazie, cara. Il piacere è tutto mio.»

«C-Come sta?» Balbettai, lanciando un'occhiata a Wax.

«Dopo avervi visto assieme, direi molto meglio. Siete proprio una bella coppia.»

Guardai di nuovo il rossiccio e lo vidi mostrare le sue adorabili fossette ai lati della bocca. Ella ritrasse la mano, dicendo che sarebbe uscita e la poggiò sulla guancia del figlio, aggiungendo che gli avremmo tagliato i capelli più tardi. Il mio ragazzo mi afferrò le mani, per poi accomodarsi sul ciglio del letto. Mi guardò con un'espressione più serena in viso.

«Perchè non mi hai detto della tua malattia? Non ti fidi di me? Pensavi che non potessi aiutarti?»

Poggiò la mano sulla mia guancia accarezzando piano. «Nina...»

Tirai su con il naso. Ero una piagnona. «Non smuoverei cielo e terra per te, per farti stare bene? Perché non me l’hai detto quando l'hai saputo, Matteo?»

«Nina…» Mi fece sedere e afferrò il volto passando le dita sugli zigomi. «Smettila di piangere.» Mi scoccò un bacio sulla guancia e poi abbracciò. «Ti prometto che andrà tutto bene, ok? Uscirò da quest'intervento sano e salvo.»

«Me lo prometti?»

Mi pettinò dolcemente i capelli e poi separò da lui, tornando a fissarmi. «Te lo prometto, sì.»

«Non rimarrai cieco?»

«È fuori questione. Starò bene, okay?» Mi accarezzò il mento. «Inoltre, ora che ti ho trovato, potrei mai andarmene?»

Tornò ad abbracciarmi e io a tirare su con il naso per soffocare i singhiozzi contro la sua spalla. Non doveva pensare alle cose brutte, ma solo a guarire. Spalancai di colpo gli occhi, un particolare mi balzò in mente.

«Non hai mai parlato di tua madre.»

«L’ha trovata Gianmarco. All'inizio, non ero molto convinto di operarmi...» Fece spallucce. «Ma l'ha trovata ed è cambiato tutto.»

Scoppiai a ridere, come lui, in maniera spontanea.

«È… strano.» ammisi.

«È tua suocera.»

«Già…»

«Già.» ripeté. Gli scappò un'altra risata divertita, gli occhi si illuminarono e riprendemmo ad abbracciarci, consapevoli che avremmo potuto affrontare quella sfida e vincerla...

[...]

Wax volle guardarsi mentre il rasoio spazzava via quel che restava della sua folta chioma rossiccia. Si voltò verso sua madre, che sorrise amorevole, e poi fece lo stesso con me.
I suoi riccioli… lo osservai con uno spillone piantato dentro, ma consapevole che avrebbe vinto. Lo aveva promesso e l'avrebbe mantenuto.

Dopo aver finito, uscii in corridoio con aria sconfitta. Sentivo come se un tir mi fosse passato sul corpo. Gianmarco si stava strappando qualche cuticola e l'osservai di rimando. Era preoccupato e lo dava a vedere perfettamente.
Abbassai di nuovo lo sguardo al pavimento e mi venne incontro, poggiando la mano sulla spalla.

«Mi si è spezzato il cuore a vedere Matteo in quelle condizioni. I suoi capelli, che cadevano uno ad uno.»

«Anche a me. Voleva una macchina e gliel'ho promesso, ma non posso farlo.»

«Era il suo ultimo desiderio.» Sentii gli occhi riempirsi di lacrime. «Devi farlo.»

«Ninetta...» Mi afferrò il viso. «Il nostro Matteo è una testa dura. Starà bene, vedrai.»

«Lo spero, ma mi fa paura.» confessai.

Mi ero finora tenuta tutto dentro.

«Non aver paura, Angelina. Calma, andrà tutto benissimo.»

«Voglio essere positiva. Pensare che si riprenderà e che realizzeremo i nostri sogni. Credo che preparerò dei pasticcini per mia suocera. Mi conforta stare dietro ai fornelli.»

«Non ci pensare più.»

«Cosa? I miei pasticcini sono così schifosi? Non sono una brava cuoca?»

«No, sono buoni. A me piacciono, però la donna con Matteo… non è tua suocera. L’ho contattata io. Non devi fare nulla. È un'attrice che interpreta un ruolo.»

«Che?!» chiesi, scioccata da tale dichiarazione e annuì. «Non è vero...»

Che ne sarebbe stata della speranza di Matteo? Le voleva bene, sembrava felice al suo fianco. Se avesse scoperto la menzogna, sarebbe ricaduto in un vortice di dolore, senza fine.

Come aveva potuto giocare così tanto con i sentimenti del mio fidanzato? Era stato stupido!










Giovanni

Gianmarco mi aveva telefonato, accennando ad una questione urgente e ora era lì di fronte a me a chiedersi come iniziare il discorso, senza finire per dire delle stupidaggini. Incrociai le braccia dietro la schiena, aspettando che si decidesse.

«C'è una donna con Wax…»

«Ok. Chi è questa donna?»

«Sua madre.»

«Sua madre?» ripetei, perplesso.

«Be’, in realtà, Matteo pensa che lo sia. Purtroppo quella donna… non è sua madre.» Precisò guardando di tanto in tanto il pavimento.

«Dimmi quello che devi dirmi.»

«Ho fatto una cosa terribile, dottor Rinaldi. Ho assunto un'attrice e la sto pagando. Sta fingendo di essere la madre di Wax. Ora non so come dirglielo.»

«Cos'hai fatto, Gianmarco? Come hai potuto fare una cosa del genere al tuo amico?»

«Ha ragione. Non avrei dovuto, però mi era sembrata una buona idea. L'ho fatto solo per l’operazione, ma adesso me ne pento tantissimo. Per favore, mi aiuti a risolvere questa situazione. Wax non mi guarderà più in faccia appena lo verrà a sapere.» supplicò, giungendo le mani in preghiera.

Se lo sarebbe meritato visto che ciò che aveva fatto era sbagliato: ingannare non era mai la scelta giusta. L'infermiera Emanuela si avvicinò, avvisando di un'emergenza in pronto soccorso: due ragazzi investiti da un treno in corsa.

Fissai a lungo Gianmarco, garantendogli che di quello ne avremmo riparlato, ora mi aspettava del lavoro. Uscii immediatamente all’esterno, dove l'ambulanza stava arrivando a sirene spiegate. Scesero la barella e mi spiegarono la situazione, mentre intanto facevo i primi controlli.

«Ha ecchimosi al fianco destro.» Disse infine il paramedico.

«Ciao, Alice.» Salutai la ragazzina che sembrava cosciente. «Sono il dottor Giovanni. D'ora in poi mi prenderò cura di te, ok? Non aver paura.» Diedi un'occhiata alle pupille. «Dobbiamo controllare se c'è polso nelle mani e nei piedi. Faremo un doppler.»

La ragazzina tentò di spiegare la dinamica a fatica, poi il macchinario emise dei bip.

«Dottore, la frequenza cardiaca è aumentata. Arresto cardiaco in atto.»

«Avrà un'emorragia interna. Sta andando in shock ipovolemico. Portatela dentro, datele dei liquidi.»

L'equipe lo fece e intanto, nel giro di poco, giunse un'altra ambulanza. Rimasi lì ad aspettare con le mani ai fianchi che venisse calata l'altra barella. Stavolta era un ragazzino dai capelli ricci, privo di coscienza: frattura pelvica e lesioni interne, anche lui era stato vittima dello stesso incidente...

«Le famiglie di questi ragazzi sono state informate dell'accaduto?»

«Sì, sono la loro insegnante.» Rispose una donna, di punto in bianco.

La sua voce mi parve familiare al punto che quando mi voltai, paralizzandomi accanto alla barella. Anche lei restò ferma a contemplarmi. Sbatté lievemente le palpebre un paio di volte, i suoi occhi tersi come il mare si infransero nei miei, provocando un maremoto di emozioni. Sembrava che il tempo si fosse bloccato, quei fotogrammi erano riaffiorati nella mia memoria. Non pensavo che fosse qui e che dopo anni… avrei rivisto quel volto. Abbassò lo sguardo, lasciando scendere qualche lacrima, e venni riportato bruscamente alla realtà dal paramedico. Mi concentrai sul paziente, mettendo in secondo piano il resto. Anche lui doveva essere urgentemente portato in pronto soccorso e assistito dal medico di turno.

Nel frattempo, non la vidi più, si era come volatilizzata...

Che l'aveva portata qua?

Smettila di rimuginare Gio, è solo tempo perso.

Tornai dentro senza guardarmi indietro Scortai la barella in pronto soccorso e la feci sistemare nell'angolo. Mentre collegavano i vari elettrodi, infilai i guanti, non riuscendo a staccare lo sguardo dal corridoio. Ma non la vidi.

Per quale dannato motivo doveva succedere proprio ora? Proprio ora che la mia vita sembrava completa…

Dopo tanto tempo… rivederla era stato come riaprire una ferita, che mi aveva inferto ed ero caduto a pezzi.

«Ho lasciato l'ospedale senza dirlo a nessuno. Non eri di turno?» chiesi dopo averla raggiunta in giardino.

Se mi avessero visto, avrei ricevuto sicuramente un richiamo dai piani alti.

«No, non lo ero. Dovevo parlare con te.»

«Avremmo potuto parlarne stasera, cara.»

«Non possiamo parlarne stasera, ma adesso.» Obiettò, senza staccare lo sguardo dal mio.

«Perchè? Accidenti! Il mondo sta per finire e tu sei l'unica a saperlo? Guarda che abbiamo tutto il tempo!» Scherzai, ma la sua faccia non mutò, anzi la distolse.

«Ok, conosco quel tuo sguardo.» Portai il dito sotto il mento della giovane. «Hai un problema. Voglio saperlo, dimmelo.»

«Non torno a casa stasera.» Sentenziò.

«Perchè? È lì che vivi, è casa tua. Dove andrai?»

Ingoiò un fiotto di saliva. «Non è più casa mia.» Diventai serio di colpo, il sorriso si affievolì. «Non voglio continuare a fingere che tra di noi vada tutto bene.»

«Come?» Bisbigliai. «Che stai dicendo, Val?» Strinsi le sue mani. «Cosa vuoi dire?»

«È finita.» Le lasciò scivolare,  inerti ai fianchi. «Lascio Roma.»

«Dove vai, eh, Val? Perché te ne vai? Che farò? Che farai tu?» I miei occhi si offuscarono, sentivo già il petto dolente, come se una mano invisibile lo stesse stritolando.

«Giovanni, per favore...»

«Cosa succederà se scappi così, Valentina?» Abbassò lo sguardo, sfilò la fede dall'anulare e l’appoggiò sul palmo della mano. Alzai lentamente le spalle, mi uscì un suono stridulo. «Cosa... fai?» Mi fece richiudere la mano con delicatezza.

«Dai, è finita.» Le lacrime mi percorsero le guance, bruciando nei miei occhi come fiamme. «Non posso. Non posso andare avanti con questo matrimonio, mi dispiace.» Furono le ultime parole che mi colpirono come proiettili, e continuò ad allontanarsi, dandomi le spalle per tutto il tragitto.

Qualcosa si ruppe dentro di me, e fu il mio cuore in frantumi…

Chiesi al giovane infermiere dove fosse il medico di turno e non seppe cosa rispondere, facendo spallucce. In quel momento, si presentò Svevi.

«Sono io!» Annunciò e mi sollevai a rallentatore. Si diresse dritto da me, invitandomi a non essere così sorpreso e che voleva tornare in campo. Dopo la morte di Maddalena, pensavo non volesse più fare il medico ma solo gestire le questioni finanziarie.

«Bene» risposi. «Non è un problema.» Spiegai il caso, aveva la dodicesima costola contusa e il bacino rotto, con vari frammenti sparsi. Mentre mi apprestai a visitarlo, il ragazzo urlò per il dolore sollevandosi di scatto e cercai di calmarlo, rimettendolo disteso. Svevi gli aveva rimesso a posto il piede con la grazia di un elefante in una cristalleria e lo guardai torvo. Tornò a fare il lavoro senza curarsene.
«I riflessi pupillari sono deboli.» evidenziai. «Eseguiamo una Tac.» Il ragazzo cercò di parlare, sussurrando “papà” aprendo a stento le palpebre e il dottor Svevi gli disse che sarebbe arrivato. Il paziente andava intubato e Svevi controllò dall’altra parte, lasciando a me il compito di farlo.

In caso contrario, avrebbe solo peggiorato le condizioni fisiche del ragazzino.

[...]

«Manu!» Chiamai l'infermiera, stava giungendo dalla parte opposta del corridoio e si bloccò. «Hai visto la donna che ha portato i ragazzi?»

«No. Dottore, a proposito, non è stato un incidente. I giovani sono andati alla stazione per suicidarsi.»

«Suicidarsi?!»

Annuì e, in quel momento, la biondina platinata, ci raggiunse. Sembrava cadere dalle nuvole. «Come? Volevano… uccidersi?» Manu fece un cenno affermativo e spostò lo sguardo sul sottoscritto. «Chi le ha dato questa informazione?»

«Ce l'ha detto la ragazza.»

Congedai l’infermiera e intanto Valentina mi fronteggiò, pensando ad alta voce.

«Quindi, avevano pianificato tutto. Mi avevano chiamato e non sono andata. Se l'avessi saputo, avrei potuto tornare indietro... ed evitarlo. Che sciocca.»

«Non darti la colpa. Non l'avresti evitato. Doveva andare così.»

«Non conosci la famiglia di Alice. Quando lo scopriranno, la prenderanno male.»

«Tranquilla, non sarà così grave. Me ne occuperò io.» la rassicurai tenendo un atteggiamento professionale.

«Te ne occuperai tu. Lo fai sempre. Non cambierai mai, vero?» Mi schernì. «Quel ragazzo non è fatto per lei e non gli permetteranno mai di stare insieme, e non credo di doverti ricordare che gli amori impossibili restano tali o fanno una brutta fine. La famiglia ha cercato di non dargli la borsa di studio. Come farai ad occupartene? Dimmi!»

Increspai un sorriso. «Almeno ci proverò. Non scapperò come hai fatto tu. Vedo che neanche tu sei cambiata, Valentina.»

Mi afferrò il braccio. «Non sono scappata alla prima occasione. Non travisare!»

«Non lo faccio. È la verità.» le dissi, guardandola negli occhi.

«È la verità, secondo la tua storia.»

Chinai gli occhi per un attimo, pensando a tutte le volte in cui mi ero dato delle colpe per aver lasciato che se ne andasse, ma in realtà avevo combattuto.

«Chi ha lasciato casa… Per paura di dare alla luce un figlio disabile? Chi si è arreso fra noi due? Mhm?» Mi fissò senza dire nulla. «È la verità con cui ho convissuto, per anni. Se c'è un'altra versione della storia, dimmela pure e ti ascolterò.» E tagliai corto. Avevo rivangato abbastanza il mio passato...













Federica

Tommy Dalì svoltò in una strada desolata, con poca illuminazione, ma non sembrava stessimo facendo dei progressi.

«Stiamo girando a vuoto da ore! Dicci subito dove sta!»

«Non so dove sia esattamente!» Mi voltai verso i sedili posteriori. «Mi ci ha sempre portato lui, non sono mai venuta da sola. E poi di notte è tutto diverso, cara Federica.»

«Cara Federica? Brava, complimenti. Ogni volta ti superi. I problemi che ci porti non cambiano mai.»

«Non so cos'altro dirti per rimediare.»

«Fede…»

Tommy Dalì mi fece cenno di stare tranquilla e guardai dritto.

«Non farmi impazzire! Apri gli occhi e guarda bene ciò che ti circonda, forza!» Le indicai seccata il finestrino con il braccio alzato. Ad un certo punto, puntò un prefabbricato di vetro, indicando di prendere la strada a destra. Speravo che fosse la volta buona. Tommy svoltò seguendo man mano quelle indicazioni.

Quel vecchio capannone era solitario, la sporcizia regnava indisturbata fra le cianfrusaglie accatastate e la polvere mi solleticava il naso. Seduta a terra, rannicchiata con la testa fra le gambe, percepii dei passi avvicinarsi e poi un bussare leggero.

«Fragolina? Mi senti?» Me ne restai in silenzio, con la testa incassata e lo sguardo schivo. «Sorellina, ci sei? Puoi sentirmi o no?» Non gettò la spugna. Calpestò alcuni rametti che scricchiolarono al suo passaggio e ritentò. «Fede, sei lì dentro?»

«Alessia vai via! Arriverà tua madre e si arrabbierà.»

«Non si arrabbierà. È andata a trovare la zia Nadia. Ti ho portato da mangiare e ho trovato un coltellino tascabile. Adesso aprirò la porta e ti salverò.»

«Se ti tagli, tua madre se la prenderà con te. Non ho fame, non preoccuparti. Vai a casa.»

«Così, Filippo, il figlio del pittore, apre le porte.» Alessia era decisamente testarda, ma la voce della madre irruppe.

«Che stai facendo?! Hai rovinato la torta che ho preparato!»

«Mia sorella ha fame. Non la lasci mangiare da giorni. Volevo darle un pezzetto di questa torta.»

«Non è tua sorella! È la figlia di tuo padre, e una spina nel fianco. Non chiamarla così. Inoltre, si è comportata male e avrà quello che si merita.»

«Non è vero! Non ha fatto nulla di male e lo dirò a papà.»

«Allora, è così che la metti? Volevi darle qualcosa da mangiare?» Mi strinsi nelle spalle quando spalancò la porta sgangherata, facendola stridere, e fissò arcigna dall'alto, pronta a schiacciarmi come fossi un insetto. «Stai ingannando la mia bambina? Sei proprio cattiva!»

«Mia sorella non ha fatto nulla di male.»

«Chiudi la bocca!» la rimproverò aspramente e Alessia chinò gli occhi. «Volevi mangiare, vero?» Prese l'intera ciotola e rovesciò tutto il contenuto ai miei piedi, per poi darmi solo un misero pezzo di pane raffermo. «Ti sfamerai da sola. Finché non arriverà tuo padre, non avrai nient'altro.» Poi, afferrò la mano della figlia per andarsene e mi salirono le lacrime, ma non piansi anche se una parte di me lo avrebbe voluto. Si voltò. «Ah… e questo lo dico a tutte e due!» Osservò sia me che la figliol prodiga. «Se una di voi due dice qualcosa a vostro padre, giuro che vi richiuderò qui dentro entrambe! Ci siamo capite?» Si tirò dietro Alessia e serrò la porta di nuovo. Quello che mi restò era quel pezzo di pane ammuffito, stipato in dispensa. Non avrei mangiato nemmeno quel giorno...

Smisi di ripensare a quel momento terribile e mi concentrai invece sulla nostra ricerca. Tommy stava imboccando ogni traversa che gli capitava a tiro, ma Rebecca era confusa. I fabbricati si somigliavano tutti, lungo la via.

«Rebecca, se stai provando a depistare, ti farò a pezzi e non riuscirai a scappare da me, in vita tua. Te lo garantisco. Ti pentirai di essere nata. Dicci dove dobbiamo andare!»

«Dritto. Vai sempre dritto.»

Continuò su quella strada. Per tutta la notte, vagammo a vuoto, finché il sole non illuminò la zona. Svoltò in una traversa. Non era più notte ormai. Alla donna si accese la famosa lampadina in quel cervello pacato e parcheggiò davanti ad un altro fabbricato, uguale ai precedenti. Sembrava sicura. Scendemmo e ci avviammo lì. Mi guardai attorno, il ragazzo iniziò a spingere con la spalla fino a che non riuscii a forzare la porta. Entrammo trafelati all'interno.

«Alessia!» Urlò Tommy, andando avanti, per primo. Osservai con attenzione il luogo, c’erano bulloni, ruote di scorta in disuso per delle auto, sicuramente era un giro non propriamente legale o un autorimessa.

Rebecca indicò la rampa di scale che portava al piano superiore e salimmo. Non appena entrò nella piccola stanza, si avventò contro una donna che fece per scagliarle contro la gomma della ruota, ma non riuscì. Come una furia, gliela strappò dalle mani e le strattonò i capelli, minacciando di ucciderla se non le avesse rivelato dove fosse Alessia.

«È tutta colpa tua! Hai molestato mio marito, stronza!»

«Dov'è mia figlia, disgraziata! Ti assicuro che se le è successo qualcosa me la pagherete! Dimmi dove la tenete, maledetta schifosa!» Gridò rabbiosa, tirandole uno schiaffone, facendola cadere sul materasso. Gliela tolsi di dosso prima che la uccidesse...

Ci serviva viva.

«Lasciala parlare. Dov’è Alessia?»

Si mise in piedi. «Giuro che non lo so… non ho idea.»

Le presi il polso storcendoglielo, mentre si accasciò sulle ginocchia, gemendo per il dolore.

«Dov'è Alessia!? Dove?» Ringhiai a denti stretti e mi supplicò di lasciarla, che non sapeva niente.

«Non mentire!» Fortificai la presa.

«Non si cacci in altri guai, signora. Ci dica dove sta.» disse Tommy con tutta tranquillità.

«Vi ho detto che non lo so. Non ho fatto nulla. Leonardo l'ha nascosta da qualche parte, ma non me l'ha detto.»

«Dov'è?! Dov'è quel bastardo?!»

Ero a tanto così da rompere le ossa della mano di quella screanzata.

«È andato a procurare la colazione. Non è ancora tornato.» Mollai la presa, facendola cadere a peso morto sul materasso.

Il cellulare squillò nella tasca della giacca e vidi sul display il numero dell'ospedale. Mi recai fuori. Forse era un'emergenza.

«Anche Tommaso è con me. Abbiamo una questione urgente da sbrigare. Torneremo appena possibile.»

Mi limitai a rispondere per poi agganciare. Giovanni era in ospedale, quindi i pazienti erano seguiti a dovere. Mi fiondai giù per uscire all'esterno, guardandomi attorno.

Se quel cane sospettava che fossimo sulle sue tracce, chissà che altro avrebbe orchestrato. Dovevo ritrovare Alessia, ne andava della sua stessa vita.

Quel maledetto.

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